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Revisionismo, controllo e militarizzazione
Articolo di Michele Lucivero Da diversi anni ormai l’insegnamento, derubricato semanticamente ad apprendimento, è entrato all’interno di una riflessione che apparentemente è ammantata di ragioni pedagogiche, ma in realtà risulta completamente asservita al mercato e a logiche neoliberiste che tendono a valorizzare la misurazione e la standardizzazione dei prodotti finali. Questa omologazione ideologica degli alunni e delle alunne è il risultato della messa a punto di un sottile dispositivo di controllo dell’educazione, di cui i docenti, nell’ubriacatura della novità didattica, pedagogica e tecnologica, finiscono per divenire complici, diventando mere esecutori materiali, valutatori di un processo di apprendimento scritto altrove e da altri soggetti, estranei alla crescita intellettuale che deve proliferare all’interno delle scuole e delle università.  Distratte e distratti dall’urgenza di rincorrere l’innovazione pedagogica e la tecnica didattica all’ultimo grido per rendere più accattivante e ammaliante l’oggetto dell’apprendimento e raggiungere la specifica competenza da certificare, gli e le insegnanti smarriscono il senso politico ed esistenziale del progetto educativo e vengono spinti ad abdicare alla consapevolezza di essere soggetti fondamentali nel passaggio dei ragazzi e delle ragazze alla vita adulta, come mostra in maniera magistrale Gert J.J. Biesta nel suo Riscoprire l’insegnamento. E proprio in questo vuoto progettuale dallo slancio utopistico, quale dovrebbe essere il fine e, al tempo stesso, la postura della professione docente, si è insinuato nella scuola in maniera beffarda un programma di addestramento che ha delle profonde analogie con retaggi del passato, con circostanze che in Italia, e anche altrove, abbiamo già vissuto e che come uno spettro preoccupante ritorna sotto spoglie nuove e anche piuttosto evidenti. Che la scuola pubblica sia sotto attacco è un’evidenza empirica che non ha bisogno di essere dimostrata. Per capirlo basterebbe solo passare in rassegna le pseudoriforme degli ultimi 25 anni, tutte orientate a trasformare la scuola nell’avamposto ideologico del neoliberismo, svenduta, sia nella semantica quotidiana, tra crediti, debiti, prodotti finali e meriti, sia nella gestione affaristica dirigenziale, alla quadruplice radice del principio di ragione capitalistica che si concretizza nei settori farmaceutico, digitale, energetico e militare. Tuttavia, negli ultimi anni in Italia il dispositivo di controllo all’interno della scuola pubblica è andato incontro a un’accelerazione, una vera e propria ingerenza sistematica e asfissiante, tesa, da un lato, a far passare una linea ideologica ben determinata a uso e consumo del personale più accondiscendente e ligio, addestrandolo a dovere, dall’altro, a intimidire e sanzionare chi mostrava capacità critiche e intolleranza alle pressioni governative, mettendolo a tacere. Da docenti sensibili e attenti alla direzione intrapresa dalla scuola pubblica abbiamo potuto constatare sin dall’ottobre del 2022 l’abitudine a utilizzare una strana e pressante comunicazione tra centro e periferia, tra Ministero dell’Istruzione e del Merito e singole istituzioni scolastiche. Si tratta di una comunicazione unidirezionale fatta di lettere e missive che invitano di volta in volta a celebrare ricorrenze particolari, che indicano la direzione interpretativa di determinati periodi storici, che offrono surrettiziamente, infine, prospettive ideologiche sul ruolo della stessa scuola, esautorando di fatto il lavoro dei e delle docenti e inaugurando una fase alienante e psicotica che altrove abbiamo definito come regime di Psicoistruzione. Procedendo in ordine sparso nella disamina di questo stile epistolare adottato dal Ministero, potremmo citare l’istituzione e la riesumazione del Giorno della Libertà, ricordato agli studenti e alle studentesse con un’apposita lettera dallo stesso Giuseppe Valditara. Già istituito in Italia nel 2005 dal governo Berlusconi «quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo» (Art. 1, comma 1, Legge 15 aprile 2005, n. 61), il Giorno della Libertà era, di fatto, finito nel dimenticatoio, almeno fino all’avvento del nuovo governo di destra. In questa lettera di mezza paginetta il Ministro, mediante il ricorso a una didattica d’occasione fatta di date da segnare all’interno di un nuovo calendario civile, pretende di tracciare in maniera netta il confine tra libertà e oppressione, anche in questo caso legittimando come unico orizzonte possibile per la democrazia l’assetto neoliberista. Sarebbe questo l’unico ordine in grado di garantire libertà e giustizia, ma in tal modo viene giustificata l’azione disinvolta dei meccanismi capitalistici del XXI secolo, soprattutto rispetto al quadro dei valori liberali che essa afferma di voler tutelare.  Ora, al di là della continuità storica tra liberalismo e fascismo, che occorrerebbe ancora una volta richiamare alla memoria, varrebbe la pena qui rimandare alla versione più aggiornata di tale commistione, quella che si cela dietro La maschera democratica dell’oligarchia (Laterza 2014), citando Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky. Per rendere palese il maldestro tentativo da parte del Governo e del Ministero dell’Istruzione e del Merito di controllare l’universo simbolico che si genera nelle scuole, operando, al tempo stesso, un sistematico revisionismo storico, si potrebbe far riferimento alle parole pronunciate dal Presidente del Senato Ignazio Benito Maria La Russa nel marzo 2023. In quella occasione La Russa riuscì a sostenere che l’episodio scatenante l’eccidio delle Fosse Ardeatine da parte dei tedeschi poteva essere sostanzialmente evitato dai partigiani, infatti: «È stata una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza: quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia su cittadini romani».  Assistiamo ormai da diversi anni a questa urgenza di riscrivere, mistificandola, la storia italiana. Non si tratta di casi sporadici, ma vi è un attacco sistematico nei confronti di tutti quegli storici e quelle storiche che tentano di raccontare le pagine più buie della storia italiana. Appena si cerca di fare luce su alcuni eventi con dati, testimonianze, reperti e ricostruzioni accreditate con il metodo della ricerca storica, scatta l’intimidazione politica, la diffamazione a mezzo stampa.  E, purtroppo, di questo clima intimidatorio, che impedisce di svolgere in maniera critica il proprio lavoro, ne abbiamo fatto le spese personalmente, dal momento che abbiamo subito un’interrogazione parlamentare (qui i dettagli) per il solo fatto di aver invitato nella nostra scuola, il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Bisceglie, lo storico Eric Gobetti a presentare il suo libro E allora le foibe?. E questa ossessione censoria nei confronti dei convegni in cui si tratta delle vicende del confine orientale si è abbattuta anche a Vicenza il 4 marzo 2023, quando è stata negata una sala comunale per lo svolgimento dell’incontro sulle Foibe, e a Orvieto il 14 febbraio 2023 in occasione del Convegno organizzato dal Cesp (Centro Studi per la Scuola Pubblica), in cui è intervenuta direttamente la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti, che ha chiesto di annullare l’incontro con gli storici Alessandra Kersevan e Angelo Bitti, inducendo la dirigente dell’istituto in cui si sarebbe dovuto svolgere l’incontro a revocare la disponibilità della sala, costringendo gli organizzatori a cercare solo il giorno prima un’altra sede. Altrettanto preoccupanti sono i tentativi di intervenire direttamente da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito sulla manualistica scolastica. Abbiamo denunciato con preoccupazione e sgomento nel marzo del 2025 su Roars la grave ingerenza in un testo di Scienze sociali in lingua inglese in uso negli istituti professionali del gruppo Zanichelli (Revellino et al., Step into Social Studies, Clitt 2023). A pagina 95 le autrici avevano inserito una scheda con un riadattamento di un articolo della Ong Human Rights Watch sulla revisione operata dal decreto-legge 130/2020 del governo pentastellato Conte II sul decreto 113/2018 a firma di Salvini del governo precedente Conte I. La scheda, nonostante riportasse la fonte, non è