
Educazione all’affettività e scelta nonviolenta
Comune-info - Saturday, November 22, 2025Ma come può essere possibile affrontare in profondità la questione dell’“educazione sessuoaffettiva”, cioè il modo con il quale costruiamo relazioni, accettando che si possano sostenere strategie che contemplino l’uso del dominio e della repressione di altri esseri umani nelle carceri, nei centri di detenzione per migranti, appoggiando guerre? Come possiamo immaginare di intraprendere strade diverse se non abbiamo chiaro che, proprio sul terreno educativo, molto discende da un sistema patriarcale che ha fatto da sottofondo a tante visioni del mondo? “Ecco il punto. Incamminarsi per la strada, pesante, difficile, piena di contraddizioni, della nonviolenza, anche su questo terreno, se vogliamo sperare che i conti possano almeno in parte tornare – scrive Mimmo Cortese, prendendo spunto da un intervento di Christian Raimo – Laddove le relazioni, che spesso bordeggiano tra l’urto e la deflagrazione, non prendono la forma della distruzione o del dominio su chi hai di fronte…”
Foto MòMò Murga di AndriaQualche giorno fa, Christian Raimo, ha scritto un post interessante sulla questione “educazione sessuoaffettiva”. Raimo mette al centro il desiderio e “tutto il casino che porta con sé” da quando si è piccoli adolescenti fino alla più tarda età. “Questo genere di questioni – dice Raimo – riguardano il ragazzino che si fa le seghe in classe perché non riesce a controllarsi, la storiella tra una ragazzina musulmana e il coatto con le famiglie dei due che vogliono fare una strage (…) la ragazzina che a 16 anni è innamorata del tipo che ce n’ha 22 e che è rimasta incinta e vuole lasciare la scuola e andare a vivere con lui, quello che si vuole ammazzare perché la ragazza l’ha mollato (…) il prof che fa i complimenti alle sue studentesse 15enni quando si mettono scollate, il ragazzino brufoloso e isolato che non se lo fila nessuno e che da quando si è dichiarato a una sua compagna viene trattato come la merda da tutti…”.
Non mi capita molto spesso di essere d’accordo con le posizioni di Raimo. Tuttavia questo testo mette al centro i nodi veri della questione. Sono le contraddizioni con le quali non solo i bacchettoni fasciobigotti e oltranzisti di questo governo non vogliono misurarsi affatto ma che anche un pezzo di mondo laico, riformista, progressista, di sinistra (radicale o moderata che sia) affronta raramente, entrandovi nel cuore.
Per ognuna delle situazioni srotolate da Raimo l’esito, il bivio, a un certo punto, è sempre quello: come mettersi in relazione con chi ti sta accanto, con chi hai di fronte, in particolare quando si manifestano attrazione, o repulsione, per le azioni, le scelte, i comportamenti di queste persone. Quando, e perché, scattano (con l’acclarata e indiscutibile preminenza nei maschi) la spavalderia, o la coercizione, l’imposizione. E, dall’altro lato, come reagire ai tentativi di sottomissione, di annientamento, di annichilimento. Con una violenza maggiore, rinunciando, soccombendo, oppure in altri modi?
Il confine tra fare la cosa giusta e quella sbagliata è molto spesso un foglio trasparente di carta velina, e può bastare un nonnulla per lacerarla, oltrepassando quella soglia tra noi e l’altro, violando corpi e fragili trame di esistenze. Spessissimo, proprio stare nell’incertezza, nella contraddizione, appesi per una manica a un ramo traballante, caduchi sopra il vuoto, può farci individuare punti d’appiglio, possibilità inimmaginate, forze ed energie nascoste. Ma come può essere possibile anche solo abbozzare una questione così importante se accettiamo che si possano sostenere strategie che contemplino l’uso del dominio, della repressione e della sopraffazione verso altri esseri umani, dai luoghi vicini – carceri, centri di detenzione per migranti, oppure nella propaganda armata dei nostri militari nelle scuole di ogni ordine e grado – fino al sostegno politico, economico e militare di qualsivoglia causa che abbia scelto le armi e la guerra per imporsi o per difendersi uccidendo, terrorizzando?
