Cominciamo dall’ex-GKNPREPARARE E SPERIMENTARE PIANI DI RICONVERSIONE INDUSTRIALE DAL BASSO, PORTATI
AVANTI CON IL TERRITORIO E CON IL SUPPORTO DI ACCADEMICI E ORIENTATI CON I
PRINCIPI E LE PRATICHE DALLA CONVERSIONE ECOLOGICA, DOVREBBE ESSERE UNA PRIORITÀ
OVUNQUE. QUELLI CHE SONO IN ALTO, DALL’UE AL GOVERNO NAZIONALE, HANNO INVECE
ABBRACCIATO L’ECONOMIA DI GUERRA. INTANTO, IN TOSCANA C’È CHI LEGA LA LOTTA PER
LA CHIUSURA DELLE BASI MILITARI CON IL SOSTEGNO ALLE PROPOSTE DEI LAVORATORI E
DELLE LAVORATRICI DELL’EX-GKN PER LA PRODUZIONE DI PANNELLI SOLARI, LA
PROMOZIONE DI COMUNITÀ ENERGETICHE RINNOVABILI E LA COSTRUZIONE DI CARGO BIKE,
GRAZIE ANCHE A PROGETTI DI AZIONARIATO POPOLARE
Nessuna sostenibilità nell’economia di guerra
A fianco della GKN per un’economia di Pace e
la chiusura delle basi militari a partire da Camp Darby
Da diversi anni l’umanità è di fronte a una vera e propria sfida per la
sopravvivenza: la transizione ecologica. Con l’Agenda 2030 l’ONU ha impegnato
sin dal 2015 tutti i paesi del mondo a indirizzare i loro modelli economici e
sociali verso la sostenibilità, cioè a rendere le attività umane meno impattanti
sulla natura adottando l’economia circolare, riducendo l’impiego delle energie
fossili, tutelando la biodiversità, razionalizzando l’uso delle risorse. Da
molto meno tempo, però, gran parte dei paesi del mondo – purtroppo l’Unione
Europea in testa – hanno abbracciato l’economia di guerra, si stanno impegnando
cioè a reindirizzare i propri modelli economici e sociali verso un massiccio
riarmo e verso la preparazione dei conflitti armati.
Quello che non dicono è che questi due indirizzi non solo non sono compatibili,
ma sono opposti tra loro.
Nonostante questo l’Italia è uno dei paesi partecipa con maggior convinzione a
questa irresponsabile corsa al riarmo e alla guerra: se il ministro delle
imprese e del Made in Italy D’Urso ha prontamente proposto alle aziende della
filiera di “diversificare e riconvertire le proprie attività verso settori ad
alto potenziale di crescita come la difesa, l’aerospazio, la blue economy, la
cybersicurezza” quello all’Economia Giorgetti gli ha fatto eco ribadendo che “si
parla moltissimo della riconversione dell’automotive al sistema della difesa,
non si può ignorare che la spesa per la difesa e gli investimenti della difesa
hanno anche una ricaduta in termini di crescita economica”. In questo clima
guerrafondaio appare lontanissimo l’ottobre del 2022, quando il governo
finanziava con 750 milioni di euro, all’interno del fondo per l’automotive, il
sostegno e la promozione della transizione verde. Di tutti questi incentivi non
un solo euro è stato destinato alla riapertura della ex-GKN in crisi dal luglio
del 2021 ma, nel momento stesso in cui aprivano una vertenza contro i
licenziamenti illegittimi, i lavoratori e le lavoratrici della fabbrica si sono
mobilitati e hanno realizzato un piano di riconversione industriale dal basso
con il supporto di accademici e di una comunità larga che ha condiviso
conoscenze e necessità per immaginare un futuro diverso. Sostenibile, appunto,
orientato verso la riconversione ecologica.
Bisogna aggiungere che con la legge regionale sui Consorzi di sviluppo
industriale oggi abbiamo tutti gli strumenti per il recupero dello stabilimento
di Campi Bisenzio, ma affinché questo possa avvenire serve anche la volontà
politica di creare il consorzio, quella di attuare la legge senza snaturare il
progetto del collettivo di fabbrica e soprattutto servono i finanziamenti,
soprattutto pubblici, che completino quanto raccolto dalla campagna di
azionariato popolare. Ciò dovrebbe anzi avvenire all’interno di un coerente e
convinto intervento dello Stato mirato, ben oltre lo specifico caso della GKN, a
una riconversione industriale ecologica al livello nazionale. Al contrario lo
spettacolo cui siamo di fronte è quello di uno Stato che non trova altra via se
non quella di minacciare l’uso della forza per affrontare una questione
squisitamente sociale, cercando di risolvere i conflitti in maniera violenta
piuttosto che trovare mediazioni. È infatti proprio all’interno di un’ottica di
riarmo e di preparazione alla guerra, e in nome di una pretesa e improbabile
“difesa nazionale”, che si espropriano i terreni e si pensa a derogare a
qualsiasi vincolo di compatibilità ambientale per costruire strutture e
infrastrutture belliche.