piaciuta al Ministero, che «ha segnalato il caso» alla casa editrice e questa ha prontamente obbedito, ritirando tutte le copie in commercio, rimuovendo la scheda dalla versione online, sostituendo nel cartaceo il caso incriminato con il testo della legge 130/2020, «senza commenti di parte», e inviato a tutti i dirigenti delle scuole che avevano adottato il libro una lettera sottoscritta dalla Direttrice Generale (qui tutti i particolari della vicenda). Meno accondiscendenti sono stati, invece, gli autori, le autrici e l’editore di Trame del Tempo, il manuale di storia accusato nel maggio 2025 da parte della deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli di aver indebitamente attribuito una sorta di continuità tra il fascismo e il partito al governo, la cui direzione è affidata a Giorgia Meloni, cioè lo stesso partito al quale la deputata Montaruli, che chiede ispezioni e accertamenti presso l’Associazione italiana editori, appartiene. Se Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi e Marco Meotto, storiche e storici di professione, autori e autrici del manuale, hanno preferito non intervenire nella polemica, in questo caso è stato direttamente l’editore, Alessandro Laterza, erede di una storica tradizione antifascista che ha in Benedetto Croce il suo antesignano, che non si è lasciato intimidire e ha dichiarato: «Senza ricamarci troppo: siamo nell’anticamera della censura e della violazione di non so quanti articoli della Costituzione», chiudendo in maniera epica la querelle con Augusta Montaruli. Eppure, e forse proprio per questo non piace al Governo, il manuale Trame del Tempo ci era risultato particolarmente gradito. Analizzando una quindicina di manuali per il triennio delle scuole secondarie di secondo grado in cerca di una narrazione storica che non fosse marcatamente colonialista e riflettesse in maniera critica il nostro passato, anche con riferimenti espliciti a Edward Said e all’orizzonte postcoloniale, proprio quello di Ciccopiedi, Colombi, Greppi e Meotto riportava un giudizio molto positivo. Ma, si sa, la direzione presa dal Ministero con le nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo della Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione vira verso un arretramento interpretativo di marca chiaramente colonialista che, nonostante sia stato ampiamente criticato dalla Società Italiana di Didattica della Storia, potrebbe già aver intimorito qualche editore più attento all’aspetto economico piuttosto che a quello educativo. Tra revisionismo storico e militarizzazione dell’istruzione si colloca, invece, l’abitudine invalsa dal 2023 di celebrare in pompa magna il 4 novembre come la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, invitando nelle scuole a vario titolo Esercito, Carabinieri e Marina Militare oppure conducendo intere scolaresche all’interno delle caserme per svolgere cerimonie plateali di alzabandiera, intonazione dell’inno nazionale e altre manifestazioni piuttosto muscolari del ruolo e delle capacità delle Forze Armate. La celebrazione del 4 novembre è stata, di fatto, istituita con una legge approvata il 1° marzo 2023, affinché si celebri la «difesa della Patria», il «ruolo delle Forze Armate» e si facciano conoscere agli studenti alle studentesse le loro attività.  L’evidente propaganda militarista di tale celebrazione ha mobilitato studenti, studentesse, docenti, genitori e anche l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, che in un momento particolarmente critico per i nostri tempi, con una guerra mondiale alle porte e con l’innalzamento della spesa militare al 5% del Pil nazionale, hanno mostrato la loro totale indignazione sia per i dieci milioni di morti della Prima guerra mondiale, che il 4 novembre vorrebbe evocare, sia per le vittime di tutte le guerre e dei genocidi in corso. Ma il punto è che le celebrazioni ufficiali del 4 novembre fanno parte di un’insistente propaganda bellica che promana direttamente dalle istituzioni governative, che cerca di assuefarci all’idea che la guerra sia inevitabile, che i genocidi siano «difesa», che il riarmo e le spese militari siano necessarie per la sicurezza e che i giovani debbano arruolarsi per diventare dei soldati.  Un capitolo a parte costituisce il ricorso sistematico alla sanzione, espressione più alta del paradigma del controllo, del «sorvegliare e punire» foucaultiano, nei confronti di docenti che osano esprimere pubbliche critiche verso il Governo e i suoi apparati. Proprio in occasione della ricorrenza del 4 novembre la collega Elena Nonveiller, docente del Liceo Foscarini di Venezia, viene denunciata all’amministrazione dell’Istruzione per violazione del «codice di comportamento» dei dipendenti pubblici entrato in vigore nel 2023. La sua colpa sarebbe quella di aver scritto su Facebook «Frecce tricolori di me…a», in occasione dello show del reparto dell’Aeronautica Militare sui cieli del capoluogo veneto, una spettacolarizzazione militaresca pericolosa, costosissima e inquinante per la popolazione. Peggio è andata al collega Christian Raimo, sospeso per tre mesi dall’insegnamento, con una decurtazione del 50% dello stipendio, perché reo di aver criticato il Ministro Giuseppe Valditara durante un dibattito pubblico sulla scuola. Per tutte queste ragioni abbiamo ritenuto fondato parlare di segnali evidenti di un fascismo eterno, parafrasando l’espressione di Umberto Eco. Una forma di Ur-fascismo che si manifesta ciclicamente, con più o meno evidenza, in assoluta continuità con determinate fasi di crisi del capitalismo. Potremmo elencare in successione: il culto della tradizione, mediante l’ossessione occidentalista; il rifiuto della critica e il sospetto per la cultura, e su questi punti potremmo analizzare la fenomenologia dello spirito che parla attraverso gli ultimi due ministri della Cultura, Gennaro Sangiuliano e Alessandro Giuli; l’attacco al pacifismo cui fa seguito una cultura della morte, che è una cultura della guerra, portata fin dentro le scuole, le università e la società civile per cercare di normalizzarla, renderla familiare, accettabile e preparare le guerre di domani, facendo impennare le spese militari al 5%, quando le scuole e le università rimangono fatiscenti, insicure e impraticabili nei mesi estivi nelle zone più calde del paese.  La militarizzazione delle scuole e delle università, epifenomeno della fascistizzazione del nostro paese, risponde a un piano ben architettato dal Ministero della Difesa per aggredire i luoghi in cui sono presenti i giovani e fare arruolamento, come si può leggere nel Programma della Comunicazione del Ministero della Difesa del 2019 e in quello più aggiornato del 2025. A leggere questi documenti non si va molto lontano da quanto scriveva nel 1938 il prof. Eugenio Grillo in La cultura militare nelle scuole medie, un testo giuridico in cui si commentava il Regio decreto del 15 luglio 1938-XVI, n. 1249, recante Norme per l’insegnamento della Cultura Militare nelle scuole medie: «L’insegnamento della Cultura Militare nelle scuole ha scopo integrativo. È inteso, cioè, a concorrere alla preparazione del cittadino-soldato. Il compito affidato alla scuola civile in questo settore, la cui importanza diventa sempre più evidente, non è tanto quello di darci dei tecnici nel senso letterale della parola e neppure di creare dei professionisti, quanto quello eminentemente educativo di alimentare, rafforzare e rendere consapevole nei giovani lo spirito militare, che è oggi una delle loro caratteristiche migliori».  Insomma, messi tutti in fila, oggi come un secolo fa, i segni di una chiara fascistizzazione della società civile, a partire dalla scuola, sono piuttosto evidenti. Non vederli è il sintomo di una diffusa e colpevole indifferenza, di cui, però, come educatori ed educatrici, dovremmo mettere a parte gli studenti e le studentesse, giacché gli anticorpi della Resistenza vanno lentamente esaurendosi e si rischia di finire come le rane bollite. * Michele Lucivero è dottore di ricerca in Etica e antropologia. Storia e fondazione presso l’Università del Salento e insegna Filosofia e storia al liceo Da Vinci di Bisceglie. Giornalista pubblicista, cura il blog Agorà. La filosofia in Piazza ed è promotore dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. L'articolo Revisionismo, controllo e militarizzazione proviene da Jacobin Italia.
