Contro la guerra--------------------------------------------------------------------------------
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Un libro importante, scaricabile dal sito web di “Sbilanciamoci!” ricostruisce
la provenienza storico-politica del disastro mondiale e compie un’operazione di
verità sul folle riarmo dell’Europa, sostenuto dalla nauseante fanfara
dell’informazione mainstream che continua a blaterare di “difesa europea” e di
minacce di invasione russa tacendo sui crimini di guerra di Netanyhau e sulla
volontà politica di far durare all’infinito la guerra d’Ucraina.
L’e-book si chiama Europa a mano armata e consta di 21 contributi di attiviste e
attivisti, volontari delle 51 ONG che affluiscono alla meritoria iniziativa di
“Sbilanciamoci!”, a cui collaborava Rossana Rossanda e che oggi vede tra le
eminenti collaborazioni quella di Luciana Castellina, Giulio Marcon ideatore e
decennale combattente per la pace, Giorgio Beretta, Gianni Alioti, Futura
D’Aprile che ha curato il testo con arte, Guglielmo Ragozzino, Paolo
Andruccioli, Raul Caruso, Martin Köler, Paolo Maranzano, Francesco Vignarca,
Franco Padella, Mario Pianta, Rachele Gonnelli, Farah Al Attab, autore di un
puntuale articolo su Gaza divenuta inabitabile per i prossimi decenni, Federica
Frazzetta, Paolo Imperatore, Sergio Bassoli.
Completano il regesto delle voci, un articolo del 1991 del grande Alex Langer,
artefice dell’ecologismo e del pacifismo radicale negli scorsi anni Ottanta e
Novanta, il manifesto degli scienziati contro il riarmo che ha rappresentato una
delle prime iniziative pubbliche contro il delirio eurobellicista, il manifesto
della campagna “Ferma il riarmo!” della Fondazione Perugia-Assisi per la Cultura
della Pace, Geenpeace e della Rete Italiana Pace e Disarmo, e il manifesto “Stop
rearm” che ha animato le manifestazioni del 21 giugno contro gli 800 miliardi
voluti da von der Layen.
L’e-book estende lo sguardo sul paradigma della guerra ed è uno sguardo che, a
differenza della maggior parte dei miopi analisti della geopolitica, più o meno
improvvisati, più o meno atlantisti e promotori dell’infame propaganda sulla
necessità di difesa e sicurezza delle popolazioni, osserva l’attuale panorama
del riarmo cogliendone la provenienza storico-politica. Perché di questo c’è
bisogno, allargare le ragioni forti del No alla guerra e alle politiche di morte
alla storia dell’Europa che non può schiacciarsi sulle fobie antisociali dei
“moderati” guerrafondai e delle destre razziste e neonaziste.
Castellina ricorda anzitutto che l’allargamento dell’Unione Europea e della NATO
negli anni ’90 non poteva che essere percepito come una minaccia da parte della
Russia, che si è trovata circondata dalle basi militari dell’alleanza. La stessa
adesione dei paesi dell’est Europa è stata raccontata come un successo, ma non è
così. La divisione e l’ingiustizia sociale ed economica al loro interno è enorme
perché la condizione che è stata loro imposta per l’adesione alla UE è stata la
rapida trasformazione in un’economia di mercato con la privatizzazione di tutto
– a beneficio di un ceto che un tempo avremmo definito “compratore” – facendo
perdere a molti casa, lavoro e servizi pubblici. Tutto questo ha preparato il
terreno per le tensioni sociali, il risveglio di identità etniche, nazionalismi
e separatismi.
