#stopthegenocideingaza🇵🇸 mLa forza della #nonviolenza - Cantare "Bella Ciao"
mentre le forze speciali assaltano l'imbarcazione umanitaria #Handala di
#FreedomFlotilla. Dramatic Moment Israel Hijacks Gaza-Bound Ship-Activists
'Clash' https://www.youtube.com/watch?v=fdsmfV6zAlg
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Il ruggito silenzioso: rivoluzione psico-sociale e sottile potere della generazione Z – Ridisegnare la leadership filippina
Le elezioni filippine recentemente concluse lo scorso 2025 maggio hanno svelato
una sottile ma profonda rivoluzione psico-sociale, particolarmente evidente nei
modelli di voto della Generazione Z e degli elettori affini di altre fasce
demografiche.
Al di là della politica tradizionale e dei consensi delle celebrità, una nuova
specie di elettori, impregnati di fluidità digitale e desiderosi di un vero
cambiamento, sembra orientarsi verso leader definiti da integrità, autenticità e
visione trasformativa.
Questa “rivoluzione psicosociale” rappresenta un cambiamento più profondo nella
coscienza collettiva dell’elettorato. Si tratta di un’evoluzione da
un’accettazione potenzialmente passiva delle narrazioni politiche tradizionali a
una richiesta attiva e informata di una governance etica. La generazione Z,
spesso caratterizzata dalla capacità digitale, dall’accesso istantaneo alle
informazioni e da uno spiccato senso di giustizia sociale, non si limita a
votare, ma è assetata di leader autentici, al servizio della gente e
trasformatori. Mostrano una bassa tolleranza per la corruzione e un elevato
apprezzamento per la trasparenza, l’impegno diretto e l’impatto tangibile. Il
loro scetticismo nei confronti delle dinastie politiche consolidate e dei
sistemi clientelari convenzionali è una caratteristica distintiva, che li spinge
a cercare individui che incarnino realmente il servizio pubblico.
Questo approccio perspicace si è visibilmente riflesso nel forte sostegno
raccolto da figure come il pluripremiato sindaco di Pasig City Victor Ma. Regis
N. Sotto, soprannominato “Vico” Sotto. Il suo impegno per il buon governo e la
trasparenza gli è valso persino il riconoscimento del Dipartimento di Stato
americano, che lo ha nominato tra i Campioni Internazionali Anticorruzione nel
2021. Il suo mandato, caratterizzato da una governance trasparente, da programmi
sociali innovativi e da una chiara posizione anti-corruzione, risuona
profondamente con una generazione che dà più valore alla sostanza che alla
retorica.
Allo stesso modo, il fervente sostegno a leader come l’ex vicepresidente Leni
Robredo, la cui campagna elettorale ha posto l’accento sul volontariato, sui
movimenti di base e su un’esperienza di integrità e servizio, la dice lunga
sulle aspirazioni della generazione Z. Questi leader, a prescindere dai
risultati elettorali finali, incarnano proprio le qualità – onestà, competenza e
una mentalità progressista – che questa generazione considera prioritarie.
Le loro scelte segnano un allontanamento dai modelli di voto storici, spesso
influenzati da culti della personalità o da apparati politici radicati. Al
contrario, la generazione Z sfrutta i social media non solo per
l’intrattenimento, ma come strumento critico per il discorso politico, la
verifica dei fatti e la costruzione di comunità attorno a valori condivisi.
Questo attivismo digitale si traduce in una richiesta di responsabilità che
trascende i filtri dei media tradizionali.
L’impatto di questo risveglio psicosociale è di vasta portata. Sfida i futuri
aspiranti politici a riflettere realmente sulle loro piattaforme, sui loro
precedenti e sul loro impegno per un servizio pubblico senza macchia. Suggerisce
che è in atto un cambiamento a lungo termine, in cui la vera leadership non si
misura con la ricchezza o il lignaggio, ma con la capacità di ispirare fiducia,
di fornire soluzioni trasformative e di impegnarsi in un percorso etico per il
progresso della nazione.
Mentre la Generazione Z continua a maturare fino a diventare un gruppo
demografico dominante, il suo panorama psicosociale in evoluzione promette di
essere una forza costante per le riforme, costringendo l’arena politica a
innovare e adattarsi per un futuro più responsabile e progressista.
Condivisione durante la 3. assemblea del Forum Umanista, 19 luglio 2025
Tavolo tematico – Rivoluzioni psicosociali e spirituali
Pressenza Philippines
La legge del più forte?
Assistiamo sempre più a eventi dove il Diritto Internazionale risulta sempre più
bistrattato e calpestato nella lettera e nella sostanza.
Gli ultimi esempi contro le Nazioni Unite, l’attacco a Francesca Albanese, il
sequestro in acque internazionali degli aiuti umanitari della Freedom Flottilla
sono solo la deriva e gli ultimi episodi di una situazione dove i potenti dicono
con chiarezza e spregiudicatezza: “vale la legge del più forte”.
E’ una condizione in cui ci vogliono far sentire impotenti tale è la disparità
tra le potenze militari ed economiche messe in campo e l’azione del comune
cittadino, ma anche del singolo movimento o partito e, perfino, del singolo
stato o istituzione internazionale.
Sono chiari alcuni temi che diciamo da tempo con la Marcia Mondiale per la Pace
e la Nonviolenza: serve una riforma democratica e partecipativa dell’ONU,
servono Consigli di Sicurezza tematici che abbiamo potere reale sui governi e
che riconquistino autorevolezza e capacità di regolare i conflitti
internazionali.
Ma avvertiamo anche l’esigenza di mediatori. Dove sono finiti i mediatori che
caratterizzarono alcune risoluzioni di conflitti nella seconda metà del secolo
scorso? Se per negoziare sui dazi con Trump dobbiamo affidarci alla Meloni e per
portare a un tavolo di trattative Putin speriamo in Erdogan significa che siamo
messi abbastanza male.
Il mondo è decisamente in crisi e la crisi fa nascere cose che credevamo
appartenessero al passato e fossero risolte.
La nonviolenza insegna che le cose sono risolte quando sono accettate, comprese
e superate; si tratta di un processo lungo e complesso, non è sempre un processo
lineare perché la mente è abbastanza brava ad ingannare sé stessa. Questo
processo non riguarda solo le persone ma anche gli insiemi umani, le società.
La verità è che non stiamo riflettendo sulla violenza.
La legge del più forte torna qui ben presente come possibile risoluzione dei
conflitti; sta qui ed è prima del Codice di Ammurabi, prima del Diritto Latino,
prima del Common Law, prima della Magna Charta, molto prima della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani. Ma se torniamo a quel prima per quale motivo
abbiamo costruito le Leggi, il Diritto Internazionale, l’ONU e l’idea di una
civile convivenza tra i popoli?
