Stefano Benni, o del resistere sorridendo
Un ricordo dello scrittore bolognese, capace di unire satira e poesia, che
ritroveremo presto insieme in libreria.
Ci siamo incontrati più di cinquant’anni fa, sulle pagine de Il Mago , la
rivista di fumetti diretta da Fruttero & Lucentini, per anni l’unica alternativa
alla più celebre e celebrata Linus . Lettore non ancora ventenne, scoprii e amai
subito il giovane scrittore bolognese che pubblicava, quasi nascosti tra le
strisce di Mafalda e quelle di BC e Mago Wiz, quelli che qualche mese dopo
sarebbero diventati gli esilaranti capitoli di Bar Sport . Fu amore a prima
vista, mai tradito, anche se poi da libraio non sono riuscito ad avere con noi
alla libreria IoCiSto: ma questa è un’altra storia, legata a logiche editoriali
e commerciali estranee all’autore.
Un amore senza incontri, senza lettere né selfie. Per noi, la generazione nata e
cresciuta in un’Italia che cercava ancora di fare i conti con le macerie morali
e materiali della guerra, passata velocemente tra le illusorie speranze del boom
economico degli anni ’60 e già proiettata nell’orrore degli anni di piombo,
quella di Benni è stata la voce che sapeva mischiare la satira politica con la
poesia, la risata con la malinconia, la denuncia con il sorriso.
Nel tempo dell’informazione gridata e della cultura omologata, Stefano Benni ha
rappresentato una rara forma di resistenza letteraria. Una voce che, senza mai
salire in cattedra, ha insegnato a pensare con leggerezza e a ridere con
profondità. Era capace di smontare i potenti e la loro impunita tracotanza con
una battuta e di dare dignità letteraria e morale agli ultimi attraverso storie
surreali eppure verissime.
Con i suoi personaggi strampalati, baristi filosofici, gatti anarchici, uomini e
donne al limite dell’assurdo fisico e psicologico, parlava in realtà di noi,
della nostra società, delle nostre paure e delle nostre speranze. In quegli anni
bui molti ragazzi seguirono più o meno consci maestri più o meno cattivi, ma
tanti si avvicinarono alla letteratura e alla coscienza civile attraverso le
porte dei suoi libri. Nei suoi bar sport, nei suoi paesi impossibili, nei suoi
bambini visionari, c’era un intero Paese raccontato meglio che in mille
editoriali; la sua ironia leggera ma tagliente aveva reso accessibile la
letteratura a chi diffidava dei “grandi autori” e cercava una voce vicina,
popolare ma non banale.
Benni ci insegnò a ridere delle nostre fragilità ea non piegarci davanti
all’omologazione culturale che, negli anni del boom economico, rischiava di
trasformarci in semplici consumatori. Per oltre cinquant’anni è stato per chi lo
ha amato molto più che un autore: era un compagno di viaggio. Nei suoi testi
regalava la libertà di immaginare un mondo diverso, di credere che l’ironia
fosse una forma di resistenza e che la fantasia potesse diventare strumento
politico. Non era evasione: era un modo per sopravvivere e, soprattutto, per non
smettere di sperare. E quanto ne abbiamo, e ne avremo, bisogno in questo scorcio
abominevole di guerra e distruzione!
Per un libraio gli scrittori sono un po’ famiglia, con tutti i pregi ei difetti,
le intemperanze e le assenze dei parenti più o meno stretti. Stefano mi
mancherà, ma non tanto: mentre sistemo le sue opere sullo scaffale, così che
ogni copia diventa una piccola eredità lasciata a vecchi e nuovi lettori, la
possibilità di ridere, di indignarsi e di immaginare un futuro migliore.
E mi piacerebbe incontrarli, nuovi e vecchi lettori, come sarebbe piaciuto a
lui, non per una commemorazione ma per avere la conferma, mentre leggeremo le
sue pagine, in ogni sguardo complice, in ogni sorriso, di quello che penso
riponendo Bar Sport : “Tranquillo Stefano, non ti dimentichiamo, sei più eterno
della Luisona.”
E infatti, tra poche settimane ci ritroveremo in libreria per ricordarlo
insieme, leggendo ancora le sue parole e sorridendo della sua ironia. Perché
Benni non si celebra: si legge, si condivide, si vive.
Alberto Della Sala, bibliotecario e direttore di IoCiSto
Redazione Napoli