Giulio Marcon ricorda che tra la metà degli scorsi anni Settanta e i primi
Ottanta nasceva un movimento europeo che chiedeva un’Europa di pace
dall’Atlantico agli Urali. Con la conferenza di Helsinki da cui nacque l’OCSE
(Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea) in piena guerra
fredda, statisti del calibro di Olof Palme e Willy Brandt avanzavano proposte
per costruire un’Europa di pace e un dialogo verso l’est europeo e il Segretario
di Stato vaticano Mons. Casaroli era protagonista di una fitta rete di contatti
con i governi dei paesi del Patto di Varsavia per favorire il disgelo tra i
blocchi. Proprio in quegli anni – contro il riarmo atomico con l’installazione
dei missili nucleari a medio raggio SS20 nei paesi del Patto di Varsavia e dei
Pershing e Cruise nei paesi della NATO, i movimenti pacifisti si riunivano nella
convenzione END (European Nuclear Disarmament) per confrontarsi e discutere le
iniziative comuni.
Oggi l’Europa rimette la sua politica estera ad un Alto Rappresentante
inadeguato come Kaja Kallas, ex premier dell’Estonia, un paese che ha la stessa
popolazione dell’Abruzzo (1,3milioni di persone, mentre l’Unione europea ne ha
450milioni) e che ha da poco approvato una legge per limitare il voto alle
elezioni alla minoranza russofona. Non proprio la persona giusta per avere a che
fare con Putin. Infatti, è assurdo che l’Europa non abbia mai provato ad aprire
un canale di comunicazione con la Federazione Russa, crogiolandosi
nell’illusione – pericolosa e foriera di una possibile escalation – che l’unica
soluzione possibile fosse “vincere la guerra” sul campo.
Ma, come scrive Ragozzino e come da tempo insiste il fenomenale atlante delle
guerre, ci sono circa 60 guerre in corso nel mondo. Per questo Bunker Swiss,
impresa elvetica che produce con successo difese contro ogni sorta di guerra o
di altri gravi disagi per le persone, soprattutto svizzere, ma non solo, per
consentire loro di mettere al sicuro vite e beni nelle situazioni di pericolo,
propone modi e impianti per proteggere vite e ricchezze degli abbonati: bauli di
acciaio rinforzato, cantine sicure fornite di caldo e freddo, aria, acqua
corrente, servizi igienici e scatolette a volontà. E perfino interi fortini
attrezzati.
Poi ci sono le banche di guerra. Tra 2020 e 2022 le istituzioni finanziarie –
comprese le banche maggiori, le grandi compagnie di assicurazione, i fondi
d’investimento, i principali fondi sovrani e talune istituzioni pubbliche –
hanno sostenuto l’industria della difesa con un esborso di almeno 1.000 miliardi
di dollari. Tra gennaio 2021 e agosto 2023 valori di almeno 820 miliardi di
dollari sono stati messi a disposizione da parte di 287 istituzioni di grande
spicco alle 24 imprese pubbliche implicate nella fabbricazione di armi nucleari.
Quanta distanza c’è tra questo mondo e quello possibile alla metà del XIX
secolo, in piena egemonia imperiale inglese? Lo racconta un aneddoto: «Le armi
da fuoco furono introdotte in Giappone nel 1543 da tre portoghesi (pirati?
soldati di ventura? mercanti?) che andavano a caccia di anitre. Un signorotto
locale comprò le spingarde e si fece insegnare ad usarle”. (…) Quando nel 1853
arrivò in Giappone l’ammiraglio Perry e fu firmato il trattato di Kanagawa che
segnò l’apertura del Giappone al commercio estero e all’influenza occidentale,
di armi da fuoco nemmeno l’ombra!».
D’Aprile, Kohler, Maranzano, Pianta e Strazzari osservano come è cambiata la
politica dell’UE rispetto ai presupposti di costituzione della Comunità Europea.
Dalla “dichiarazione Schuman” del 1950, che annunciava un piano per mettere in
comune i mercati del carbone e dell’acciaio tedeschi e francesi, il processo di
integrazione europea può essere visto come un percorso che ha avuto origine dal
naufragio del primo tentativo di creare una Comunità europea di difesa nel 1954,
responsabile unico la Gran Bretagna. Con la fine della guerra fredda, nel
processo di definizione della sua politica estera e di sicurezza, l’Unione
Europea si è orientata verso una politica estera più forte.