Adesione alla proposta educativa “Insieme per la pace disarmata”
PUBBLICHIAMO UN INTERESSANTE DOCUMENTO PER ATTIVITÀ DIDATTICHE SULL’EDUCAZIONE ALLA PACE E SU PERCORSI ALTERNATIVI A QUELLE CON LE FORZE ARMATE ALL’INTERNO DELLE NOSTRE SCUOLE. Gentilissimi/e, ci sono momenti della Storia che appaiono più gravi, in cui non possiamo restare indifferenti lasciando che tutto accada senza far agire il nostro potere di scelta, in cui occorre “Richiamare tutti gli adulti alla responsabilità per le generazioni che vengono al mondo” (Gianni Rodari). La guerra è in se stessa un crimine contro l’umanità (Papa Francesco); è il peggior tradimento verso le nuove generazioni. Occorre scongiurarla con tutte le nostre forze primariamente a partire dall’Educazione e da una Pedagogia della pace. Le guerre colpiscono prevalentemente le popolazioni civili, distruggono, creano odio, rancore, desiderio di vendetta, impotenza. Con i bambini, le donne subiscono le maggiori violenze su corpo, mente e cuore. Abbiamo il dovere di immaginare e costruire con le nuove generazioni del mondo un futuro di pace, giustizia e speranza. Per questo invitiamo insegnanti, genitori, studenti e studentesse, mondo della scuola e della società civile a contribuire ad una fase di sviluppo concreto di una cultura della nonviolenza, della pace, della smilitarizzazione e del rispetto a partire dal “disarmo” nel linguaggio, nei gesti, nelle coscienze. Ci rifacciamo ai valori proposti dai grandi educatori di pace: Maria Montessori, Aldo Capitini, don Lorenzo Milani, Danilo Dolci, Alex Langer, Gianni Rodari, Chiara Lubich, Gino Strada, solo per citarne alcuni. Invitiamo i Collegi dei Docenti ad aderire alla proposta educativa “Insieme per la pace disarmata”, per approfondire con urgenza nelle scuole la Pedagogia della Pace, utilizzando il seguente link: https://forms.gle/he3z3Tn4k15yWutp7 Ci rendiamo disponibili a supportare azioni di progettazione di percorsi con le scuole e le/i docenti interessate/i a partire da un’assemblea all’inizio dell’a.s. 25/26 (per adesioni: insiemeperlapacedisarmata@gmail.com ) Si allegano: 1. Pedagogia della pace: sguardi, pensieri, azioni, relazioni fuori dalla guerra e dalla violenza 2. Pedagogia della pace: riferimenti, buone pratiche e proposte operative Gruppo docenti ed educatori “Insieme per la pace disarmata” ALLEGATO 1 PEDAGOGIA DELLA PACE: SGUARDI, PENSIERI, AZIONI, RELAZIONI FUORI DALLA GUERRA E DALLA VIOLENZA L’ARTE E LA SCIENZA SONO LIBERE E LIBERO NE È L’INSEGNAMENTO (ART. 33 COSTITUZIONE) La scuola è il luogo della formazione delle persone, dei cittadini e delle cittadine per dare le ali a personalità libere, non indottrinate e manipolate, ma capaci di scelta, critica, creatività, razionalità, benessere. Una scuola della Costituzione dovrebbe essere il luogo della ricerca e del confronto, del dialogo e dell’ascolto. Dovrebbe recuperare le Storie che testimoniano alternative alla violenza e alla guerra, che nascono da una nonviolenza attiva come approccio metodologico che unisce una coerenza interiore alla coerenza sociale. È la regola d’oro, principio etico fondamentale tra i più antichi e universali “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” oppure in forma negativa: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”, presente in molte religioni, culture e tradizioni filosofiche. Una regola d’oro, appunto, perché si basa sul concetto di empatia reciproca, invitando ciascuno a mettersi nei panni dell’altro prima di agire. Per questo invitiamo ad un’azione educativa riconoscendosi in alcuni elementi comuni: 1) l’educazione può favorire la costruzione di relazioni interpersonali, sociali e internazionali fondate non solo sulla rinuncia all’uso della violenza nella gestione dei conflitti, ma anche sull’empatia e sulla creatività; relazioni capaci di generare le competenze necessarie allo stare al mondo nel tempo della complessità, dell’interconnessione e di una violenza crescente; 2) la pace permette di mantenere la relazione anche nelle divergenze. L’alfabetizzazione alla gestione del conflitto è alla base dell’educazione alla pace, al riconoscimento dell’altro come persona, alla relazione empatica; 3) la sfida di “fare pace tra noi umani e fare pace con il pianeta Terra” comporta scelte radicali e testimonianze capaci di nutrire l’immaginario dei più giovani e di tutti noi; 4) occorre far conoscere ai giovani proposte alternative come l’obiezione di coscienza e i Corpi civili di pace europei di Alexander Langer che auspicavano lo sviluppo nei giovani di qualità come la tolleranza, la resistenza alla provocazione, l’educazione alla nonviolenza, una marcata personalità, l’esperienza nel dialogo, la propensione alla democrazia e alla giustizia, la conoscenza delle lingue, la cultura, l’apertura mentale, la capacità all’ascolto, la capacità di sopravvivere in situazioni precarie e la pazienza; 5) occorre nutrire la comprensione e la compassione per vivere in pace con persone, animali, piante e minerali (maestro Zen Thich Nhat Hanh) ; favorire il rispetto per la vita in tutti i suoi aspetti e la prevenzione dell’aggressività, dell’intolleranza e della violenza, a partire da quella strutturale e culturale; 6) è necessario costruire comunità educanti che si confrontino, nel rispetto delle differenze di qualunque tipo (di genere, di cultura, generazionali), per l’inclusione di soggettività diverse, l’intercultura e la cooperazione; 7) proponiamo di costruire insieme progetti curricolari ed extracurricolari interconnessi e pluridisciplinari, anche territoriali, che condividano e diffondano buone pratiche, linguaggi nuovi, creativi, solidali che accolgano il punto di vista dell’”altro” (delle vittime, delle minoranze, …); linguaggi innovativi della poesia, delle emozioni, dei sentimenti, del teatro, della narrazione, della musica, dell’arte, della multimedialità che facciano superare muri e confini, e rendano progetto l’utopia di una società globale fraterna e in pace con la natura e tutti gli esseri viventi. 8) disarmiamo il linguaggio e rivalutiamo la parola rispetto, parola dell’anno 2024 per l’enciclopedia italiana Treccani, proprio perché la mancanza di rispetto è uno dei fattori principali alla base della violenza. RITROVARE LA VIA DELLA PACE Durante il secondo conflitto bellico e alla sua conclusione, in un periodo in cui l’animo umano è stato profondamento scosso da sofferenze inenarrabili, da ingiustizie e persecuzioni, l’Umanità ha espresso sentimenti di alto valore, contro l’indifferenza e la violenza, sia a parole che in documenti, ancora oggi punti di riferimento universali. LA GUERRA NON È INELUTTABILE “L’Educazione che preparerà un’umanità nuova ha una finalità sola: quella che conduce insieme all’elevazione dell’individuo e della società […] L’uomo così preparato, conscio della sua missione cosmica, sarà capace di costruire il nuovo mondo della pace.” “Occorre organizzare la pace, preparandola scientificamente attraverso l’educazione.” (Maria Montessori, Educazione e Pace – testo che raccoglie una serie di conferenze che Montessori tenne sul tema della pace, a partire da quella presentata al Bureau international d’éducation a Ginevra nel 1932). SALVARE LE FUTURE GENERAZIONI DAL FLAGELLO DELLA GUERRA “Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grande e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti …” (Statuto delle Nazioni Unite approvato