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Livorno, i ragazzi tunisini morti al porto sono vittime delle politiche di respingimento
Due giovani ancora senza nome sono morti nel porto industriale di Livorno. Era il 30 ottobre, intorno alle 13:30, quando i loro corpi sono stati risucchiati dalle eliche delle navi in manovra, nelle acque del canale tra la Darsena Toscana e il varco Zara.   I due ragazzi erano stati trovati poco prima dalla Polizia Marittima sulla nave Stena Shipper, battente bandiera danese, ma noleggiata dalla compagnia statale tunisina CoTuNav, proveniente dal porto di Radès. Erano arrivati a Livorno nascosti in uno dei container della nave.  Una volta scoperti, sarebbero stati reimbarcati sulla stessa nave e affidati alla custodia del comandante, in attesa di essere rimpatriati. Una riconsegna quindi “informale”, al di fuori di qualsiasi procedura operativa e prevista dalle normative, senza alcuna identificazione. Chiusi in una cabina a bordo, sarebbero riusciti a liberarsi e, nel tentativo disperato di evitare il ritorno in Tunisia, si sarebbero gettati in mare. Quel che è certo è che erano vivi, in Italia, quando la polizia di frontiera li ha fatti scendere dal cargo e poi risalire, per essere riconsegnati al comandante della nave. Nessun colloquio con un avvocato, nessun mediatore, nessuna informativa sui loro diritti. Nessuna possibilità di chiedere asilo, o anche solo di manifestare la volontà di farlo.  Le autorità parlano di una “procedura standard”, ma si tratta in realtà di un respingimento informale, una pratica che da anni si consuma silenziosamente nei porti italiani, probabilmente i più noti alle cronache sono quelli dell’Adriatico. Un’inchiesta di Lighthouse Reports, pubblicata nel gennaio 2023 1, grazie al lavoro del Network Porti Adriatici aveva infatti documentato decine di casi di rimpatri forzati – compresi minori non accompagnati – dai porti di Venezia, Ancona, Bari e Brindisi verso la Grecia, in violazione del diritto internazionale.  Anche a Livorno, il comportamento delle autorità sembra ricalcare lo stesso schema: quando i due giovani hanno capito che sarebbero stati rispediti indietro, hanno tentato di fuggire e si sono buttati in mare.  Appresa la notizia, i primi a chiedere di fare chiarezza sulla vicenda sono stati i sindacati e le associazioni. «Troppe cose ancora non tornano – hanno scritto Usb Livorno e la sezione locale di Asgi -: due ragazzi sono morti nel tentativo di conquistare una vita migliore. Non sappiamo niente di loro perché qualcuno ha deciso che non avevano diritto di parlare con un avvocato, un mediatore o un’associazione. Dopo averli fatti sbarcare e tenuti ore al varco portuale, li hanno rinchiusi in una cabina e, una volta tuffatisi in mare, sono morti affogati». Durante il partecipato presidio del 7 novembre al varco Zara, al quale ha preso parte anche il Sindaco della città, il rappresentante di Usb Livorno ha chiesto giustizia: «Vogliamo sapere chi ha deciso per il rimpatrio immediato, se c’è un decreto di espulsione, se davvero hanno chiesto, come alcuni testimoni affermano, di parlare con un avvocato. E perché, quando i loro corpi non erano ancora stati trovati, è stato autorizzato il passaggio di un’altra nave nel canale. Evidentemente, la vita di due persone vale meno dei traffici marittimi». Anche la Cgil Toscana e la Cgil Livorno hanno definito l’episodio l’ennesimo capitolo nero del fallimento delle politiche securitarie. «La criminalizzazione e l’etichetta di clandestino hanno sostituito l’umanità e le buone pratiche di accoglienza – si legge in una nota -. Occorre individuare le responsabilità di chi ha portato due ragazzi a gettarsi in mare piuttosto che affidarsi alle istituzioni». Il deputato Marco Grimaldi di AVS è intervenuto in Parlamento: «Lo Stato ha altri due morti sulla coscienza. Non gli è stato permesso di chiedere protezione internazionale, di vedere un medico, un avvocato. La polizia li ha caricati su una nave perché li riportasse in Tunisia. Si sono buttati in acqua e sono morti. Perché non hanno ricevuto cure e accoglienza? Perché non hanno avuto la possibilità di chiedere asilo?». Nel frattempo, la procura di Livorno ha aperto un fascicolo per omicidio colposo contro ignoti. Nessuno è al momento indagato. Il comandante della nave avrebbe dichiarato di aver “controllato i due migranti ogni venti minuti”. Asgi ha predisposto un esposto perché ci sia un’indagine accurata sulle procedure utilizzate e si chiariscano le responsabilità.  