L’Umanità da tempo ha elaborato forme più intelligenti e morali di risoluzione
dei conflitti. Lo ha fatto fin dai tempi antichi, tra i popoli e le culture che
hanno praticato la compassione, la solidarietà, l’Ubuntu, la Regola d’Oro. Se
torniamo alla legge del più forte cancelliamo tutto il processo evolutivo: che
senso avrebbe la Legge, lo Stato, la Giustizia, la Democrazie, la Convivenza se
in ultima analisi chi ha la forza (economica, militare, politica) decide
nonostante tutto?
Pat Patfoort suggerisce che la risoluzione di un conflitto debba avvalersi di
una ricerca sui fondamenti su cui quel conflitto è basato, cioè sulle questioni
fondanti, culturali, esperenziali di quel conflitto, sulle credenze che
alimentano quel conflitto.
Alcune amiche dei Combattenti per la Pace mi dicevano tempo fa che la comune
esperienza che riscontrano nei loro lavori di CNV con israeliani e palestinesi è
la paura; e la loro sensazione è che sia la paura il principale sentimento che
giustifica la violenza. Però al tempo stesso la paura può essere l’elemento
comune che porta queste due martoriate società a convivere. Così come il lutto
di aver perso un parente stretto è il legame, il fondamento, delle esperienze di
riconciliazione di Parent Circle.
Perché un’altra verità ci dice che la legge del più forte può sembrare efficace
ma anche chi la esercita sa, nel profondo del suo cuore, che non è la soluzione
giusta.
Quindi in questo momento storico è della massima importanza comprendere
l’incompleta evoluzione storica verso la giustizia, verso la valorizzazione di
ogni singolo essere umano; incompleta ma profondamente necessaria.
E questa necessità comporta un’azione esterna verso la verità, la giustizia, la
riconciliazione, la nonviolenza e una contemporanea azione interna, per ognuno
di noi per riconoscere, comprendere, accettare e trasformare tutta la violenza,
tutto il pre-giudizio che è dentro di noi e fuori di noi.
Olivier Turquet
Viaggio attraverso quattro cerimonie commemorative nelle Pagode della Pace di Comiso, Londra, Milton Keynes e Vienna
PREGHIERE EREDITATE PER LA PACE: LE COMUNITÀ NIPPONZAN MYÔHÔJI RADICATE NELLA
CRISTIANITÀ.
Il 21 giugno è stata solennemente condotta la grande cerimonia commemorativa del
40° anniversario della Pagoda della Pace di Londra, seguita dalla cerimonia del
45° anniversario della Pagoda della Pace di Milton Keynes il 22. Dopo un
intervallo di una settimana, la cerimonia del 42° anniversario della Pagoda
della Pace di Vienna si è tenuta il 29, e infine, la cerimonia del 27°
anniversario della Pagoda della Pace di Comiso ha avuto luogo la prima domenica
di luglio, il 6.
Qui alcune foto delle cerimonie:
The poster of the 27th anniversary ceremony of Comiso Peace Pagoda The Cultural
Program at Milton Keynes Peace Pagoda . The scattered flower petals dancing down
from Vienna Peace Pagoda. Turi Vaccaro performing the flute at the 27th
anniversay ceremony of Comiso Peace Pagoda. Florishing at the Vienna ceremony
Chanting at the sunrise at the Comiso Peace Pagoda
La grande cerimonia commemorativa del 40° anniversario della Pagoda della Pace
di Londra ha attirato monaci e monache distinti da tutto il mondo. È stata
condotta in condizioni meteorologiche ideali, con nuvole sottili che fornivano
ombra naturale dal sole ardente.
Londra quest’anno è stata benedetta da un clima insolitamente mite, tanto che
non abbiamo avuto bisogno delle giacche che avevamo portato. Il prato intorno
alla Pagoda della Pace nel Battersea Park era pieno di persone che si godevano
il sole, creando una scena pacifica. Il giorno della cerimonia, il cielo
sembrava rispondere alle nostre preghiere coprendoci con nuvole sottili che
servivano come protezione solare naturale. Quella mattina, la marcia
interreligiosa per la pace guidata da Bhikkhu Kamoshita, che era partita da
Trafalgar Square verso la Pagoda della Pace, arrivò come previsto senza essere
esposta alla luce solare intensa.
SINCRONIA SACRA ATTRAVERSO TRE SETTIMANE
Il ritmo delle cerimonie attraverso varie località europee in tre settimane
procedeva vivacemente come il battito dei tamburi Nipponzan. Quando la cerimonia
di Comiso si concluse, sembrava che le tre settimane fossero passate in un
istante. Il giorno della cerimonia della Pagoda della Pace di Comiso, mentre
decoravamo l’altare, offrivamo fiori al sancta sanctorum e alzavamo lo stendardo
del daimoku sulle ringhiere della Pagoda, accadde qualcosa di misterioso: la
scena di Londra di due settimane prima si sovrappose vividamente davanti ai
nostri occhi. La solennità del momento quando la marcia interreligiosa per la
pace arrivò e lo stendardo viola del daimoku fu installato sulle ringhiere
sembrava essere risorta a Comiso, trascendendo tempo e spazio. Sperimentammo un
senso inspiegabile di unità, come se la stessa cerimonia fosse stata
ripetutamente condotta in luoghi diversi.
COOPERAZIONE INTERRELIGIOSA A MILTON KEYNES
La Pagoda della Pace di Milton Keynes è a circa 200 metri di distanza se cammini
dritto dal tempio, ma poiché devi attraversare una piccola collina, l’altare
viene assemblato davanti al tempio, caricato su un carrello, e trasportato con
un camion lungo una strada asfaltata che gira intorno. La mattina della
cerimonia, i devoti Sai Baba locali che portarono il camion caricarono abilmente
l’altare e lo scaricarono davanti alla Pagoda della Pace, allineandolo
attentamente per farlo guardare in avanti. Poi passarono al trasporto delle 200
sedie pieghevoli dal deposito dietro il tempio. Mentre i bhikkhu e le bhikkhuni
stavano decorando l’altare e la piattaforma della cerimonia, finirono di
disporre le 200 sedie attraverso il trasporto navetta e partirono prontamente.
DALLA CERIMONIA ALLA SERENITÀ A VIENNA
La Pagoda della Pace di Vienna si erge direttamente davanti al tempio, ma le
sedie sono conservate in soffitta, rendendo la loro rimozione e conservazione
laboriosa. La pulizia comporta lo smantellamento e l’organizzazione dei pali
delle bandiere rosse e bianche e della piattaforma della cerimonia, rendendo
questo un compito pomeridiano che richiede tempo. Quest’anno, giovani uomini
locali che occasionalmente partecipavano ai servizi mattutini e serali
gareggiarono per salire in soffitta e organizzare le sedie che venivano passate
su. Inoltre, i sostenitori locali che rimasero fino alla fine del programma
culturale aiutarono a portare i materiali di legno smantellati sul retro del
tempio. Quelli non adatti per il lavoro pesante raccolsero i petali di fiori
sparsi che avevano danzato giù dalla Pagoda della Pace, e in quello che sembrava
un istante, la Pagoda della Pace bianca tornò al suo aspetto abituale di stare
tranquillamente vicino al Danubio, come se la grande cerimonia non avesse mai
avuto luogo.
