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#stopthegenocideingaza🇵🇸 mLa forza della #nonviolenza - Cantare "Bella Ciao" mentre le forze speciali assaltano l'imbarcazione umanitaria #Handala di #FreedomFlotilla. Dramatic Moment Israel Hijacks Gaza-Bound Ship-Activists 'Clash' https://www.youtube.com/watch?v=fdsmfV6zAlg
Il ruggito silenzioso: rivoluzione psico-sociale e sottile potere della generazione Z – Ridisegnare la leadership filippina
Le elezioni filippine recentemente concluse lo scorso 2025 maggio hanno svelato una sottile ma profonda rivoluzione psico-sociale, particolarmente evidente nei modelli di voto della Generazione Z e degli elettori affini di altre fasce demografiche. Al di là della politica tradizionale e dei consensi delle celebrità, una nuova specie di elettori, impregnati di fluidità digitale e desiderosi di un vero cambiamento, sembra orientarsi verso leader definiti da integrità, autenticità e visione trasformativa. Questa “rivoluzione psicosociale” rappresenta un cambiamento più profondo nella coscienza collettiva dell’elettorato. Si tratta di un’evoluzione da un’accettazione potenzialmente passiva delle narrazioni politiche tradizionali a una richiesta attiva e informata di una governance etica. La generazione Z, spesso caratterizzata dalla capacità digitale, dall’accesso istantaneo alle informazioni e da uno spiccato senso di giustizia sociale, non si limita a votare, ma è assetata di leader autentici, al servizio della gente e trasformatori. Mostrano una bassa tolleranza per la corruzione e un elevato apprezzamento per la trasparenza, l’impegno diretto e l’impatto tangibile. Il loro scetticismo nei confronti delle dinastie politiche consolidate e dei sistemi clientelari convenzionali è una caratteristica distintiva, che li spinge a cercare individui che incarnino realmente il servizio pubblico. Questo approccio perspicace si è visibilmente riflesso nel forte sostegno raccolto da figure come il pluripremiato sindaco di Pasig City Victor Ma. Regis N. Sotto, soprannominato “Vico” Sotto. Il suo impegno per il buon governo e la trasparenza gli è valso persino il riconoscimento del Dipartimento di Stato americano, che lo ha nominato tra i Campioni Internazionali Anticorruzione nel 2021. Il suo mandato, caratterizzato da una governance trasparente, da programmi sociali innovativi e da una chiara posizione anti-corruzione, risuona profondamente con una generazione che dà più valore alla sostanza che alla retorica. Allo stesso modo, il fervente sostegno a leader come l’ex vicepresidente Leni Robredo, la cui campagna elettorale ha posto l’accento sul volontariato, sui movimenti di base e su un’esperienza di integrità e servizio, la dice lunga sulle aspirazioni della generazione Z. Questi leader, a prescindere dai risultati elettorali finali, incarnano proprio le qualità – onestà, competenza e una mentalità progressista – che questa generazione considera prioritarie. Le loro scelte segnano un allontanamento dai modelli di voto storici, spesso influenzati da culti della personalità o da apparati politici radicati. Al contrario, la generazione Z sfrutta i social media non solo per l’intrattenimento, ma come strumento critico per il discorso politico, la verifica dei fatti e la costruzione di comunità attorno a valori condivisi. Questo attivismo digitale si traduce in una richiesta di responsabilità che trascende i filtri dei media tradizionali. L’impatto di questo risveglio psicosociale è di vasta portata. Sfida i futuri aspiranti politici a riflettere realmente sulle loro piattaforme, sui loro precedenti e sul loro impegno per un servizio pubblico senza macchia. Suggerisce che è in atto un cambiamento a lungo termine, in cui la vera leadership non si misura con la ricchezza o il lignaggio, ma con la capacità di ispirare fiducia, di fornire soluzioni trasformative e di impegnarsi in un percorso etico per il progresso della nazione. Mentre la Generazione Z continua a maturare fino a diventare un gruppo demografico dominante, il suo panorama psicosociale in evoluzione promette di essere una forza costante per le riforme, costringendo l’arena politica a innovare e adattarsi per un futuro più responsabile e progressista. Condivisione durante la 3. assemblea del Forum Umanista, 19 luglio 2025 Tavolo tematico – Rivoluzioni psicosociali e spirituali   Pressenza Philippines
La legge del più forte?
Assistiamo sempre più a eventi dove il Diritto Internazionale risulta sempre più bistrattato e calpestato nella lettera e nella sostanza. Gli ultimi esempi contro le Nazioni Unite, l’attacco a Francesca Albanese, il sequestro in acque internazionali degli aiuti umanitari della Freedom Flottilla sono solo la deriva e gli ultimi episodi di una situazione dove i potenti dicono con chiarezza e spregiudicatezza: “vale la legge del più forte”. E’ una condizione in cui ci vogliono far sentire impotenti tale è la disparità tra le potenze militari ed economiche messe in campo e l’azione del comune cittadino, ma anche del singolo movimento o partito e, perfino, del singolo stato o istituzione internazionale. Sono chiari alcuni temi che diciamo da tempo con la Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza: serve una riforma democratica e partecipativa dell’ONU, servono Consigli di Sicurezza tematici che abbiamo potere reale sui governi e che riconquistino autorevolezza e capacità di regolare i conflitti internazionali. Ma avvertiamo anche l’esigenza di mediatori. Dove sono finiti i mediatori che caratterizzarono alcune risoluzioni di conflitti nella seconda metà del secolo scorso? Se per negoziare sui dazi con Trump dobbiamo affidarci alla Meloni e per portare a un tavolo di trattative Putin speriamo in Erdogan significa che siamo messi abbastanza male. Il mondo è decisamente in crisi e la crisi fa nascere cose che credevamo appartenessero al passato e fossero risolte. La nonviolenza insegna che le cose sono risolte quando sono accettate, comprese e superate; si tratta di un processo lungo e complesso, non è sempre un processo lineare perché la mente è abbastanza brava ad ingannare sé stessa. Questo processo non riguarda solo le persone ma anche gli insiemi umani, le