Considerando i trattati dell’UE, va ricordato che il trattato di Maastricht del
1992 ha introdotto la questione della difesa come obiettivo di politica estera,
prevedendo alcune capacità operative attraverso mezzi civili e militari.
L’articolo 42, paragrafo 7, del trattato di Lisbona del 2007 (clausola di
assistenza reciproca), obbliga gli stati membri ad assistersi con tutti i mezzi
disponibili in caso di attacco armato. Tali passi verso una politica di
sicurezza non hanno modificato in modo sostanziale i principi secondo cui la
difesa è un settore fondamentale della sovranità degli stati membri e che
l’unanimità è necessaria per le decisioni in questo campo.
Per quanto riguarda il dibattito sulla politica di difesa, un passo importante,
scrivono gli autori dello studio, è stata la Dichiarazione franco-britannica di
Saint-Malo sulla difesa europea del 1998. Nel dicembre 2003, l’adozione di una
strategia di sicurezza ha posto le basi per un approccio multilaterale globale
che integra le diverse dimensioni dell’azione esterna come commercio, aiuti e
difesa. Nel 2004 è stata poi istituita l’Agenzia europea per la difesa (EDA),
per sostenere gli stati membri e il Consiglio nei loro sforzi per migliorare le
capacità di difesa.
Negli ultimi anni, la pressione per sviluppare un profilo di difesa per l’UE è
stata accelerata dall’elezione di Donald Trump nel 2016. Nel corso della sua
prima presidenza, Trump ha messo in discussione il futuro della NATO in Europa e
le politiche transatlantiche. Per tutta risposta, nel 2016, il Presidente della
Commissione europea Jean-Claude Juncker ha lanciato la “Strategia globale
dell’UE” in materia di sicurezza e difesa internazionalee ha istituito nuovi
programmi di ricerca e sviluppo industriale dei sistemi militari, finanziati dal
bilancio comunitario sulla base dell’articolo 173 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione relativo alla competitività industriale e la cooperazione.
Nel 2024 le spese militari nazionali aggregate dei paesi UE della NATO ammontano
a più di 40 volte il totale dei fondi per il settore militare stanziati
dall’Unione. La nomina per la prima volta di un commissario europeo per la
difesa e lo spazio – il lituano Andrius Kubilius – dimostra appieno la
centralità della difesa all’interno dell’Unione. L’elezione di Donald Trump a
novembre 2024 ha poi gettato un’ombra sul futuro della NATO e delle relazioni
USA-UE-Regno Unito; i leader europei, per tutta risposta, hanno spinto per
un’accelerazione dell’integrazione e per il rafforzamento della competitività, a
partire dal settore della difesa (nelle parole di Kubilius, “spendere di più,
spendere meglio, spendere insieme e spendere europeo”).
Due sono le questioni importanti che emergono in questo contesto. La prima è il
rapporto tra la politica di difesa dell’UE, la strategia globale degli Stati
Uniti e la portata e il ruolo della NATO. La seconda è la questione molto
delicata delle armi nucleari, visto che il Pentagono parla di un’entrata del
mondo in una nuova era nucleare, della presenza di testate statunitensi in
diversi paesi dell’Unione e dello status della Francia come potenza atomica.
Nella primavera del 2025, la nuova Commissione europea guidata da Ursula von der
Leyen ha elaborato una strategia di ampio respiro. Presentato a marzo, il piano
“ReArm Europe”(successivamente ribattezzato “Readiness 2030”) propone di
mobilitare oltre 800 miliardi di euro in spese per la difesa attraverso la
flessibilità fiscale nazionale, un nuovo strumento di prestito da 150 miliardi
di euro (SAFE) per gli appalti congiunti, il potenziale riorientamento dei fondi
di coesione, la mobilitazione di capitali privati e un maggiore sostegno da
parte della Banca europea per gli investimenti. La proposta si basa
sull’articolo 122 del trattato sull’Unione europea, che consente di derogare
all’unanimità.