COMISO: DOVE VIVE LA STORIA
Attraverso queste cerimonie in varie località europee, sentiamo come passato e
presente siano profondamente connessi. Particolarmente alla cerimonia di Comiso
di quest’anno, potevamo sentire che le preghiere per la pace che iniziarono
oltre 40 anni fa continuano a essere tramandate attraverso le generazioni. La
Pagoda della Pace di Comiso, che può essere magnificamente vista dai finestrini
degli aerei in cima a una collina quando si atterra all’aeroporto di Comiso, ha
una storia profonda scolpita in questa terra.
L’aeroporto di Comiso fu costruito durante la Seconda Guerra Mondiale dal regime
fascista d’Italia e usato come base per bombardieri delle forze dell’Asse contro
gli Alleati. Dopo la guerra, fu usato come aeroporto commerciale dall’Alitalia,
ma durante la Guerra Fredda nel 1981, fu designato dalla NATO come la più grande
base europea di missili balistici a raggio intermedio nucleari. Nel 1982, furono
installati 112 moderni missili da crociera lanciati da terra BGM-109G (derivati
terrestri del Tomahawk SLCM), e l’Aeronautica degli Stati Uniti fu dispiegata
nel 1983. Ogni missile aveva molte volte il potere distruttivo delle bombe
sganciate su Hiroshima e Nagasaki, con una gittata che includeva Mosca—queste
erano le armi più avanzate dell’epoca. Si diceva che i 112 missili della base di
Comiso potevano trasformare tutta l’Europa in una terra bruciata.
SEMI DI PACE NELL’OMBRA NUCLEARE
In mezzo a questa tensione militare, iniziarono gli sforzi per la pace di
Bhikkhu Morishita. Dopo il Raduno per la Pace di Un Milione di New York nel
giugno 1982, Bhikkhu Morishita, insieme a Bhikkhuni Maruta e alla signora Nara
(una donna inglese che era bhikkhuni all’epoca), condusse un pellegrinaggio a
piedi attraverso l’Italia e la Sicilia, formando amicizie con attivisti per la
pace locali. Nel 1983, rispondendo a una richiesta di Alberto L’Abate,
professore di resistenza nonviolenta all’Università di Firenze e figura centrale
nel movimento anti-base missilistica di Comiso, entrarono a Comiso. Bhikkhu
Morishita iniziò ad accamparsi su terreno pianeggiante accanto all’ingresso
della base, conducendo meditazione di preghiera seduta e pratica di strada,
mentre continuava a viaggiare dalla Sicilia a conferenze internazionali inclusi
vertici di nazioni avanzate in tutta Italia per le preghiere per l’abolizione
della base di Comiso. Riferiscono che viaggiava sempre in autostop.
Alla marcia antinucleare di Roma di 500.000 persone quello stesso anno, guidò la
processione battendo tamburi proprio in prima fila, diventando una figura
simbolica del movimento anti-base di Comiso. Poi nel 1985, quando il
proprietario terriero della fattoria davanti alla base donò terra per il
movimento di opposizione, fu stabilito il campo per la pace: Verde Vigna.
Bhikkhu Morishita costruì uno stupa di pietra all’interno dei terreni e iniziò a
vivere insieme ad altri attivisti. Da qui, fu stabilita la fondazione per
attività di pace radicate nella comunità che continua fino ad oggi.
PONTI VIVENTI: PASSATO E PRESENTE UNITI
A questa cerimonia 40 anni dopo, abbiamo assistito in prima persona all’eredità
di questa storia. Le preghiere per la pace stanno per essere ereditate da nuove
generazioni. Il comitato della Pagoda della Pace di Comiso stava conducendo un
congresso di quattro giorni chiamato “Forme di Nonviolenza Creativa” in
congiunzione con la cerimonia di Comiso. Turi Vaccaro stava disponendo sedie per
il luogo del congresso insieme ad Alfonso Navarra, un compagno dell’era
fondatrice di Verde Vigna. Insieme ad attivisti per la pace recentemente uniti,
stavano trasmettendo queste presentazioni sui diritti dell’obiezione di
coscienza nel caso in cui il servizio militare fosse reintrodotto in Italia e
l’importanza dei movimenti di disarmo guidati dai cittadini attraverso radio
locale e internet. Gli sforzi per la pace che iniziarono con la resistenza ai
missili nucleari stanno essendo ereditati in nuove forme che affrontano
questioni contemporanee.
BODHISATTVA EMERGENTI DALLA TERRA IN AZIONE
Tali scene furono ripetutamente osservate. Che si trattasse di riordinare i
legnami della piattaforma a Vienna o smantellare le strutture parasole a Comiso,
numerosi compiti che in alcuni anni si estendevano al giorno dopo le cerimonie
furono completati in un istante attraverso la cooperazione di molte persone,
indipendentemente dall’età o dal sesso, come se guidati da mani invisibili. Era
come se bodhisattva emergenti dalla terra apparissero al momento giusto,
prestando generosamente il loro potere compassionevole. Guardando indietro a
tutti questi eventi, tutto sembra avere un significato oltre la mera
coincidenza. Questo potrebbe essere prova che il potere misterioso della natura
del Dharma ha unito le cerimonie commemorative delle Pagode della Pace in tutta
Europa, facendo risuonare le preghiere per la pace nei cuori delle persone
attraverso tempo e spazio. Queste preghiere ereditate per la pace continueranno
nel futuro. Nel 2028, la Pagoda della Pace di Vienna raggiungerà il suo 45°
anniversario e la Pagoda della Pace di Comiso il suo 30° anniversario, segnando
nuove pietre miliari con aspettative per un’ulteriore espansione delle
connessioni del dharma.
SAGGEZZA PER IL FLUSSO CORRENTE
Bhikkhu Masunaga diede il seguente prezioso insegnamento durante il servizio
serale il giorno prima della cerimonia di Comiso:
“Nipponzan non dovrebbe parlare di ‘il mio tempio’ o ‘il tempio di qualcun
altro.’ Essere Nipponzan significa dare tutto noi stessi per aiutare con le
cerimonie a cui ci è permesso partecipare. Facendo così, ogni singolo bhikkhu e
bhikkhuni di Nipponzan appare non come rocce separate ma come acqua in un flusso
corrente, muovendosi verso un unico scopo. Il canto del daimoku di ognuno di
noi, che gradualmente divenne potentemente unificato in risposta durante i
servizi mattutini e serali condotti attraverso le località europee in tre
settimane iniziando con i preparativi per la cerimonia commemorativa del 40°
anniversario della Pagoda della Pace di Londra, sono fiducioso sia un segno
auspicioso per futuri servizi buddisti di Nipponzan.”
di Mitsutake Ikeda
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L’autore:
Mitsutake Ikeda ha conseguito una laurea triennale in Studi internazionali e
regionali presso l’Università della California, Berkeley nel 2007, e un Master
of Arts in Studi di traduzione presso l’Università di Coimbra nel 2017. È membro
collaboratore dell’Unidade de Investigação & Desenvolvimento “Instituto de
Estudos Filosóficos” (IEF) e dottorando in Filosofia presso l’Università di
Coimbra.