società. La verità è che non stiamo riflettendo sulla violenza. La legge del più forte torna qui ben presente come possibile risoluzione dei conflitti; sta qui ed è prima del Codice di Ammurabi, prima del Diritto Latino, prima del Common Law, prima della Magna Charta, molto prima della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ma se torniamo a quel prima per quale motivo abbiamo costruito le Leggi, il Diritto Internazionale, l’ONU e l’idea di una civile convivenza tra i popoli? L’Umanità da tempo ha elaborato forme più intelligenti e morali di risoluzione dei conflitti. Lo ha fatto fin dai tempi antichi, tra i popoli e le culture che hanno praticato la compassione, la solidarietà, l’Ubuntu, la Regola d’Oro. Se torniamo alla legge del più forte cancelliamo tutto il processo evolutivo: che senso avrebbe la Legge, lo Stato, la Giustizia, la Democrazie, la Convivenza se in ultima analisi chi ha la forza (economica, militare, politica) decide nonostante tutto? Pat Patfoort suggerisce che la risoluzione di un conflitto debba avvalersi di una ricerca sui fondamenti su cui quel conflitto è basato, cioè sulle questioni fondanti, culturali, esperenziali di quel conflitto, sulle credenze che alimentano quel conflitto. Alcune amiche dei Combattenti per la Pace mi dicevano tempo fa che la comune esperienza che riscontrano nei loro lavori di CNV con israeliani e palestinesi è la paura; e la loro sensazione è che sia la paura il principale sentimento che giustifica la violenza. Però al tempo stesso la paura può essere l’elemento comune che porta queste due martoriate società a convivere. Così come il lutto di aver perso un parente stretto è il legame, il fondamento, delle esperienze di riconciliazione di Parent Circle. Perché un’altra verità ci dice che la legge del più forte può sembrare efficace ma anche chi la esercita sa, nel profondo del suo cuore, che non è la soluzione giusta. Quindi in questo momento storico è della massima importanza comprendere l’incompleta evoluzione storica verso la giustizia, verso la valorizzazione di ogni singolo essere umano; incompleta ma profondamente necessaria. E questa necessità comporta un’azione esterna verso la verità, la giustizia, la riconciliazione, la nonviolenza e una contemporanea azione interna, per ognuno di noi per riconoscere, comprendere, accettare e trasformare tutta la violenza, tutto il pre-giudizio che è dentro di noi e fuori di noi. Olivier Turquet
Viaggio attraverso quattro cerimonie commemorative nelle Pagode della Pace di Comiso, Londra, Milton Keynes e Vienna
PREGHIERE EREDITATE PER LA PACE: LE COMUNITÀ NIPPONZAN MYÔHÔJI RADICATE NELLA CRISTIANITÀ. Il 21 giugno è stata solennemente condotta la grande cerimonia commemorativa del 40° anniversario della Pagoda della Pace di Londra, seguita dalla cerimonia del 45° anniversario della Pagoda della Pace di Milton Keynes il 22. Dopo un intervallo di una settimana, la cerimonia del 42° anniversario della Pagoda della Pace di Vienna si è tenuta il 29, e infine, la cerimonia del 27° anniversario della Pagoda della Pace di Comiso ha avuto luogo la prima domenica di luglio, il 6. Qui alcune foto delle cerimonie: The poster of the 27th anniversary ceremony of Comiso Peace Pagoda The Cultural Program at Milton Keynes Peace Pagoda . The scattered flower petals dancing down from Vienna Peace Pagoda. Turi Vaccaro performing the flute at the 27th anniversay ceremony of Comiso Peace Pagoda. Florishing at the Vienna ceremony Chanting at the sunrise at the Comiso Peace Pagoda La grande cerimonia commemorativa del 40° anniversario della Pagoda della Pace di Londra ha attirato monaci e monache distinti da tutto il mondo. È stata condotta in condizioni meteorologiche ideali, con nuvole sottili che fornivano ombra naturale dal sole ardente. Londra quest’anno è stata benedetta da un clima insolitamente mite, tanto che non abbiamo avuto bisogno delle giacche che avevamo portato. Il prato intorno alla Pagoda della Pace nel Battersea Park era pieno di persone che si godevano il sole, creando una scena pacifica. Il giorno della cerimonia, il cielo sembrava rispondere alle nostre preghiere coprendoci con nuvole sottili che servivano come protezione solare naturale. Quella mattina, la marcia interreligiosa per la pace guidata da Bhikkhu Kamoshita, che era partita da Trafalgar Square verso la Pagoda della Pace, arrivò come previsto senza essere esposta alla luce solare intensa. SINCRONIA SACRA ATTRAVERSO TRE SETTIMANE Il ritmo delle cerimonie attraverso varie località europee in tre settimane procedeva vivacemente come il battito dei tamburi Nipponzan. Quando la cerimonia di Comiso si concluse, sembrava che le tre settimane fossero passate in un istante. Il giorno della cerimonia della Pagoda della Pace di Comiso, mentre decoravamo l’altare, offrivamo fiori al sancta sanctorum e alzavamo lo stendardo del daimoku sulle ringhiere della Pagoda, accadde qualcosa di misterioso: la scena di Londra di due settimane prima si sovrappose vividamente davanti ai nostri occhi. La solennità del momento quando la marcia interreligiosa per la pace arrivò e lo stendardo viola del daimoku fu installato sulle ringhiere sembrava essere risorta a Comiso, trascendendo tempo e spazio. Sperimentammo un senso inspiegabile di unità, come se la stessa cerimonia fosse stata ripetutamente condotta in luoghi diversi. COOPERAZIONE INTERRELIGIOSA A MILTON KEYNES La Pagoda della Pace di Milton Keynes è a circa 200 metri di distanza se cammini dritto dal tempio, ma poiché devi attraversare una piccola collina, l’altare viene assemblato davanti al tempio, caricato su un carrello, e trasportato con un camion lungo una strada asfaltata che gira intorno. La mattina della cerimonia, i devoti Sai Baba locali che portarono il camion caricarono abilmente l’altare e lo scaricarono davanti alla Pagoda della Pace, allineandolo attentamente per farlo guardare in avanti. Poi passarono al trasporto delle 200 sedie pieghevoli dal deposito dietro il tempio. Mentre i bhikkhu e le bhikkhuni stavano decorando l’altare e la piattaforma della cerimonia, finirono di disporre le 200 sedie attraverso il trasporto navetta e partirono prontamente. DALLA CERIMONIA ALLA