In Memoriam: la fotografia contro il femminicidio

Pressenza - Monday, May 12, 2025

Ai Magazzini Fotografici di Napoli sabato 10 e domenica 11 maggio 2025 si è svolta una performance intensa, dura, necessaria. In Memoriam – Manifesto Visivo, ideato dal fotografo partenopeo Matteo Anatrella con il supporto del team di ANeMA Project, ha trasformato uno spazio espositivo in un luogo di commemorazione e denuncia. Decine di donne si sono alternate sul set per offrire il proprio volto e il proprio corpo a un’opera collettiva contro il femminicidio.

Chi ha partecipato sa che non si è trattato semplicemente di “posare”. L’esperienza ha toccato corde profonde, intime. Si entra in un luogo silenzioso. Si attende. Poi si viene guidate a terra, in un sacco scuro, occhi chiusi, mani che stringono un foglio con una frase e due date: la propria data di nascita e quella della morte di una vittima reale. Il corpo vivo diventa simbolo, diventa grido, diventa assenza. E quel momento breve ma denso diventa parte di un’opera più grande: un collage di fotografie stampate in tempo reale, che insieme formano una parete di volti e nomi, di carne e memoria.

È difficile restare indifferenti davanti a quella parete, perché ciascuna immagine racconta una storia che non è più lì per essere ascoltata. Perché ogni donna che ha prestato se stessa lo ha fatto per chi non può più farlo. Perché quella sequenza di corpi immobili parla più di tanti discorsi.

In Italia, nel solo 2024, sono state uccise 120 donne. Secondo i dati EURES, 100 di questi femminicidi sono avvenuti in contesto familiare o affettivo. Una donna ogni tre giorni, spesso per mano del partner o dell’ex. Un numero che si ripete da anni, senza che la coscienza collettiva riesca davvero a spezzare il ciclo della violenza. La cultura patriarcale, l’assenza di educazione affettiva e la scarsa protezione istituzionale contribuiscono a rendere strutturale un fenomeno che non dovrebbe più trovare posto in una società che si voglia definire civile.

Di fronte a questa realtà, l’arte può fare molto. Non basta, certo, ma può incidere, può svegliare, può smuovere. In Memoriam è un esempio concreto di come un linguaggio visivo possa diventare strumento di resistenza e memoria. L’opera non ha fini di lucro, non ha sponsor, né passerelle. È un’iniziativa indipendente, sostenuta solo dalla volontà di restituire visibilità a chi è stata cancellata.

Ogni partecipante sceglie di rendersi vulnerabile per un istante, di offrire la propria immagine come veicolo di un messaggio più grande. Dopo lo scatto, è la stessa donna a prendere la propria fotografia e ad appenderla al muro, tra le altre. Una sorta di rito laico che trasforma il dolore in presenza, la testimonianza in impegno. Un modo per dire: io non resto in silenzio. Un modo per ricordare che ogni femminicidio è un fallimento collettivo, ma che insieme, forse, possiamo ancora invertire la rotta.

Perché anche una fotografia può diventare un gesto politico. Perché ogni corpo steso su quel pavimento non rappresenta solo una morte, ma la volontà di trasformare la memoria in giustizia. E perché finché ci sarà qualcuno disposto a guardare e qualcuna disposta a esporsi quella voce, la voce delle donne, continuerà a farsi sentire.

Matteo Anatrella e il suo team si propongono di continuare questo viaggio appena iniziato. Un primo importante segnale è già arrivato dall’Accademia IUAD di Napoli, dove Anatrella insegna, che ha manifestato interesse ad accogliere un nuovo flash mob fotografico. L’idea è quella di portare In Memoriam in altri contesti significativi, scuole, università, centri culturali, ovunque ci sia uno spazio disponibile per accogliere un messaggio di rispetto, consapevolezza e responsabilità.

Quello di Anatrella non è solo un allestimento, ma un dispositivo di memoria e presenza, capace di trasformare l’arte in strumento di denuncia e partecipazione. In Memoriam non è un progetto da archiviare, ma un seme da far germogliare. E noi, con convinzione, auguriamo che possa trovare spazio, forza e alleanze per continuare a far parlare le immagini, perché il silenzio non sia mai più la norma.

 

Lucia Montanaro