Pressenza IPA
Disobbedienza civile contro il riarmo
Un demone si aggira per l’Europa e per il mondo: il demone del riarmo. Per
volontà della Commissione europea (senza passare per l’Europarlamento), la Ue ha
deciso di investire 800 miliardi di euro in armi. Non solo, al vertice Nato
dell’Aja a fine giugno, il segretario generale Rutte ha chiesto ai 27 paesi
membri di passare dal 2% del pil al 5% per la difesa, entro il 2035.
La Spagna di Sanchez ha subito annunciato che non poteva accettare
quell’imposizione, mentre l’Italia di Meloni ha subito chinato il capo, come
china il capo alle decisioni di Trump di inviare milioni in armi all’Ucraina che
«pagheranno loro» (vale a dire noi) e il guadagno sarà un maxi dividendo in
primis per gli Usa e poi per l’Europa. Intanto sborseremo col 5% del Pil ben 113
miliardi di euro all’anno in difesa. Siamo alla follia! Ha vinto il demone della
guerra.
Non solo, i ministri dell’economia Ue che compongono il Consiglio dei
governatori della Banca europea, hanno deciso di stanziare per le armi una somma
record, fino a 100 miliardi di euro per il 2025.
A peggiorare il quadro, il Segretario della Nato Rutte ha anche chiesto di
rafforzare del 400% la difesa aerea e missilistica contro la Russia, perché
secondo lui ci sarà un attacco di Putin contro la Ue entro cinque anni.
Infatti una Germania sempre più bellicosa sta già arruolando 60.000 nuovi
soldati e costruendo l’Eurodrome (pesa tonnellate), prodotto da Airbus. Per
questi progetti la Germania ha già investito 7 miliardi di euro. Gli Usa stanno
già costruendo il loro Goldendome, che prevede uno scudo missilistico orbitale.
Il costo previsto si aggira attorno ai 175 miliardi di dollari. Questo potrebbe
portare Cina e Russia a costruire arsenali ancora più sofisticati. È
l’escalation mondiale al riarmo.
Secondo i dati ufficiali del Consiglio Europeo, dal 2014 al 2024, le spese
militari e quelle specifiche in armamenti nei paesi Ue sono aumentate
rispettivamente dal 121% al 325%. È sempre più evidente che il complesso
militar-industriale Ue sta determinando l’agenda e i contenuti della politica
estera dell’Unione europea. Ma quello che impressiona di più sono gli enormi
investimenti nel nucleare. È la bomba atomica la più grave minaccia che pesa
sulle nostre teste e sullo stesso pianeta Terra. Si tratta di circa 100.000
nuove bombe atomiche teleguidate presenti in cinque paesi della Nato: Belgio,
Olanda, Germania, Italia e Turchia.
Con grande coraggio negli anni Ottanta il noto arcivescovo di Seattle, Raymond
Hunthousen, affermava: «Penso che l’insegnamento di Gesù ci chieda di rendere a
Cesare, munito di armi nucleari, quello che si merita: il rifiuto delle imposte
e di cominciare a dare solo a Dio quella fiducia completa che adesso riponiamo,
tramite i dollari delle nostre imposte, in una forma demoniaca di potere. Alcuni
chiamerebbero questa “disobbedienza civile”, io preferisco chiamarla “obbedienza
a Dio’». È quanto sosteneva anche un altro profeta di pace, il gesuita Daniel
Berrigan, che ha animato il grande movimento Usa contro la guerra in Vietnam:
«Gridiamo pace, urliamo pace, ma non c’è pace: Non c’è pace perché non ci sono
costruttori di pace, perché fare pace costa altrettanto come fare guerra –
almeno è altrettanto esigente, altrettanto dirompente ed altrettanto capace di
produrre disonore, prigione e morte». Berrigan si è fatto almeno quattro anni
nelle prigioni statunitensi.
Anche il vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro, che tanto si è impegnato
per la pace, ha recentemente scritto un appello in cui afferma che «oggi è
improrogabile manifestare per la pace a ogni costo, fino alla pratica
inevitabile della disobbedienza civile». Non lasciamo nel dimenticatoio le
parole di papa Leone che denuncia il riarmo come «propaganda di guerra» e che
ricorda come le popolazioni «non sanno» quanto quest’immenso investimento
potrebbe essere utile ai servizi sociali.
Il mio è un appello a tutto il vasto movimento italiano per la pace, perché
possa ritrovarsi in assemblea e decidere insieme quale via e quali mezzi non
violenti scegliere per ottenere pace in un momento così grave della storia
umana. Non bastano più gli appelli e le manifestazioni, dobbiamo rispolverare
tutte le obiezioni di coscienza per mettere in crisi questo sistema di morte che
ci sta portando alla rovina. Tutti i costruttori di pace di ascoltino questi
profeti di pace, in un momento così grave della storia umana. La palla è nelle
nostre mani.
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Pubblicato anche sul manifesto
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L'articolo Disobbedienza civile contro il riarmo proviene da Comune-info.
L’umanità e il nucleare: come prevenire l’apocalisse
Siamo l’umanità che ama e che pensa e che ragiona e che sogna e non possiamo
permettere di estinguerci con l’energia nucleare.
L’umanità ha sempre avuto la capacità di amare, pensare, ragionare e sognare. La
preoccupazione per il futuro dell’umanità e il desiderio di proteggerla sono
sentimenti comuni. L’energia nucleare è vista come una risorsa controversa, ma
esistono anche molte altre fonti energetiche sostenibili che potrebbero aiutare
a ridurre la dipendenza da queste fonti radioattive inquinanti e rischiose. Cosa
può essere fatto per promuovere un futuro più sostenibile per l’umanità?
Come sostiene l’astrofisica Margherita Hack forse non siamo gli unici esseri
viventi e senzienti nelle miliardi di galassie in tutto l’universo. Ma non per
questo dobbiamo avere la facoltà e l’intento assurdo e criminale di estinguerci.
Anzi dobbiamo tentare di conoscere altre forme di vita su altri pianeti.
Margherita Hack era un’astrofisica italiana nota per le sue ricerche sulla
spettroscopia stellare e per la sua capacità di divulgare la scienza in modo
accessibile e affascinante. La sua ipotesi sulla possibilità di vita
extraterrestre è condivisa da molti scienziati e teorici, che ritengono che
l’universo sia così vasto e variegato da rendere plausibile l’esistenza di altre
forme di vita.
Questa idea si basa su diversi punti tra cui la vastità dell’universo con
miliardi di galassie, ognuna contenente miliardi di stelle e le possibilità di
trovare pianeti abitabili sono considerevoli.
Tramite la scoperta di esopianeti negli ultimi anni, sono stati scoperti
numerosi pianeti, alcuni dei quali si trovano nella “zona abitabile” delle loro
stelle, dove le condizioni potrebbero essere adatte alla vita come la
conosciamo.
E ancora la presenza di molecole organiche secondo cui alcune molecole viventi,
come gli aminoacidi, sono state trovate in meteoriti e nello spazio
interstellare, suggerendo che i mattoni fondamentali della vita potrebbero
essere comuni nell’universo.
