Cominciamo dall’ex-GKN

Comune-info - Thursday, July 10, 2025

Preparare e sperimentare piani di riconversione industriale dal basso, portati avanti con il territorio e con il supporto di accademici e orientati con i principi e le pratiche dalla conversione ecologica, dovrebbe essere una priorità ovunque. Quelli che sono in alto, dall’Ue al governo nazionale, hanno invece abbracciato l’economia di guerra. Intanto, in Toscana c’è chi lega la lotta per la chiusura delle basi militari con il sostegno alle proposte dei lavoratori e delle lavoratrici dell’ex-GKN per la produzione di pannelli solari, la promozione di Comunità energetiche rinnovabili e la costruzione di cargo bike, grazie anche a progetti di azionariato popolare

Nessuna sostenibilità nell’economia di guerra 
A fianco della GKN per un’economia di Pace e
la chiusura delle basi militari a partire da Camp Darby

Da diversi anni l’umanità è di fronte a una vera e propria sfida per la sopravvivenza: la transizione ecologica. Con l’Agenda 2030 l’ONU ha impegnato sin dal 2015 tutti i paesi del mondo a indirizzare i loro modelli economici e sociali verso la sostenibilità, cioè a rendere le attività umane meno impattanti sulla natura adottando l’economia circolare, riducendo l’impiego delle energie fossili, tutelando la biodiversità, razionalizzando l’uso delle risorse. Da molto meno tempo, però, gran parte dei paesi del mondo – purtroppo l’Unione Europea in testa – hanno abbracciato l’economia di guerra, si stanno impegnando cioè a reindirizzare i propri modelli economici e sociali verso un massiccio riarmo e verso la preparazione dei conflitti armati.

Quello che non dicono è che questi due indirizzi non solo non sono compatibili, ma sono opposti tra loro.

Nonostante questo l’Italia è uno dei paesi partecipa con maggior convinzione a questa irresponsabile corsa al riarmo e alla guerra: se il ministro delle imprese e del Made in Italy D’Urso ha prontamente proposto alle aziende della filiera di “diversificare e riconvertire le proprie attività verso settori ad alto potenziale di crescita come la difesa, l’aerospazio, la blue economy, la cybersicurezza” quello all’Economia Giorgetti gli ha fatto eco ribadendo che “si parla moltissimo della riconversione dell’automotive al sistema della difesa, non si può ignorare che la spesa per la difesa e gli investimenti della difesa hanno anche una ricaduta in termini di crescita economica”. In questo clima guerrafondaio appare lontanissimo l’ottobre del 2022, quando il governo finanziava con 750 milioni di euro, all’interno del fondo per l’automotive, il sostegno e la promozione della transizione verde. Di tutti questi incentivi non un solo euro è stato destinato alla riapertura della ex-GKN in crisi dal luglio del 2021 ma, nel momento stesso in cui aprivano una vertenza contro i licenziamenti illegittimi, i lavoratori e le lavoratrici della fabbrica si sono mobilitati e hanno realizzato un piano di riconversione industriale dal basso con il supporto di accademici e di una comunità larga che ha condiviso conoscenze e necessità per immaginare un futuro diverso. Sostenibile, appunto, orientato verso la riconversione ecologica.

Bisogna aggiungere che con la legge regionale sui Consorzi di sviluppo industriale oggi abbiamo tutti gli strumenti per il recupero dello stabilimento di Campi Bisenzio, ma affinché questo possa avvenire serve anche la volontà politica di creare il consorzio, quella di attuare la legge senza snaturare il progetto del collettivo di fabbrica e soprattutto servono i finanziamenti, soprattutto pubblici, che completino quanto raccolto dalla campagna di azionariato popolare. Ciò dovrebbe anzi avvenire all’interno di un coerente e convinto intervento dello Stato mirato, ben oltre lo specifico caso della GKN, a una riconversione industriale ecologica al livello nazionale. Al contrario lo spettacolo cui siamo di fronte è quello di uno Stato che non trova altra via se non quella di minacciare l’uso della forza per affrontare una questione squisitamente sociale, cercando di risolvere i conflitti in maniera violenta piuttosto che trovare mediazioni. È infatti proprio all’interno di un’ottica di riarmo e di preparazione alla guerra, e in nome di una pretesa e improbabile “difesa nazionale”, che si espropriano i terreni e si pensa a derogare a qualsiasi vincolo di compatibilità ambientale per costruire strutture e infrastrutture belliche.