Secondo i dati pubblicati da Il Tirreno, nel porto di Livorno si registrano in media una ventina di respingimenti l’anno. Ma altre fonti parlano di più del doppio. Negli ultimi due anni – riferisce ancora il quotidiano – sono state rafforzate le barriere fisiche a chiusura della banchina destinata alle navi provenienti dal Nordafrica, per rendere più difficile l’accesso alle aree di sbarco. Dall’inizio del 2024, circa sessanta navi arrivate da Tunisi e Radès, molte delle quali appartenenti alla compagnia CoTuNav, hanno attraccato nello stesso punto. Il fenomeno strutturale dei respingimenti interessa sicuramente altri porti tirrenici, ma al momento non si hanno dati ufficiali.  Di sicuro il caso di Livorno non è isolato, ma un ulteriore tassello della pratica dei respingimenti informali che da anni si consuma nei porti italiani, tanto sull’Adriatico quanto sul Tirreno. Una pratica illegittima, che viola la Convenzione di Ginevra, l’articolo 10 della Costituzione e l’articolo 33 della Convenzione europea dei diritti umani, perché impedisce a chi arriva di esercitare il diritto di chiedere protezione internazionale.  Qualsiasi persona rintracciata in area portuale o prima dell’ingresso formale nel territorio nazionale deve essere informata dalle autorità della possibilità di presentare domanda d’asilo, ricevere assistenza legale e linguistica e non può essere rimandata in un Paese dove potrebbe rischiare persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti.  La violazione è resa ancor più grave con due giovani che potevano essere ancora minorenni. Nulla di tutto ciò è accaduto e due ragazzi sono morti perché un sistema politico, culturale e amministrativo è strutturalmente razzista e seleziona chi può restare e chi deve essere respinto in base alla provenienza geografica, al colore e alla classe.  Chi parla di “incidente” o “fatalità” non vuole mettere in discussione questa nuda verità: le morti sono l’effetto diretto di un clima politico che favorisce delle scelte che riducono le persone a “irregolari” da espellere, senza alcuna valutazione ulteriore, senza il rispetto dei loro diritti. Scelte che ancora una volta hanno ucciso. 1. Respingimenti illegali dall’Italia alla Grecia: richiedenti asilo detenuti in prigioni segrete, Meltingpot.org ↩︎
Viva la scuola libera e autonoma dalla politica e dall’indottrinamento militare
Il collegio dei docenti della scuola secondaria “Banti-Della Maggiore” non accoglie la proposta del Comune di Santa Croce sull’Arno (PI) di fare un’iniziativa per commemorare il tragico attentato ai militari italiani a Nassirya. Da parte nostra, come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, non comprendiamo lo sconcerto e l’incredulità dell’amministrazione di Santa Croce, per quella che è una decisione strettamente didattica della scuola e che dovrebbe essere rivendicata per tutte le iniziative che vedono coinvolte le Forze Armate nelle scuole. Siamo convinti che la scuola pubblica italiana sia perfettamente in grado di educare gli studenti e le studentesse ai temi della legalità e della cittadinanza attiva. Dall’altra parte ci sfugge il nesso tra questi temi e la celebrazione di un triste episodio di guerra della storia recente del nostro Paese. Se l’obiettivo è la “conoscenza dei fatti” crediamo che la figura migliore sia un docente di storia e non certo un Militare dell’Arma dei Carabinieri. In particolare, sul concetto di pace è bene sempre ricordare che l’Italia “ripudia la guerra come mezzo per risolvere le dispute internazionali”, e di conseguenza non sono certo i militari i più adeguati per parlare di pace nelle scuole. Inoltre, se è la posizione dell’amministrazione la prima ad essere ideologica, come emerge chiaramente dalle dichiarazioni degli assessori – che parlano genericamente e banalmente di un “attentato terroristico” perdendo di vista la complessità dello scenario internazionale, delle ragioni della guerra in Iraq, del ruolo delle forze militari italiane presenti in territorio straniero anche dopo la fine della guerra, del fatto che fossero percepiti dalla popolazione locale come forze di occupazione e non come forze di pace, delle accuse anche di aver attaccato e ammazzato civili – si comprende quanto sia pericoloso lasciare temi di didattica a personale non qualificato per quanto riguarda l’insegnamento nelle scuole pubbliche.  