Nel laboratorio della guerraIL RIARMO MONDIALE, A COMINCIARE DA QUELLO DELL’UE. L’ESERCIZIO AUTORITARIO DI
GOVERNO IN MOLTI PAESI. LE TRASFORMAZIONI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E I NUOVI
MODI DI ESERCIZIO DEL POTERE, COME LA SECURIZZAZIONE DEI TERRITORI, IN RAPPORTO
A UN DIRITTO CHE OCCUPA UNA POSIZIONE MARGINALE RISPETTO AL POTERE DI GUERRA E
DI PACE. LA GUERRA È UN GRANDE LABORATORIO CON MOLTI VOLTI
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Pochi dati bastano per ricordare ciò che è di dominio pubblico. Il folle riarmo
deciso dall’Unione Europea consta di 800 miliardi, reali o virtuali poco conta
perché sottratti a sanità, conversione ecologica, istruzione e servizi sociali.
E sono soldi a debito. Il piano “Re-arm Europe” (“Readiness 2030”) propone di
mobilitare gli 800 miliardi attraverso un nuovo strumento di prestito da 150
miliardi di euro (SAFE), il riorientamento dei fondi di coesione, la
mobilitazione di capitali privati e un maggior sostegno della Banca Europea
degli Investimenti. L’effetto della proposta è stato il riarmo della Germania e
l’idea della Francia di condividere la propria capacità nucleare nazionale.
Dal 2021 i fondi destinati ai programmi militari sono aumentati di circa il
350%. Nel 2024 le spese nazionali aggregate dei paesi UE della NATO sono
aumentati a più di 40 volte il totale dei fondi per il settore militare
stanziati dall’Unione Europea. L’Ucraina ha ottenuto dal Fondo Europeo per la
Pace (sic!), il più grande programma in ambito militare, 5,6 miliardi di euro di
forniture militari (fonte Sbilanciamoci!).
La pressione per sviluppare un profilo di difesa adeguato per l’UE è stata
intensificata nel corso della prima elezione di Trump (2016) che ha messo in
discussione il futuro della NATO in Europa e le politiche transatlantiche.
D’altra parte la guerra in Ucraina ha accelerato l’espansione della NATO a est
su richiesta di Svezia, Finlandia e paesi baltici, noti per le posizioni
integraliste nei confronti della Russia.
Nel 2024 la Svezia è entrata nella NATO e la spesa militare è aumentata del 34%,
raggiungendo i 12 miliardi e il 2% del PIL. La Polonia ha raggiunto i 38
miliardi con aumento del 31% (4,2% del PIL).
La crescita vertiginosa delle spese per le iniziative di difesa testimonia la
trasformazione dell’Europa da progetto di pace ad attore militare. La
Commissione è il principale attore del riarmo. Tra il 2017 e oggi ha speso 6,836
miliardi del bilancio europeo per la difesa. Dei 1200 miliardi del bilancio
2021-2027, il rapporto “Safer Together” propone di destinare 240 miliardi alla
militarizzazione dell’UE. La gran parte di questi fondi è destinata alle
principali aziende militari: Thales, Leonardo, Airbus, Indra, Saab, Diehl,
Rheinmetall che sono tra le prime 25 imprese beneficiarie di progetti del Fondo
Europeo di Difesa.
Dopo l’invasione dell’Ucraina la Commissione ha sfruttato la situazione
intervenendo per facilitare l’acquisto comune di materiale militare: munizioni,
difesa aerea e sistemi d’arma. Secondo i piani della Commissione Europea, gli
stati membri devono destinare almeno il 50% del loro budget per gli acquisti
verso fornitori con sede nell’UE entro il 2030 e il 60% entro il 2035.
La postura di politica militare dell’Unione Europea comporta diversi effetti: la
mutazione rapida della geopolitica atlantica che archivia il mondo bipolare
formato alla fine della seconda guerra mondiale. La riattivazione della guerra
delle razze e del razzismo di stato come a-priori storico del XXI secolo. La
trasformazione dei rapporti tra diritto e politica e tra diritto pubblico ed
esercizio del potere. La fine del diritto internazionale in vigore nella seconda
metà dello scorso secolo. Un discorso strategico di uso della ferocia e della
crudeltà come arma di distruzione che giustifica il genocidio, la pulizia
etnica, la detenzione, la deportazione e la securizzazione dei territori
sottoposti a sorveglianza continua.