SERENITÀ A VIENNA La Pagoda della Pace di Vienna si erge direttamente davanti al tempio, ma le sedie sono conservate in soffitta, rendendo la loro rimozione e conservazione laboriosa. La pulizia comporta lo smantellamento e l’organizzazione dei pali delle bandiere rosse e bianche e della piattaforma della cerimonia, rendendo questo un compito pomeridiano che richiede tempo. Quest’anno, giovani uomini locali che occasionalmente partecipavano ai servizi mattutini e serali gareggiarono per salire in soffitta e organizzare le sedie che venivano passate su. Inoltre, i sostenitori locali che rimasero fino alla fine del programma culturale aiutarono a portare i materiali di legno smantellati sul retro del tempio. Quelli non adatti per il lavoro pesante raccolsero i petali di fiori sparsi che avevano danzato giù dalla Pagoda della Pace, e in quello che sembrava un istante, la Pagoda della Pace bianca tornò al suo aspetto abituale di stare tranquillamente vicino al Danubio, come se la grande cerimonia non avesse mai avuto luogo. COMISO: DOVE VIVE LA STORIA Attraverso queste cerimonie in varie località europee, sentiamo come passato e presente siano profondamente connessi. Particolarmente alla cerimonia di Comiso di quest’anno, potevamo sentire che le preghiere per la pace che iniziarono oltre 40 anni fa continuano a essere tramandate attraverso le generazioni. La Pagoda della Pace di Comiso, che può essere magnificamente vista dai finestrini degli aerei in cima a una collina quando si atterra all’aeroporto di Comiso, ha una storia profonda scolpita in questa terra. L’aeroporto di Comiso fu costruito durante la Seconda Guerra Mondiale dal regime fascista d’Italia e usato come base per bombardieri delle forze dell’Asse contro gli Alleati. Dopo la guerra, fu usato come aeroporto commerciale dall’Alitalia, ma durante la Guerra Fredda nel 1981, fu designato dalla NATO come la più grande base europea di missili balistici a raggio intermedio nucleari. Nel 1982, furono installati 112 moderni missili da crociera lanciati da terra BGM-109G (derivati terrestri del Tomahawk SLCM), e l’Aeronautica degli Stati Uniti fu dispiegata nel 1983. Ogni missile aveva molte volte il potere distruttivo delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki, con una gittata che includeva Mosca—queste erano le armi più avanzate dell’epoca. Si diceva che i 112 missili della base di Comiso potevano trasformare tutta l’Europa in una terra bruciata. SEMI DI PACE NELL’OMBRA NUCLEARE In mezzo a questa tensione militare, iniziarono gli sforzi per la pace di Bhikkhu Morishita. Dopo il Raduno per la Pace di Un Milione di New York nel giugno 1982, Bhikkhu Morishita, insieme a Bhikkhuni Maruta e alla signora Nara (una donna inglese che era bhikkhuni all’epoca), condusse un pellegrinaggio a piedi attraverso l’Italia e la Sicilia, formando amicizie con attivisti per la pace locali. Nel 1983, rispondendo a una richiesta di Alberto L’Abate, professore di resistenza nonviolenta all’Università di Firenze e figura centrale nel movimento anti-base missilistica di Comiso, entrarono a Comiso. Bhikkhu Morishita iniziò ad accamparsi su terreno pianeggiante accanto all’ingresso della base, conducendo meditazione di preghiera seduta e pratica di strada, mentre continuava a viaggiare dalla Sicilia a conferenze internazionali inclusi vertici di nazioni avanzate in tutta Italia per le preghiere per l’abolizione della base di Comiso. Riferiscono che viaggiava sempre in autostop. Alla marcia antinucleare di Roma di 500.000 persone quello stesso anno, guidò la processione battendo tamburi proprio in prima fila, diventando una figura simbolica del movimento anti-base di Comiso. Poi nel 1985, quando il proprietario terriero della fattoria davanti alla base donò terra per il movimento di opposizione, fu stabilito il campo per la pace: Verde Vigna. Bhikkhu Morishita costruì uno stupa di pietra all’interno dei terreni e iniziò a vivere insieme ad altri attivisti. Da qui, fu stabilita la fondazione per attività di pace radicate nella comunità che continua fino ad oggi. PONTI VIVENTI: PASSATO E PRESENTE UNITI A questa cerimonia 40 anni dopo, abbiamo assistito in prima persona all’eredità di questa storia. Le preghiere per la pace stanno per essere ereditate da nuove generazioni. Il comitato della Pagoda della Pace di Comiso stava conducendo un congresso di quattro giorni chiamato “Forme di Nonviolenza Creativa” in congiunzione con la cerimonia di Comiso. Turi Vaccaro stava disponendo sedie per il luogo del congresso insieme ad Alfonso Navarra, un compagno dell’era fondatrice di Verde Vigna. Insieme ad attivisti per la pace recentemente uniti, stavano trasmettendo queste presentazioni sui diritti dell’obiezione di coscienza nel caso in cui il servizio militare fosse reintrodotto in Italia e l’importanza dei movimenti di disarmo guidati dai cittadini attraverso radio locale e internet. Gli sforzi per la pace che iniziarono con la resistenza ai missili nucleari stanno essendo ereditati in nuove forme che affrontano questioni contemporanee. BODHISATTVA EMERGENTI DALLA TERRA IN AZIONE Tali scene furono ripetutamente osservate. Che si trattasse di riordinare i legnami della piattaforma a Vienna o smantellare le strutture parasole a Comiso, numerosi compiti che in alcuni anni si estendevano al giorno dopo le cerimonie furono completati in un istante attraverso la cooperazione di molte persone, indipendentemente dall’età o dal sesso, come se guidati da mani invisibili. Era come se bodhisattva emergenti dalla terra apparissero al momento giusto, prestando generosamente il loro potere compassionevole. Guardando indietro a tutti questi eventi, tutto sembra avere un significato oltre la mera coincidenza. Questo potrebbe essere prova che il potere misterioso della natura del Dharma ha unito le cerimonie commemorative delle Pagode della Pace in tutta Europa, facendo risuonare le preghiere per la pace nei cuori delle persone attraverso tempo e spazio. Queste preghiere ereditate per la pace continueranno nel futuro. Nel 2028, la Pagoda della Pace di Vienna raggiungerà il suo 45° anniversario e la Pagoda della Pace di Comiso il suo 30° anniversario, segnando nuove pietre miliari con aspettative per un’ulteriore espansione delle connessioni del dharma. SAGGEZZA PER IL FLUSSO CORRENTE Bhikkhu Masunaga diede il seguente prezioso insegnamento durante il servizio serale il giorno prima della cerimonia di Comiso: “Nipponzan non dovrebbe parlare di ‘il mio tempio’ o ‘il tempio di qualcun altro.’ Essere Nipponzan significa dare tutto noi stessi per aiutare con le cerimonie a cui ci è permesso partecipare. Facendo così, ogni singolo bhikkhu e bhikkhuni di Nipponzan appare non come rocce separate ma come acqua in un flusso corrente, muovendosi verso un unico scopo. Il canto del daimoku di ognuno di noi, che gradualmente divenne potentemente unificato in risposta durante i servizi mattutini e serali condotti attraverso le località europee in tre settimane iniziando con i preparativi per la cerimonia commemorativa del 40° anniversario della Pagoda della Pace di Londra, sono fiducioso sia un segno auspicioso per futuri servizi buddisti di Nipponzan.” di Mitsutake Ikeda -------------------------------------------------------------------------------- L’autore:  Mitsutake Ikeda ha conseguito una laurea triennale in Studi internazionali e regionali presso l’Università della California, Berkeley nel 2007, e un Master of Arts in Studi di traduzione presso l’Università di Coimbra nel 2017. È membro collaboratore dell’Unidade de Investigação & Desenvolvimento “Instituto de Estudos Filosóficos” (IEF) e dottorando in Filosofia presso l’Università di Coimbra. Pressenza IPA
Disobbedienza civile contro il riarmo
Un demone si aggira per l’Europa e per il mondo: il demone del riarmo. Per volontà della Commissione europea (senza passare per l’Europarlamento), la Ue ha deciso di investire 800 miliardi di euro in armi. Non solo, al vertice Nato dell’Aja a fine giugno, il segretario generale Rutte ha chiesto ai 27 paesi membri di passare dal 2% del pil al 5% per la difesa, entro il 2035. La Spagna di Sanchez ha subito annunciato che non poteva accettare quell’imposizione, mentre l’Italia di Meloni ha subito chinato il capo, come china il capo alle decisioni di Trump di inviare milioni in armi all’Ucraina che «pagheranno loro» (vale a dire noi) e il guadagno sarà un maxi dividendo in primis per gli Usa e poi per l’Europa. Intanto sborseremo col 5% del Pil ben 113 miliardi di euro all’anno in difesa. Siamo alla follia! Ha vinto il demone della guerra. Non solo, i ministri dell’economia Ue che compongono il Consiglio dei governatori della Banca europea, hanno deciso di stanziare per le armi una somma record, fino a 100 miliardi di euro per il 2025. A peggiorare il quadro, il Segretario della Nato Rutte ha anche chiesto di rafforzare del 400% la difesa aerea e missilistica contro la Russia, perché secondo lui ci sarà un attacco di Putin contro la Ue entro cinque anni. Infatti una Germania sempre più bellicosa sta già arruolando 60.000 nuovi soldati e costruendo l’Eurodrome (pesa tonnellate), prodotto da Airbus. Per questi progetti la Germania ha già investito 7 miliardi di euro. Gli Usa stanno già costruendo il loro Goldendome, che prevede uno scudo missilistico orbitale. Il costo previsto si aggira attorno ai 175 miliardi di dollari. Questo potrebbe portare Cina e Russia a costruire arsenali ancora più sofisticati. È l’escalation mondiale al riarmo. Secondo i dati ufficiali del Consiglio Europeo, dal 2014 al 2024, le spese militari e quelle specifiche in armamenti nei paesi Ue sono aumentate rispettivamente dal 121% al 325%. È sempre più evidente che il complesso militar-industriale Ue sta determinando l’agenda e i contenuti della politica estera dell’Unione europea. Ma quello che impressiona di più sono gli enormi investimenti nel nucleare. È la bomba atomica la più grave minaccia che pesa sulle nostre teste e sullo stesso pianeta Terra. Si tratta di circa 100.000 nuove bombe atomiche teleguidate presenti in cinque paesi della Nato: Belgio, Olanda, Germania, Italia e Turchia. Con grande coraggio negli anni Ottanta il noto arcivescovo di Seattle, Raymond Hunthousen, affermava: «Penso che l’insegnamento di Gesù ci chieda di rendere a Cesare, munito di armi nucleari, quello che si merita: il rifiuto delle imposte e di cominciare a dare solo a Dio quella fiducia completa che adesso riponiamo, tramite i dollari delle nostre imposte, in una forma demoniaca di potere. Alcuni chiamerebbero questa “disobbedienza civile”, io preferisco chiamarla “obbedienza a Dio’». È quanto sosteneva anche un altro profeta di pace, il gesuita Daniel Berrigan, che ha animato il grande movimento Usa contro la guerra in Vietnam: «Gridiamo pace, urliamo pace, ma non c’è pace: Non c’è pace perché non ci sono costruttori di pace, perché fare pace costa altrettanto come fare guerra – almeno è altrettanto esigente, altrettanto dirompente ed altrettanto capace di produrre disonore, prigione e morte». Berrigan si è fatto almeno quattro anni nelle prigioni statunitensi. Anche il vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro, che tanto si è impegnato per la pace, ha recentemente scritto un appello in cui afferma che «oggi è improrogabile manifestare per la pace a ogni costo, fino alla pratica inevitabile della disobbedienza civile». Non lasciamo nel dimenticatoio le parole di papa Leone che denuncia il riarmo come «propaganda di guerra» e che ricorda come le popolazioni «non sanno» quanto quest’immenso investimento potrebbe essere utile ai servizi sociali. Il mio è un appello a tutto il vasto movimento italiano per la pace, perché possa ritrovarsi in assemblea e decidere insieme quale via e quali mezzi non violenti scegliere per ottenere pace in un momento così grave della storia umana. Non bastano più gli appelli e le manifestazioni, dobbiamo rispolverare tutte le obiezioni di coscienza per mettere in crisi questo sistema di morte che ci sta portando alla rovina. Tutti i costruttori di pace di ascoltino questi profeti di pace, in un momento così grave della storia umana. La palla è nelle nostre mani. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato anche sul manifesto -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Disobbedienza civile contro il riarmo proviene da Comune-info.
