L’Europa che non c’è

Comune-info - Wednesday, May 14, 2025

L’Ue che vede nemici dappertutto ed è ossessionata dal riarmo fa paura. È L’Europa dell’assordante silenzio sullo sterminio del popolo palestinese. Eppure in basso migliaia di persone in tutta Europa, a cominciare dai gruppi di donne, non hanno smesso di costruire percorsi diversi, partendo dalla rivoluzione della cura: l’Europa che oggi non c’è deve saper ripartire da qui

11/11/2023 Barcellona, Manifestazione di solidarietà con la Palestina – Xavi Ariza – Di Fotomovimiento (CC BY-NC-ND)

Leggere, anche sommariamente, la lunghissima relazione/risoluzione al Parlamento europeo sulla difesa approvata il 2 aprile 2025 ci fa piombare in un’Europa che non avremmo mai pensato potesse essere la “nostra Europa”. Vede nemici dappertutto. Dalla Russia che si preparerebbe a invaderci, alla Cina, minaccia per il mondo. Sta con l’Ucraina fino alla vittoria (!). Con Israele e il suo “diritto all’auto difesa”. Muri ovunque per proteggere i confini. Miliardi su miliardi per Nato e armi, militarizzazione dell’educazione nelle scuole e, ovviamente, approvazione del piano ReArm Europe.

Una Unione europea che fa paura. Fa orrore per il silenzio assordante che ha steso un sudario sulla distruzione e lo sterminio del popolo palestinese che Israele sta operando su Gaza, con le bombe, la fame, la sete, le malattie, con le espulsioni violente in Cisgiordania. Un nuovo genocidio che non sconvolge né provoca reazioni nella Ue, che non siano qualche stanco comunicato o qualche burocratica riga, ogni tanto. Insostenibile umanamente, ancor prima che politicamente.

Ha ragione il Collettivo femminista palestinese (Pfc) [organizzazione di femministe palestinesi/arabe – con sede principalmente a Turtle Island (Stati Uniti), NdR] – a sostenere che La Palestina è una questione femminista (Nada Elia, Edizioni Alegre, 2024). Perché colpita quotidianamente, e da decenni, da tutto quello contro cui il femminismo si batte, o dovrebbe battersi: violenza, oppressione, sfruttamento, colonialismo.

C’è una donna, preziosa relatrice speciale delle Nazioni unite per i Territori occupati, che parla di fatti e responsabilità con parole sincere oneste e coraggiose. Si chiama Francesca Albanese, e gli Usa ne chiedono il licenziamento.

«Lo sguardo del femminismo, almeno di quello in cui mi riconosco, si è sempre rivolto al mondo, oltre i confini, ’antipatriottico‘ e antinazionalista – scrive Virginia Woolf nel 1938 in Le tre ghinee (Feltrinelli) – […] dirò, da outsider della cittadinanza quale sono, come donna, non ho un Paese. Come donna non voglio un Paese. Come donna, il mio Paese è il mondo intero…». Il testo è stato richiamato nei giorni nostri nel bel libro di Bianca Pomeranzi Femministe di un unico mondo (Fandango Libri, 2024).

Oggi, la guerra è di nuovo al centro del dibattito pubblico in una Europa idealmente nata per sconfiggere l’eventualità di un altro disastro, dopo le decine di milioni di morti nella Prima guerra mondiale. Un obiettivo già scricchiolante negli anni Novanta nei Balcani. Tuttavia, sembrava, ancora all’ordine del giorno. Invece, adesso sembra scomparso il discorso pubblico su come cambiare l’Europa, come realizzare un’Europa sociale di uguaglianza, libertà, accoglienza di chi è costretto a fuggire, spesso da guerre scatenate o sostenute dall’Europa stessa. Proprio quello su cui per molti anni il femminismo ha maggiormente insistito, per un’Europa aperta al mondo.

Dalle Conferenze e Forum delle donne culminate a Pechino e Huairou (conferenza Onu e Forum delle donne) nel 1995, alla Marcia mondiale delle donne per la liberazione da guerre, povertà e violenza del 2000, dal Forum sociale europeo del 2002, alla Libertà delle donne nel XXI secolo – oltre tutti i fondamentalismi (2017) -, fino alla riflessione sulla cura, durante e dopo la pandemia COVID-19. Le relazioni con altri femminismi attraverso il mondo, hanno portato a “contaminarsi”, assorbendo, più o meno consapevolmente, quello che bell hooks – pseudonimo di Gloria Jean Watkins – insegna con il suo Il femminismo è per tutti (Feltrinelli, 2021):  «La teoria femminista rivoluzionaria va di continuo elaborata e rielaborata perché si rivolga a noi, nel nostro presente»; cercando di tenere conto dell’esistenza di connessioni, relazioni, intersezioni, sovrapposizioni, senza le quali dice Angela Davis, «resteremo per sempre imprigionate in un mondo che ci appare come bianco e maschile, eterosessuale e cisgender, capitalista e centrato sugli Stati Uniti o sull’Europa».

