Accompagnamento al declino
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Foto di Ambra Pastore
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L’invecchiamento dell’Italia non è dovuto solo al calo demografico. Quest’ultimo
dipende, unicamente, da scelte sbagliate fatte in passato, e che provocano la
stasi attuale. Il primo implica l’involuzione culturale conseguente a indirizzi
specifici di mala gestione politica. In questi giorni se ne è tornato a parlare
perché è emerso, nonostante la scarsa informazione dei media mainstream, il
programma previsto dal Piano Nazionale Strategico relativo alle Aree Interne.
Oggi sopravviviamo sulle macerie. Trent’anni di politiche neoliberiste hanno
ridotto i Paesi in stato vegetativo. Da noi, in particolare, le scelte operate
dalla classe dirigente sono state funzionali a quella che allora veniva chiamata
globalizzazione economica. Sul mercato hanno messo di tutto pur di fare cassa e
accompagnare il passaggio d’epoca. Il che si è tradotto nell’impoverimento
sociale e culturale dei territori. Il venir meno della gestione collettiva –
pubblica e/o dal basso – di settori, beni e funzioni indispensabili alla vita
associata, e il loro affidamento a soggetti privati nazionali ed esteri (le
privatizzazioni, i monopoli) hanno determinato il declino sociale del paese. A
subirne maggiormente le conseguenze sono le zone definite “più arretrate” (non
per colpa loro ma per processi storico-politici e condizioni geografiche).
Queste, già pagavano la mancanza di possibilità adeguate dovute alle condizioni
ereditate, ed alla carenza infrastrutturale e di servizi inefficienti.
Globalizzazione, taglio della spesa pubblica, vincoli fiscali austeritari, un
continuum devastante, che ha impattato sul mondo del lavoro, rendendolo povero e
insicuro. Sulle attività produttive sottomesse alla sleale concorrenza dei
grandi distributori. Ripercussioni riguardanti la biodiversità e i servizi ai
cittadini con l’accorpamento di scuole, il ridimensionamento di uffici, la
sparizione di sportelli bancari e postali. E il complesso del trasporto pubblico
inidoneo. Sono le aree interne (paesi collinari, di montagna, rurali) le vittime
preferite. A pagare il prezzo di decisioni fatte da privilegiati che vivono
altrove. E che tutt’al più vanno in questi posti per presenziare a celebrazioni
fini a se stesse, o per riposarsi qualche giorno nel silenzio di luoghi con
ritmi di vita ancora parzialmente autonomi.
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LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI VITO TETI:
> Requiem prima della morte
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Da decenni sentiamo parlare di desertificazione sociale, migrazione economica,
eppure nulla è stato fatto per invertire la rotta. Quando le persone abbandonano
i comuni in cui sono nati, svuotano gli stessi di competenze, saperi,
interrompendo il futuro. Venendo meno il presidio fisico manca anche la
salvaguardia degli stessi (il patrimonio boschivo e idrico ad esempio). Pensiamo
all’assetto idreologico, alla manutenzione, alla tutela e preservazione,
soprattutto in presenza di fenomeni climatici estremi e sempre più diffusi. In
tanti, così, decidono malvolentieri di spostarsi altrove. Presso città e
metropoli in cerca di opportunità che da loro latitano. Andando,
inevitabilmente, a ingrassare la massa di quell’esercito di riserva italiano e
straniero che, anche se riuscirà a trovare un salario, spesso non sarà
sufficiente a garantire una vita dignitosa. In considerazione del caro affitti e
della gentrificazione degli spazi.