Come potremo mai essere credibili agli occhi di quei ragazzi e quelle ragazze se pensiamo e sosteniamo che la violenza, la sopraffazione, l’assassinio – singolo o generalizzato che sia – siano pratiche in qualche misura possibili. Dicendo magari loro che noi, comunque, distribuiremo eventualmente violenza… con parsimonia, con moderazione, picchieremo e assassineremo meno di quanto non facciano i cattivi di turno, solo un pochino, solo per il tempo necessario, solo per una giusta causa.
Come possiamo immaginare di intraprendere strade diverse se non abbiamo chiaro che, proprio sul terreno educativo, molto discende da un sistema patriarcale che ha fatto da sottofondo e da trasversale fondamento a visioni del mondo, culti, religioni, filosofie, ideologie e soprattutto concezioni del potere e dell’azione politica di una parte enorme dell’umanità nella sua storia. Che le rotture di questa terrificante e secolare temperie sono avvenute principalmente per l’elaborazione teorica e pratica di una grande parte del femminismo e del lungo cammino percorso dall’azione e dalla lotta nonviolenta.
Ecco il punto. Incamminarsi per la strada, pesante, difficile, piena di contraddizioni, della nonviolenza, anche su questo terreno, se vogliamo sperare che i conti possano almeno in parte tornare. Laddove le relazioni, che spesso bordeggiano tra l’urto e la deflagrazione, non prendono la forma della distruzione o del dominio su chi hai di fronte, su chi è diverso da te, sulla persona che la tua immaginazione travolge nel desiderio ma trovano un terreno comune, condiviso, nel quale riconoscersi, come ad esempio ha illustrato tutto il lavoro e la ricerca di studiose come Pat Patfoort. Conflitti che, per questa via, diventano motore autentico di trasformazione. Laddove anche il linguaggio – un ambito e uno strumento fondamentale nella vita de3 ragazz3, luogo, per loro, di creatività, rinnovamento e metamorfismo – non può essere piegato alla propaganda del bellicismo blustellato neonazionalista e neoliberista, all’ipocrisia degli intellettuali e giornalisti demoprogressisti che, gli uni e gli altri insieme, scientemente fanno – vergognosamente – della parola protezione sinonimo di scelta armata e militare, della parola forza sinonimo di guerra, della parola diplomazia sinonimo di vassallaggio. Un linguaggio distorto, vile e menzognero. Dimenticando, oscurando, che protezione significa cura, rimanda all’atto del coprire, del custodire, del salvaguardare persone e cose importanti, significative: atti impossibili da immaginare attraverso l’uso di bombe, fucili, cacciabombardieri, droni assassini; che diplomazia vuol dire tessere possibilità, parlare, ascoltare, trovare soluzioni, impegnarsi nella stesura di documenti da condividere, di testi preziosi per incardinare il futuro, di “diplomi”, giustappunto, non accettare, per convenienza propria, o anche solo per pavidità, i dettati del prepotente di turno, o di piegarsi al volere del monarca; che infine la parola forza, la più deformata e stravolta, definisce l’azione trasformativa, creativa e produttiva – una delle più importanti in mano all’umanità, dalle braccia che hanno lavorato la terra, fin dai primordi, alla capacità singola e collettiva di cambiare il mondo, di lottare, di generare condivisa prosperità e bellezza – viene vilipesa e piegata quotidianamente, brutalmente traslitterata in quel “passeremo all’uso della forza” che nella più svellata e impudente menzogna e ipocrisia vorrebbe darle l’inaccettabile significato – ordinario e sottinteso – di violenza, atrocità e sopraffazione, quale è ogni scelta repressiva, militare, ogni avventura armata, ogni guerra.
È quindi del tutto conseguente, se ammettiamo, già in premessa – nelle nostre scelte personali e politiche, nel nostro linguaggio, nelle nostre azioni quotidiane – che violare esseri umani, anche solo in certe situazioni, è un’opzione possibile, che su questa strada nessuna educazione, né sessuale, né affettiva, né sentimentale potrà mai sussistere e avere una possibilità e le nostre parole, in particolar modo quelle scambiate con le giovani generazioni, saranno solo un vociare vuoto, indistinto, senza significato.
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