Tuttavia, nonostante queste considerazioni, non abbiamo ancora trovato prove
definitive dell’esistenza di vita extraterrestre. La ricerca continua, e molti
scienziati ritengono che la scoperta di vita extraterrestre potrebbe essere uno
dei più grandi progressi scientifici del nostro tempo. Come esseri umani
dobbiamo, in qualità di pacifisti e di appartenenti al mondo nonviolento e
pacifista, ossia di soggetti che vogliono la pace e salvarci, evitare e sventare
l’apocalisse nucleare che può verificarsi anche per un errore informatico e
dell’intelligenza artificiale e distruggere così in un soffio la nostra forma di
vita sulla terra.
Come esseri umani, abbiamo la responsabilità di lavorare insieme per prevenire
l’apocalisse nucleare e promuovere la pace mondiale, con il tramite di alcune
strategie che potrebbero aiutare nella riduzione degli arsenali nucleari. I
paesi che possiedono armi nucleari dovrebbero lavorare per ridurre i loro
arsenali e implementare misure di controllo più rigorose.
Anche attraverso la diplomazia e il dialogo. La diplomazia e il dialogo tra le
nazioni possono aiutare a risolvere i conflitti in modo pacifico e a prevenire
l’escalation delle tensioni, con lo sviluppo di tecnologie sicure. Infatti è
fondamentale sviluppare tecnologie sicure e affidabili per eliminare i sistemi
nucleari e prevenire errori informatici o di intelligenza artificiale.
Sono necessarie, anche a partire dagli istituti scolastici di tutti gli ordini e
gradi, l’educazione e la consapevolezza, quindi educare le persone sui rischi
dell’apocalisse nucleare e promuovere la consapevolezza sulla pace e sulla
sicurezza globale e universale che può aiutare a creare un movimento e
molteplici realtà attive per la pace.
Soprattutto la cooperazione internazionale è fondamentale per affrontare le
sfide globali e prevenire l’apocalisse nucleare.
Come individui e soggetti e persone e pacifisti possiamo contribuire a
promuovere la pace e la sicurezza globale attraverso il sostegno a
organizzazioni pacifiste. Sostenere organizzazioni che lavorano per la pace e la
sicurezza globale può aiutare a promuovere la causa pacifista.
Con i mezzi della partecipazione a campagne di sensibilizzazione e partecipare
anche a manifestazioni per la pace può aiutare a creare una matura e incisiva
consapevolezza per la pace.
Quindi educazione e consapevolezza al fine di educare se stessi e gli altri sui
rischi dell’apocalisse nucleare e sulla importanza della pace può aiutare a
creare un cambiamento positivo. Cosa possiamo fare come esseri intelligenti per
promuovere la pace e prevenire l’armageddon nucleare?
Come esseri intelligenti, possiamo fare molte cose per promuovere la pace e
prevenire l’apocalisse nucleare.
Inoltre, possiamo anche promuovere la cultura della pace, ossia promuovere la
cultura del pacifismo e della non violenza attraverso l’educazione, l’arte e la
comunicazione, il che può aiutare a creare un cambiamento positivo.
Anche sostenendo la cooperazione internazionale: sostenere la cooperazione
internazionale e le organizzazioni internazionali che lavorano per la pace e la
sicurezza globale può aiutare a creare un mondo più pacifico.
E inoltre è necessario ridurre le tensioni e lavorare per ridurre i contrasti e
i conflitti tra le nazioni e le comunità. Questo può aiutare a creare un
ambiente più pacifico.
Il passo più importante da fare per promuovere la pace e prevenire l’armageddon
nucleare.
Il trattato di proibizione delle armi nucleari quanto può incidere sulla
salvezza dell’umanità dal rischio dell’estinzione nucleare?
Il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) rappresenta un passo
significativo verso la riduzione del rischio di estinzione nucleare. Entrato in
vigore il 22 gennaio 2021, il trattato mira a eliminare completamente le armi
nucleari, rendendole illegali e promuovendone la distruzione e eliminazione.
Ecco alcuni punti chiave su come il trattato può incidere sulla salvezza
dell’umanità come con il divieto di sviluppo e utilizzo. Infatti il trattato
proibisce agli Stati parte di sviluppare, testare, produrre, fabbricare,
acquisire, detenere o utilizzare armi nucleari, riducendo il rischio di un
conflitto nucleare. Tramite l’eliminazione delle armi nucleari. Gli Stati che
possiedono armi nucleari sono tenuti a eliminarle in modo irreversibile e
verificabile, con la supervisione di un’autorità internazionale competente.
Da non sottovalutare l’assistenza alle vittime e il risanamento ambientale, in
quanto il trattato prevede l’assistenza alle vittime dell’uso o della
sperimentazione di armi nucleari e il risanamento ambientale delle aree
contaminate.
Imprescindibile e estremamente importante la cooperazione internazionale, perché
gli Stati parte sono incoraggiati a collaborare per facilitare l’attuazione del
trattato e fornire assistenza tecnica, materiale e finanziaria agli Stati
colpiti dall’uso o dalla sperimentazione di armi nucleari. Tuttavia, è
importante notare che il trattato non è stato firmato da tutti gli Stati, in
particolare quelli che possiedono armi nucleari, come gli Stati Uniti, la
Russia, la Cina, la Francia e il Regno Unito. Ciò potrebbe limitare l’efficacia
del trattato nel ridurre il rischio di estinzione nucleare. Nonostante queste
limitazioni, il TPNW rappresenta un importante passo avanti verso la riduzione
del rischio nucleare e la promozione della pace e della sicurezza
internazionali. La sua attuazione potrebbe contribuire a creare un mondo più
sicuro e stabile, riducendo il rischio di un conflitto nucleare che avrebbe
conseguenze catastrofiche per l’umanità.
Laura Tussi
Violenza, nonviolenza, uso della forza
Viviamo in un mondo sempre più pieno di conflitti: personali, sociali, tra
stati, internazionali.
In questo momento sembra che i conflitti stiano aumentando e che non ci sia modo
di porre fine alla violenza.
Questo sistema, sociale, economico e mentale, dice, magari di contrabbando, che
la soluzione alla violenza è la violenza: più controllo, più sistemi di allarme,
più leggi repressive rispetto al preteso aumento della delinquenza, per fare un
esempio facile.
I movimenti nonviolenti non la pensano così perché, in primo luogo, si
interrogano sulla radice ultima della nonviolenza. Per esempio Pat Patfoort
sottolinea come la violenza visibile (la violenza fisica per esempio) sia
preceduta da una più crudele violenza invisibile (violenza psicologica,
economica, religiosa) e che sia necessario rintracciare il percorso e le
concatenazioni che portano all’atto violento. Il Movimento Umanista sempre ha
definito la violenza come la limitazione dell’intenzionalità umana e che, in
questo senso, la violenza fisica sia sono uno degli aspetti di un fenomeno che
riguarda l’economia, le relazioni umane, la discriminazione, l’orientamento
sessuale, la credenza religiosa.
