“Cantare amantis est”

Pressenza - Wednesday, June 4, 2025

È stata Ravenna, quest’anno, a ospitare il Viaggio dell’Amicizia, nel cuore pulsante del Ravenna Festival 2025. E proprio qui, l’1 e 2 giugno, migliaia di voci provenienti da ogni angolo d’Italia si sono intrecciate sotto la guida magistrale di Riccardo Muti, nel segno alto e solenne di Giuseppe Verdi.

La città bizantina ha accolto la prima edizione di Italia in coro, un progetto corale di straordinaria portata, che ha visto riunirsi oltre tremila cantori, professionisti e appassionati, per un’esperienza musicale e civile senza precedenti.

Nel giorno della Festa della Repubblica, la voce collettiva dell’Inno di Mameli ha chiuso un evento che non è stato solo artistico, ma profondamente simbolico: un’alleanza tra generazioni, territori, accenti e storie.

Un gesto corale di unità, di pace, di bellezza condivisa.

Cantare è proprio di chi ama, scriveva Agostino. E non si ama mai senza tremare un poco. A Ravenna, in questi giorni, tremavano le voci, i respiri, perfino le mani. Tremavano le attese. Non per timore, ma per commozione, per l’infinita gioia.

Perché qui, in questa città che da secoli custodisce il silenzio dei mosaici e l’eco dei cori bizantini, è accaduto qualcosa che ha il passo di una rivelazione. Più di tremila coristi, provenienti da ogni parte d’Italia, si sono dati appuntamento per cantare insieme sotto la guida di Riccardo Muti.

Non una performance, ma un rito laico e collettivo. Un’esplorazione profonda del senso del canto come atto d’amore, come forma di appartenenza, come dichiarazione dell’essere nel mondo. Nessuno era lì per se stesso soltanto. Si cantava per stare. Per restare. Per dire: ci sono.

In fondo, in ogni nota che si alzava dal Pala De André, c’era una memoria. C’era il suono del tempo che passa e che restituisce. C’erano le storie, intrecciate come voci in polifonia. E c’ero io.

Con la mia voce, semplice e imperfetta, parte del coro della Libreria IoCiSto, diretto da Francesca Curti Giardina, che ha saputo guidarci con passione e dedizione.

Una voce tra tante, eppure necessaria. Perché ogni voce ha il suo posto, e solo insieme si crea l’armonia.

Ma Riccardo Muti non ha diretto solo la musica. Ha diretto l’ascolto. Il rispetto. La postura della voce che diventa comunità. Ha guidato il coro tra le pieghe di Verdi, “Patria oppressa”, “Gerusalemme!”, “Va’ pensiero”, come se fossero vie segrete per raggiungere qualcosa di più alto del semplice suono. Il senso di una lingua comune. Un paese invisibile fatto di note, in cui sentirsi parte, finalmente.

E nel giorno in cui si festeggia la Repubblica, ha voluto che intonassimo tutti insieme l’Inno di Mameli.

È stato un momento solenne, profondo, quasi una preghiera civile.

Il maestro, con passione rara, ha più volte ricordato quanto sia fondamentale difendere la cultura italiana, musicale, letteraria, artistica, come patrimonio ineguagliabile. Ha parlato dell’Italia come di una terra unica, forgiata dalla bellezza e dall’intelligenza, ma troppo spesso dimentica di sé stessa. Le sue parole hanno acceso i pensieri. Il suo gesto ha acceso i cuori.

È stato un atto di bellezza concreta, viva.

Lì dove i sogni sembrano appartenere alla giovinezza, Ravenna li ha restituiti maturi, più densi. Ha accolto chi il sogno l’aveva solo pronunciato a bassa voce. Ha dato spazio a chi lo aveva sepolto sotto le giornate, i doveri, le paure. E lo ha fatto senza enfasi, con la naturalezza dei luoghi che sanno custodire.

Essere lì, fra tremila voci che si sollevano insieme, non è stato un evento. È stato un tempo fuori dal tempo. È stato il cuore che canta, come quando ama davvero.

Sì, cantare è proprio di chi ama, come diceva Sant’Agostino.

E lì, per la prima volta, l’ho capito davvero.

Io ho amato.

Ho amato l’idea di poter esserci.

Ho amato la meraviglia di non sentirmi sola, ma parte.

Ho amato l’Italia, la musica, i volti intorno a me.

Ho amato persino il mio stupore.

E ho pensato che non bisogna per forza sapere fare le cose per poterle vivere. A volte basta lasciarsi chiamare.

Mi sono sentita viva.

Anzi, rinata.

Come se un frammento dimenticato di me avesse trovato finalmente la sua forma, il suo nome.

Conosco il suono della bellezza da spettatrice.

Lo riconosco nei libri, nella danza, nelle parole ben scritte.

Ma qui, a Ravenna, non ho guardato la bellezza, ci sono entrata.

Sono stata parte di un’onda, un respiro, un’unione che aveva qualcosa di sacro.

C’è stato un momento, preciso, in cui ho pensato:

“È come se stessi giocando con Maradona, senza aver mai giocato a calcio.”

È stato così, una possibilità che la vita ti regala senza preavviso. E che per questo ti commuove fino alle lacrime.

Mi porterò dentro ogni nota, ogni pausa, ogni vibrazione condivisa.

Ma più di tutto, porterò la certezza che ci sono momenti in cui ciò che credevi impossibile diventa vero.

E quando accade, non sei più la stessa.

Perché l’amore, quello vero, l’amore per la bellezza, per l’armonia, per la vita, muove davvero il sole, e le altre stelle.

In un mondo che alza muri e confini, un grande coro può ancora insegnarci che l’unione non è un’utopia, ma un’armonia possibile. 

Ed è lì che, anche solo per un istante, ho sentito cos’è davvero la pace: non l’assenza di conflitto, ma la presenza vibrante dell’altro dentro di me.

 

Federica Flocco

Olivier Turquet