
I rider e il caporalato digitale
Pressenza - Friday, July 18, 2025Secondo recenti stime, circa il 30% della popolazione mondiale è attualmente esposta a condizioni di caldo particolarmente critiche per la salute per almeno 20 giorni all’anno e tale percentuale è destinata ad aumentare nei prossimi anni anche se le emissioni di gas serra tenderanno a ridursi. I lavoratori, in particolare quelli che trascorrono la maggior parte delle loro attività all’aperto, settore agricolo e delle costruzioni in primis, sono tra i soggetti più esposti agli effetti del caldo e in generale a tutti i fenomeni atmosferici.
Sono tante le Regioni (Lombardia, Abruzzo, Emilia-Romagna, Sardegna, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Puglia, Sicilia e Toscana) che anche per questa estate hanno vietato il lavoro all’aperto dalle 12,30 alle 16,30. Nelle strade, nei cantieri, nei vivai, nell’agricoltura come nelle cave durante le ore più calde della giornata ci si dovrà fermare (https://www.worklimate.it/). Di conseguenza, le imprese sono obbligate ad dottare misure organizzative, tecniche e procedurali utili per evitare l’esposizione dei lavoratori nelle fasce a rischio, attraverso, per esempio, l’anticipo dell’orario di inizio mattutino e suo prolungamento nelle ore serali, l’impiego dei lavoratori al coperto o all’ombra, anche per mezzo di tettoie fisse o mobili, la riprogrammazione delle attività, l’organizzazione di ripetute turnazioni dei lavoratori esposti e pause in zone ombreggiate, l’utilizzo di carrelli elevatori o macchine cabinate con aria condizionata e così via. Ovviamente l’efficacia dei provvedimenti regionali dipende in gran parte dalla capacità di controllo per far rispettare le limitazioni imposte. Controlli che purtroppo non sempre sono puntuali e continuativi. Ci sono però lavoratori, come i rider, per i quali non basta la “tutela meteo”.
Come ha efficacemente illustrato Marco Omizzolo, sociologo, docente e ricercatore dell’Eurispes, su https://www.leurispes.it/, un algoritmo peggiora le condizioni lavorative dei rider. “Tra le modalità più ricorrenti e nel contempo persistenti che concorrono a determinare lo sfruttamento dei rider, sottolinea Omizzolo, da cui deriva il loro obbligo al lavoro secondo gli ordini impartiti dall’algoritmo, a prescindere, in genere, dalle condizioni meteo più o meno avverse, si possono citare l’iper-connessione e la sovra-reperibilità, favorite dall’utilizzo di devices che rappresentano una forma larvata, ma non per questo meno pervicace, di sfruttamento opaco, dal momento che non mette in luce la situazione di vulnerabilità che vive un lavoratore che non può esercitare il diritto umano alla disconnessione. È da qui che deriva l’obbligo del rider al lavoro anche con il caldo estremo, quale accezione più evoluta rispetto al solo problema delle temperature estive intese come dato naturale in sé non superabile. Si tratta di una vulnerabilità alimentata dall’organizzazione del lavoro del rider stesso, basata su algoritmi, sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati, che fomentano significativi squilibri di potere e opacità nel processo decisionale: la vigilanza e la misurazione della performance realizzate con la tecnologia potrebbero, difatti, aggravare pratiche discriminatorie e squilibri di genere e comportare rischi per la vita privata, la salute, la sicurezza dei lavoratori e, più in generale, per la dignità umana. I provvedimenti emanati dalle regioni, dunque, sebbene fondamentali ai fini della tutela della salute dei rider, bypassano le condizioni specifiche che fanno di questi lavoratori degli sfruttati della gig economy, che solo una riorganizzazione per via normativa e dunque politica della relativa filiera e settore potrebbe, probabilmente, arginare”. Insomma, per essere affidabili secondo l’algoritmo, il rider deve rispondere sempre positivamente alla sua chiamata, anche se le condizioni meteorologiche sono proibitive.
Omizzolo parla di caporalato digitale come forma di sfruttamento realizzata attraverso la cessione delle credenziali di accesso alle piattaforme di food delivery, annotando che “risulta evidente che la variabile dipendente da cui derivano gli incidenti, in alcuni casi anche mortali, dei rider, non è riconducibile all’evento meteo come fatto naturale, ma alla sua combinazione con le forme organizzate dello sfruttamento a cui è costretto il rider. Intervenire solo sulla variabile meteo, sebbene utile ai fini della tutela dell’incolumità fisica del lavoratore, non ne supera la condizione originaria e tipica, che è data dalla reperibilità dello stesso ed esecuzione dell’ordine di consegna a qualunque costo e nel più breve tempo possibile”.
E’ la digitalizzazione, in buona sostanza, che mina la salute e la sicurezza di questi lavoratori. “Lavorare in violazione della normativa sull’orario di lavoro e di riposo, sulla sicurezza e salute sul lavoro, in condizioni umilianti e degradanti, accettate a causa dello stato di particolare bisogno dei lavoratori, sotto il controllo di meccanismi automatizzati, conclude Omizzolo, integra il delitto rubricato “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, di cui all’art. 603 bis del c.p., e richiede un impegno complessivo del legislatore per evitare ripetute tragedie di lavoratori morti o gravemente infortunati al solo scopo di portare una pizza o un’insalata mista nelle case degli italiane. Concentrarsi solo sulla variabile meteo, isolandola dal contesto lavorativo dei rider e dalla sua organizzazione specifica, è un po’ come guardare il dito quando esso indica la luna”.
Qui per approfondire: https://www.leurispes.it/rider-caporalato-digitale/.