Un’altra puntualizzazione importante è chiarire che la violenza non è sinonimo
di forza e che l’uso della forza, nei suoi molteplici aspetti può perfettamente
essere un’azione nonviolenta: la forza di una manifestazione, della
disobbedienza civile, dell’interposizione nonviolenta tra due forze violente, lo
sciopero, il boicottaggio, la difesa con ogni mezzo a disposizione da
un’aggressione (tutte espressioni e lotte che già Aldo Capitini segnalava nel
suo Le Tecniche della Nonviolenza, opportunamente ripubblicato da Manni).
A livello sociale esistono enti di vario tipo a cui la società ha demandato
l’uso della forza in certe occasioni regolate dalla Legge: questo patto sociale
è posto sotto revisione dalla nonviolenza perché ben sappiamo che con la scusa
dell’Ordine Pubblico si sono violati e si violano Diritti Umani, si giustificano
dittature e stai d’emergenza.
Però sembra ragionevole che con gli opportuni correttivi esistano enti che si
occupano legittimamente di esercitare la forza (non la violenza) nelle occasioni
opportune: arrestare i ladri, proteggere le persone indifese ecc. Il caro amico
Peppe Sini propone sempre un corso di nonviolenza alle Forze dell’Ordine.
Un tema importante riguarda invece quando forze sociali sia opportuno che usino
la forza in determinati contesti sociali. L’esempio concreto e storico sono le
lotte armate di liberazione dei popoli, le insurrezioni contro i dittatori, le
varie forme di Resistenza.
Su questo c’è molta confusione, differenza di opinioni anche tra le persone che
si riferiscono alla nonviolenza; anche c’è molto giustificazionismo e un
background storico che agisce su ognuno di noi, con i suoi miti (Che Guevara per
esempio).
Cominciamo col dire che anche chi usa abitualmente le armi ha una sua etica e
delle leggi da seguire, alla fine potrebbe bastare la Convenzione di Ginevra.
Ma l’aspetto da chiarire è se, a partire dal rispetto della Convenzione di
Ginevra, un’azione militare possa essere considerata un’azione nonviolenta.
Inoltre considerare se, in determinate situazioni, non sarebbe stato possibile
una soluzione diversa.
Per esempio molti studiosi nonviolenti hanno sviluppato il concetto di Difesa
Popolare Nonviolenta che è un insieme di azioni non armate di resistenza civile,
boicottaggio, non collaborazione in cui si difende un territorio o una sovranità
popolare senza ricorrere alle armi. All’inizio dell’invasione russa in Ucraina
molti pacifisti si sono chiesti cosa sarebbe successo se invece della risposta
armata si fosse proposta una pacifica resistenza passiva, o forme di mediazione
o perfino una resa incondizionata: Putin sarebbe veramente arrivato a Kiev?
Atlante delle Guerre ha documentato questi tentativi.
Evidentemente nella storia abbiamo una serie di esempi di liberazione del
territorio effettuati con l’uso delle armi e i movimenti di liberazione dei
popoli rivendicano quegli esempi. In Italia il riferimento è alla Resistenza che
ha innegabilmente avuto una parte di lotta militare armata anche se quello non è
stato l’unico aspetto.
Al tempo stesso abbiamo esempi contrari di movimenti di liberazione armati che
scelsero di abbandonare la lotta armata e scegliere la nonviolenza: il caso
storico più significativo è stato quello di Nelson Mandela e dell’African
National Congress dove l’abbandono della armi e la scelta della mobilitazione
internazionale nonviolenta, del boicottaggio sono risultati vincenti. Un caso
attuale di grande importanza è quello di Ocalan e del PKK che, nonostante le
avverse condizioni in cui da tanto versa il popolo kurdo, ha deciso di imboccare
una via almeno non armata alla risoluzione del conflitto.
Esiste una letteratura denigratoria della nonviolenza che parla di collusione
col potere, di giustificazionismo, di posizioni moderate inefficaci, di
tradimenti ideali ecc. Si tratta di critiche basate su fatti realmente accaduti
ma che mi pare non colgano il tema di fondo: la collusione, la giustificazione,
il tradimento possono essere praticati indipendentemente dalla metodologia e
dall’adesione morale a una o a un’altra ideologia e, purtroppo, appartengono a
tutti i campi; queste pratiche non sono altro che manifestazioni, a volte
sottili o dissimulate, di quella violenza di cui stiamo parlando: a maggior
ragione spingono a favore di una soluzione nonviolenta che sia integrale,
autentica, senza se e senza ma.
Il mondo futuro, un mondo migliore, va costruito con mattoni solidi e coerenti
con le aspirazioni che manifestiamo e che sono l’immagine tracciante che ci
guida. Uno di questi mattoni, ideali e metodologici, è la nonviolenza, l’altro
certamente la centralità e il valore di ogni essere umano.
Olivier Turquet
Da che parte stare nella guerra?
Gli slogan del Nuovo Mondo gli tornarono in mente
con una chiarezza senza precedenti:
La guerra è pace
La libertà è schiavitù
L’ignoranza è forza.
Bothayna Al – Essa, La biblioteca del censore di libri, astoria, Milano 2025, p.
145.
Ricevo da una amica della nonviolenza, come una boccata d’aria libera, questo
straordinario brano di Arundhati Roy: “Il sistema collasserà se ci rifiutiamo di
comprare quello che vogliono vendere, le loro idee, la loro versione della
storia, le loro guerre, le loro armi, la loro nozione di inevitabilità.
Ricordatevi di questo: noi siamo molti e loro sono in pochi. Hanno bisogno di
noi più di quanto ne abbiamo noi di loro. Un altro mondo non solo è possibile,
ma sta arrivando. Nelle giornate calme lo sento respirare”[1]. Accompagnato dal
suo commento: “Era il 2002, tuttavia …”.
Quel “tuttavia”, a distanza di vent’anni dalle parole di Arundhati Roy, è
certamente da intendere in senso avversativo alla direzione che il mondo ha
preso dal 2022 a oggi, dall’Ucraina, a Gaza, alla guerra Israele/Stati Uniti –
Iran, alle tante guerre nascoste, alle nuove guerre che verranno perché non
sapremo, non avremo saputo prevenirle come auspicava Virginia Woolf ne Le tre
ghinee. Tuttavia, cioè non di meno, ciò nonostante, malgrado ciò, comunque,
nonostante gli ostacoli siano molti e ci paiono insormontabili, continuiamo a
credere che un altro mondo è possibile e a cercare “una maglia rotta nella rete
/ che ci stringe” (Eugenio Montale).
Considerando che scrivo all’inizio di luglio 2025, sono passati circa 3 anni e
125 giorni dall’invasione russa dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022,
durante i quali per 175 volte ci siamo riuniti come amiche e amici della
nonviolenza insieme ad AGITE (Coordinamento di cittadini, associazioni, enti e
istituzioni locali contro l’atomica, tutte le guerre e tutti i terrorismi) per
dire NO a tutte le guerre. Riprendendo Arundhati Roy, la “nozione di
inevitabilità” che si/ci è imposta e a cui reagiamo è che nelle guerre bisogna
scegliere da che parte stare. E che la parte scelta sia sempre quella dalla
parte giusta della Storia.