il 26 ottobre 1945). L’ITALIA RIPUDIA LA GUERRA “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” (Articolo 11 della Costituzione Italiana del 1948). NONOSTANTE L’ATTUALE “SMARRIMENTO” DELL’UNIONE EUROPEA, ESSA È STATA FONDATA SULLA PROMOZIONE DELLA PACE “L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.” (Art. 3 comma 1 del Trattato sull’Unione Europea del 1992). Questi valori sono ancora il punto di riferimento per tutti noi, per le Istituzioni, gli Individui, gli Stati. E quindi anche per la Scuola. INTERESSI E INFLUENZA DELL’APPARATO INDUSTRIALE BELLICO GENERANO CULTURA E PRATICHE DI GUERRA Dal Secondo dopoguerra in molte occasioni lo Statuto dell’Onu è diventato carta straccia, e abbiamo assistito impotenti alla frattura tra i principi enunciati e la realtà. Sono state numerose le invasioni neocoloniali, le guerre territoriali, anche in Europa, ma mai quanto ora si è arrivati così vicini ad un conflitto che papa Francesco aveva definito “terza guerra mondiale a pezzi”. La violenza bellica è tornata a essere linguaggio ufficiale delle relazioni internazionali, strumento di potere, e la produzione di armi fondamento dell’economia globale. Parole come “riarmo, nemico, vittoria” sono riemerse, come nelle precedenti grandi guerre. Il mito della guerra ha preso il sopravvento sulla cultura della pace, quella che vogliamo e dobbiamo preparare. E’ necessario che l’Onu riprenda la sua missione originaria di luogo di confronto e di soluzione pacifica delle controversie, senza che nessun Paese possa prevalere sull’altro. LA SPERANZA DELL’AGENDA ONU 2030 L’obiettivo 16 “Pace, Giustizia ed Istituzioni solide” dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, approvata nel settembre 2015, ci invita ad impegnarci per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile con un’attenzione alla promozione di società pacifiche e inclusive. L’obiettivo 16 è la lente attraverso la quale tutti gli altri obiettivi acquistano valore, significato e attuazione. Senza pace non ci può essere un reale sviluppo sostenibile. E viceversa. La stretta connessione tra il drammatico acuirsi dei conflitti geo-politici e le problematiche ambientali appare oramai evidente. L’antropocentrismo esasperato e aggressivo nei confronti della natura e il capitalismo finanziario sempre più militarista, rendono necessaria una presa di posizione in grado di favorire comportamenti resilienti e azioni efficaci in difesa della vita, come indica l’Agenda ONU. LE CONTRADDIZIONI DI OGGI Si auspica che all’interno della Costituzione Europea (Trattato dell’UE) si inserisca un esplicito riferimento al ripudio alla guerra. Ma nei documenti più recenti la “mentalità” pacifista dei popoli europei viene messa in discussione. Nella Risoluzione del 2 aprile 2025 il Parlamento Europeo esprime la sua posizione riguardo la sicurezza e la possibilità di entrare in guerra. Precisamente l’art. 164 invita l’Unione a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate. E nelle linee guida ministeriali italiane del 2024 per l’insegnamento dell’Educazione Civica la parola Pace non compare neppure una volta! Le opinioni pubbliche vanno svegliate dal letargo preparando i giovani all’ipotesi di “guerra” considerata come qualcosa di inevitabile! Noi rifiutiamo questa logica e la propaganda bellica di ogni tipo, attuata anche attraverso una sempre più frequente presenza delle forze armate nelle scuole e mediante una pericolosa commistione tra iniziative sanitarie, sportive, culturali, artistiche, militari perché ci ispiriamo alla tradizione di educatori di pace: Maria Montessori, Aldo Capitini, don Lorenzo Milani, Danilo Dolci, Alex Langer, Gianni Rodari, Chiara Lubich, Gino Strada, solo per citarne alcuni. EDUCARE ALLA PACE Educare alla pace non è una disciplina in più, ma è fare di ogni ambito formativo uno strumento di pace, un percorso, in cui si punti a sviluppare la creatività e l’autonomia di bambine/i e ragazze/i nell’affrontare le problematiche, imparando a dialogare e a sperimentarsi, così da acquisire consapevolezza delle proprie risorse nel sentirsi, come diceva don Milani, ognuno responsabile di tutto. Educare per la pace, significa dunque promuovere un’azione pratica nell’ambito di un contesto specifico, partendo dai rapporti interpersonali, senza perdere di vista le questioni più generali, come i modelli di sviluppo, la distribuzione delle risorse e la gestione del potere; compiendo atti concreti per trasformare dal basso una società globalizzata, in cui la mancanza dei diritti e le stridenti disuguaglianze rendono spesso privo di senso il solo pronunciamento della parola “pace”. (http://livingpeaceinternational.org). In tal senso l’educazione può contribuire a sviluppare una coscienza sociale che rifiuti l’economia fondata sullo sfruttamento del lavoro ed il perseguimento del profitto, un agire a scapito dell’umanità e della natura. L’avanzamento dei diritti del lavoro è il prodotto dell’avanzamento di una cultura della pace ed entrambi sono il fondamento di un nuovo modello economico. ALLEGATO N. 2 PEDAGOGIA DELLA PACE: RIFERIMENTI, BUONE PRATICHE E PROPOSTE OPERATIVE Dagli elementi e principi citati nell’allegato 1 vogliamo attingere per costruire percorsi collegandoci ad un grande patrimonio presente in Italia e nel mondo:  Scuole di Pace e Marcia Perugia Assisi (vedi link delle attività per la preparazione della marcia del 12 ottobre 2025 con l’Onu dei popoli – info@scuoledipace.it – www.lamiascuolaperlapace.it)  L’organizzazione Emergency che oltre a garantire la cura nelle zone di guerra presenta progetti come “Ripudia” di educazione alla pace nei vari ordini di scuola – https://www.ripudia.it/campagna/  Le proposte del movimento nonviolento e del filosofo Pasquale Pugliese https://www.nonviolenti.org/cms/ – https://www.azionenonviolenta.it/author/pasquale/  Le esperienze pedagogiche della Rete italiana Pace e Disarmo https://retepacedisarmo.org/educazione-pace/proposte-di-educazione-alla-pace/  L’attività di Daniele Novara e del suo Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti – https://www.metododanielenovara.it/ – https://www.metododanielenovara.it/centro psicopedagogico/  Le proposte dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università https://osservatorionomilscuola.com/  L’esperienza di Living Peace http://livingpeaceinternational.org/it/ International promossa da Carlos Palma  Le iniziative del Tavolo Tuttopace https://trentogiovani.it/Attivita/Iniziative/Progetto-Tuttopace  Le proposte del movimento Non Una Di Meno – https://nonunadimeno.wordpress.com/ –  Una esperienza significativa è quella di Rondine Cittadella della Pace, fondata da Franco Vaccari, https://rondine.org  Scuole per un’educazione non violenza – https://edunonviolenza.altervista.org/ – cui aderiscono la rete Educazione Umanista alla non violenza attiva https://www.edumana.it/ e la Rete Polo Europeo della Conoscenza – https://www.europole.org/  La Rete delle Università Italiane per la Pace che riunisce atenei impegnati nella promozione della cultura della pace, della nonviolenza e del dialogo, attraverso ricerca, didattica e formazione – https://www.runipace.org/wp-content/uploads/2023/12/proposte-gruppo-educazione-alla pace.pdf – https://www.runipace.org/ Programma 29 giugno 2025_ver1.1Download Insieme per la pace disarmataDownload Manifesto politico “Insieme per la Pace disarmata” (1)Download