Questa attuale costituzione dei rapporti tra gli stati non può essere
interpretata esclusivamente in termini di sfruttamento e repressione. Accanto o
al di sopra di questi effetti appare la trasformazione della governamentalità,
cioè delle tecnologie di governo delle popolazioni…
D’altra parte questa evidenza si articola su un insieme di discorsi che hanno
molto poco a che fare con il potere di stato. Il discorso delle destre razziste,
il discorso securitario, della deportazione e della criminalizzazione, non
sembra essere il discorso del potere sovrano che dall’alto e da lontano impone,
controlla e reprime. Sembra invece che un insieme di discorsi di società,
discorsi di poteri sociali che provengono dal popolo e che rispondono a esigenze
popolari sia il costituente primo di istanze di verità. La critica del mercato
globale, la distruzione della cittadinanza acquisita, la destituzione del
diritto internazionale e della giurisdizione dei crimini di guerra, la difesa
della razza, del territorio, delle radici e della patria, la produzione di una
verità mediata dalla comunicazione contro le false verità dell’informazione e le
falsità sulla situazione economica; questo insieme di discorsi produce un valore
sociale di verità che circola. Per un verso è una rivendicazione generale di
provenienza delle società globalizzate da stati nazionali protetti da frontiere
e costituiti in vista della concorrenza mondiale.
Per altro verso è una denuncia dell’universalismo dei diritti e delle libertà,
dei diritti innati universali e della falsa rappresentazione di un’umanità
mondiale, ed è una denuncia delle reali condizioni sociali ed economiche di una
maggioranza della popolazione mondiale; è la denuncia rabbiosa
dell’impoverimento mondiale, della caduta nella povertà ad opera delle
tecnologie liberali di governo e delle ricette neoliberali di distruzione dello
stato sociale.
Contro tutto questo negli Stati Uniti è stato eletto Trump e contro tutto questo
le destre razziste e neonaziste aumentano i consensi. I trumpiani accusano le
elite liberali di aver tradito il popolo americano e le accusano di essere
responsabili di 30 anni di dissesto economico, sociale e strategico. Le accusano
di essersi arricchite a spese della classe media.
Lo storico Harry D. Harootunian rileva che l’esercizio autoritario di governo
sulla popolazione è una risposta mutevole a specifiche congiunture storiche che
hanno poco a che fare con un passato sepolto, o con repliche della storia. Gli
attuali processi di distruzione delle libertà e delle differenze in nome della
libertà trovano ragione nell’esercizio di un “non-stato” piuttosto che
nell’eredità del fascismo storico.
Kevin Roberts, presidente della Heritage Foundation, è l’artefice del “Project
2025”, 900 pagine di provvedimenti che Trump ha adottato. L’anno scorso Roberts
ha scritto un libro, Le prime luci dell’alba. Riprendiamoci Washigton per
salvare l’America, in cui invoca una seconda rivoluzione americana. La sua
teoria si chiama “combattere il fuoco con il fuoco”. È in corso una cospirazione
contro la natura. I liberali vogliono cancellare le tradizioni, gli affetti, la
famiglia, il corpo umano. Per evitare questo bisogna appiccare un incendio
controllato, per portare al potere quello che chiama il “partito della
creazione”. Questo partito è un’alleanza tra tradizionalisti, evangelisti
cattolici e tecnofuturisti. La nazione inizia “a cena”, in famiglia. La famiglia
riunita è la nazione contro le minacce. Nella famiglia c’è la rigenerazione
della nazione. Bisogna fare a meno degli immigrati, aumentare le entrate fiscali
che ridurranno il debito pubblico; bisogna riattivare la propensione ad
innovare; ci vogliono più reclute per le forze armate e bisogna costruire più
edifici e infrastrutture. Roberts ha insegnato e ha fondato scuole cattoliche.
Scuole e Università hanno deculturato l’America, forniscono un’istruzione
materialista, addestrano attivisti e producono l’ideologia “gender”. Da questa
idea vengono i tagli al Dipartimento dell’Istruzione ordinati da Trump. Nella
sua agenda ci sono la modifica dei poteri del presidente, approvata di recente
dalla Corte Suprema.
