“Cantare amantis est”
È stata Ravenna, quest’anno, a ospitare il Viaggio dell’Amicizia, nel cuore
pulsante del Ravenna Festival 2025. E proprio qui, l’1 e 2 giugno, migliaia di
voci provenienti da ogni angolo d’Italia si sono intrecciate sotto la guida
magistrale di Riccardo Muti, nel segno alto e solenne di Giuseppe Verdi.
La città bizantina ha accolto la prima edizione di Italia in coro, un progetto
corale di straordinaria portata, che ha visto riunirsi oltre tremila cantori,
professionisti e appassionati, per un’esperienza musicale e civile senza
precedenti.
Nel giorno della Festa della Repubblica, la voce collettiva dell’Inno di Mameli
ha chiuso un evento che non è stato solo artistico, ma profondamente simbolico:
un’alleanza tra generazioni, territori, accenti e storie.
Un gesto corale di unità, di pace, di bellezza condivisa.
Cantare è proprio di chi ama, scriveva Agostino. E non si ama mai senza tremare
un poco. A Ravenna, in questi giorni, tremavano le voci, i respiri, perfino le
mani. Tremavano le attese. Non per timore, ma per commozione, per l’infinita
gioia.
Perché qui, in questa città che da secoli custodisce il silenzio dei mosaici e
l’eco dei cori bizantini, è accaduto qualcosa che ha il passo di una
rivelazione. Più di tremila coristi, provenienti da ogni parte d’Italia, si sono
dati appuntamento per cantare insieme sotto la guida di Riccardo Muti.
Non una performance, ma un rito laico e collettivo. Un’esplorazione profonda del
senso del canto come atto d’amore, come forma di appartenenza, come
dichiarazione dell’essere nel mondo. Nessuno era lì per se stesso soltanto. Si
cantava per stare. Per restare. Per dire: ci sono.
In fondo, in ogni nota che si alzava dal Pala De André, c’era una memoria. C’era
il suono del tempo che passa e che restituisce. C’erano le storie, intrecciate
come voci in polifonia. E c’ero io.
Con la mia voce, semplice e imperfetta, parte del coro della Libreria IoCiSto,
diretto da Francesca Curti Giardina, che ha saputo guidarci con passione e
dedizione.
Una voce tra tante, eppure necessaria. Perché ogni voce ha il suo posto, e solo
insieme si crea l’armonia.
Ma Riccardo Muti non ha diretto solo la musica. Ha diretto l’ascolto. Il
rispetto. La postura della voce che diventa comunità. Ha guidato il coro tra le
pieghe di Verdi, “Patria oppressa”, “Gerusalemme!”, “Va’ pensiero”, come se
fossero vie segrete per raggiungere qualcosa di più alto del semplice suono. Il
senso di una lingua comune. Un paese invisibile fatto di note, in cui sentirsi
parte, finalmente.
E nel giorno in cui si festeggia la Repubblica, ha voluto che intonassimo tutti
insieme l’Inno di Mameli.
È stato un momento solenne, profondo, quasi una preghiera civile.
Il maestro, con passione rara, ha più volte ricordato quanto sia fondamentale
difendere la cultura italiana, musicale, letteraria, artistica, come patrimonio
ineguagliabile. Ha parlato dell’Italia come di una terra unica, forgiata dalla
bellezza e dall’intelligenza, ma troppo spesso dimentica di sé stessa. Le sue
parole hanno acceso i pensieri. Il suo gesto ha acceso i cuori.
È stato un atto di bellezza concreta, viva.
Lì dove i sogni sembrano appartenere alla giovinezza, Ravenna li ha restituiti
maturi, più densi. Ha accolto chi il sogno l’aveva solo pronunciato a bassa
voce. Ha dato spazio a chi lo aveva sepolto sotto le giornate, i doveri, le
paure. E lo ha fatto senza enfasi, con la naturalezza dei luoghi che sanno
custodire.
Essere lì, fra tremila voci che si sollevano insieme, non è stato un evento. È
stato un tempo fuori dal tempo. È stato il cuore che canta, come quando ama
davvero.
Sì, cantare è proprio di chi ama, come diceva Sant’Agostino.
E lì, per la prima volta, l’ho capito davvero.
Io ho amato.
Ho amato l’idea di poter esserci.
Ho amato la meraviglia di non sentirmi sola, ma parte.
Ho amato l’Italia, la musica, i volti intorno a me.
Ho amato persino il mio stupore.
E ho pensato che non bisogna per forza sapere fare le cose per poterle vivere. A
volte basta lasciarsi chiamare.
Mi sono sentita viva.
Anzi, rinata.
Come se un frammento dimenticato di me avesse trovato finalmente la sua forma,
il suo nome.
Conosco il suono della bellezza da spettatrice.
Lo riconosco nei libri, nella danza, nelle parole ben scritte.
Ma qui, a Ravenna, non ho guardato la bellezza, ci sono entrata.
Sono stata parte di un’onda, un respiro, un’unione che aveva qualcosa di sacro.
C’è stato un momento, preciso, in cui ho pensato:
“È come se stessi giocando con Maradona, senza aver mai giocato a calcio.”
È stato così, una possibilità che la vita ti regala senza preavviso. E che per
questo ti commuove fino alle lacrime.
Mi porterò dentro ogni nota, ogni pausa, ogni vibrazione condivisa.
Ma più di tutto, porterò la certezza che ci sono momenti in cui ciò che credevi
impossibile diventa vero.
E quando accade, non sei più la stessa.
Perché l’amore, quello vero, l’amore per la bellezza, per l’armonia, per la
vita, muove davvero il sole, e le altre stelle.
In un mondo che alza muri e confini, un grande coro può ancora insegnarci che
l’unione non è un’utopia, ma un’armonia possibile.
Ed è lì che, anche solo per un istante, ho sentito cos’è davvero la pace: non
l’assenza di conflitto, ma la presenza vibrante dell’altro dentro di me.
Federica Flocco
Olivier Turquet