Così ragiona l’uomo di governo e così ragiona il “giornalista indipendente”. Un
esempio di come ragiona l’uomo di governo ci viene offerto da Paolo Gentiloni,
ex membro della Camera dei Deputati, ex Presidente del Consiglio dei Ministri
della Repubblica Italiana dal 2016 al 2028, ex Commissario Europeo per gli
affari economici e monetari della Commissione von der Leyen dal 2019 al 2024.
Per l’autorevole statista, essere dalla parte dell’Ucraina “è il modo migliore
per dire che l’Europa conta ed è baluardo di libertà”. Infatti, “sarà la guerra
ucraina a decidere il destino di noi europei. Forse anche più delle percentuali
della spesa militare sul Pil tra dieci anni”[2].
Un esempio di come ragiona il “giornalista indipendente” ci viene offerto da
Mattia Feltri che oppone alle “logore ambizioni” delle Nazioni Unite le
rinnovate e rafforzate ambizioni di coloro che se vogliono la pace preparano la
guerra e che quando le guerre scoppiano sanno da che parte stare. Dopo avere
irriso lo stupore del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres,
una delle più brillanti firme del giornalismo italiano scrive: “Ci si difende
col fuoco. […] La guerra in questione è stata avviata dalla Russia, ossia da uno
dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu – e sottolineo
sicurezza – e l’ha avviata entrando coi carrarmati in un Paese sovrano. Non
solo: da tre anni e mezzo la Russia dissemina l’Ucraina di mine antiuomo e, ora
che l’Ucraina prova a restituire la stessa moneta, diventa un pericoloso
arretramento? L’arretramento – un po’ comico e un po’ drammatico – è quello
dell’Onu e del suo segretario davanti alle loro logore ambizioni”[3].
A questa “versione della storia” si oppongono le amiche e gli amici della
nonviolenza che nelle guerre stanno contro la guerra e si oppongono alla regola
della stessa moneta. Sono i tenaci e le tenaci di cui parla Hermann Hesse nel
libro Il coraggio di ogni giorno: “Chi è tenace obbedisce infatti a un’altra
legge, una legge particolare, assolutamente sacra, la legge che ha in sé stesso,
il tenere a sé stesso. Contro le infamie della vita le armi migliori sono la
forza d’animo, la tenacia e la pazienza. La forza d’animo irrobustisce, la
tenacia diverte e la pazienza dà pace[4].
Come scriveva il grande scrittore, l’obiezione di coscienza alla guerra è “il
sintomo più prezioso dei tempi” e l’espressione di “un moto serio” per la
pace[5]. È sbagliato ottenere ciò che si desidera attraverso la violenza e,
piuttosto che usare ingiustizia, è meglio subire un’ingiustizia: “La violenza è
il male, e la nonviolenza è l’unica via per coloro che si sono destati. Non sarà
mai la via di tutti, ma di coloro che vorrebbero fare la storia universale”[6].
A giudicare dallo stato attuale del mondo, dopo il primo quarto del secondo
millennio, sembra che, tra tutte le attività umane, la guerra continui a essere
la più facile da apprendere e da praticare, la più ricorrente e praticata. Pare
che tanto i potenti e le potenti della terra quanto i popoli non imparino
assolutamente nulla dalle guerre, siano esse vinte o perse.
Mentre si afferma una cultura regressiva che esalta il primato della forza
naturale sulla forza culturale, mentre viene marginalizzata la diplomazia e il
diritto internazionale viene sconfessato, mentre la guerra non viene neanche più
giustificata come male necessario, oggi “l’obiezione di coscienza può iniziare
da qui: non condividere nulla di ciò che svilisce o vanifica il dialogo, non
sostenere chi lo dileggia o lo rinnega, magari con un semplice sorriso di
sufficienza, non irridere le istituzioni, soprattutto quelle internazionali.
Oggi più che mai. È tempo di scegliere: forza umana o disumana, dominio o
dialogo”[7].
[1] A. Roy, Guerra è pace, Guanda, Parma 2002; Tea, Milano 2003.
[2] P. Gentiloni, Da che parte stare in questa guerra, “la Repubblica”, martedì
1 luglio 2025, p. 27.
[3] M. Feltri, Le logore ambizioni, “La Stampa”, 1 luglio 2025, p. 1.
[4] H. Hesse, Il coraggio di ogni giorno, Milano, Mondadori, 1985, pp. 68 e 75.
[5] Ibidem, p. 46.
[6] Ibidem, p. 86. Traggo i riferimenti a Hermann Hesse dalla premessa al mio
Preferirei di No. Fuori la guerra dalla storia, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma 2025.
[7] F. Vaccari, Il conflitto o la parola, “Avvenire”, venerdì 4 luglio 2025, p.
15.
Pietro Polito
Dall’Italia una concreta proposta di pace per l’Ucraina
Parte dall’Italia il primo tentativo di diplomazia “dal basso”. Di fronte
all’inerzia dei governi alcuni cittadini e intellettuali volenterosi, guidati
dal filosofo padovano Damiano Migliorini, hanno lanciato un’iniziativa che sta
diventando virale nei social, tramite whatsapp ed email. Si tratta di una
proposta diplomatica concreta di accordo di pace che segue un principio chiave
della nonviolenza: di fronte allo stallo militare, vista l’inutile strage di
militari e civili, per giungere a una pace si devono cercare dei compromessi che
non siano umilianti per le parti in causa nel conflitto. Su chi ricada la
responsabilità di una terribile invasione è chiaro a tutti, ma dopo anni di
conflitto, le soluzioni massimaliste non sono possibili, da entrambe le parti. I
politici propongono slogan, ma non idee: l’iniziativa si propone di far giungere
alle orecchie dei “grandi” queste proposte concrete per intavolare un reale
percorso negoziale. La proposta di pace è infatti molto concreta e si articola
in 8 punti:
1. Cessate il fuoco nell’attuale linea del fronte, restituzione dei caduti, dei
prigionieri e dei bambini;
2. I territori attualmente occupati (Crimea, parte di Kherson, parte di
Zaporizhzhia, parte del Donetsk, Luhansk) dovranno essere demilitarizzati.
Diventano temporaneamente autonomi, gestiti democraticamente sotto la
sorveglianza di un contingente formato da militari degli attuali paesi BRICS
(Russia esclusa), con mandato ONU. Questi territori, dopo adeguate bonifiche
e ricostruzioni, saranno chiamati, tra 25-30 anni a un referendum libero e
democratico, sorvegliato e gestito dall’ONU, per decidere se: (a) continuare
ad essere autonomi; (b) tornare all’Ucraina in forma confederata. Per la
Crimea è possibile eventualmente ipotizzare uno scenario istituzionale come
quello Nord-Irlandese.
3. Raggiunto il cessate il fuoco e sospesa la legge marziale, libere elezioni
in Ucraina, rigidamente sorvegliate da ispettori internazionali.
4. Gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia da parte di un ente terzo,
che si impegna a fornire energia sia ai nuovi territori autonomi, sia
all’Ucraina.
5. Adesione “territoriale” dell’Ucraina all’Unione Europea, con clausola di
salvataggio (intervento delle nazioni europee) in caso di invasione esterna,
tramite stipula di trattati integrati con i 27. Questi trattati si
configurano come “garanzie di sicurezza” rispetto all’inviolabilità futura
del territorio ucraino. Per l’adesione economica e giuridica all’UE, si
adotteranno in seguito le procedure standard (ma velocizzate) previste per
l’ingresso dei Paesi nell’UE.
6. Non adesione dell’Ucraina alla Nato (in cambio del punto 5.) ma possibilità
di sviluppare il proprio esercito in collaborazione con i partner
Occidentali.
7. Dichiarazione di neutralità (armata) dell’Ucraina sul modello finlandese
(pre-adesione Nato). Inserimento in Costituzione di un articolo simile
all’Art. 11 della Costituzione italiana.
8. Riconoscimento del russo come seconda lingua ufficiale in Ucraina; sul
modello di altre nazioni europee bilingue.
Questa proposta, si trova scritto nel sito che la promuove
(https://peaceagreementukraine.wordpress.com/), non è di qualcuno in
particolare. È firmata idealmente da tutte le persone che la stanno condividendo
con ogni mezzo disponibile sui social, email, whatsapp. Tutto gratuitamente,
nessuno vuole guadagnarci nulla. L’unico obiettivo è una pace giusta per le
future generazioni. Ciascuno può contribuire visitando il sito e facendo
conoscere l’iniziativa.
P.A.F.U.
Redazione Italia
La marcia come azione nonviolenta di massa
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Nella storia della nonviolenza la marcia non è una passeggiata e neanche un
pellegrinaggio: è un’azione nonviolenta di massa. Marciare insieme da Marzabotto
a Monte Sole, luogo sacro alla memoria del nostro paese che vide l’eccidio
nazista di popolazioni inermi, è un’azione nonviolenta contro la normalizzazione
della violenza che oggi non vede il genocidio del governo israeliano contro le
popolazioni inermi di Palestina. O, se lo vede – garantendo con falsa coscienza
le cure a qualche bambino sopravvissuto allo sterminio della propria famiglia –
non fa niente per fermare quel genocidio: anzi il nostro governo continua ad
inviare armi al governo criminale di Netanyahu, rendendosi complice dello
sterminio in corso.
La marcia è anche un’azione nonviolenta di massa contro la normalizzazione della
guerra, che – dall’Europa al Mediorente, e spesso con gli stessi attori
coinvolti, come il governo israeliano – ha nuovamente, tragicamente e
pericolosamente, sostituito il diritto internazionale nella regolamentazione dei
conflitti. Che non regolamenta ma dilata, approfondisce, perpetua.
Ed è un’azione nonviolenta di massa contro il riarmo, che nel folle ritorno
della logica delle deterrenza produce conflitti armati quanto più prepara la
guerra, spendendo in armamenti: ogni anno più del precedente si trasferiscono
risorse dagli investimenti civili, sociali, sanitari alle spese militari – cioè
ai profitti dell’industria bellica nazionale e internazionale – e ogni anno più
del precedente aumentano i conflitti armati, le vittime civili, i profughi delle
tante guerre. “Se vuoi la pace prepara la guerra” è la più subdola e illusoria
delle menzogne, sempre smentita dalla storia: ogni riarmo ha prodotto nuove
guerre, anche due guerre mondiali. Ed ora ricompone i pezzi della Terza. Se
vogliamo la pace dobbiamo preparare la pace: non c’è alternativa, ovunque ed a
tutti i livelli.
Inoltre la marcia è un’azione nonviolenta contro la logica di guerra, fondata
sul dispositivo binario amico-nemico, che scatena le tifoserie e lacera e
dilania, oltre i corpi di chi è colpito direttamente, la capacità di pensiero
critico di chi giustifica e incita perfino al massacro. La guerra va decostruita
nelle nostre teste, per poter essere abbandonata – definitivamente – tra i
ferrivecchi, obsoleti, della storia. Sembrava avessimo fatto dei passi in
avanti, almeno alle nostre latitudini, almeno con l’Articolo 11 della
Costituzione, tanto antifascista quanto pacifista, ma stiamo riprecipitando
velocemente nell’abisso.
Eppure le reti pacifiste, composte da organizzazioni impegnate per il disarmo e
la nonviolenza, non hanno mai smesso di svolgere iniziative per tenere gli occhi
aperti e preoccupati sulle guerre e sulla tragedia palestinese, dimenticata dal
resto del mondo prima dell’attentato terrorista di Hamas del 7 ottobre 2023. Ma
oggi – che quella tragedia assume mese dopo mese le dimensioni dell’orrore senza
fine, condotto metodicamente dal governo israeliano con i bombardamenti, la
fame, la sete, la deportazione – è necessario moltiplicare gli sforzi, guardare
nell’abisso, chiamare le cose con il loro nome, svolgere azioni di solidarietà
concreta con il popolo palestinese, interrompere tutte le collaborazioni
militari, dirette e indirette, ad ogni livello con il governo israeliano.
Contemporaneamente, per dirla con Italo Calvino, occorre “cercare e saper
riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare,
e dargli spazio”, a cominciare dagli obiettori di coscienza e dai disertori
israeliani, dalle organizzazioni pacifiste israeliane represse dal loro governo,
dai gruppi misti israelo-palestinesi che già adesso – dentro l’inferno – cercano
faticosamente di tenere e ricostruire relazioni di riconoscimento, di
riconciliazione, di convivenza. Nostri compagni di strada nella marcia dei
popoli per la pace e la nonviolenza.
“Una marcia non è fine a se stessa, produce onde che vanno lontano”, diceva Aldo
Capitini in occasione della prima Marcia della pace da Perugia ad Assisi.
Partecipare oggi a questa azione nonviolenta di massa significa assumere impegni
personali – non solo morali, ma politici e concreti – da portare nei rispettivi
territori, come un’onda che si propaga e va lontano. Ogni guerra ha una filiera
economica e culturale che la supporta, la prepara e la giustifica, che si dirama
dal centro verso le periferie: il primo impegno da prendere è recidere la
filiera, le collaborazioni, le giustificazioni. “A ciascuno di fare qualcosa”,
diceva ancora Aldo Capitini ai partecipanti della Marcia del 1961. Ciascuno
secondo le sue possibilità e responsabilità: nessuno si sottragga.
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Testo dell’intervento alla marcia nazionale “Save Gaza” promossa il 15 giugno da
Marzabotto a Monte Sole da Rete Italiana Pace e Disarmo, ANPI, Unione delle
Comunità Islamiche d’Italia e molte altre realtà (pubblicato anche su un blog
del fattoquotidiano.it). Pasquale Pugliese ha aderito alla campagna Partire
dalla speranza e non dalla paura
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