
Requiem prima della morte
Comune-info - Saturday, June 7, 2025Mentre decide che il dissenso è un reato, boicotta la partecipazione al referendum dell’8 e 9 giugno e aumenta le spese per le armi, con il nuovo piano strategico sulle aree interne, il governo ha anche emesso un’importante sentenza: per molti paesi del Meridione non c’è ritorno, lo spopolamento è irreversibile, al massimo si può proporre un dignitoso declino. Scrive Vito Teti: “Chi decide e comanda non sa cosa è un paese, come vive e resiste, non sa chi sono i giovani che vanno via e non tornano o sognano di tornare, non vede la fatica, la resistenza, le iniziative, le pratiche attive di giovani, associazioni, famiglie, gruppi. Non si vogliono immaginare altri percorsi, cammini alternativi, nuovi slanci di vitalità. Hanno già deciso. Tutto è perduto. Per loro… Vogliono seppellirci vivi, trasformare paesi e città in necropoli, in fosse comuni, in città morte dove, magari, fare arrivare nuovi turisti, che grideranno al bello e all’esotico… Ma mai nessun popolo si è fatto sterminare senza opporsi. Se non ora, pacificamente, ma in maniera rivoluzionaria, con piani antagonisti, con fantasia, con passione e immaginazione pratica, attiva, collettiva, quando?”

Corrado Alvaro aveva raccontato i paesi che si dissolvono come polvere al sole. Marando, con cinismo, quando, dopo le grandi alluvioni degli anni Cinquanta, fuggivano via, diceva: in buona sostanza che volete? Tutti i paesi nascono e, prima o poi, muoiono. Franco Costabile aveva fatto un dolente planctus di paesi che dicevano addio alla geografia dei luoghi. I pochi che, dagli anni Settanta, abbiamo scritto che, con le nuove fughe di intere generazioni, con le nascite vicine allo zero, interi luoghi si sarebbero desertificati, venivamo indicati come apocalittici, nostalgici, passatisti, antimoderni. Adesso siamo a quelle infinite cronache di morte annunziate. Nel silenzio, nell’indifferenza generalizzata, anche degli intellettuali che vivono o tornano nei paesi.
Mariano Meligrana, negli anni settanta del Novecento, aveva parlato di organizzazione della dimenticanza, adesso siamo all’organizzazione dei funerali dei paesi. Amici e compagni dell’associazione I 1000 Papaveri Rossi di Bocchigliero (Cosenza) hanno, non a caso, rappresentato il funerale carnevalesco con la morte dei paesi. Per contrastarla. Non si contano le iniziative sui paesi, sulla loro rigenerazione, proprio mentre muoiono.
Per ogni individuo, ammalato, agonizzante, avevamo affermato il diritto alla cura. Per i paesi no. Mille piani e progetti vengono proposti o finanziati per ripopolare i paesi ma intanto non ci sono abitanti. Abbiamo gli esteti delle rovine, le prediche prezzolate che girano per assicurarci che il futuro è dei paesi, ma debbono fare il loro spettacolo funebre nei grandi teatri, nelle città del Nord, non nelle piazze vuote dei paesi ormai abitati da cinghiali e avvolti da rovi e spine. Non seminano fiducia, non alimentano speranze, non dicono come contrastare la cultura dominante necrofila. Vogliono anestetizzarci, farci pagare il biglietto per lo spettacolo neoliberista, abituarci alla dolce morte, raccontare l’ultima menzogna, l’ultima favola prima di farci assistere alla morte di una grande civiltà millenaria, che verrà raccontata da IA a milioni di nuovi schiavi che, quando sopravviveranno, saranno delle larve, degli zombie, dei morti viventi.
Chi decide e comanda non sa cosa è un paese, come vive e resiste, non sa chi sono i giovani che vanno via e non tornano o sognano di tornare, non vede la fatica, la resistenza, le iniziative, le pratiche attive di giovani, associazioni, famiglie, gruppi. Non si vogliono immaginare altri percorsi, cammini alternativi, nuovi slanci di vitalità. Hanno già deciso. Tutto è perduto. Per loro. Non c’è più niente da fare. Non si vogliono politiche di rigenerazione, magari a rendita zero per “lor signori”, che prosperano sulle disgrazie della povera gente. Non ascoltano e non vedono ragazze, artisti, scrittori, studiosi, piccoli imprenditori, ambientalisti, portatori di nuovi mestieri e di nuovi saperi per capire se un altro mondo sarebbe possibile. Per tentare di dare dignità di protagonista del proprio destino a chi resta, a chi parte, a chi vuole tornare, a chi coltiva con nuovi sementi e nuove concrete utopie.
Hanno stampato i manifesti a lutto prima della morte dei paesi, di tentare nuove ed efficaci cure, di alimentare speranze di vita. Vogliono seppellirci vivi, trasformare paesi e città in necropoli, in fosse comuni, in città morte dove, magari, fare arrivare nuovi turisti, che grideranno al bello, all’esotico, e piangeranno sulle rovine di un mondo che non hanno mai conosciuto.
Mi perdonerete se adopero una immagine forte soltanto per dare il senso di una fine collettiva. Quanto avviene a Gaza è terribile, indicibile, un etnocidio impietoso. Nei paesi del Sud e delle aree interne e urbane non solo del Sud, l’etnocidio, l’annullamento dei luoghi, il bombardamento delle case sono avvenuti lentamente nei decenni, con furbizia, ipocrisia, lamentele sterili, pianti ipocriti. Non ci hanno fatto nemmeno capire da chi bisognava difendersi, abbiamo denunciato, atteso, sperato.
Ci siamo illusi, abbiamo immaginato soluzioni fantasiose, abbiamo ascoltato imbonitori di ogni risma e appartenenza. Il risultato, il conto, di tanta nostra stupidità ce lo porta Fitto, mandato a Bruxelles per fare rinascere il Sud. Non ho ricette, non ho odio, non ho più lacrime, eppure devo dire che mai nessun popolo si è fatto sterminare senza opporsi, senza difendersi, senza resistere. Se non ora, pacificamente, ma in maniera rivoluzionaria, con piani antagonisti, con fantasia, con passione e immaginazione pratica, attiva, collettiva, quando?
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