Il lavoro ripudia la guerra. Manifesto per un diritto del lavoro della pace
L’umanità sta attraversando un crinale della storia che rischia di essere senza ritorno. La guerra e l’uso della forza armata sembrano costituire sempre di più l’unico mezzo per la risoluzione dei conflitti internazionali e per il perseguimento di miopi interessi nazionali, dimenticando che l’umanità ha un unico comune destino. Il piano di riarmo deciso dall’Unione europea, l’aumento oltre ogni sostenibilità delle spese militari deciso dalla NATO, la folle corsa agli armamenti, costituiscono di per sé una “dichiarazione di guerra”, attraverso la sottrazione di risorse ai diritti fondamentali: la salute, la casa, l’istruzione, la cultura, la salvaguardia dell’ambiente. L’economia di guerra condanna per sempre i lavoratori al precariato e allo sfruttamento ed è incompatibile con un “esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.). Essa inoltre comporta una proliferazione delle attività lavorative connesse con la guerra; la produzione, il commercio ed il trasporto delle armi, stanno portando ad un crescente coinvolgimento di lavoratori e lavoratrici in attività connesse direttamente o indirettamente con il settore bellico Riteniamo che il movimento sindacale, con il sostegno delle forze della società civile che hanno a cuore la pace e il disarmo, abbia il dovere di dare una risposta all’altezza dei tempi al desiderio diffuso di tanti lavoratori e lavoratrici di sottrarsi agli ordini dei propri datori di lavoro quando questi sono in esplicito contrasto con i valori di pace e di convivenza umana: oggi più che mai si pone per i lavoratori il tema della “non collaborazione” con una economia di guerra e con un sistema di relazioni internazionali fondato sulla palese violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario. Si tratta di andare oltre il motto “non in mio nome” e proclamare con azioni concrete “non con le mie mani, non con le mie conoscenze, non con il mio lavoro”. Se “l’Italia ripudia la guerra” (art. 11 Cost.) e se “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” (art. 1 Cost.), deve ritenersi coerente con il dettato costituzionale la volontà dei lavoratori e delle lavoratrici di non collaborare, di disobbedire, di non effettuare nessuna prestazione lavorativa che abbia un’attinenza diretta o indiretta con l’economia e la cultura della guerra, in ogni settore: industriale, della logistica e del trasporto, della ricerca, dell’istruzione. Questa volontà di disobbedienza deve potersi manifestare anzitutto con il libero esercizio del diritto di sciopero (art. 40 Cost.) e di ogni azione collettiva di lotta (art. 39 Cost) che si opponga alla guerra e alle politiche di riarmo L’esercizio di questo diritto per essere davvero libero deve essere svincolato da ogni controllo del potere esecutivo e della Commissione di garanzia sul diritto di sciopero, dal momento che è di tutta evidenza che il trasporto e la movimentazione di armi dentro e fuori il territorio nazionale (a maggior ragione fuori dal territorio nazionale), non possono essere definiti “servizi pubblici essenziali” non avendo alcuna attinenza con “il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione” (art. 1 l. 146/1990) . Riteniamo, al contrario, che lo sciopero contro le armi e le azioni collettive sindacali di contrasto alla movimentazione di armamenti costituiscano lo strumento più idoneo a garantire i principi costituzionali di rifiuto della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali ed il rispetto del diritto umanitario ed internazionale. Ad un tempo riteniamo che debba essere garantito il diritto dei singoli lavoratori e delle singole lavoratrici di qualsiasi settore o comparto, di dichiararsi obiettori di coscienza per convincimenti morali, filosofici o religiosi rifiutando di effettuare la propria prestazione lavorativa se questa è connessa direttamente o indirettamente con le armi e la guerra ed essere assegnati a mansioni alternative. Pur auspicando che tale diritto sia garantito da una norma positiva, riteniamo sussista già nel nostro ordinamento un diritto all’obiezione di coscienza che trova la sua fonte in principi di diritto internazionale di diretta applicazione. La coscienza, insieme alla ragione, è ciò che distingue gli esseri umani, come recita l’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”). La Convenzione EDU, all’art. 9, prevede che “ogni persona” ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, senza alcuna eccezione. L’art. 2 della Costituzione “riconosce e garantisce” i diritti inviolabili dell’uomo. Auspichiamo che pertanto venga riconosciuto il diritto di ogni lavoratore e lavoratrice di rifiutare per motivi di coscienza di effettuare la prestazione lavorativa se questa è connessa direttamente o indirettamente all’economia e alla cultura della guerra e di essere assegnato/a ad attività alternative. Siamo convinti che lo sciopero, la disobbedienza, l’azione collettiva ed il rifiuto individuale da parte dei lavoratori e delle lavoratrici possano costituire la più efficace forma di lotta nonviolenta e possano fermare i signori della guerra e la follia del riarmo, consentendo alla Repubblica, fondata sul lavoro, di ripudiare la guerra e bandirla dalla storia. Per aderire: illavororipudialaguerra@gmail.com Firmatari:  Alessandra Algostino (costituzionalista – Università Torino)- Michela Arricale (avv. Co-Presidente CRED) – Olivia Bonardi ( giuslavorista, Università di Milano) – Silvia Borelli (giuslavorista Università di Ferrara) -Marina Boscaino (Portavoce dei Comitati contro ogni Autonomia differenziata) – Piera Campanella (giuslavorista, Università di Urbino) – Giulio Centamore (giuslavorista Università di Bologna) – Chiara Colasurdo (avv. CEING) – Andrea Danilo Conte (avv. CEING) – Antonello Ciervo (costituzionalista) – Giorgio Cremaschi (sindacalista) – Claudio De Fiores (Presidente Centro Riforma dello Stato, costituzionalista) – Aurora D’Agostino (copresidente Associazione Giuristi Democratici) – Beniamino Deidda (magistrato, ex Procuratore generale Firenze) – Antonio Di Stasi (giuslavorista Università Politecnica delle Marche) – Riccardo Faranda (avv. CEING) – Cristiano Fiorentini (Es. Naz. USB) – Domenico Gallo (magistrato, già Consigliere Corte di Cassazione) – Andrea Guazzarotti (costituzionalista Università Ferrara) -Carlo Guglielmi (avv. CEING) – Roberto Lamacchia (copresidente Associazione Giuristi Democratici) – Antonio Loffredo (giuslavorista Università di Siena) – Guido Lutrario (Es. Naz. USB) – ⁹Fabio Marcelli (giurista internazionalista Co-Presidente CRED) – Federico Martelloni (giuslavorista Università Bologna) – Roberto Musacchio (già parlamentare europeo) – Valeria Nuzzo (giuslavorista Università Campania) – Giovanni Orlandini (giuslavorista Università Siena) – Francesco Pallante (costituzionalista Università Torino) – Paola Palmieri (Cons. Cnel per USB) – Alberto Piccinini (Presidente Comma 2) – Giancarlo Piccinni (Presidente Fondazione Don Tonino Bello) – Franco Russo (già parlamentare, CEING) – Giovanni Russo Spena (già parlamentare) – Arturo Salerni (avv. CEING) – Jacobo Sanchez (avv. CEING), Simone Siliani (Direttore Fondazione Finanza Etica) – Carlo Sorgi (magistrato, già Presidente Tribunale Lavoro Bologna) – Francesco Staccioli (Es. Naz. USB) – Anna Luisa Terzi (magistrato, già Consigliere Corte appello Trento) – Associazione Comma 2 – Associazione Giuristi Democratici – Pax Christi Italia