L’umanità e il nucleare: come prevenire l’apocalisse
Siamo l’umanità che ama e che pensa e che ragiona e che sogna e non possiamo permettere di estinguerci con l’energia nucleare. L’umanità ha sempre avuto la capacità di amare, pensare, ragionare e sognare. La preoccupazione per il futuro dell’umanità e il desiderio di proteggerla sono sentimenti comuni. L’energia nucleare è vista come una risorsa controversa, ma esistono anche molte altre fonti energetiche sostenibili che potrebbero aiutare a ridurre la dipendenza da queste fonti radioattive inquinanti e rischiose. Cosa può essere fatto per promuovere un futuro più sostenibile per l’umanità? Come sostiene l’astrofisica Margherita Hack forse non siamo gli unici esseri viventi e senzienti nelle miliardi di galassie in tutto l’universo. Ma non per questo dobbiamo avere la facoltà e l’intento assurdo e criminale di estinguerci. Anzi dobbiamo tentare di conoscere altre forme di vita su altri pianeti. Margherita Hack era un’astrofisica italiana nota per le sue ricerche sulla spettroscopia stellare e per la sua capacità di divulgare la scienza in modo accessibile e affascinante. La sua ipotesi sulla possibilità di vita extraterrestre è condivisa da molti scienziati e teorici, che ritengono che l’universo sia così vasto e variegato da rendere plausibile l’esistenza di altre forme di vita. Questa idea si basa su diversi punti tra cui la vastità dell’universo con miliardi di galassie, ognuna contenente miliardi di stelle e le possibilità di trovare pianeti abitabili sono considerevoli. Tramite la scoperta di esopianeti negli ultimi anni, sono stati scoperti numerosi pianeti, alcuni dei quali si trovano nella “zona abitabile” delle loro stelle, dove le condizioni potrebbero essere adatte alla vita come la conosciamo. E ancora la presenza di molecole organiche secondo cui alcune molecole viventi, come gli aminoacidi, sono state trovate in meteoriti e nello spazio interstellare, suggerendo che i mattoni fondamentali della vita potrebbero essere comuni nell’universo. Tuttavia, nonostante queste considerazioni, non abbiamo ancora trovato prove definitive dell’esistenza di vita extraterrestre. La ricerca continua, e molti scienziati ritengono che la scoperta di vita extraterrestre potrebbe essere uno dei più grandi progressi scientifici del nostro tempo. Come esseri umani dobbiamo, in qualità di pacifisti e di appartenenti al mondo nonviolento e pacifista, ossia di soggetti che vogliono la pace e salvarci, evitare e sventare l’apocalisse nucleare che può verificarsi anche per un errore informatico e dell’intelligenza artificiale e distruggere così in un soffio la nostra forma di vita sulla terra. Come esseri umani, abbiamo la responsabilità di lavorare insieme per prevenire l’apocalisse nucleare e promuovere la pace mondiale, con il tramite di alcune strategie che potrebbero aiutare nella riduzione degli arsenali nucleari. I paesi che possiedono armi nucleari dovrebbero lavorare per ridurre i loro arsenali e implementare misure di controllo più rigorose. Anche attraverso la diplomazia e il dialogo. La diplomazia e il dialogo tra le nazioni possono aiutare a risolvere i conflitti in modo pacifico e a prevenire l’escalation delle tensioni, con lo sviluppo di tecnologie sicure. Infatti è fondamentale sviluppare tecnologie sicure e affidabili per eliminare i sistemi nucleari e prevenire errori informatici o di intelligenza artificiale. Sono necessarie, anche a partire dagli istituti scolastici di tutti gli ordini e gradi, l’educazione e la consapevolezza, quindi educare le persone sui rischi dell’apocalisse nucleare e promuovere la consapevolezza sulla pace e sulla sicurezza globale e universale che può aiutare a creare un movimento e molteplici realtà attive per la pace. Soprattutto la cooperazione internazionale è fondamentale per affrontare le sfide globali e prevenire l’apocalisse nucleare. Come individui e soggetti e persone e pacifisti possiamo contribuire a promuovere la pace e la sicurezza globale attraverso il sostegno a organizzazioni pacifiste. Sostenere organizzazioni che lavorano per la pace e la sicurezza globale può aiutare a promuovere la causa pacifista. Con i mezzi della partecipazione a campagne di sensibilizzazione e partecipare anche a manifestazioni per la pace può aiutare a creare una matura e incisiva consapevolezza per la pace. Quindi educazione e consapevolezza al fine di educare se stessi e gli altri sui rischi dell’apocalisse nucleare e sulla importanza della pace può aiutare a creare un cambiamento positivo. Cosa possiamo fare come esseri intelligenti per promuovere la pace e prevenire l’armageddon nucleare? Come esseri intelligenti, possiamo fare molte cose per promuovere la pace e prevenire l’apocalisse nucleare. Inoltre, possiamo anche promuovere la cultura della pace, ossia promuovere la cultura del pacifismo e della non violenza attraverso l’educazione, l’arte e la comunicazione, il che può aiutare a creare un cambiamento positivo. Anche sostenendo la cooperazione internazionale: sostenere la cooperazione internazionale e le organizzazioni internazionali che lavorano per la pace e la sicurezza globale può aiutare a creare un mondo più pacifico. E inoltre è necessario ridurre le tensioni e lavorare per ridurre i contrasti e i conflitti tra le nazioni e le comunità. Questo può aiutare a creare un ambiente più pacifico. Il passo più importante da fare per promuovere la pace e prevenire l’armageddon nucleare. Il trattato di proibizione delle armi nucleari quanto può incidere sulla salvezza dell’umanità dal rischio dell’estinzione nucleare? Il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) rappresenta un passo significativo verso la riduzione del rischio di estinzione nucleare. Entrato in vigore il 22 gennaio 2021, il trattato mira a eliminare completamente le armi nucleari, rendendole illegali e promuovendone la distruzione e eliminazione. Ecco alcuni punti chiave su come il trattato può incidere sulla salvezza dell’umanità come con il divieto di sviluppo e utilizzo. Infatti il trattato proibisce agli Stati parte di sviluppare, testare, produrre, fabbricare, acquisire, detenere o utilizzare armi nucleari, riducendo il rischio di un conflitto nucleare. Tramite l’eliminazione delle armi nucleari. Gli Stati che possiedono armi nucleari sono tenuti a eliminarle in modo irreversibile e verificabile, con la supervisione di un’autorità internazionale competente. Da non sottovalutare l’assistenza alle vittime e il risanamento ambientale, in quanto il trattato prevede l’assistenza alle vittime dell’uso o della sperimentazione di armi nucleari e il risanamento ambientale delle aree contaminate. Imprescindibile e estremamente importante la cooperazione internazionale, perché gli Stati parte sono incoraggiati a collaborare per facilitare l’attuazione del trattato e fornire assistenza tecnica, materiale e finanziaria agli Stati colpiti dall’uso o dalla sperimentazione di armi nucleari. Tuttavia, è importante notare che il trattato non è stato firmato da tutti gli Stati, in particolare quelli che possiedono armi nucleari, come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Francia e il Regno Unito. Ciò potrebbe limitare l’efficacia del trattato nel ridurre il rischio di estinzione nucleare. Nonostante queste limitazioni, il TPNW rappresenta un importante passo avanti verso la riduzione del rischio nucleare e la promozione della pace e della sicurezza internazionali. La sua attuazione potrebbe contribuire a creare un mondo più sicuro e stabile, riducendo il rischio di un conflitto nucleare che avrebbe conseguenze catastrofiche per l’umanità.   Laura Tussi