Necessariamente, non siamo state indifferenti all’Europa, né al radicamento nel presente. A Bruxelles nel 2000 la grande manifestazione della Marcia mondiale delle donne, si espresse criticamente sull’Europa, meglio la vigente Unione europea, per un’altra Europa possibile, contro guerre, povertà, violenza. E nel nostro Paese, al tempo del Pnrr Next Generation EU, come gruppo femminista della Società della cura denunciavamo anche il concetto di sicurezza che vi era contenuto e che la pandemia stessa aveva messo in discussione: «La pandemia COVID-19 ha dimostrato che la nostra sicurezza dipende dall’accesso all’assistenza sanitaria, all’approvvigionamento alimentare, all’istruzione, a redditi dignitosi. Sicurezza è prendersi cura l’uno/a dell’altro/a e del mondo. Le armi non possono fornire nulla di tutto ciò. Benvenuto il Trattato per la proibizione delle armi nucleari, ma anche l’Italia, che “’”ospita” quaranta testate nucleari, deve ratificarlo.

Le armi non sono servite a darci sicurezza contro la pandemia, e non serviranno contro il riscaldamento globale e le sue conseguenze. La pandemia ha mostrato che le minacce alla sicurezza umana sono globali, non contenute da confini nazionali militarizzati; ha messo in luce la fallacia di politiche che incentivano gli investimenti nella ’sicurezza militarizzata‘ a scapito della sicurezza umana e della salute collettiva».

Il paradigma della cura indicava la strada per una rivoluzione della cura.

In piena pandemia, l’Assemblea della Magnolia, voluta dalla Casa internazionale delle donne e sostenuta da tantissime associazioni, gruppi e individue, nel 2021 proponeva un approccio radicale e femminista, «Per cambiare i meccanismi sociali ed economici che proteggono un sistema di potere fatto di gender pay gap, di cultura della violenza e dello stupro, di cristallizzazione dei ruoli di genere nelle famiglie, di connivenza con la cultura patriarcale, rivendichiamo di essere femministe e quindi contro le guerre, contro l’aumento delle spese militari e per la proibizione assoluta delle armi nucleari». Un auspicio e un desiderio difficili, non senza conflitto. Quelli di voler cambiare un sistema patriarcale di potere sociale, economico, culturale basato sulla disuguaglianza, pervaso di violenza spesso impunita: dalla discriminazione all’omofobia, allo stupro e al femminicidio. La rivoluzione della cura, infatti, prevedeva il rispetto e il riconoscimento dell’altra e dell’altro, di tutte le soggettività, dei diritti e le libertà di tutte e di tutti, native/i e migranti, a partire dal diritto alla cittadinanza.

Quegli anni appaiono come tempi lontanissimi, anche se sono trascorsi solo quatto/cinque anni.

Oggi il discorso pubblico prevalente, veicolato dalla politica e dai mass media dominanti, è la creazione del nemico, come durante la Guerra fredda. L’Europa quindi deve difendersi da possibili attacchi, la nostra sicurezza sta nelle armi e tecnologie militari. Infatti, a loro vanno 800 miliardi! Mentre lo stato sociale continua a sgretolarsi. Entriamo in un’economia di guerra: altro che l’economia sociale solidale, mandiamo i nostri figli e nipoti a sorbirsi un’educazione al militare.

Insostenibile essere cittadina di una Unione europea, in cui il potere ha visi di donne, eclatante conferma, se ce n’era bisogno, che le donne non sono “naturalmente” contro la guerra, la violenza e le armi, al contrario, possono rivelare l’altra faccia del patriarcato. Colpevolmente estranee e ignare delle sagge e molto attuali parole del 2015 di Lidia Menapace: «Sono sempre dell’opinione che ripudiare la guerra e quindi avere una politica estera favorevole alla trattativa e ridurre le spese per gli armamenti siano le migliori prevenzioni della catastrofe bellica, opinione che la diffusione delle armi di distruzione di massa non fa che confermare».

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 54 di Aprile- Maggio 2025: “L’Europa che non c’è

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