FORMAZIONE: SUPERARE LA “CONCEZIONE PUNITIVA E REPRESSIVA” DELLA SCUOLA, DIBATTITO A TRE VOCI
Torniamo a scuola, torniamo sul caso sollevato anche da Enea Zanoglio, oramai ex studente del liceo Bagatta di Desenzano del Garda, provincia di Brescia, che ha raccontato a Radio Onda d’Urto le ragioni del suo boicottaggio dell’esame orale alla maturità, conseguendo comunque il diploma. A settembre si iscriverà all’università. Enea Zanoglio, studente modello, media dell’8, impegnato politicamente nel Collettivo Gardesano Autonomo e nel Fronte della Gioventu Comunista, ci aveva raccontato come l’esame di maturità rappresentasse l’emblema di una “concezione punitiva e repressiva” del sistema scolastico. Enea ha criticato l’impostazione del sistema di istruzione che ha definito “ottocentesco”, puntando il dito non solo contro l’attuale ministro ma anche contro chi lo ha preceduto, a destra e a sinistra. Torniamo quindi sulla notizia e allarghiamo il dibattito ad alcuni collettivi che hanno preso posizione sull’argomento e che da anni ragionano e mettono in campo azioni volte a migliorare la scuola. Un dibattito radiofonico a tre voci, in collegamento con noi: Maurizio Pe, studente al liceo Virgilio di Milano e compagno di Enea nel Fronte della Gioventù Comunista. Matilde Zanardelli del Collettivo Onda Studentesca. Lucia Dante del Collettivo di insegnanti Assenze Ingiustificate. La trasmissione completa (30 minuti). Ascolta o scarica
Come si può parlare di guerra e pace nelle scuole? Cominciamo da una Semantica di Pace
PUBBLICATO SULLA RIVISTA LA LANTERNA IL 15 LUGLIO 2025 PUBBLICATO SU WWW.AGORASOFIA.COM IL 16 LUGLIO 2025 Affermare al giorno d’oggi che non ci sia abbastanza clamore intorno ai temi della guerra e della pace potrebbe risultare completamente fuori contesto, dal momento che quasi quotidianamente si viene letteralmente bombardati, sia attraverso i maggiori media mainstream sia attraverso i canali social, da immagini e notizie relative a conflitti armati in corso e a proteste che cercano, in nome di un qualche richiamo al pacifismo, di contestare quella barbarie. Una simile sovraesposizione alla guerra e alla pace, tuttavia, necessita di uno sfondo di comprensione, di un contesto significativo in cui inserire i fatti, di una ermeneutica scevra da condizionamenti e prese di posizione preventive. Quel contesto storicamente imparziale e logicamente argomentato non può che essere costruito nelle scuole, cioè nei luoghi deputati all’insegnamento di orizzonti simbolici caratterizzati dalla solidarietà, dalla cooperazione, dall’accoglienza e non dal mero apprendimento di procedure, competenze tecniche e posture flessibili in linea con il mercato del lavoro. Ma, se così stanno le cose, se nelle scuole ancora insegnano docenti in carne e ossa che progettano la didattica, che adottano una sorta di immaginazione utopistica per prevedere delle finalità per il loro insegnamento, allora la loro responsabilità è totale in riferimento al bagaglio di valori che si viene a determinare nella realtà a partire dai contesti educativi. Ora, prendendo come riferimento l’universo simbolico che è scaturito dalle parole degli studenti e delle studentesse che sono intervenuti/e nelle varie occasioni in cui abbiamo portato in pubblico o nelle scuole le questioni denunciate dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, possiamo affermare con qualche grado di certezza che essi/esse già mostrano in maniera altamente preoccupante una sorta di normalizzazione della guerra e una preoccupante rassegnazione davanti al fatto che si tratterebbe di un fenomeno necessario nello sviluppo storico. La sovraesposizione mediatica a immagini di guerra e il coinvolgimento politico del nostro Paese in vari scenari bellici con annessa legittimazione mediatica ha generato, in sostanza, un’idea della guerra come tratto ineluttabile, connaturato all’umanità e alla quale non serve opporsi. Dai loro discorsi sembra quasi che sia stata riesumata una sorta di impostazione ideologica riconducibile al filosofo tedesco Hegel, il quale tendeva a rimarcare verso i primi dell’Ottocento, nell’apoteosi della boria della cultura tedesca, l’idea che la guerra fosse lo strumento naturale per l’evoluzione degli Stati. Davanti a questa condizione piuttosto diffusa, a questo mondo dato per scontato da parte dei/delle più giovani, forse sarebbe il caso di mettere da parte, per il momento, la critica del reale, l’analisi delle circostanze per cui ci sono le guerre attuali, in Palestina come in Ucraina e negli altri cinquantasei scenari mondiali. Se non altro, forse emerge la necessità, quantomeno, di affiancare a quelle analisi geopolitiche un lavoro più profondo di tipo antropologico, o addirittura ontologico, sulla guerra come destino dell’umanità e portare nelle scuole una concreta proposta didattica di pace, che ragioni storicamente e logicamente sulla necessità di ricorrere in maniera obbligata al conflitto armato per la risoluzione delle controversie nazionali o internazionali.   E tutto ciò, ovviamente, sempre con il dubbio che parlare di guerra, come di violenza e di male assoluto, nelle scuole possa essere, paradossalmente, un modo per portare all’attenzione degli studenti e delle studentesse un tema che, invece di rimanere fuori dalla storia, riesca ancora inspiegabilmente, in un clima di irrazionalismo diffuso, ad affascinare le giovani generazioni in cerca, forse, di affermazione, di riscatto, di macabra attrazione nei confronti del deprecabile pur di salire alla ribalta e ottenere notorietà. Davanti ad un simile scenario assiologico riteniamo che studiare la Pace come tema e, di conseguenza, insegnare la pace come argomento specifico sia necessario. Si tratta di un assunto che deriva da un inconfutabile dato storico, giacché dopo ogni guerra inizia il periodo di ricostruzione e di pacificazione, che spesso è anche più lungo della occorrenza della guerra, ma evidentemente il nostro gusto per l’orrido, per il torbido, sopravanza quello per la bellezza, che senza alcun dubbio viene distrutta durante la guerra. Ci siamo mai chiesti come mai nei manuali di storia in uso nelle scuole all’interno dei capitoli l’accento venga posto, con dovizia di particolari, sulla follia della guerra? Come mai ci sono ricercatori e storici che conoscono ogni dettaglio militare e decidono di corredare i nostri manuali di paragrafi interi su tecniche di guerra, materiale bellico utilizzato e scoperte militari devastanti per l’umanità? Il fatto che gli studenti e le studentesse conoscano i minimi dettagli sulle vicende di guerra obbedisce solo ad una esigenza informativa? Qual è la ricaduta educativa della sovrabbondanza di un lessico costellato di semantica di guerra e violenza? E ancora, come mai si parla di Prima, Seconda Guerra mondiale e non di Prima, Seconda Pace mondiale, che pure sono esistite, ma non godono di una consistenza ontologica prima che semantica? Sarà mai che questo eccesso di conoscenza e di ricerca inerente al tema della guerra e delle sue peculiarità sia funzionale, malgrado l’esimio lavoro degli storici di professione, alla sua normalizzazione, alla sua presenza costante all’interno dell’universo delle possibilità umane di gestione dei conflitti? Insomma, a noi pare che la sproporzione tra una “semantica di guerra” e una “semantica di pace” all’interno dei progetti