E se c’è controversia sulla lettura storica di quegli anni o sul ruolo dell’Italia nelle guerre del 2003 e siamo tutti d’accordo che vada fatta una lettura critica, è chiaro che questi temi così complessi non possono essere lasciati a chi non ha nessuna competenza di pedagogia e capacità riconosciute per affrontare tematiche così delicate con studenti nella fascia di età che era stata scelta. Leggiamo invece positivamente la proposta di organizzare eventi pubblici aperti alla cittadinanza, dove si possano discutere queste tematiche, con un pubblico adulto che ha già maturato gli strumenti critici per affrontare un simile dibattito, ma ribadiamo che sia importante fare questa discussione fuori dai luoghi della formazione e tenendo gli adolescenti protetti rispetto ad ideologie belliciste e guerrafondaie. In ultima analisi ricordiamo che in tema di didattica, nella scelta dei progetti  a cui aderire, il Collegio Docenti è sovrano e non c’è nulla di scandaloso se tra le migliaia di proposte integrative che quotidianamente arrivano alle scuole dal Ministero, dagli Enti Locali, dal Terzo Settore, dai docenti stessi della scuola, alcune proposte non vengano accolte. Sarebbe problematico il contrario, ovvero pensare che le proposte delle amministrazioni locali debbano essere assunte in automatico, senza alcuna revisione critica e competente, tanto da sembrare quasi obbligatorie. Bene che le scuole mantengano la propria indipendenza nella scelta dei temi da trattare pur lasciando in ogni caso  la porta aperta a tanti altri temi che possono essere trattati con il Comune di riferimento in una proficua collaborazione educativa e formativa. Qui i link dove della notizia: * https://www.lanazione.it/pontedera/cronaca/strage-di-nassiriya-il-comune-propone-alla-scuola-di-ricordare-i-caduti-i-docenti-dicono-no-wdn37wku * https://www.quinewscuoio.it/santa-croce-sull-arno-carabinieri-a-lezione-no-degli-insegnanti.htm * https://www.ilcuoioindiretta.it/altre-news/2025/11/05/incontro-sulla-legalita-i-docenti-dicono-no/198614 osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università di Pisa
Massa Marittima (GR), presentazione Eirenefest 2025 all’insegna della pace
Nell’ambito dell’edizione grossetana dell’Eirenefest 2025, Massa Marittima dà il suo contributo per sostenere la cultura della Pace e della nonviolenza. Lo fa in collaborazione con la seconda edizione di “Creare la Pace”, una manifestazione che ruota attorno ad una raccolta di opere di artisti e di alunni delle scuole locali dedicate alla Pace. L’Eirenefest massetana, in particolare, si concentra sul mettere in risalto il ruolo cruciale dell’educazione e della formazione delle giovani generazioni per promuovere una società nonviolenta e solidale. Il 12 novembre, si incontreranno Pio Castagna (Pax Christi), Annabella Coiro (Rete EDUMANA- Centro di Nonviolenza Attiva) ed Ermete Ferraro (M.I.R Italia) per dialogare su “Comunicazione nonviolenta. Dai conflitti alle connessioni”, alla presenza di un pubblico composto anche da docenti, educatori, genitori. Durante la settimana dal 10 al 15 Novembre, invece, si terranno laboratori creativi con bambini e ragazzi delle scuole, con letture sulla Pace e produzione di piccoli post-it o altri piccoli messaggi scritti e grafici da affiggere all’”Albero della Pace”, fissato su una delle pareti delle sale della mostra e lì conservato per tutta la durata della stessa. La realizzazione dell’iniziativa, coordinata dal Gruppo per la Pace, è stata sostenuta anche da alcune associazioni locali, quali: Accademia Musicale Omero Martini, Associazione Dire Fare – Centro Studi Storici Agapito Gabrielli, Associazione Iride, Associazione Liber Pater.
Arezzo: manifestazione antimilitarista e di resistenza all’imperialismo
Ad Arezzo varie associazioni, che in questi mesi hanno contribuito alle mobilitazioni per la Palestina, per il 4 novembre hanno organizzato un presidio anti militarista e anti imperialista in Piazza della Stazione. Il presidio, a cui hanno partecipato alcune decine di persone, tra cui studenti e insegnanti, è durato un paio d’ore, durante le quali si sono succeduti interventi sulla militarizzazione della società e della scuola e sono stati distribuiti volantini. La manifestazione è stata indetta da Collettivo Millepiani, Partito Comunista dei Lavoratori. Resistenza Popolare, Partito dei CARC, con l’adesione dei Cobas Scuola e del Sindacato Generale di Base.