Nel libro di Roberts troviamo i discorsi di società per una controrivoluzione in
nome del popolo. Ma questi discorsi sono opera di un’altra elite che non si
differenzia dall’elite democratica e finanziaria che ha governato i 25 anni del
nuovo secolo e sono discorsi che articolano una potenza militare e tecnologica
ingovernabile.
Il regime di guerra, divenuto discorso di verità dei partiti reazionari e
xenofobi, dei leader ultraliberisti contro la falsa rappresentazione del mondo
del globalismo neoliberale e contro gli effetti devastanti di 50 anni di
applicazione della lex mercatoria rivela gli effetti distruttivi del potere
finanziario, oggi filtrato attraverso il discorso del leader, il discorso del
“capo”, il suo volto, le sue parole truci, i gesti, le esibizioni di arroganza
buffonesca. In questo senso il discorso di verità e di propaganda, il disprezzo
truce e la vendetta contro il globalismo, le differenze, le identità e le
alterità sono discorsi di società filtrati attraverso il presidente, che è la
figura di una rivolta al fondo della quale c’è la guerra.
La guerra delle razze disarticola la razionalità economica e le applicazioni del
liberalismo e impone una transizione egemonica, secondo le parole del grande
storico dell’economia Giovanni Arrighi, dagli esiti in gran parte imprevedibili.
È dunque lungo la doppia linea dell’evoluzione del liberalismo e
dell’intensificarsi del diritto penale che cerchiamo la provenienza delle
attuali tecnologie di governo che operano nella crisi dell’egemonia
statunitense…
Nel Corso al Collège de France del 1977-’78, Nascita della biopolitica, Michel
Foucault prende in esame il liberalismo che prima di essere un pensiero politico
o una teoria economica, è una tecnologia di governo della società. Citando
Polany, Foucault osserva che la funzione principale di una giurisdizione è
governare l’ordine spontaneo della vita economica. Legge e ordine. “Law and
order”. Legge e ordine prima di essere lo slogan delle destre e della polizia
statunitense, è un’espressione il cui senso è che lo stato interviene
nell’ordine economico solo sotto forma di legge…
Questo insieme di effetti inaugura il neoliberismo statunitense che presenta
alcune differenze rispetto a quello tedesco degli anni Cinquanta del ‘900 che si
è esteso in Europa. Il neoliberismo americano si è affermato in contestazione al
New Deal e alle politiche keynesiane. Nel 1934, il “padre” della “Scuola di
Chicago”, Henry C. Simons scrive A positive program for laissez-faire, in cui
propone politiche attive di costituzione del mercato e del mercato del lavoro,
in opposizione alla passività delle politiche economiche dirette e regolate
dallo stato. Il secondo elemento di contestazione della scuola di Chicago è il
piano Beveridge elaborato in Inghilterra durante la guerra e che ha introdotto
quelli che Foucault chiama “patti di guerra”, cioè “tu vai al fronte e ti fai
uccidere con la promessa che conserverai il posto di lavoro fino alla morte”…
In questa costruzione gli elementi distintivi del neoliberismo che alla fine
degli scorsi anni Settanta si sono estesi in Europa, sono il “capitale umano”
con il corredo della teoria della “forma-impresa” e dell’“imprenditore di sé” e
la legislazione penale in rapporto alla criminalità.
Il “capitale umano” per i neoliberali come Robbins, Schultz, Becker, è l’insieme
dei comportamenti di un soggetto economico attivo. Questa definizione proviene
da una generale rielaborazione del campo economico che agli inizi degli anni
Trenta è definito da Robbins come il campo del comportamento umano inteso come
una relazione tra fini e mezzi rari che hanno utilizzazioni che si escludono
reciprocamente. Le teorie classiche, da Smith a Ricardo a Marx, affermano i
neoliberali, non hanno considerato il lavoro nella sua concreta funzione. Ma se
si considera il lavoro dal punto di vista del lavoratore in quanto soggetto
attivo, il lavoro non è più l’elemento cardinale della produzione, ma è funzione
di un reddito. Chi lavora percepisce un salario e un salario è un reddito. Si
lavora per avere un reddito e un reddito è il prodotto o il rendimento di un
capitale. Capitale umano. Il lavoro non è una merce ridotta a forza-lavoro e
tempo impiegato, ma è un’attitudine, una competenza; come dicevano gli antichi
liberali, è una “macchina”. La competenza «fa tutt’uno con il lavoratore; il
lavoro è una macchina che produce flussi di reddito». La macchina ha una durata
vitale fino all’obsolescenza, cioè alla vecchiaia. La macchina sarà remunerata
con redditi bassi all’inizio quindi con redditi che aumentano nella fase di
“miglior funzionamento, per diminuire con l’invecchiamento.
