Piccola arringa in difesa della letteratura
UN GRUPPO DI GIOVANI UNIVERSITARI NAZISTI NEL MAGGIO 1933 SACCHEGGIA UNA
LIBRERIA. PORTANO IL CAMION SULLA STRADA: VI BUTTANO DENTRO I LIBRI DECLAMANDONE
I TITOLI ALLA FOLLA CON ARIA DI SCHERNO. UNO DI QUESTI SI CHIAMA NIE WIEDER
KRIEG. MAI PIÙ GUERRA. È LA FOTOGRAFIA DEL MOMENTO ESATTO IN CUI IL NAZISMO SI
IMPONE. OGGI SIAMO TORNATI SU QUEL MARCIAPIEDE DI BERLINO, PIÙ O MENO NELLO
STESSO INCROCIO DELLA STORIA: L’INTELLIGENZA SI È DISSOCIATA DALLA COSCIENZA E
LA COSCIENZA SEMBRA DISINTEGRATA. “MA È QUESTA LA RAGION D’ESSERE DELLA
LETTERATURA E DELL’ARTE – DICE FABIO STASSI – IMPEDIRE LA DISINTEGRAZIONE DELLA
COSCIENZA, SCRIVEVA ELSA MORANTE… NON SONO I LIBRI A ESSERE PERICOLOSI, SONO I
LETTORI. PERCHÉ RAGIONANO CON LA LORO TESTA… È IL LETTORE IL VERO DETECTIVE E IL
VERO PROTAGONISTA DELLA LETTERATURA. NON ERA FORSE UN LETTORE DON CHISCIOTTE?…
QUEST’ESTATE HO VISTO UNA FOTOGRAFIA: UN GRUPPO DI CURDI, NEL NORD DELLA SIRIA,
AVEVANO ACCETTATO LA FINE DELLA LOTTA ARMATA E STAVANO GETTANDO DELLE ARMI IN
DEI GRANDI BRACIERI. BRUCIARE LE ARMI, NON I LIBRI. ABBANDONARE L’IDEA DEGLI
STATI NAZIONALI. APPARTENERE SOLTANTO ALLA LETTERATURA…”
Firenze, quartiere Le Piagge: biblioteca comunitaria “Ridare la parola” (pag.
fb)
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Gentili giurate e giurati, gentilissima corte, non pronuncerò in quest’aula di
tribunale un’arringa a sostegno di un libro, ma vorrei sviluppare con voi un
breve discorso in difesa della letteratura stessa. Ho una domanda da cui
partire: a quale letteratura appartengo, a quale letteratura apparteniamo?
È una domanda contundente, esplosa per me durante quel grande rogo esistenziale,
storico e politico che è stato la pandemia e che in gran parte la società e i
mezzi di informazione hanno cercato di rimuovere. Ma quel rogo ha determinato il
presente che stiamo vivendo. In quel periodo, molte cose sono andate a fuoco
nella mia vita, e nella vita di tutti. Ho perso alcuni affetti, una certa idea
di realtà, un’idea di letteratura. Ho capito che non avrei più potuto scrivere
con lo stesso inchiostro di prima. Né leggere, né ricordare. Ma, soprattutto, è
andata a fuoco la parola pace, la parola su cui questa parte di mondo,
l’Occidente, aveva costruito, a parte la tragedia delle guerre Jugoslave,
rimosse anche loro dalla coscienza collettiva, la nostra convivenza per oltre
settant’anni.
In quei giorni di Berlino del 1933 in cui si bruciavano i libri, a poche ore dal
rogo della notte del 10 maggio a Bebelplatz, un gruppo di giovani universitari
nazisti saccheggiò la libreria di un piccolo editore liberalpacifista. Portarono
il camion sulla strada. Vi buttarono dentro i libri declamandone i titoli alla
folla con aria di scherno. Uno di questi si chiamava Nie wieder Krieg. Mai più
guerra. Lo tennero con due dita, come un rettile, poi lo gettarono nel mucchio,
ridendo forte proprio mentre transitava dall’altro lato del marciapiede una
signora ben vestita. La passante si fermò a guardare e alla fine si mise a
ridere con loro e a ripetere: mai più guerra, che assurdità!