Tutto questo significa che oggi in Toscana sostenere l’ex-GKN significa anche
sostenere un modello di sviluppo rispettoso dell’ambiente, praticato dal basso,
seguendo le necessità della comunità e del territorio e in maniera socialmente
accettabile. Scegliendo con determinazione un’economia di pace e di
sostenibilità. È una scelta che si contrappone automaticamente a chi vuole
investire nell’economia di guerra, a chi vuole cioè rafforzare l’hub
logistico-militare toscano nel quale vengono gettati decine di milioni di euro
per potenziare il trasporto di armi dagli Stati Uniti verso il Medio Oriente
mentre si blatera di una fantomatica prontezza per la guerra globale e delle
minacce dello “straniero”.
Noi ribadiamo invece con forza che la vera, grande emergenza da affrontare è
quella della crisi climatica. Riaprire la fabbrica e chiudere le basi militari
sono le due facce della stessa medaglia, due azioni finalizzate a uscire dalla
crisi climatica e sociale che oggi attanaglia sia il nostro paese sia l’intero
pianeta e mette a repentaglio il futuro dell’umanità. Azioni che si pongono
l’ambizioso ma indispensabile obiettivo di andare in controtendenza, oltre
tutto, rispetto a indicazioni dell’Unione Europea sulla necessità di preservare
e recuperare il patrimonio naturale che divengono sempre più timide e deboli
sotto gli attacchi dei governi nazionale e dalle lobby delle multinazionali.
Azioni che si pongono l’obiettivo di contrastare la linea prevalente di
investire risorse aumentando il debito pubblico in deroga a ogni vincolo di
bilancio, per seguire il piano di riarmo europeo che si accompagna
all’irresponsabile richiesta della Nato di aumentare le spese militari ad almeno
il 5% del Prodotto interno lordo. Tutto questo finisce col disegnare uno
scenario in cui l’economia civile scompare dall’orizzonte della discussione, si
delinea una vera macelleria sociale a causa dei tagli draconiani alle altre voci
di bilancio, la transizione ecologica viene rimessa nel cassetto e l’idea di
elaborare un piano industriale nazionale che migliori le condizioni di vita
delle persone senza esacerbare le devastanti alterazioni dell’ambiente prodotte
dal nostro modello di consumo non è presa neppure in considerazione.
È urgente insomma invertire questa rotta incentivando le aziende a convertirsi
in aziende di pace. La proposta dei lavoratori e delle lavoratrici dell’ex-GKN
va precisamente in questa direzione ponendosi l’obiettivo di ricollocare la
fabbrica nel settore della transizione energetica da una parte con la produzione
di pannelli solari e quindi la promozione di CER (comunità energetiche
rinnovabili) e dall’altra realizzando cargo bike per un approccio diverso alla
mobilità nelle nostre città paralizzate e soffocate dalle automobili. Una
proposta di pace, una proposta di riconversione ecologica ma che ha al tempo
stesso il merito di essere una proposta infinitamente più razionale dal punto di
vista economico rispetto a quelle dell’economia di guerra: secondo un report di
Greenpeace, un miliardo di euro investito nel militare crea 3.000 posti di
lavoro rispetto ai 14.000 crati da investimenti in educazione, ai 12.000
investiti in sanità e ai 10.000 nella tutela ambientale. E se le armi creano
solo morte, l’educazione, la sanità e l’ambiente creano anzitutto vita.
Tutto questo conferma che le scelte disarmanti sono le sole morali e razionali e
che è necessario sostenere al tempo stesso l’ex-GKN e chiudere Camp Darby,
polveriera degli Stati Uniti in Europa e simbolo di un’occupazione militare che
minacciala pace mondiale difendendo gli interessi economici dell’élite
finanziaria globale.
È ora di scegliere l’interesse delle persone.
Per questo l’11 e il 12 luglio saremo a fianco del Collettivo di Fabbrica per il
concerto anniversario Resistere e Ri-Esistere e alla terza assemblea
dell’Azionariato Popolare e la settimana successiva insieme alla rete Stop Rearm
Europ presidieremo Camp Darby per chiederne l’immediata riconversione a uso
civile.
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Una città in comune è una rete di cittadini e cittadine nata a Pisa intorno ai
temi della giustizia sociale, dell’ambiente e della pace
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