Il lavoratore è capitale-competenza, non forza-lavoro e la sua attività è
un’“impresa in sé”. L’individuo è un’impresa, il soggetto del lavoro è
un’impresa, i lavoratori sono imprese. L’homo oeconomicus del neoliberismo è
imprenditore di sé stesso. Non è in prima istanza il partener dello scambio come
nel liberalismo classico, ma è il proprio capitale, la fonte dei propri redditi.
Il consumatore è un produttore. Il consumo è un’attività di impresa che produce
la soddisfazione dell’individuo…
La forma-impresa si estende a campi e settori extraeconomici che diventano
oggetto di mercato, di calcolo, di strategie, l’effetto sociale di questa
estensione economica al non-economico è l’aumento delle discriminazioni, delle
povertà, del razzismo. Così «nel neoliberalismo… il laissez faire viene
rovesciato in un non lasciar fare il governo, in nome di una legge del
mercato…».
La seconda questione del neoliberismo statunitense riguarda la giustizia penale.
Questa questione, che viene affrontata a partire circa dagli anni Sessanta in
termini di costi economici della penalità, del crimine e dell’insieme dei reati,
riverbera nelle azioni e nei provvedimenti attuali: ordini esecutivi,
deportazione di immigrati, criminalizzazione delle proteste e delle critiche,
militarizzazione delle metropoli, strutture di detenzione, esternalizzazione
della detenzione amministrativa, blocchi navali e procedure accelerate di
espulsione nella guerra ai migranti, agli irregolari, ai poveri, alle differenze
di genere.
Fino a ieri, la portata, l’oggetto e il fine dei sistemi penali consisteva
nell’applicazione della legge improntata all’analisi dei fattori ambientali e
della psicologia ambientale introdotta negli Stati Uniti negli anni Sessanta.
Questo processo si è manifestato con la pratica politica delle Black Panters ed
è ciò che George Jackson e Angela Davis chiamano “società carceraria”. La
società carceraria statunitense è un insieme di spazi, tempi e località di
controllo in cui l’esercizio del potere è esercitato in maniera più o meno
intensa. Lo stato carcerario e il capitalismo razziale sono i modi articolati di
includere nel territorio gli spazi esterni e le comunità più o meno integrate.
Libertà e diritti interni alla costituzione, sono rinegoziati di continuo
all’interno dello stato federale. A proposito delle lotte di liberazione delle
comunità afroamericane, Angela Davis scrive che la presa autoritaria dello stato
attraverso la detenzione è stato ed è il modo di impedire «l’autoriproduzione
delle comunità nere autonome»…
Soggettivazione del reato e calcolo di utilità nella struttura giuridica sono le
due importanti trasformazioni che in epoca moderna dislocano la penalità
all’interno della politica pubblica e d’altra parte limitano il diritto rispetto
alla costituzione dell’homo oeconomicus e della legge del mercato.
L’esteriorità del diritto rispetto al potere di stato che ha configurato il
rapporto tra diritto e politica fino alla fine del XVIII secolo in Europa, si
converte nell’integrazione del diritto all’interno dello stato nel corso del XIX
secolo. La penalità subisce una decisiva trasformazione e da strumento di
punizione del reato diviene mezzo di coercizione nei confronti di chi ha
commesso il reato. Si giudica non il reato ma l’autore del reato.
Per Foucault «nell’equivoco esistente tra una forma di legge che definisce un
rapporto con l’atto, e l’applicazione effettiva della legge, che può riguardare
soltanto un individuo», si costituisce il soggetto criminale. La produzione del
criminale, la produzione di un sapere psichiatrico in campo penale e
l’applicazione del calcolo di utilità all’insieme delle condizioni di
possibilità dei reati (ambiente, numero dei reati, gestione delle differenze tra
i reati) limita lo slittamento dall’homo oeconomicus all’homo legalis, all’homo
penalis e all’homo criminalis.