Violenza, nonviolenza, uso della forza
Viviamo in un mondo sempre più pieno di conflitti: personali, sociali, tra stati, internazionali. In questo momento sembra che i conflitti stiano aumentando e che non ci sia modo di porre fine alla violenza. Questo sistema, sociale, economico e mentale, dice, magari di contrabbando, che la soluzione alla violenza è la violenza: più controllo, più sistemi di allarme, più leggi repressive rispetto al preteso aumento della delinquenza, per fare un esempio facile. I movimenti nonviolenti non la pensano così perché, in primo luogo, si interrogano sulla radice ultima della nonviolenza. Per esempio Pat Patfoort sottolinea come la violenza visibile (la violenza fisica per esempio) sia preceduta da una più crudele violenza invisibile (violenza psicologica, economica, religiosa) e che sia necessario rintracciare il percorso e le concatenazioni che portano all’atto violento. Il Movimento Umanista sempre ha definito la violenza come la limitazione dell’intenzionalità umana e che, in questo senso, la violenza fisica sia sono uno degli aspetti di un fenomeno che riguarda l’economia, le relazioni umane, la discriminazione, l’orientamento sessuale, la credenza religiosa. Un’altra puntualizzazione importante è chiarire che la violenza non è sinonimo di forza e che l’uso della forza, nei suoi molteplici aspetti può perfettamente essere un’azione nonviolenta: la forza di una manifestazione, della disobbedienza civile, dell’interposizione nonviolenta tra due forze violente, lo sciopero, il boicottaggio, la difesa con ogni mezzo a disposizione da un’aggressione (tutte espressioni e lotte che già Aldo Capitini segnalava nel suo Le Tecniche della Nonviolenza, opportunamente ripubblicato da Manni). A livello sociale esistono enti di vario tipo a cui la società ha demandato l’uso della forza in certe occasioni regolate dalla Legge: questo patto sociale è posto sotto revisione dalla nonviolenza perché ben sappiamo che con la scusa dell’Ordine Pubblico si sono violati e si violano Diritti Umani, si giustificano dittature e stai d’emergenza. Però sembra ragionevole che con gli opportuni correttivi esistano enti che si occupano legittimamente di esercitare la forza (non la violenza) nelle occasioni opportune: arrestare i ladri, proteggere le persone indifese ecc. Il caro amico Peppe Sini propone sempre un corso di nonviolenza alle Forze dell’Ordine. Un tema importante riguarda invece quando forze sociali sia opportuno che usino la forza in determinati contesti sociali. L’esempio concreto e storico sono le lotte armate di liberazione dei popoli, le insurrezioni contro i dittatori, le varie forme di Resistenza. Su questo c’è molta confusione, differenza di opinioni anche tra le persone che si riferiscono alla nonviolenza; anche c’è molto giustificazionismo e un background storico che agisce su ognuno di noi, con i suoi miti (Che Guevara per esempio). Cominciamo col dire che anche chi usa abitualmente le armi ha una sua etica e delle leggi da seguire, alla fine potrebbe bastare la Convenzione di Ginevra. Ma l’aspetto da chiarire è se, a partire dal rispetto della Convenzione di Ginevra, un’azione militare possa essere considerata un’azione nonviolenta. Inoltre considerare se, in determinate situazioni, non sarebbe stato possibile una soluzione diversa. Per esempio molti studiosi nonviolenti hanno sviluppato il concetto di Difesa Popolare Nonviolenta che è un insieme di azioni non armate di resistenza civile, boicottaggio, non collaborazione in cui si difende un territorio o una sovranità popolare senza ricorrere alle armi. All’inizio dell’invasione russa in Ucraina molti pacifisti si sono chiesti cosa sarebbe successo se invece della risposta armata si fosse proposta una pacifica resistenza passiva, o forme di mediazione o perfino una resa incondizionata: Putin sarebbe veramente arrivato a Kiev? Atlante delle Guerre ha documentato questi tentativi. Evidentemente nella storia abbiamo una serie di esempi di liberazione del territorio effettuati con l’uso delle armi e i movimenti di liberazione dei popoli rivendicano quegli esempi. In Italia il riferimento è alla Resistenza che ha innegabilmente avuto una parte di lotta militare armata anche se quello non è stato l’unico aspetto. Al tempo stesso abbiamo esempi contrari di movimenti di liberazione armati che scelsero di abbandonare la lotta armata e scegliere la nonviolenza: il caso storico più significativo è stato quello di Nelson Mandela e dell’African National Congress dove l’abbandono della armi e la scelta della mobilitazione internazionale nonviolenta, del boicottaggio sono risultati vincenti. Un caso attuale di grande importanza è quello di Ocalan e del PKK che, nonostante le avverse condizioni in cui da tanto versa il popolo kurdo, ha deciso di imboccare una via almeno non armata alla risoluzione del conflitto. Esiste una letteratura denigratoria della nonviolenza che parla di collusione col potere, di giustificazionismo, di posizioni moderate inefficaci, di tradimenti ideali ecc. Si tratta di critiche basate su fatti realmente accaduti ma che mi pare non colgano il tema di fondo: la collusione, la giustificazione, il tradimento possono essere praticati indipendentemente dalla metodologia e dall’adesione morale a una o a un’altra ideologia e, purtroppo, appartengono a tutti i campi; queste pratiche non sono altro che manifestazioni, a volte sottili o dissimulate, di quella violenza di cui stiamo parlando: a maggior ragione spingono a favore di una soluzione nonviolenta che sia integrale, autentica, senza se e senza ma. Il mondo futuro, un mondo migliore, va costruito con mattoni solidi e coerenti con le aspirazioni che manifestiamo e che sono l’immagine tracciante che ci guida. Uno di questi mattoni, ideali e metodologici, è la nonviolenza, l’altro certamente la centralità e il valore di ogni essere umano. Olivier Turquet
Da che parte stare nella guerra?