Manifestazione Antimilitarista a Livorno: resistenza contro la militarizzazione
Alcune centinaia di persone hanno partecipato alla manifesta zione antimilitarista unitaria promossa, come da diversi anni a questa parte, dal Coordinamento antimilitarista livornese. Il corteo ha sfilato da piazza della Vittoria, scelta proprio per lo specifico significato, fino a piazza Cavour. Presenti, fra le varie realtà politiche e sindacali, anche il collettivo degli studenti medi “Scuola di carta”, il GAP gruppo Autonomo portuali, il comitato sanità Livorno, NonUnadimeno, il Movimento nonviolento, Attac. Rilevante la presenza del mondo della scuola, rappresentato, oltre che dagli studenti, dal gruppo “Rete docenti lavoratrici e lavoratori della scuola uniti per Gaza” riuniti sotto il significativo striscione “La scuola non si arruola”. Negli interventi largo spazio è stato riservato alla questione militarizzazione della scuola ed è stato sottolineato anche il lavoro importantissimo svolto dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, nonché il grave atto repressivo imposto dal MIM con l’annullamento del corso di formazione previsto proprio il 4 novembre, questione richiamata anche nello striscione di apertura che titolava “4 novembre: disertiamo tutti gli eserciti – contro guerra, riarmo, repressione e censura” Qui alcuni scatti dell’iniziativa a Livorno.
Massa Carrara: per il 4 novembre proteste contro la guerra e solidarietà Palestina
Anche Massa Carrara si è unita oggi alle iniziative organizzate in tutta Italia contro il 4 novembre, contro ogni guerra e in solidarietà con la Palestina. Al mattino gli studenti e le studentesse in sciopero hanno sfilato nelle vie del capoluogo, ribadendo il loro no a politiche di guerra, all’aumento delle spese militari e chiedendo invece più attenzione e risorse pubbliche per la formazione. Nel pomeriggio, al presidio davanti agli uffici dell’USP, organizzato da Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università e Tenda per la Palestina, i/le docenti hanno rivendicato il loro dissenso rispetto alla retorica del 4 novembre, dichiarandosi “pacefondai” e difensori del pensiero critico. Qui alcuni scatti dell’iniziativa di Massa Carrara.
A Pisa il 4 novembre non è la nostra Festa
APPELLO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLA CULTURA, CONTRO IL RIARMO E LE POLITICHE DI GUERRA, PER SOSTENERE LA PALESTINA. COSTRUIAMO L’ALTERNATIVA. Anche nella città di Pisa, le realtà locali aderenti all’appello promosso dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università si mobilitano nella giornata del 4 novembre, proclamata per legge (n. 27 del 1 marzo 2024) Festa delle Forze Armate e dell’Unità Nazionale. Nelle scorse settimane abbiamo partecipato alle manifestazioni contro il genocidio, contro l’economia di guerra e il piano di riarmo europeo e l’espansionismo della NATO. Chiediamo un cambio radicale delle politiche governative. In che modo? Rinunciando a introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado iniziative a sostegno della retorica militarista, con una politica estera che si prefigga la risoluzione pacifica dei conflitti a livello internazionale e al contempo favorisca la transizione verso un modello socialmente equo e ambientalmente sostenibile nel quale le produzioni di guerra siano convertite a scopi civili. Non siamo disponibili a celebrare la “Cultura della Difesa”, che di fatto si traduce in una sempre maggiore militarizzazione dei territori, delle coscienze e della società tutta. Non siamo disponibili a celebrare “i valori della patria e del sacrificio” delle nuove generazioni in nome della difesa dei confini e di un’unità nazionale, mentre si tagliano le risorse per il welfare e si esacerbano le disuguaglianze sociali all’interno del Paese e si costruisce, nelle scuole, un modello culturale caratterizzato dall’esaltazione del militarismo e della retorica di guerra. Andiamo oltre i confini che oggi diventano barriere culturali e premesse per la definizione di un “noi contro loro”, filo conduttore delle campagne d’odio contro “l’altro”, il diverso, e quindi la costruzione di un nemico da disumanizzare prima e contro cui combattere dopo, fino all’annientamento. Con questa legge, il ruolo delle Forze Armate viene dipinto agli studenti e le studentesse solo per alcuni ruoli e aspetti apparentemente allettanti, omettendo il ruolo principale della funzione militare nella storia e nell’attualità all’interno di una guerra