Dal momento in cui si definisce il crimine come «l’azione commessa da un
individuo che accetta di correre il rischio di essere punito dalla legge», non
ci sarà differenza tra un’infrazione del codice della strada e un omicidio
premeditato. Il criminale è la persona qualunque. Chiunque può essere un
criminale.
Ciò di cui si occuperà il sistema penale è la condotta. Saranno punite le
condotte e lo saranno in base ad un calcolo economico vigente all’interno e
all’esterno del sistema penale. Ci sarà bisogno di un sistema di controllo
permanente delle condotte; di un sistema penale che punisce la virtualità degli
atti; e ci sarà bisogno di una serie di strumenti per l’esercizio effettivo
della penalità: L’insieme di questi mezzi inaugura l’epoca dell’enforcement
della legge.
Per Foucault, l’enforcement della legge non è il semplice rafforzamento delle
misure punitive; è l’insieme dei mezzi che dotano la legge di realtà sociale e
politica: misure di polizia, zelo e competenza dell’apparato di prevenzione e
investigativo, severità nell’applicazione della legge, efficacia della
punizione, rigidità nella pena applicata che l’amministrazione penitenziaria
potrà aggravare o attenuare. «L’enforcement della legge è l’insieme degli
strumenti di azione sul mercato del crimine, che oppone all’offerta del crimine
una domanda negativa».
Attraverso un calcolo economico si stabiliscono così le migliori condizioni di
esercizio della legalità. La legalità deve prevedere un certo tasso di
illegalismi. La penalità non è l’insieme degli strumenti legali per punire il
crimine, ma è l’insieme dei mezzi che regolano la soglia tra legale e illegale.
A seconda di dove si colloca questa soglia, avremo una estremità di gestione
degli illegalismi a cui risponde una estremità di controllo dei territori e una
selezione dei soggetti da criminalizzare.
Ruth Wilson Gilmore, docente di geografia, attivista e direttrice del Center for
Place, Culture and Politics in un saggio del 1992 sulla rivolta di Watts a Los
Angeles, rilevava che i programmi di “legge e ordine” segnano l’inizio del ciclo
neoliberale. In riferimento alla crisi dell’egemonia statunitense, Gilmore
osserva che l’attuale costituzione autoritaria e razziale degli Stati Uniti deve
essere considerata in rapporto alla perdita di capacità egemonica e alla crisi
di potere di gestione globale. L’insieme dei processi di razializzazione e dei
provvedimenti di deportazione, detenzione ed esercizio della violenza di stato,
ha la funzione di rinegoziare libertà e diritti lungo la linea di separazione
sociale, razziale e di genere che regola i rapporti tra inclusione ed
esclusione, tra popolazione e penalità, tra libertà della e per la ricchezza e
criminalità delle povertà, delle differenze e delle anomalie “biologiche”,
psichiche e sociali.
Oggi, l’intensificarsi della penalità è l’esercizio di un potere di controllo e
di sorveglianza che non coincide con lo stato. Si tratta di un potere pubblico
che è piuttosto in rapporto con la dispersione dello stato, con la dislocazione
autoritaria dei singoli stati e con le iniziative dei governatori, dei giudici e
degli influencer. L’estensione della penalità al campo delle libertà ridefinisce
i rapporti di potere tra governo e popolazione a partire dalla dispersione
continua del potere di stato. Gilmore definisce questa pratica di governo,
“stato anti-stato”, che è una forma di governamentalità che realizza la
dismissione delle agenzie federali e dei programmi pubblici di sostegno alla
sanità e all’istruzione; disarticola l’amministrazione statale; introduce nella
società un’altra forma di stato non statale. «Lo stato cresce con la prospettiva
di ridimensionarsi fino a scomparire».