Gli slogan del Nuovo Mondo gli tornarono in mente con una chiarezza senza precedenti: La guerra è pace La libertà è schiavitù L’ignoranza è forza. Bothayna Al – Essa, La biblioteca del censore di libri, astoria, Milano 2025, p. 145.   Ricevo da una amica della nonviolenza, come una boccata d’aria libera, questo straordinario brano di Arundhati Roy: “Il sistema collasserà se ci rifiutiamo di comprare quello che vogliono vendere, le loro idee, la loro versione della storia, le loro guerre, le loro armi, la loro nozione di inevitabilità. Ricordatevi di questo: noi siamo molti e loro sono in pochi. Hanno bisogno di noi più di quanto ne abbiamo noi di loro. Un altro mondo non solo è possibile, ma sta arrivando. Nelle giornate calme lo sento respirare”[1]. Accompagnato dal suo commento: “Era il 2002, tuttavia …”. Quel “tuttavia”, a distanza di vent’anni dalle parole di Arundhati Roy, è certamente da intendere in senso avversativo alla direzione che il mondo ha preso dal 2022 a oggi, dall’Ucraina, a Gaza, alla guerra Israele/Stati Uniti – Iran, alle tante guerre nascoste, alle nuove guerre che verranno perché non sapremo, non avremo saputo prevenirle come auspicava Virginia Woolf ne Le tre ghinee. Tuttavia, cioè non di meno, ciò nonostante, malgrado ciò, comunque, nonostante gli ostacoli siano molti e ci paiono insormontabili, continuiamo a credere che un altro mondo è possibile e a cercare “una maglia rotta nella rete / che ci stringe” (Eugenio Montale). Considerando che scrivo all’inizio di luglio 2025, sono passati circa 3 anni e 125 giorni dall’invasione russa dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022, durante i quali per 175 volte ci siamo riuniti come amiche e amici della nonviolenza insieme ad AGITE (Coordinamento di cittadini, associazioni, enti e istituzioni locali contro l’atomica, tutte le guerre e tutti i terrorismi) per dire NO a tutte le guerre. Riprendendo Arundhati Roy, la “nozione di inevitabilità” che si/ci è imposta e a cui reagiamo è che nelle guerre bisogna scegliere da che parte stare. E che la parte scelta sia sempre quella dalla parte giusta della Storia. Così ragiona l’uomo di governo e così ragiona il “giornalista indipendente”. Un esempio di come ragiona l’uomo di governo ci viene offerto da Paolo Gentiloni, ex membro della Camera dei Deputati, ex Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana dal 2016 al 2028, ex Commissario Europeo per gli affari economici e monetari della Commissione von der Leyen dal 2019 al 2024. Per l’autorevole statista, essere dalla parte dell’Ucraina “è il modo migliore per dire che l’Europa conta ed è baluardo di libertà”. Infatti, “sarà la guerra ucraina a decidere il destino di noi europei. Forse anche più delle percentuali della spesa militare sul Pil tra dieci anni”[2]. Un esempio di come ragiona il “giornalista indipendente” ci viene offerto da Mattia Feltri che oppone alle “logore ambizioni” delle Nazioni Unite le rinnovate e rafforzate ambizioni di coloro che se vogliono la pace preparano la guerra e che quando le guerre scoppiano sanno da che parte stare. Dopo avere irriso lo stupore del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, una delle più brillanti firme del giornalismo italiano scrive: “Ci si difende col fuoco. […] La guerra in questione è stata avviata dalla Russia, ossia da uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu – e sottolineo sicurezza – e l’ha avviata entrando coi carrarmati in un Paese sovrano. Non solo: da tre anni e mezzo la Russia dissemina l’Ucraina di mine antiuomo e, ora che l’Ucraina prova a restituire la stessa moneta, diventa un pericoloso arretramento? L’arretramento – un po’ comico e un po’ drammatico – è quello dell’Onu e del suo segretario davanti alle loro logore ambizioni”[3]. A questa “versione della storia” si oppongono le amiche e gli amici della nonviolenza che nelle guerre stanno contro la guerra e si oppongono alla regola della stessa moneta. Sono i tenaci e le tenaci di cui parla Hermann Hesse nel libro Il coraggio di ogni giorno: “Chi è tenace obbedisce infatti a un’altra legge, una legge particolare, assolutamente sacra, la legge che ha in sé stesso, il tenere a sé stesso. Contro le infamie della vita le armi migliori sono la forza d’animo, la tenacia e la pazienza. La forza d’animo irrobustisce, la tenacia diverte e la pazienza dà pace[4]. Come scriveva il grande scrittore, l’obiezione di coscienza alla guerra è “il sintomo più prezioso dei tempi” e l’espressione di “un moto serio” per la pace[5]. È sbagliato ottenere ciò che si desidera attraverso la violenza e, piuttosto che usare ingiustizia, è meglio subire un’ingiustizia: “La violenza è il male, e la nonviolenza è l’unica via per coloro che si sono destati. Non sarà mai la via di tutti, ma di coloro che vorrebbero fare la storia universale”[6]. A giudicare dallo stato attuale del mondo, dopo il primo quarto del secondo millennio, sembra che, tra tutte le attività umane, la guerra continui a essere la più facile da apprendere e da praticare, la più ricorrente e praticata. Pare che tanto i potenti e le potenti della terra quanto i popoli non imparino assolutamente nulla dalle guerre, siano esse vinte o perse. Mentre si afferma una cultura regressiva che esalta il primato della forza naturale sulla forza culturale, mentre viene marginalizzata la diplomazia e il diritto internazionale viene sconfessato, mentre la guerra non viene neanche più giustificata come male necessario, oggi “l’obiezione di coscienza può iniziare da qui: non condividere nulla di ciò che svilisce  o vanifica il dialogo, non sostenere chi lo dileggia o lo rinnega, magari con un semplice sorriso di sufficienza, non irridere le istituzioni, soprattutto quelle internazionali. Oggi più che mai. È tempo di scegliere: forza umana o disumana, dominio o dialogo”[7].   [1] A. Roy, Guerra è pace, Guanda, Parma 2002; Tea, Milano 2003. [2] P. Gentiloni, Da che parte stare in questa guerra, “la Repubblica”, martedì 1 luglio 2025, p. 27. [3] M. Feltri, Le logore ambizioni, “La Stampa”, 1 luglio 2025, p. 1. [4] H. Hesse, Il coraggio di ogni giorno, Milano, Mondadori, 1985, pp. 68 e 75. [5] Ibidem, p. 46. [6] Ibidem, p. 86. Traggo i riferimenti a Hermann Hesse dalla premessa al mio Preferirei di No. Fuori la guerra dalla storia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2025. [7] F. Vaccari, Il conflitto o la parola, “Avvenire”, venerdì 4 luglio 2025, p. 15. Pietro Polito
Dall’Italia una concreta proposta di pace per l’Ucraina
Parte dall’Italia il primo tentativo di diplomazia “dal basso”. Di fronte all’inerzia dei governi alcuni cittadini e intellettuali volenterosi, guidati dal filosofo padovano Damiano Migliorini, hanno lanciato un’iniziativa che sta diventando virale nei social, tramite whatsapp ed email. Si tratta di una proposta diplomatica concreta di accordo di pace che segue un principio chiave della nonviolenza: di fronte allo stallo militare, vista l’inutile strage di militari e civili, per giungere a una pace si devono cercare dei compromessi che non siano umilianti per le parti in causa nel conflitto. Su chi ricada la responsabilità di una terribile invasione è chiaro a tutti, ma dopo anni di conflitto, le soluzioni massimaliste non sono possibili, da entrambe le parti. I politici propongono slogan, ma non idee: l’iniziativa si propone di far giungere alle orecchie dei “grandi” queste proposte concrete per intavolare un reale percorso negoziale. La proposta di pace è infatti molto concreta e si articola in 8 punti: 1. Cessate il fuoco nell’attuale linea del fronte, restituzione dei caduti, dei prigionieri e dei bambini; 2. I territori attualmente occupati (Crimea, parte di Kherson, parte di Zaporizhzhia, parte del Donetsk, Luhansk) dovranno essere demilitarizzati. Diventano temporaneamente autonomi, gestiti democraticamente sotto la sorveglianza di un contingente formato da militari degli attuali paesi BRICS (Russia esclusa), con mandato ONU. Questi territori, dopo adeguate bonifiche e ricostruzioni, saranno chiamati, tra 25-30 anni a un referendum libero e democratico, sorvegliato e gestito dall’ONU, per decidere se: (a) continuare ad essere autonomi; (b) tornare all’Ucraina in forma confederata. Per la Crimea è possibile eventualmente ipotizzare uno scenario istituzionale come quello Nord-Irlandese. 