No justice no Peace

Pressenza - Monday, May 19, 2025

Le recenti dichiarazioni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a proposito del livello estremamente basso degli stipendi in Italia e del conseguente aumento dei lavoratori poveri (+ 9% nell’ultimo anno secondo i dati Eurostat) sembravano trasudare più tristezza che indignazione, come se ci trovassimo di fronte ad una catastrofe naturale assolutamente imprevedibile a cui gli umani non possono porre rimedio.

 Eppure nel resto d’Europa e negli USA non è andata così, per esempio a Detroit USA una stagione formidabile di lotte operaie (eh sì, esistono ancora!) nel settore dell’auto ed indotto ha portato nel 2024 ad aumenti salariali medi del 30%. In Europa negli ultimi 20 anni l’aumento medio dei salari è stato, al netto dell’inflazione, di circa il 3%, mentre in Italia le retribuzioni sono scese del 4,5%. E’ un divario che si è fatto ancora più netto negli ultimi tre anni cioè da quando l’inflazione è cresciuta di più: rispetto al 2021 i lavoratori tedeschi hanno perso il 4,1% del loro potere d’acquisto, i francesi l’1,5, gli spagnoli l’1,9, gli italiani il 6,4.

Ma anche se mai volessimo prendere per buono ( e non lo vogliamo neanche un po’) il principio liberista secondo il quale lo Stato non deve interferire nelle contrattazioni tra le parti sociali, qualche contraddizione salta agli occhi, come ad esempio quella che in Italia ci sono poco meno di 3.700.000 dipendenti pubblici i cui rinnovi contrattuali dipendono direttamente dallo Stato, il quale, dopo un ingiustificabile ritardo, nel 2024 ha proposto aumenti inferiori ai tassi di inflazione accumulati degli ultimi anni (la CGIL si è infatti rifiutata di firmare l’accordo) ufficializzando con atti formali il suo protagonismo nella diminuzione del salario reale dei lavoratori. 

Così come l’oltraggioso rifiuto governativo di discutere una proposta di legge per il salario minimo o l’abrogazione del reddito di cittadinanza ci parlano di un’assoluta indifferenza della politica di fronte agli sforzi di milioni di cittadin3 di arrivare alla fine del mese. 

Neanche la sinistra è esente da responsabilità circa il malessere crescente in particolare dei giovani (Do you remember Job’s act?), infatti secondo l’ISTAT la riduzione dei salari reali può essere “…associata alla crescente diffusione di tipologie contrattuali meno tutelate a bassa intensità lavorativa, alle quali si è aggiunta negli ultimi anni l’erosione esercitata dalla crescita dell’inflazione” (ISTAT, rapporto annuale 2024). Non a caso il rapporto mostra come il rischio povertà diventi più concreto se si lavora part time o si ha un contratto a tempo determinato o un lavoro autonomo/parasubordinato. 

Anche qui, non sono solo i privati cattivoni ad utilizzare forme contrattuali “atipiche” ma ormai da anni anche ministeri, aziende pubbliche, ospedali, scuole, enti locali applicano contratti che vanno dagli ex co.co.co, ai contratti a prestazione d’opera, ai part time e via precarizzando. 

Se a questo aggiungiamo anche un sistema fiscale che grava perlopiù sulle spalle dei lavoratori dipendenti e un sistema previdenziale ormai interamente contributivo, che nella migliore delle ipotesi garantirà una pensione pari al 60% o meno dell’ultimo stipendio prefigurando per i trenta/quarantenni di oggi una vecchiaia di povertà dopo 43 o 44 anni di lavoro e a quasi 70 anni di età, avremo chiaro il quadro di un Paese in cui la polarizzazione della ricchezza ha raggiunto un livello che ha pericolosamente stravolto le basi stesse della Costituzione e della democrazia in quanto tale.

Ci stiamo intossicando con i frutti velenosi della finanziarizzazione che non si interessa solo di speculazioni borsistiche o immobiliari, che non ciba i suoi mega fondi solo con i profitti delle Hi-Tech ma rastrella capitali attraverso i fondi pensione, nei quali i lavoratori sono spinti a depositare il tfr, o attraverso le assicurazioni che vanno sostituendo sempre più il welfare state con quello aziendale, decretando tra le altre cose la morte del sistema sanitario nazionale e un’inflazione che flagella ormai da anni le buste paga di tutti i lavoratori dipendenti determinata, per la prima volta nella storia del capitalismo dal ‘900 ad oggi, da un eccesso di profitti e capitali circolanti invece che dalla crescita dei salari.

Ora se tutto questo è terribilmente legale, come facciamo a non indignarci di fronte all’ipocrita piagnisteo istituzionale? Come facciamo a non vedere quanto la potenza finanziaria dei grandi fondi e delle loro lobby, illegali in Italia ma tranquillamente tollerate nei palazzi del potere, abbia minato e corrotto il dibattito politico istituzionale e i processi decisionali? 

Come facciamo a non accorgerci di come gli assetti proprietari dei media main stream indirizzino l’informazione propinandoci da anni paradossi del tipo: “per superare la disoccupazione giovanile chi è occupato deve lavorare di più e più a lungo”, “bisogna ridurre il costo del lavoro per essere più  competitivi sui mercati internazionali” o peggio “i ricchi non vanno tassati così investono i profitti e stiamo tutti meglio”.  

Tutto ciò ha aumentato a dismisura la polarizzazione della ricchezza penalizzando il mercato interno e riducendo pesantemente le tutele per i più deboli,  isolando il dissenso e riducendolo ad un cupo rumore di fondo.

 Il punto è che oggi indignarsi non basta più, bisogna provare a ribaltare questo sistema e forse, inconsapevolmente, il suggerimento sul che fare ce lo dà, paradossalmente, proprio il Presidente Mattarella quando nel suo intervento di venerdì sottolinea che senza equità sociale, senza stipendi dignitosi, non può esserci pace. 

La sua preoccupazione deve diventare il nostro impegno quotidiano, rilanciare il conflitto sociale è conditio sine qua non per un cambio radicale nelle politiche salariali ma anche per una nuova soggettiv/azione che, nell’incontro delle lotte, definisca nuovi ambiti di protagonismo politico di tutte le forme del lavoro subordinato e del non lavoro. 

Generalizzare le lotte di categoria legandole alla difesa dei servizi e alla lotta contro il riarmo e la guerra, farle incontrare e intrecciarle con l’ecologismo e le azioni dirette di Ultima Generazione o di altri gruppi giovanili, andare a votare per i referendum su lavoro e cittadinanza sono oggi le risposte possibili ad uno sfruttamento che si è ormai diffuso ad ogni ambito della nostra vita e che, con l’estendersi delle guerre, sembra minacciare finanche la nostra stessa esistenza. Insomma è tempo di Rivolta!

Redazione Palermo