Nel caso degli Stati Uniti, la serie di ordini esecutivi, e nel caso dell’Italia
i diversi “pacchetti sicurezza”, testimoniano uno stato di anomia in cui il
diritto non è sospeso ma, al contrario, è implementato. Si tratta di un diritto
che produce una legalità generalizzata che normalizza le condotte e disloca i
diritti dei singoli all’esterno del bisogno di difesa e del bisogno di
sicurezza…
Le città militarizzate, la caccia ai migranti in terra e in mare,
l’esternalizzazione delle strutture di detenzione, la tortura, il genocidio, la
pulizia etnica, nonché le normative securitarie, sono i modi di esercizio del
potere in rapporto ad un diritto che occupa una posizione marginale rispetto al
potere di guerra e di pace. Questa posizione del diritto all’interno degli stati
autorizza la sicurezza promuovendola in nome della della protezione del
cittadino e regola la soglia di inclusione sociale con misure che eccedono la
cornice costituzionale degli stati, rompono la costituzione pattizia all’interno
degli stati, sfarinando la divisione dei poteri.
In rapporto al potere di guerra, la realtà effettiva della guerra trasforma il
diritto internazionale in due modi: subordinando il diritto al potere di guerra
e subordinando al diritto l’autodeterminazione dei popoli. Questo cambiamento di
posizione del diritto in rapporto al potere pubblico non ha a che fare con la
realizzazione di un diritto di guerra sancito secondo norme di proporzionalità
nell’uso della forza e non riguarda la limitazione dell’autonomia del diritto da
parte del potere. Riguarda piuttosto l’estensione indiscriminata del potere di
guerra da parte dei poteri che lasciano il diritto in una posizione residuale
rispetto alle norme giuridiche, economiche e costituzionali.
Il diritto internazionale costituito alla fine della seconda guerra mondiale fa
prevalere i diritti umani sul diritto degli stati e subordina il diritto degli
stati all’insieme dei diritti umani. Nel corso degli anni l’articolo 27 del
divieto di ingerenza pacifica negli affari di uno stato è stato di fatto
abrogato in favore dei diritti umani.
Ma il diritto internazionale nato per limitare la guerra non assolve la propria
funzione. Le guerre continuano al di sotto e al di là delle prerogative degli
stati e delle relazioni tra stati. L’attuale regime di guerra rompe l’intento
giuridico del diritto internazionale universalistico, – rottura che si produce
subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. La sequenza della guerra
fredda, le guerre imperialiste per procura, le guerre regionali ed etniche, le
guerre “umanitarie” e la guerra permanente al terrorismo, hanno mobilitato il
diritto internazionale non per rinforzarlo ma per adattarlo ai diversi regimi di
guerra.
Il secondo motivo della fine del diritto internazionale è l’evoluzione degli
stati rispetto all’autodeterminazione dei popoli. Il principio
dell’autodeterminazione dei popoli è stato surclassato sia dal diritto degli
stati nazionali che dalle norme del diritto internazionale che considerano i
diritti umani individuali superiori alle decisioni eventuali delle popolazioni
rispetto alla forma di governo. Il diritto internazionale e le agenzie
internazionali hanno assunto i rapporti tra gli stati come base di intervento
sulle popolazioni e il diritto dei popoli all’interno del diritto internazionale
si è diluito fino a scomparire. L’effetto si è manifestato a est e a ovest, a
nord e nel sud del mondo, malgrado i processi di decolonizzazione e le lotte di
indipendenza. Rivoluzioni, indipendenza e lotte di liberazione sono state
considerate al pari delle guerre tra stati, il cui esito è stato la costituzione
di stati nazionali decolonizzati e l’imposizione del potere di stato sui
processi di autodeterminazione e del potere di sfruttamento post-coloniale sui
territori indipendenti.
Evoluzione del diritto internazionale in diritto di guerra e subordinazione del
principio di autodeterminazione dei popoli alla costituzione statale. Questi due
elementi che hanno regolato i rapporti tra gli stati hanno progressivamente
eroso le prerogative del diritto internazionale. I rapporti tra gli stati
sanciti da guerre economiche e commerciali, lo sfruttamento di risorse naturali,
sociali e tecniche, la rapina di beni naturali, di ricchezze e tecnologie a
danno di popolazioni in teoria protette dal diritto internazionale umanitario,
hanno prodotto l’arretramento del diritto dei popoli, hanno soppresso
l’autodeterminazione e hanno innescato la crisi del diritto nei rapporti tra gli
stati.