educativi e dei programmi scolastici in generale, almeno dalle scuole secondarie di primo grado in poi, sia abbastanza evidente. Tutto ciò determina, in qualche modo, la costruzione di un universo simbolico nelle menti degli studenti e delle studentesse che dà consistenza ontologica alla guerra e non alla pace, mentre quest’ultima viene, nella migliore delle ipotesi, ritenuta un’appendice momentanea dell’urgenza distruttiva della guerra, percepita come connaturata all’essere umano. In realtà, non solo sappiamo con chiarezza dalla storia, dall’antropologia, dalla sociologia e dalla psicologia, che le cose non stanno proprio così, cioè che la guerra irrompe nella storia in un momento preciso, vale a dire quando le popolazioni sono diventate stanziali e si è pensato di cominciare a occupare la terra e dichiararla di proprietà esclusiva secondo una prima forma di appropriazione indebita ante litteram. Ma ciò che sappiamo con altrettanta certezza è che vi è una galassia sconfinata di studi, di teorie, di pratiche della pace, perlopiù coltivata dai Centri Studi, associazioni, circoli culturali, organizzazioni non governative, che, però, non trova dignità accademica, non trova investimenti, a differenza della galassia degli studi e delle pratiche di guerra, che incontrano gli interessi di industrie belliche che fatturano miliardi. Ad ogni modo, la semantica della pace va coltivata a partire dal lessico che utilizziamo quotidianamente. Come educatori ed educatrici che assumono l’impegno politico e civico di presentarsi come “docenti pacefondai”, si può avviare una grande rivoluzione lessicale con un piccolo sforzo consapevole orientato alla smilitarizzazione del linguaggio: mai più militanti, ma attiviste/i; mai più concentramento, ma incontro; mai più in trincea o in prima linea, ma a disposizione. Si tratta di una piccola e costante attenzione lessicale che porta con sé una più grande rivoluzione semantica, di senso, un cambiamento di prospettiva che genera nuovi orizzonti di nonviolenza, che è quello di cui la scuola e l’umanità hanno bisogno e su cui don Tonino Bello ci ammoniva tempo fa: «Smilitarizziamo il linguaggio, spesso così intriso di assurde categorie belliche, che dà l’impressione di un agghiacciante bollettino di guerra. Preserviamo i nostri ragazzi, che hanno sempre più come principale referente lo schermo televisivo, dalle trasfusioni di violenza che essi metabolizzano paurosamente» (A. Bello, Convivialità delle differenze Meridiana, Molfetta 2006, p. 51). Michele Lucivero, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Puglia e Toscana si mobilitano il 19 luglio 2025. Contro Guerra, Riarmo e Genocidio
MANIFESTAZIONI PER LA GIUSTIZIA SOCIALE, LA SOLIDARIETÀ E UN’ECONOMIA DI PACE ll 19 luglio in Puglia e in Toscana ci mobilitiamo insieme con determinazione per lanciare un messaggio chiaro e forte contro la guerra e a favore della costruzione di un mondo fondato sul disarmo e la pace. Rifiutiamo in modo netto l’uso della forza militare, distruttiva e disumanizzante, come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali e locali. La pace non è un’utopia, ma una scelta politica concreta, basata sul dialogo, sulla cooperazione e, se occorre, sulla forza attuata con i metodi della nonviolenza. Ci opponiamo con decisione al riarmo europeo, alla scelta dei paesi Nato di destinare il 5% del Pil alle spese militari e alle politiche americane. La corsa agli armamenti, con centinaia di miliardi di euro sottratti ai bisogni reali, è una follia che mette a rischio l’umanità nonostante la retorica su sicurezza e difesa nazionale. La nostra solidarietà con il diritto all’autodeterminazione del popolo Palestinese deve risuonare forte come la condanna univoca di Israele per il genocidio in atto. Diciamo No ad un modello basato sull’accaparramento delle risorse fossili e sullo sfruttamento dei territori. Denunciamo un sistema che subordina gli interessi dei cittadini e delle cittadine e lo stesso futuro del pianeta alla sete di profitto e controllo delle risorse energetiche. Siamo per il disarmo e il reinvestimento delle risorse a tutela dei diritti per tutti e tutte: più fondi per sanità, istruzione, lavoro, casa e welfare, per una vera e urgente transizione energetica. Proponiamo un modello che metta al centro la cura delle persone, delle relazioni e della natura, contro l’economia di guerra. Per questo, dalla Puglia alla Toscana, dal Comando della stazione navale di Brindisi alla base americana di Camp Darby, ci mobilitiamo il 19 luglio per dire no a qualsiasi militarizzazione dei territori, per bloccare le infrastrutture della guerra globale. Ci ricolleghiamo alla mobilitazione che nelle scorse settimane si è svolta a Sigonella e invitiamo gli altri territori a muoversi contro le basi più vicine e a continuare a costruire manifestazioni plurali contro la guerra e il riarmo, e dimostrare che un altro mondo è possibile e necessario. Comitati organizzatori delle manifestazioni del 19 luglio Appuntamenti 19 Luglio – ore 9 via vecchia Livornese 788, Pisa Presidio a Camp Darby. No war No Rearm, No Genocide https://www.facebook.com/events/706850958889602 – ore 18 Piazza Francesco Crispi, Brindisi Manifestazione Regionale contro la guerra, per la Palestina, la Giustizia Sociale e Climatica https://www.facebook.com/events/1071721651727338
Intervista ad Alessandra Alberti e Cristina Ronchieri dell’Osservatorio su “Il Paese delle donne”
RILANCIAMO LA VIDEO-INTERVISTA AD ALESSANDRA ALBERTI E CRISTINA RONCHIERI, DOCENTI E REFERENTI PER I CONTATTI CON LE ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALI PER L’OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ, DA PARTE DI MARIA PAOLA FIORENSOLI DE IL PAESE DELLE DONNE. L’Osservatorio contro la militarizzazione nelle scuole e nelle Università collabora a livello nazionale e internazionale con soggetti impegnati sui temi della democrazia, dell’educazione alla pace, del contrasto alla cultura armista e militarista che in Europa, nelle Americhe e altrove si sta diffondendo capillarmente specie nei luoghi elitari della istruzione e della socialità delle generazioni più giovani.  Delle recenti iniziative dell’Osservatorio – compreso il VADEMECUM proposto a insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado – e del GLOBAL WOMEN FOR PEACE – UNITED AGAINST NATO, rete nata nel 2023 a Bruxelles e che in occasione del 75° anniversario della NATO (2024), ha organizzato a Washington DC una serie di iniziative contro il modello culturale della “sicurezza” articolato solo al militare, profittevole per il mercato delle armi, ostacolante lo sviluppo di società inclusive, che valorizzino le relazioni pacifiche e diplomatiche, ne parlano CRISTINA RONCHIERI (docente di lingue straniere nella scuola secondaria di II° grado, attivista nel Sindacato Sociale di Base), e ALESSANDRA ALBERTI (docente di lingua e letteratura inglese nella scuola secondaria di II° grado, del sindacato di base della scuola CUB SUR). Roncheri parla dell’opera di monitoraggio e di denuncia dei tanti e sempre più pervasivi programmi specifici del “Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della difesa” istituito dal ministro Crosetto l’indomani della sua nomina: iniziativa governativa in linea con quanto sta accadendo in Europa e non solo, con preoccupante gradualità nelle forme e nell’imposizione. Lo scorso WEBINAR del GLOBAL WOMEN (disponibile