La classe politica, nazionale e locale, dopo aver svenduto l’impossibile adesso
punta sul turismo per la ripresa. Bisognerebbe chiedersi per chi? A quanti giova
davvero l’economia basata sul turismo modaiolo e invasivo? Le città d’arte per
vacanzieri mordi e fuggi, dagli affitti brevi, sono diventati posti
standardizzati, tutte uguali, spesso in mano a brand esteri, che lavorano
estraendo valore che non viene distribuito sui territori. Albergatori, case
vacanze, ristoratori, sagre, mentre i cittadini reclamano il necessario che non
c’è. Dopo aver vissuto una vita intera a Venezia, Firenze, Roma ecc. sono
costretti ad abbandonare, tristemente, tali posti perché stressati dal ritmo
vacanziero quotidiano imposto da amministratori e gestori di locali. Il grosso
del meridione, arretrato da un punto di vista di infrastrutture, con il suo
sistema di viabilità e i collegamenti, i carenti servizi dedicati all’infanzia,
ai giovani, e agli anziani, il lavoro non previsto per chi non ha amicizie
politiche, si è ridotto, esclusivamente, ad attrarre i vacanzieri stranieri o
benestanti. Mentre il resto dell’anno sopravvive a fatica. L’esempio eclatante
può essere la città di Matera. Passata dal dimenticatoio ad essere Capitale
europea della cultura. Ciò ha portato un tornaconto di visibilità ed economico
rilevante. Eventi e iniziative come mai prima di allora, però, al di fuori della
passeggiata da ospiti rimangono differenze preoccupanti. Gli affitti sono
balzati alle stelle per i residenti, la sanità è in condizione pietose (molti
vanno a visitarsi fuori regione), il trasporto pubblico dentro e per Matera è
quasi completamente assente.
All’interno della visione miope degli amministratori locali, con l’unico scopo
di andare all’incasso di finanziamenti pubblici-comunitari-del PNRR, mentre la
crisi sociale aumenta, prende forza l’intento dei governi nazionali, che da
Renzi all’Autonomia Differenziata hanno contribuito ad aumentare il divario.
Quindici anni fa leggevamo di come il Sud vedeva sparire in media un comune di
circa duemila abitanti ogni anno. Lo SVIMEZ parlava di un Paese diseguale e a
due velocità. L’Italia aveva più di sessanta milioni nel 2014 e nel 2024 siamo
scesi sotto i cinquantanove; nel meridione in vent’anni se ne sono andate più di
un milione di persone; la piccola Basilicata ha perso quasi il dieci per cento
(cinquantamila abitanti in dieci anni); la Calabria circa centocinquantamila.
Adesso arriva il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne. Dovrebbe
contenere un progetto di ripresa, invece la “strategia” consiste
nell’accompagnamento al declino. Il governo di estrema destra che parla di
sovranismo, ma fa il gioco delle élite. Disinteressandosi della sorte di
quattromila comuni – circa la metà del totale italiano – e tredici milioni di
persone. Tutto il contrario di quanto fanno gli altri, come la Francia o i Paesi
del Nord Europa, che investono sulle aree rurali per offrire alternative
sostenibili di vita e opportunità alle giovani generazioni, senza dimenticare il
welfare. Nel documento pubblico tenuto nascosto ai media viene detto,
chiaramente, che il declino delle aree interne è inarrestabile. Quindi nessun
investimento per offrire opportunità lavorative, sociali, e prestazioni al
cittadino. Violando esplicitamente principi, come la solidarietà sociale (art. 2
Cost.) e l’eguaglianza formale e sostanziale (art. 3), che garantiscono la
coesione attraverso la cooperazione, rimuovendo le differenze. Per i
fratellitalioti, sorelle e affiliati, l’ordinaria amministrazione consisterà in
quel residuo di funzioni a disposizione di quanti potranno ancora permetterselo
(l’assistenza considerata l’avanzata età anagrafica). Le ultime generazioni con
un reddito sufficiente (le pensioni) a garantirsi un minimo vitale. I posti in
montagna, i piccoli borghi, diventeranno come cattedrali nel deserto. Paesi
fantasma da appaltare per set cinematografici e fiction. E di cui leggere sui
libri di storia, al fine di conservare (e possibilmente tramandare) quella
memoria mancante a chi decide.
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