È la fotografia del momento esatto in cui il nazismo si impose. Prima di
bruciare quel libro, avevano già bruciato l’idea che conteneva, contagiato a
tutti l’assuefazione alla parola guerra e convinto quella signora che passava lì
per caso che un mondo costruito sulla pace fosse un’assurdità. Incenerendo anche
il libro, volevano cancellarla per sempre, quell’idea: che a nessun altro
venisse in mente, leggendolo, una follia del genere. Che nessuno potesse più
contestare l’uso dei gas o delle mine antiuomo, delle bombe a grappolo, dei
campi di concentramento, dei bombardamenti dall’alto e sui civili, delle bombe
atomiche.
È un episodio che non riesco a dimenticare. Ora che siamo nuovamente circondati
da uomini fatti di carattere e non di libri, come auspicava Goebbels, a
Bebelplatz, nell’ora degli inquisitori e delle streghe; ora che altri atti forti
e simbolici vengono comunicati al mondo per mostrare le proprie intenzioni; ora
che comprendiamo meglio l’affermazione di Alberto Moravia per cui il vero
vincitore della Seconda guerra mondiale era stato Adolf Hitler perché la sua
idea della soluzione finale si è affermata persino nella mentalità delle sue
vittime; ora siamo tornati su quel marciapiede di Berlino, nello stesso incrocio
della storia. E come esseri umani, come cittadini, come lettrici e lettori siamo
chiamati a una responsabilità. Sta a noi, adesso, prendere posizione. Opporci
all’“invasione dell’irrealtà” e provare a restituire l’integrità del reale.
Perché forse mai, nella storia dell’umanità, l’uomo ha vissuto in un tempo più
irreale e virtuale di quello in cui viviamo noi, un tempo senza più testimoni,
in cui l’intelligenza si è dissociata dalla coscienza, e la coscienza si è
disintegrata, si è disintegrato il diritto, si è disintegrata la realtà.
Ma è questa la ragion d’essere della letteratura e dell’arte. Impedire la
disintegrazione della coscienza, scriveva Elsa Morante. Ed è questa la
letteratura degenerata, marchiata da un marchio di infamia, a cui appartengo. È
la letteratura che ci ha trasmesso l’elogio della libertà, della gioia, della
risata, dell’amore, dell’amicizia; il cosmopolitismo mediterraneo e l’utopia di
una Costituzione Mondiale; l’anticolonialismo, l’antimperialismo e
l’antimilitarismo; l’antifascismo radicale; il rifiuto del patriarcato che sta
alla base di tutte le dittature.
C’è un filo che ci lega ai libri che abbiamo letto. E che li lega tra loro. La
letteratura è un’alleanza, una confederazione, una consegna. Ma perché non si
spezzi, questo filo, non bisogna stancarsi di riannodarlo, di ritrascrivere la
sua lista nera, nome per nome, idea per idea, libro per libro, di ripopolare la
biblioteca devastata e poi murata di don Chisciotte.
Così, accanto ai nomi degli messi al bando dai nazisti e dai fascisti (Pietro
Aretino, Emilio Salgari, Giuseppe Antonio Borgese, Ignazio Silone e Maria Volpi)
vorrei aggiungerne altri più recenti, anche se sono soltanto una piccola e
incompleta lista: Giuseppe Ungaretti, Emilio Lussu, Primo e Carlo Levi, Elio
Vittorini, Alba de Céspedes, Italo Calvino, Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Pier
Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Luciano Bianciardi, Gianni Rodari, Carlo
Cassola, che fondò la Lega per il disarmo unilaterale dell’Italia, e Aldo
Capitini, Danilo Dolci, Goffredo Fofi, Tiziano Terzani, Antonio Tabucchi…
Bebelplatz è ormai un luogo simbolico, che si rinnova ogni volta che sono messi
a tacere e censurati gli uomini fatti di libri – come noi, in quest’aula -, e
altre scrittrici, scrittori, poeti, questi esseri inermi sempre incarcerati
nella storia, torturati, fucilati. Per i poeti, la letteratura è “l’unica forma
di assicurazione morale di cui la società può disporre”, “l’antidoto permanente
alla legge della giungla”. Abita dal lato della devianza e della diversità. Non
ammette nessun vincolo con il potere, con nessun potere. È la protesta più
intransigente all’ordine omicida del mondo e a ogni forma di nazionalismo e di
conformismo.
