Livorno, i ragazzi tunisini morti al porto sono vittime delle politiche di respingimento
Due giovani ancora senza nome sono morti nel porto industriale di Livorno. Era
il 30 ottobre, intorno alle 13:30, quando i loro corpi sono stati risucchiati
dalle eliche delle navi in manovra, nelle acque del canale tra la Darsena
Toscana e il varco Zara.
I due ragazzi erano stati trovati poco prima dalla Polizia Marittima sulla nave
Stena Shipper, battente bandiera danese, ma noleggiata dalla compagnia statale
tunisina CoTuNav, proveniente dal porto di Radès. Erano arrivati a Livorno
nascosti in uno dei container della nave.
Una volta scoperti, sarebbero stati reimbarcati sulla stessa nave e affidati
alla custodia del comandante, in attesa di essere rimpatriati. Una riconsegna
quindi “informale”, al di fuori di qualsiasi procedura operativa e prevista
dalle normative, senza alcuna identificazione.
Chiusi in una cabina a bordo, sarebbero riusciti a liberarsi e, nel tentativo
disperato di evitare il ritorno in Tunisia, si sarebbero gettati in mare.
Quel che è certo è che erano vivi, in Italia, quando la polizia di frontiera li
ha fatti scendere dal cargo e poi risalire, per essere riconsegnati al
comandante della nave. Nessun colloquio con un avvocato, nessun mediatore,
nessuna informativa sui loro diritti. Nessuna possibilità di chiedere asilo, o
anche solo di manifestare la volontà di farlo.
Le autorità parlano di una “procedura standard”, ma si tratta in realtà di un
respingimento informale, una pratica che da anni si consuma silenziosamente nei
porti italiani, probabilmente i più noti alle cronache sono quelli
dell’Adriatico. Un’inchiesta di Lighthouse Reports, pubblicata nel gennaio 2023
1, grazie al lavoro del Network Porti Adriatici aveva infatti documentato decine
di casi di rimpatri forzati – compresi minori non accompagnati – dai porti di
Venezia, Ancona, Bari e Brindisi verso la Grecia, in violazione del diritto
internazionale.
Anche a Livorno, il comportamento delle autorità sembra ricalcare lo stesso
schema: quando i due giovani hanno capito che sarebbero stati rispediti
indietro, hanno tentato di fuggire e si sono buttati in mare.
Appresa la notizia, i primi a chiedere di fare chiarezza sulla vicenda sono
stati i sindacati e le associazioni. «Troppe cose ancora non tornano – hanno
scritto Usb Livorno e la sezione locale di Asgi -: due ragazzi sono morti nel
tentativo di conquistare una vita migliore. Non sappiamo niente di loro perché
qualcuno ha deciso che non avevano diritto di parlare con un avvocato, un
mediatore o un’associazione. Dopo averli fatti sbarcare e tenuti ore al varco
portuale, li hanno rinchiusi in una cabina e, una volta tuffatisi in mare, sono
morti affogati».
Durante il partecipato presidio del 7 novembre al varco Zara, al quale ha preso
parte anche il Sindaco della città, il rappresentante di Usb Livorno ha chiesto
giustizia: «Vogliamo sapere chi ha deciso per il rimpatrio immediato, se c’è un
decreto di espulsione, se davvero hanno chiesto, come alcuni testimoni
affermano, di parlare con un avvocato. E perché, quando i loro corpi non erano
ancora stati trovati, è stato autorizzato il passaggio di un’altra nave nel
canale. Evidentemente, la vita di due persone vale meno dei traffici marittimi».
Anche la Cgil Toscana e la Cgil Livorno hanno definito l’episodio l’ennesimo
capitolo nero del fallimento delle politiche securitarie. «La criminalizzazione
e l’etichetta di clandestino hanno sostituito l’umanità e le buone pratiche di
accoglienza – si legge in una nota -. Occorre individuare le responsabilità di
chi ha portato due ragazzi a gettarsi in mare piuttosto che affidarsi alle
istituzioni».
Il deputato Marco Grimaldi di AVS è intervenuto in Parlamento: «Lo Stato ha
altri due morti sulla coscienza. Non gli è stato permesso di chiedere protezione
internazionale, di vedere un medico, un avvocato. La polizia li ha caricati su
una nave perché li riportasse in Tunisia. Si sono buttati in acqua e sono morti.
Perché non hanno ricevuto cure e accoglienza? Perché non hanno avuto la
possibilità di chiedere asilo?».
Nel frattempo, la procura di Livorno ha aperto un fascicolo per omicidio colposo
contro ignoti. Nessuno è al momento indagato. Il comandante della nave avrebbe
dichiarato di aver “controllato i due migranti ogni venti minuti”.
Asgi ha predisposto un esposto perché ci sia un’indagine accurata sulle
procedure utilizzate e si chiariscano le responsabilità.
Secondo i dati pubblicati da Il Tirreno, nel porto di Livorno si registrano in
media una ventina di respingimenti l’anno. Ma altre fonti parlano di più del
doppio.
Negli ultimi due anni – riferisce ancora il quotidiano – sono state rafforzate
le barriere fisiche a chiusura della banchina destinata alle navi provenienti
dal Nordafrica, per rendere più difficile l’accesso alle aree di sbarco.
Dall’inizio del 2024, circa sessanta navi arrivate da Tunisi e Radès, molte
delle quali appartenenti alla compagnia CoTuNav, hanno attraccato nello stesso
punto.
Il fenomeno strutturale dei respingimenti interessa sicuramente altri porti
tirrenici, ma al momento non si hanno dati ufficiali.
Di sicuro il caso di Livorno non è isolato, ma un ulteriore tassello della
pratica dei respingimenti informali che da anni si consuma nei porti italiani,
tanto sull’Adriatico quanto sul Tirreno. Una pratica illegittima, che viola la
Convenzione di Ginevra, l’articolo 10 della Costituzione e l’articolo 33 della
Convenzione europea dei diritti umani, perché impedisce a chi arriva di
esercitare il diritto di chiedere protezione internazionale.
Qualsiasi persona rintracciata in area portuale o prima dell’ingresso formale
nel territorio nazionale deve essere informata dalle autorità della possibilità
di presentare domanda d’asilo, ricevere assistenza legale e linguistica e non
può essere rimandata in un Paese dove potrebbe rischiare persecuzioni o
trattamenti inumani e degradanti.
La violazione è resa ancor più grave con due giovani che potevano essere ancora
minorenni. Nulla di tutto ciò è accaduto e due ragazzi sono morti perché un
sistema politico, culturale e amministrativo è strutturalmente razzista e
seleziona chi può restare e chi deve essere respinto in base alla provenienza
geografica, al colore e alla classe.
Chi parla di “incidente” o “fatalità” non vuole mettere in discussione questa
nuda verità: le morti sono l’effetto diretto di un clima politico che favorisce
delle scelte che riducono le persone a “irregolari” da espellere, senza alcuna
valutazione ulteriore, senza il rispetto dei loro diritti. Scelte che ancora una
volta hanno ucciso.
1. Respingimenti illegali dall’Italia alla Grecia: richiedenti asilo detenuti
in prigioni segrete, Meltingpot.org ↩︎