3. Raggiunto il cessate il fuoco e sospesa la legge marziale, libere elezioni in Ucraina, rigidamente sorvegliate da ispettori internazionali. 4. Gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia da parte di un ente terzo, che si impegna a fornire energia sia ai nuovi territori autonomi, sia all’Ucraina. 5. Adesione “territoriale” dell’Ucraina all’Unione Europea, con clausola di salvataggio (intervento delle nazioni europee) in caso di invasione esterna, tramite stipula di trattati integrati con i 27. Questi trattati si configurano come “garanzie di sicurezza” rispetto all’inviolabilità futura del territorio ucraino. Per l’adesione economica e giuridica all’UE, si adotteranno in seguito le procedure standard (ma velocizzate) previste per l’ingresso dei Paesi nell’UE. 6. Non adesione dell’Ucraina alla Nato (in cambio del punto 5.) ma possibilità di sviluppare il proprio esercito in collaborazione con i partner Occidentali. 7. Dichiarazione di neutralità (armata) dell’Ucraina sul modello finlandese (pre-adesione Nato). Inserimento in Costituzione di un articolo simile all’Art. 11 della Costituzione italiana. 8. Riconoscimento del russo come seconda lingua ufficiale in Ucraina; sul modello di altre nazioni europee bilingue. Questa proposta, si trova scritto nel sito che la promuove (https://peaceagreementukraine.wordpress.com/), non è di qualcuno in particolare. È firmata idealmente da tutte le persone che la stanno condividendo con ogni mezzo disponibile sui social, email, whatsapp. Tutto gratuitamente, nessuno vuole guadagnarci nulla. L’unico obiettivo è una pace giusta per le future generazioni. Ciascuno può contribuire visitando il sito e facendo conoscere l’iniziativa. P.A.F.U. Redazione Italia
La marcia come azione nonviolenta di massa
-------------------------------------------------------------------------------- Nella storia della nonviolenza la marcia non è una passeggiata e neanche un pellegrinaggio: è un’azione nonviolenta di massa. Marciare insieme da Marzabotto a Monte Sole, luogo sacro alla memoria del nostro paese che vide l’eccidio nazista di popolazioni inermi, è un’azione nonviolenta contro la normalizzazione della violenza che oggi non vede il genocidio del governo israeliano contro le popolazioni inermi di Palestina. O, se lo vede – garantendo con falsa coscienza le cure a qualche bambino sopravvissuto allo sterminio della propria famiglia – non fa niente per fermare quel genocidio: anzi il nostro governo continua ad inviare armi al governo criminale di Netanyahu, rendendosi complice dello sterminio in corso. La marcia è anche un’azione nonviolenta di massa contro la normalizzazione della guerra, che – dall’Europa al Mediorente, e spesso con gli stessi attori coinvolti, come il governo israeliano – ha nuovamente, tragicamente e pericolosamente, sostituito il diritto internazionale nella regolamentazione dei conflitti. Che non regolamenta ma dilata, approfondisce, perpetua. Ed è un’azione nonviolenta di massa contro il riarmo, che nel folle ritorno della logica delle deterrenza produce conflitti armati quanto più prepara la guerra, spendendo in armamenti: ogni anno più del precedente si trasferiscono risorse dagli investimenti civili, sociali, sanitari alle spese militari – cioè ai profitti dell’industria bellica nazionale e internazionale – e ogni anno più del precedente aumentano i conflitti armati, le vittime civili, i profughi delle tante guerre. “Se vuoi la pace prepara la guerra” è la più subdola e illusoria delle menzogne, sempre smentita dalla storia: ogni riarmo ha prodotto nuove guerre, anche due guerre mondiali. Ed ora ricompone i pezzi della Terza. Se vogliamo la pace dobbiamo preparare la pace: non c’è alternativa, ovunque ed a tutti i livelli. Inoltre la marcia è un’azione nonviolenta contro la logica di guerra, fondata sul dispositivo binario amico-nemico, che scatena le tifoserie e lacera e dilania, oltre i corpi di chi è colpito direttamente, la capacità di pensiero critico di chi giustifica e incita perfino al massacro. La guerra va decostruita nelle nostre teste, per poter essere abbandonata – definitivamente – tra i ferrivecchi, obsoleti, della storia. Sembrava avessimo fatto dei passi in avanti, almeno alle nostre latitudini, almeno con l’Articolo 11 della Costituzione, tanto antifascista quanto pacifista, ma stiamo riprecipitando velocemente nell’abisso. Eppure le reti pacifiste, composte da organizzazioni impegnate per il disarmo e la nonviolenza, non hanno mai smesso di svolgere iniziative per tenere gli occhi aperti e preoccupati sulle guerre e sulla tragedia palestinese, dimenticata dal resto del mondo prima dell’attentato terrorista di Hamas del 7 ottobre 2023. Ma oggi – che quella tragedia assume mese dopo mese le dimensioni dell’orrore senza fine, condotto metodicamente dal governo israeliano con i bombardamenti, la fame, la sete, la deportazione – è necessario moltiplicare gli sforzi, guardare nell’abisso, chiamare le cose con il loro nome, svolgere azioni di solidarietà concreta con il popolo palestinese, interrompere tutte le collaborazioni militari, dirette e indirette, ad ogni livello con il governo israeliano. Contemporaneamente, per dirla con Italo Calvino, occorre “cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”, a cominciare dagli obiettori di coscienza e dai disertori israeliani, dalle organizzazioni pacifiste israeliane represse dal loro governo, dai gruppi misti israelo-palestinesi che già adesso – dentro l’inferno – cercano faticosamente di tenere e ricostruire relazioni di riconoscimento, di riconciliazione, di convivenza. Nostri compagni di strada nella marcia dei popoli per la pace e la nonviolenza. “Una marcia non è fine a se stessa, produce onde che vanno lontano”, diceva Aldo Capitini in occasione della prima Marcia della pace da Perugia ad Assisi. Partecipare oggi a questa azione nonviolenta di massa significa assumere impegni personali – non solo morali, ma politici e concreti – da portare nei rispettivi territori, come un’onda che si propaga e va lontano. Ogni guerra ha una filiera economica e culturale che la supporta, la prepara e la giustifica, che si dirama dal centro verso le periferie: il primo impegno da prendere è recidere la filiera, le collaborazioni, le giustificazioni. “A ciascuno di fare qualcosa”, diceva ancora Aldo Capitini ai partecipanti della Marcia del 1961. Ciascuno secondo le sue possibilità e responsabilità: nessuno si sottragga. -------------------------------------------------------------------------------- Testo dell’intervento alla marcia nazionale “Save Gaza” promossa il 15 giugno da Marzabotto a Monte Sole da Rete Italiana Pace e Disarmo, ANPI, Unione delle Comunità Islamiche d’Italia e molte altre realtà (pubblicato anche su un blog del fattoquotidiano.it). Pasquale Pugliese ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo La marcia come azione nonviolenta di massa proviene da Comune-info.