Molti analisti hanno richiamato l’attenzione sul fatto che il piano apre in
ultima analisi la strada al riarmo nazionale in un momento in cui i partiti
nazionalisti più aggressivi stanno dimostrando di essere in grado di influenzare
le decisioni dei governi, se non addirittura di ottenere la maggioranza
elettorale.
Infatti Roul Caruso osserva che nonostante questi sviluppi, la decisione in
materia di spesa militare rimane essenzialmente una prerogativa nazionale.
L’escalation del conflitto tra Russia e Ucraina nel 2022 non ha determinato
un’accelerazione sostanziale del processo di integrazione e cooperazione in
ambito UE. Di fatto, l’aumento in corso della spesa militare rischia di
amplificare la frammentazione esistente, consolidando un modello di difesa
fondato sulla semplice somma dei singoli sistemi nazionali, all’interno
dell’architettura NATO. Un’ulteriore criticità connessa all’attuale
accelerazione della domanda di armamenti riguarda la crescente dipendenza dei
paesi europei da fornitori extra-UE, in particolare dagli Stati Uniti. Tra la
primavera del 2022 e giugno 2023, il valore complessivo delle acquisizioni
militari annunciate dai paesi dell’Unione aveva superato i 100 miliardi di euro,
di cui ben il 78% destinato a fornitori esterni all’UE. Di questa quota, l’80% è
riconducibile agli Stati Uniti, seguiti dalla Corea del Sud (13%), dal Regno
Unito e da Israele (3%) e da altri paesi (1%).
Un effetto prevedibile del riarmo europeo potrebbe essere l’aumento della
disuguaglianza tra i paesi dell’Unione. Riemerge infatti con forza la
distinzione tra stati ricchi e poveri: se la sicurezza e la deterrenza si basano
prevalentemente sulla disponibilità di risorse militari, allora i paesi più
ricchi godranno inevitabilmente di un vantaggio rispetto a quelli con minori
capacità finanziarie.
Come evidenziato da molti dei saggi dell’e-book, gran parte delle decisioni
politiche in materia di difesa sono ancora guidate da una concezione della
sicurezza ispirata alla logica della deterrenza tipica della Guerra Fredda.
Secondo questa impostazione, un incremento della spesa militare da parte di uno
stato costituirebbe un segnale credibile della propria capacità e volontà di
difesa, dissuadendo potenziali aggressori. Questa visione, tuttavia, è
eccessivamente semplificata e statica. Le decisioni in ambito militare sono in
realtà interdipendenti e dinamiche: un aumento delle spese militari da parte di
uno stato tende a innescare risposte simili da parte di altri, specialmente se
non appartenenti alla stessa alleanza. Ciò alimenta una spirale di riarmo che
può sfociare in una corsa agli armamenti, un processo per sua natura instabile e
rischioso. A complicare ulteriormente il quadro vi è la trasformazione del
sistema internazionale. La deterrenza classica presupponeva un mondo bipolare,
dove gli equilibri tra due attori principali – Stati Uniti e URSS – potevano
essere relativamente stabili. Oggi il numero degli attori dotati di capacità
militari significative è aumentato, rendendo molto più difficile sia la gestione
dell’informazione sia la previsione dei comportamenti.
In conclusione il riarmo europeo attualmente in corso non sembra contribuire in
modo efficace alla sicurezza e alla pace. Al contrario, potrebbe generare
maggiore insicurezza, favorendo una corsa globale agli armamenti.
Nel 2024 la spesa militare dei paesi UE ha toccato la cifra record di 2718
miliardi di dollari e come scrive Gianni Alioti il complesso
militare-industriale cresce, in dimensione e potere, in tutti i crocevia del
mondo. Il rapporto dell’Area Studi Mediobancasui dati finanziari di 40
multinazionali che operano nel comparto militare, evidenzia che i maggiori
beneficiari degli investimenti dei mercati finanziari sono le multinazionali
europee del settore. Il momento chiave che ha accelerato questa tendenza si è
verificato a fine febbraio, quando le crescenti tensioni geopolitiche e la
pressione USA sugli alleati europei affinchè rafforzassero autonomamente le
proprie capacità nella difesa ben oltre la soglia minima del 2% del PIL, hanno
spinto la Commissione Europea e il Consiglio Europeo a portare l’asticella dei
singoli Stati al 3 o 4% (fuori dai vincoli di bilancio) e di destinare 150
miliardi di euro del bilancio UE alle spese per armamenti.
