Da Gaza a Torino. La poesia si fa medium di vissuti contro l’indifferenza

Pressenza - Monday, July 7, 2025

La serata del 28 giugno, alla Fondazione Amendola di Torino dalle 17,30 alle 22,00,  c’erano tanti poeti, tutti  accomunati dal desiderio di non lasciare l’orrore nell’ oblio. L’iniziativa “Azione Mondiale di poesia per Gaza”, promossa nell’ambito del World Poetry Movement è stata curata  da Immacolata Schiena con la partecipazione di diversi gruppi culturali torinesi e di  Yousef Salman, delegato della Mezza Luna Rossa Palestinese, che ha portato la testimonianza diretta della popolazione civile di Gaza.

Tra  i tanti interventi, quello di  Anna Rabufo, insegnante torinese , da due anni comunica con Arwa, ventinovenne di Gaza. Anna e Arwa  si conoscono per lavoro prima del 7 ottobre 2023 e poi continuano a scriversi e consolidano un’amicizia che diventa un ponte tra il nostro mondo e quello  stravolto dalla guerra. Un legame che parla di paura, rabbia, dolore ma anche di un estremo desiderio di normalità.  Le parole di Arwa diventano fonte di ispirazione per Gabriella Mancini, collega di Anna Rabufo e poetessa, che si fa tramite di quel  vissuto  e lo porta sul palco condividendolo con i presenti. In un rarissimo istante di accesso alla rete wi-fi, Arwa  riesce a essere ‘virtualmente’ a Torino e ad ascoltare pezzi di lei attraverso i versi di: ‘ Andarsene’.

 

POESIA: 

Andarsene

È uno strappo nel corpo.

Una lacerazione profonda.

Quel che nasce non è un figlio.

Non è la vita.

È un urlo atavico.

Un grido muto

È morire mentre ancora si respira.

Sopra di me il cielo ringhia,

sputa bava funesta,

falcia via anche la paura.

Si,la paura. Quella che ti mangia le budella.

Quella che ti anestetizza dalla fame e dalla sete.

Quella che ti abita addosso. Ogni secondo di paura è un secondo di vita in più.

Di polvere sono cosparsa,ne sono pieni i miei vestiti, la mia lingua,i miei occhi.

I giorni sono secoli . Scorrono senza scorrere.

Sopravvivo, non vivo.

Mi giro e guardo Rafah,la mia città.

La guardo implodere tra colonne di fumo. Con lei mi implode il cuore, mi implodono i pensieri, implode tutta me .

Assediata,occupata,invasa,mangiata, svuotata e vomitata.

Così mi sento mentre una sola frase mi tuona e mi perfora da giorni le tempie.

Cosa mi porto via?

Le scarpe,il peluche al bordo del letto, i vestiti, una scatola di fagioli,il riso, il sapone…cosa prendo?

I muri della mia casa sono  pezzi di storia.

Di risate,pianti, odori e sguardi ne sono ricolme le crepe. Si può forse portar via tutto questo?

No. Una cosa però la afferro e la incollo al sudore della pelle. La foto di mio padre. Quella neanche la morte me la  strapperà via. Restano le domande come scariche di fuoco.

Dove vado? Chi sono?

Cosa sono?

Onestamente…

Ho dimenticato che volto abbia una giornata normale.

Ho dimenticato cosa significhi sentirsi al sicuro.

Ho dimenticato la sensazione di una pancia piena.

Ho dimenticato le forme sane del mio corpo.

Ho dimenticato il profumo della frutta,della carne, del pane appena sfornato.

Ho dimenticato la bellezza della quotidianità.

Di una passeggiata con le amiche, sotto il sole, con il vento che accarezza il volto  e la  passione negli occhi.

Passione per un amore, per un progetto, per un sogno da realizzare. Passioni …da  rincorrere e poi afferrare.

Ho imparato ad avere il vuoto negli occhi, nella pancia, nella mente, nel cuore.

Ho imparato che la malattia può essere di tutti e per tutti i giorni dell’ anno.

Ho imparato a non affezionarmi più a nulla.

Perché il nulla è quello che mi resta.

Sto mentendo, qualcosa ancora si muove in me.

Mi sfarfalla  dentro come un feto ai primi mesi.

È un ultimo grammo di speranza.

Quello che mi fa urlare ciò che non voglio scordare. Quello che non voglio che gli altri scordino:

Arwa. Il mio nome.

 

Gabriella Mancini

Redazione Torino