Per questo è sempre stata perseguitata. Così diceva duemila anni fa il portavoce
dell’imperatore cinese: chiunque usi la storia – e intendeva la memoria, la
fantasia, l’immaginazione – per criticare il presente sarà giustiziato insieme
alla sua famiglia.
Chissà se avessero letto di più i nostri governanti, se davvero il mondo sarebbe
stato un luogo migliore. Non so se si tratta di un’illusione, ma ora che intorno
a noi sono tornate a risuonare le stesse parole d’ordine del passato recente e
remoto dobbiamo ricordarci che la lettura è un diritto e va difeso e che leggere
è un atto politico, un esercizio di responsabilità oltre che di amore. Ma è un
diritto che non è garantito dovunque. In molte parti del mondo, in Medio Oriente
come in qualche stato d’America, entrare in una biblioteca può essere
pericoloso. Ci sono polizie politiche che controllano il registro dei prestiti.
Che perquisiscono le case. In alcune circostanze, bisogna disfarsi dei propri
libri, ed è come amputarsi una parte del corpo. In definitiva, non sono i libri
a essere pericolosi, sono i lettori. Perché ragionano con la loro testa. Perché
usano il pensiero critico. Perché aprono sempre un’inchiesta intima e collettiva
quando leggono un libro o un romanzo. È il lettore il vero detective e il vero
protagonista della letteratura. Non era forse un lettore Don Chisciotte? Non
legge forse un libro Amleto, la prima scena in cui appare?
La letteratura, come diceva Antonio Tabucchi, ha gli stessi nemici di sempre,
gli stessi sicari. Ma nessuno è mai riuscito a zittirla. In Kenya, la polizia ha
emesso un mandato di cattura contro un personaggio di romanzo, credendolo una
persona in carne e ossa, per l’entusiasmo con cui i contadini si raccontavano
oralmente le sue avventure. Ma un personaggio di romanzo non lo si potrà mai
catturare. E se anche incenerissero tutti i libri e i nuovi Re dei Tarli – ogni
epoca ne incorona qualcuno – divorassero tutte le Biblioteche della terra, ci
sarà sempre un’altra scrittrice o scrittore a riprendere la voce e a difendere
la libertà di espressione e di parola.
Per tutto questo continuo a credere nell’utopia di una letteratura che abbia
ancora al centro il personaggio-uomo, e che sia libera e cosmopolita, sguardo
molteplice e senza gerarchie, senza confini, senza frontiere. A trattenere
l’idea di un socialismo liberale e internazionalista, di un umanesimo
mediterraneo, di una identità multipla. Ad avere fiducia nelle biblioteche come
luoghi extraterritoriali, simili alle ambasciate, alle chiese, luoghi che danno
ricovero a chi è o si sente in esilio, dove non serve nessun permesso di
soggiorno.
Quest’estate ho visto una fotografia: un gruppo di attivisti curdi, nel nord
della Siria, avevano accettato la fine della lotta armata e stavano gettando
delle armi in dei grandi bracieri. Bruciare le armi, non i libri. Abbandonare
l’idea degli Stati nazionali. Appartenere soltanto alla letteratura.
Ecco, forse la lettura e la letteratura non sono altro che questo: prendere in
consegna il lumicino della ragione da chi ci ha preceduto, evitare che cada
nelle mani di chi lo vuole estinguere, e farlo durare. È l’ultima candela che ci
è rimasta. La stessa con cui leggeva Mastro Geppetto nel ventre della balena o
Don Chisciotte nella sua stanza dei libri.
Di questo parlano i romanzi, dell’inadeguatezza dell’incantesimo in un mondo
senza incantesimo. Ed è con un ultimo deliberato atto di ottimismo che vorrei
salutarvi: soltanto attraverso la letteratura, la musica, il teatro, il cinema,
la danza, l’arte tutta, potremo continuare a custodire la speranza in un mondo
senza speranza.
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Tra gli ultimi libri di Fabio Stassi Bebelplatz. La notte dei libri bruciati e
Notturno francese, entrambi editi da Sellerio.
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> Imparare a pensare la speranza
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