Il 3 marzo tutte le aziende del settore quotate in Borsa hanno registrato in un
solo giorno un balzo straordinario: BAE Systems ha guadagnato il 15%, Leonardo
il 16%, Thales il 16%, Rheinmetall il 14% e Saab il 12%. La prospettiva di una
pace in Ucraina, secondo gli analisti, potrebbe causare un temporaneo ribasso
anche brusco (fino a -20% sulle azioni delle aziende della difesa), ma le
politiche di riarmo degli stati, gli altri conflitti armati e le tensioni
internazionali tra le potenze mantengono alto l’interesse dei mercati finanziari
a investire nei titoli dell’industria aerospaziale e della difesa.
A fronte dello stratosferico aumento dei profitti delle multinazionali della
morte, la questione delle risorse da destinare alle spese militari impone la
drastica riduzione delle spese sociali e la raccolta di risorse nella grande
area del risparmio privato. Il Libro Bianco della Difesa parla chiaro: si
introduce un nuovo strumento finanziario dedicato a sostenere gli investimenti
degli stati membri dell’Unione nel settore della Difesa, Azione per l’Europa
(Safe), che servirà per elargire prestiti agli stati membri per un massimo di
150 miliardi di euro. Secondo i calcoli della Commissione europea i cittadini
del vecchio continente de- tengono una quantità significativa di risparmio, pari
a quasi il 15% del reddito disponibile (dati 2023). Ma il 31% del risparmio,
pari a 11.630 miliardi di euro (di cui 1.580 miliardi in Italia), è in contanti
e in depositi a basso rendimento.
Così, commenta la Commissione, «senza una maggiore partecipazione ai mercati dei
capitali, i cittadini Ue si lasciano sfuggire le opportunità di creare ricchezza
attraverso un possibile aumento dei rendimenti dei risparmi a lungo termine». I
risparmi vanno dunque indirizzati. E in questo momento l’Europa pensa a
spingerli verso l’industria delle armi e i sistemi di difesa. Si introduce
quindi un altro strumento, l’Unione del risparmio e degli investimenti (Siu) che
dovrebbe contribuire a convogliare ulteriori investimenti privati verso la
difesa. La Commissione europea sta progettando anche una serie di misure per
smuovere i risparmi bancari dei cittadini e indirizzarli verso fondi di
investimento e acquisto di azioni o obbligazioni nel campo dell’industria
bellica. Come ha segnalato l’agenzia Bloomberg, con l’aria che tira anche
parecchi fondi-pensione europei hanno deciso di rivedere le loro politiche di
esclusione dei produttori di armi dai possibili investimenti. Ad esempio, il più
grande fondo pensione europeo, Stichting Pensioenfonds ABP, che raccoglie i
contributi degli insegnanti olandesi e di altri settori dei lavoratori pubblici,
ha fatto sapere di avere già importanti investimenti nell’industria delle armi,
ma di essere pronto anche ad aumentarli in supporto al piano Ue.
Se dunque non si estenderà un movimento europeo di disarmo e diserzione e se non
si alimenteranno proteste popolari contro il riarmo, condividendo con le
tendenze contrarie alla corsa agli armamenti in Spagna, in Belgio e in
Slovacchia, strategie e pratiche di contrasto al warfare, sarà impossibile
mantenere aperti i già esigui spazi di agibilità politica di resistenza alle
micidiali tecnologie di governo planetario delle popolazioni.
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L'articolo Contro la guerra proviene da Comune-info.