Tutto questo significa che oggi in Toscana sostenere l’ex-GKN significa anche sostenere un modello di sviluppo rispettoso dell’ambiente, praticato dal basso, seguendo le necessità della comunità e del territorio e in maniera socialmente accettabile. Scegliendo con determinazione un’economia di pace e di sostenibilità. È una scelta che si contrappone automaticamente a chi vuole investire nell’economia di guerra, a chi vuole cioè rafforzare l’hub logistico-militare toscano nel quale vengono gettati decine di milioni di euro per potenziare il trasporto di armi dagli Stati Uniti verso il Medio Oriente mentre si blatera di una fantomatica prontezza per la guerra globale e delle minacce dello “straniero”.

Noi ribadiamo invece con forza che la vera, grande emergenza da affrontare è quella della crisi climatica. Riaprire la fabbrica e chiudere le basi militari sono le due facce della stessa medaglia, due azioni finalizzate a uscire dalla crisi climatica e sociale che oggi attanaglia sia il nostro paese sia l’intero pianeta e mette a repentaglio il futuro dell’umanità. Azioni che si pongono l’ambizioso ma indispensabile obiettivo di andare in controtendenza, oltre tutto, rispetto a indicazioni dell’Unione Europea sulla necessità di preservare e recuperare il patrimonio naturale che divengono sempre più timide e deboli sotto gli attacchi dei governi nazionale e dalle lobby delle multinazionali. Azioni che si pongono l’obiettivo di contrastare la linea prevalente di investire risorse aumentando il debito pubblico in deroga a ogni vincolo di bilancio, per seguire il piano di riarmo europeo che si accompagna all’irresponsabile richiesta della Nato di aumentare le spese militari ad almeno il 5% del Prodotto interno lordo. Tutto questo finisce col disegnare uno scenario in cui l’economia civile scompare dall’orizzonte della discussione, si delinea una vera macelleria sociale a causa dei tagli draconiani alle altre voci di bilancio, la transizione ecologica viene rimessa nel cassetto e l’idea di elaborare un piano industriale nazionale che migliori le condizioni di vita delle persone senza esacerbare le devastanti alterazioni dell’ambiente prodotte dal nostro modello di consumo non è presa neppure in considerazione.

È urgente insomma invertire questa rotta incentivando le aziende a convertirsi in aziende di pace. La proposta dei lavoratori e delle lavoratrici dell’ex-GKN va precisamente in questa direzione ponendosi l’obiettivo di ricollocare la fabbrica nel settore della transizione energetica da una parte con la produzione di pannelli solari e quindi la promozione di CER (comunità energetiche rinnovabili) e dall’altra realizzando cargo bike per un approccio diverso alla mobilità nelle nostre città paralizzate e soffocate dalle automobili. Una proposta di pace, una proposta di riconversione ecologica ma che ha al tempo stesso il merito di essere una proposta infinitamente più razionale dal punto di vista economico rispetto a quelle dell’economia di guerra: secondo un report di Greenpeace, un miliardo di euro investito nel militare crea 3.000 posti di lavoro rispetto ai 14.000 crati da investimenti in educazione, ai 12.000 investiti in sanità e ai 10.000 nella tutela ambientale. E se le armi creano solo morte, l’educazione, la sanità e l’ambiente creano anzitutto vita.

Tutto questo conferma che le scelte disarmanti sono le sole morali e razionali e che è necessario sostenere al tempo stesso l’ex-GKN e chiudere Camp Darby, polveriera degli Stati Uniti in Europa e simbolo di un’occupazione militare che minacciala pace mondiale difendendo gli interessi economici dell’élite finanziaria globale.

È ora di scegliere l’interesse delle persone.

Per questo l’11 e il 12 luglio saremo a fianco del Collettivo di Fabbrica per il concerto anniversario Resistere e Ri-Esistere e alla terza assemblea dell’Azionariato Popolare e la settimana successiva insieme alla rete Stop Rearm Europ presidieremo Camp Darby per chiederne l’immediata riconversione a uso civile.

Una città in comune è una rete di cittadini e cittadine nata a Pisa intorno ai temi della giustizia sociale, dell’ambiente e della pace

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