diffusa che continua a provocare morte e distruzione. Sugli aiuti umanitari, abbiamo visto di recente la farsa dei lanci aerei operati proprio dalla 46esima brigata sulla striscia di Gaza. Questo mentre le missioni civili venivano fermate e gli equipaggi arrestati dall’esercito israeliano, col quale il nostro Paese coopera per il blocco del valico di Rafah e con la fornitura di armi e tecnologia. Conosciamo bene la retorica delle “missioni di pace” che si sostanziano nella difesa di interessi economici e di accaparramento di materie prime. Di quale tutela ambientale si parla, se sono proprio i militari i primi a colonizzare le aree naturali protette del nostro territorio, trasformando l’area da Livorno a Pisa in un’unica estensione di porti, caserme e aeroporti militari? Quale cura e soccorso ai rifugiati, se i nostri militari sono i primi ad addestrare le polizie militari degli stati africani per i respingimenti o il blocco delle migrazioni economiche? Mentre si chiede di “sensibilizzare” gli studenti, dall’altro lato si censura il lavoro degli insegnanti e degli educatori, minacciando perfino il carcere a chi critica l’operato del governo Israeliano o denunci la equiparazione tra antisionismo e antisemitismo, come previsto nel DDL Gasparri ora in discussione alla Camera. La libertà di espressione e di manifestazione è sempre più a rischio, data la repressiva legge sulla sicurezza, la fedeltà all’azienda e i codici di comportamento che limitano fortemente il diritto di parola e di opinione, fino alle linee guida del Ministro Valditara che si è mosso costantemente per far tacere le voci critiche e di opposizione: dalla riforma del voto in condotta fino agli ultimi provvedimenti che arrivano a punire la pacifica manifestazione di dissenso, anche un pacifico silenzio, fino alla normalizzazione delle scuole. Dall’altra parte, è proprio il Ministero dell’Istruzione, attraverso accordi e protocolli con il Ministero della Difesa, a favorire una crescente incursione di personale in divisa militare all’interno delle scuole. Questi militari, privi di competenze in ambito pedagogico e didattico, cercano di sostituirsi ai docenti (professionisti che hanno superato concorsi, abilitazioni e lauree) in tutte le discipline: dall’educazione civica alle scienze, dalla prevenzione del bullismo all’educazione socio-affettiva. Paradossale come il personale scolastico, precario e sottopagato, veda una sempre maggiore presenza di personale in divisa ad orientare gli studenti a carriere sicure e ben pagate. Emblematica è la circolare emanata dall’Ufficio scolastico della Toscana che ad inizio di quest’anno (per il terzo anno di seguito) invitava le istituzioni scolastiche a promuovere conferenze di storia tenute dall’Esercito. Tali iniziative hanno promosso un revisionismo storico, dalle celebrazioni della battaglia di El Alamein durante la Seconda Guerra Mondiale alla commemorazione di soldati caduti durante attacchi ai presidi militari in territorio straniero come quello di Nassiriya, in Iraq: in questi casi, il contesto storico e colonialista viene completamente eliminato in favore dell’esaltazione del singolo eroico combattente. E lo stesso Ufficio scolastico della provincia di Pisa non è da meno, visto che negli anni passati ha letteralmente accompagnato gli studenti delle elementari all’interno dell’aeroporto militare, in occasione del centenario dell’aeronautica. Questa dinamica di militarizzazione non risparmia l’Università. Gli atenei e gli enti di ricerca pubblici stringono sempre più accordi e convenzioni con l’industria bellica, destinando fondi e ricerche al settore militare, in particolare alle tecnologie dual-use che trovano applicazione diretta nei sistemi d’arma e di sorveglianza. È ormai chiaro come la strategia del Ministero della Difesa, sostenuta dai Governi di vario colore degli ultimi decenni, sia quella di penetrare a 360 gradi il mondo dei giovani per normalizzare la propria presenza, inculcare l’idea che gli eserciti e le guerre non solo siano necessari per una vaga idea di sicurezza nazionale, ma inevitabili data l’instabilità globale. Questa retorica è funzionale a far accettare l’enorme aumento di spesa militare previsto nei prossimi anni, che andrà a scapito proprio della qualità dell’ insegnamento scolastico e universitario e del diritto allo studio, oltre a compromettere l’ accesso ad altri diritti come cure mediche, casa e lavoro per la maggior parte della popolazione. Crediamo che, a partire dalle istituzioni scolastiche, universitarie e della ricerca, si debbano recuperare e promuovere i valori della pace, della solidarietà, della lotta alle disuguaglianze, dell’inclusione e della risoluzione nonviolenta dei conflitti. Si tratta di una responsabilità etica verso le nuove generazioni che non è solo della scuola, ma di tutta la società. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università di Pisa adesioni (in aggiornamento): ARCI Comitato di Pisa e Alta Val di Cecina Arciragazzi Pisa Assemblea Precaria Universitaria Pisa Cambiare Rotta Pisa Casa della Donna Pisa Chicco di Senape – Bottega del Mondo Cobas Scuola Pisa Comitato Toscano di Un Ponte Per Confederazione Unitaria di Base Pisa El Comedor Giordano Liva Emergency-Gruppo locale Pisa Federazione Lavoratori della Conoscenza Cgil Pisa Gilda Insegnanti di Pisa Giovan* Comunist* Pisa Gruppo territoriale di Pisa del Movimento di Cooperazione Educativa Movimento No Base Rete Solidale Pisana Al-Tadamun Pinkriot Arcigay Pisa Pisa per la Palestina Potere al Popolo Pisa Partito dei CARC Pisa Sindacato Sociale di Base Pisa Sinistra Italiana Pisa Sinistra Per Specializzandi per Gaza Studenti Per la Palestina Pisa Rifondazione Comunista Pisa Unione Sindacale di Base Scuola e Università Pisa Una città in comune Unione Giovani di Sinistra Pisa
4 novembre: musei gratis e militarizzazione delle scuole, la denuncia da Pisa
Mentre il MIM con un atto di censura senza precedenti vieta il convegno nazionale sul 4 novembre che l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università aveva organizzato insieme al CESTES (clicca qui), di fatto demolendo il diritto alla formazione del personale scolastico, leggiamo sul sito del Ministero della Cultura dell’apertura gratuita nella data in questione di diversi musei nella nostra città. L’evento viene presentato come  la “grande occasione per visitare gratuitamente il patrimonio dei musei statali” quali il Museo Nazionale di Palazzo Reale, Le navi antiche di Pisa e la Certosa Monumentale di Calci (clicca qui per la notizia). Con un incredibile gioco di prestigio il 4 novembre diventa così da una parte uno strumento potente e chiaro di repressione del dissenso e di restrizione degli spazi di libertà di pensiero e di formazione, dall’altro un mezzo di propaganda delle forze armate proprio sul terreno culturale. Da una lato, quindi, la mano dura contro chi da anni si oppone alla cultura della guerra e delle armi nelle scuole, dall’altro un messaggio di “generosità” elargita dall’alto in realtà funzionale alla celebrazione di una data che per noi è tutt’altro che una festa. La presunta “non conformità” del corso di formazione è in buona sostanza puramente strumentale poiché le ragioni reali di quanto successo risiedono nella necessità da parte del Governo di tacitare con tutti i mezzi le voci, fortunatamente sempre più numerose, che si oppongono alla militarizzazione di scuola e università.  Dal canto nostro rilanciamo pertanto le iniziative organizzate in città (clicca qui) e invitiamo docenti, famiglie, studenti e studentesse ad affiancarci in questa opera di resistenza quotidiana e a disertare tutte le iniziative connesse con la celebrazione della giornata del 4 novembre. Ricordiamo infine che il convegno dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, pur non essendo coperto dalla possibilità di usufruire dei permessi per la formazione, sarà ugualmente in piedi, perché noi il convegno lo facciamo lo stesso (clicca qui). Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Pisa
Morti due ragazzi nel porto di Livorno
E’ questo il trattamento che riserviamo agli esseri umani mentre le armi sono benvenute? Abbiamo appreso della morte di due ragazzi ieri mattina, nel porto di Livorno. Due giovanissimi lavoratori che, nella speranza di una vita migliore, si erano imbarcati su una nave ro-ro nascosti dentro un semirimorchio. Una volta […] L'articolo Morti due ragazzi nel porto di Livorno su Contropiano.
Il caso Publiacqua e la proposta Funaro: così si impedisce l’acqua davvero pubblica
Dalle dichiarazioni della sindaca di Firenze Sara Funaro emerge la proposta di far acquistare ad Alia-Plures le quote del socio privato di Publiacqua per una cifra stimata tra 100 e 150 milioni di euro. Un’idea che, dietro l’apparenza di una … Leggi tutto L'articolo Il caso Publiacqua e la proposta Funaro: così si impedisce l’acqua davvero pubblica sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.