L’insieme di questi effetti si può costatare nelle possibilità di azione della
Corte Penale Internazionale e della Corte Internazionale di Giustizia. La Corte
Penale Internazionale ha emesso un mandato d’arresto contro il premier
israeliano Netanyahu e contro l’ex-ministro degli esteri Gallant con l’accusa di
crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi a Gaza. La Corte
Internazionale di Giustizia, che è il principale organo giurisdizionale
dell’ONU, ha accolto la denuncia del Sudafrica contro Israele per atti di
genocidio. Entrambe le Corti sono sotto attacco feroce da parte degli Stati
Uniti e di Israele con pressioni e minacce ai singoli membri affinchè non
procedano nella causa contro Israele.
Per Monique Chemillié-Gendreau, avvocata presso la Corte Internazionale di
Giustizia e docente di diritto pubblico, la Convenzione del 1948 sulla
prevenzione e repressione del genocidio e delle “seconde intenzioni” delle
grandi potenze è ambigua, benché contenga una clausola di accettazione della
competenza della Corte per le controversie relative all’interpretazione. È così
che il Sudafrica ha potuto adire alla Corte contro Israele. Ma i meccanismi di
applicazione dei principi del diritto internazionale sono deboli e i comitati
per i diritti umani formulano raccomandazioni che non sono vincolanti per gli
stati.
Per questo «il diritto internazionale è una disciplina che non esiste», dice
Monique Chemillié ai suoi studenti. Si può scegliere «se considerare che non
esiste ancora o che non esiste più». D’altra parte esistono oggi alleanze e
associazioni tra stati, come i BRICS, che costituiscono un’alternativa virtuale
alla governance mondiale. Ma sono paesi associati al livello degli stati
nazionali che non costituiscono un’alternativa all’egemonia statunitense, come
rilevava lo storico dell’economia Giovanni Arrighi a proposito della Cina. La
Cina, unica potenza che contrasta gli Stati Uniti, non può architettare un nuovo
diritto internazionale, anzitutto perchè mantiene ed estende le proprie reti
commerciali asiatiche e non ha alcun interesse ad universalizzare le norme di
scambio e le relazioni tra gli stati. Inoltre, il progetto di de-dollarizzazione
e l’eventuale introduzione di una nuova valuta comune, di una criptovaluta o
l’utilizzo di un paniere combinato di valute dei paesi membri, suppone la
creazione di meccanismi troppo complessi: un’unione bancaria, un’unione fiscale
e una convergenza macroeconomica generale che la posizione di forza nei
confronti del dollaro non rende conveniente.
D’altra parte, sostiene Monique Chemillé, «dovremo inventare una nuova
organizzazione su basi veramente democratiche». Un nuovo diritto che mette capo
all’autodeterminazione delle popolazioni, all’autonomia dei territori e alla
costituzione di terre comuni e luoghi comuni.
Questa esigenza richiede immaginazione; richiede la fuoriuscita dal realismo
geopolitico e richiede eventualmente una nuova superficie di iscrizione del
diritto nella microfisica dei poteri. Richiede la dissolvenza degli stati
nazionali, la liberazione delle popolazioni dalla morsa del “popolo” in uno
stato nazionale. Richiede che si faccia circolare un diritto internazionale alla
condivisione e alla cooperazione non più universalista ma locale, costituito su
un’economia delle risorse, non sulla lex mercatoria; un diritto che non sia
basato sull’interesse nazionale, che non sia né un diritto cosmopolitico, né un
diritto planetario, ma che sia un diritto cosmico, cioè un diritto in cui
“grande è il disordine sotto il cielo”.
In un testo inattuale, cioè contemporaneo, Foucault enunciava i principi di una
vita non fascista che è un’arte di vivere in cui l’azione politica è libera da
paranoie totalizzanti; cresce per proliferazione e disgiunzione, non per
gerarchizzazione; preferisce la molteplicità, la differenza, i flussi, i
concatenamenti mobili e il nomadismo; produce immaginazione desiderante e
pratiche di pensiero; dis-individualizza e non si innamora del potere. Una
pratica di vita nomade, in esodo permanente dalle identità, dai confini e dalla
società degli individui; una diserzione dal mondo che crea un altro mondo in
questo mondo.
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