sul sito del network womenagainstnato.org), partecipato da centinaia di soggetti di vecchia (es. WILPF) e nuova costituzione, uniti nel contrastare la “cultura della difesa” e contro la NATO, ha accompagnato la preoccupazione per la diffusione di politiche militariste e di riarmo alla proposta di modelli sociali inclusivi che valorizzano le relazioni pacifiche e la risoluzione diplomatica dei conflitti e sostengano le organizzazioni internazionali a rischio di delegittimazione nello scenario mondiale. In merito, Alberti cita alcuni interventi: quello di Vera Zalka, esponente del “Sistema della società critica dell’Ungheria”, a contrasto della “fortissima militarizzazione della società ungherese dove, in un clima sempre più oppressivo e autoritario, nel 2024 sono state introdotte lezioni di militarismo nei programmi scolastici e dove gli/le insegnanti scioperando per rivendicare l’indipendenza della scuola dal mondo militare e proteggere la libertà d’insegnamento a oggi molto limitata. Quello della bielorussa Olga Karach, fondatrice e presidente dell’organizzazione per i diritti umani OUR HOUSE (condannata l’11 luglio dal regime di Lukashenko a 12 anni di carcere), attivista anche della WILPF (la più antica delle associazioni di donne per la pace, nata ai primi del Novecento e tra le maggiori sostenitrici del GLOBAL WOMEN). Olga K. ha denunciato la militarizzazione in atto dell’infanzia sotto il titolo di “educazione patriottica, con lezioni di coraggio effettuate da militari assegnati alle scuole che nel tempo costruiscono stabili relazioni anche con le famiglie e la scuola.” Altro intervento molto interessante, quello di Karin Utat Karson (Svezia) “Promuovere una cultura di pace insegnando la prevenzione dei conflitti e la risoluzione dei conflitti” con citazione di John Burton (teoria dei bisogni umani, vedi “piramide di Maslow”), che ha coniato la parola “provention” che combina “prevention” (prevenzione) con “promotion” (promozione), dove “prevenire” non significa prevenire un attacco armandosi ma prevenire la costruzione dell’immagine di un nemico, funzionale alle politiche di riarmo, e promuovere una società in cui vogliamo vivere e che non può esistere se non nel bene comune.” Gli scorsi appuntamenti del controvertice europeo NO NATO WAR SUMMIT, all’Aja (Paesi Bassi) e la manifestazione del 26 giugno a Roma con adesione di circa 500 tra associazioni, sindacati e movimenti politici, sono stati momenti di grande esposizione e presa di parola di movimenti sempre più diffusi contro politiche liberticide collegate alla “cultura della difesa”, alla corsa al riarmo e al rafforzamento della NATO. A chiusura dell’intervista, Roncheri ricorda la condanna dell’Osservatorio e la mobilitazione della scuola a sostegno della popolazione civile palestinese. Fonte: Il Paese delle Donne.
DESENZANO (BS): BOICOTTA L’ESAME ORALE PERCHÈ CONTRARIO ALLA “CONCEZIONE PUNITIVA E REPRESSIVA” DELLA SCUOLA
Continuano ad emergere su quotidiani e televisioni nazionali nuovi casi di studenti e studentesse delle scuole superiori che si sono rifiutate di sostenere l’esame orale alla maturità. Hanno preferito accontentarsi di un voto appena sufficiente ottenuto con il curriculum scoltastico e le prove scritte. Diserzioni alla maturità anche in provincia di Brescia. Contrario ad una concezione “ottocentesca, punitiva e repressiva” del sistema scolastico Enea, ormai ex studente del liceo di Stato Girolamo Bagatta di Desenzano del Garda, si è rifiutato di sostenere l’esame orale. La decisione è stata presa dopo aver sostenuto gli esami scritti, durante i quali aveva ottenuto un punteggio “inferiore alla media di tutto l’anno precedente”, in particolare durante la prima prova. Dopo aver sostenuto i due esami scritti, Enea aveva già il punteggio necessario per la promozione. Per lui non era quindi fondamentale sostenere l’orale, che avrebbe contribuito unicamente ad alzare il voto finale. Contro le defezioni di studenti e studentesse si era schierato il Ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara, che ha già minacciato chi rifiuterà l’orale il prossimo anno: saranno bocciati. La testimonianza di Enea, che ha appena terminato gli esami di maturità presso il liceo Bagatta di Desenzano del Garda. È militante nel Collettivo Gardesano Autonomo e nel Fronte della Gioventù Comunista. Ascolta o scarica
Congratulazioni per il rinnovo dell’incarico e condanna per le sanzioni USA a Francesca Albanese
L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha avuto il piacere di ospitare in un suo Convegno a Bari il 20 gennaio 2025 la relatrice speciale dell’ONU per il territorio palestinese occupato, dott.ssa Francesca Albanese, la quale ha illustrato ai/alle circa 170 docenti presenti la grave situazione che vive la popolazione palestinese sia a Gaza sia in Cisgiordania (clicca qui per il l’intervento video di Francesca Albanese). Abbiamo apprezzato in quella occasione il suo intervento accorato e condotto in punto di diritto internazionale. Abbiamo avviato a partire da quell’incontro numerosi progetti nelle scuole per leggere e approfondire il testo J’accuse, in cui vengono messi in fila tutti i crimini perpetrati ai danni della popolazione palestinese. Abbiamo voluto approfondire il tema dei diritti umani violati con la prof.ssa Roberta De Monticelli, che a quel libro aveva apposto una sua Postfazione, invitandola al nostro Convegno nazionale del 16 maggio presso lo SPINTIME a Roma. Per tutti questi motivi ci conforta sapere che l’ONU ha confermato a Francesca Albanese per altri tre anni l’incarico di relatrice speciale per il territorio palestinese occupato e ci auguriamo che la sua esperienza possa ancora illuminarci sulla situazione a Gaza, come fatto nell’ultimo report, che invitiamo a leggere nel pdf in calce. Al tempo stesso, l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università esprime la totale solidarietà nei confronti di Francesca Albanese per gli attacchi lanciati dagli USA e da Trump, che cercano di intimidire la giurista attraverso sanzioni ad personam, un unicum nella storia. La nostra vicinanza alla dott.ssa Albanese la esprimiamo anche per la macchina del fango avviata da Israele, che, attraverso inserzioni a pagamento su Google, lancia pagine diffamatorie. La nostra condanna nei confronti di queste iniziative intimidatorie per un lavoro puntuale di cui abbiamo bisogno è totale. Non possiamo, dunque, che accogliere con favore la proposta di candidare Francesca Albanese per il Premio Nobel per la pace e per questo sosteniamo la raccolta firme lanciata su Change.org da firmatari molto vicini all’Osservatorio (clicca qui per firmare la petizione online). Scarica qui il l’ultimo report di Francesca Albanese sul territorio palestinese occupato. Rapporto-Francesca-Albanese-defDownload Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Wumingfoundation.com: Rimozione forzata. Cinque anni dal lockdown e (fingere di) non sentirli
DI STEFANIA CONSIGLIERE E CRISTINA ZAVARONI PUBBLICATO SU WWW.WUMINGFOUNDATION.COM L’11 LUGLIO 2025 Ospitiamo con piacere sul nostro sito l’interessante articolo scritto da Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni pubblicato su Wumingfoundation.com l’11 luglio 2025 in cui, tra le altre cose, viene ribadito quanto l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denuncia da due anni a questa parte, vale a dire un pericolosissimo processo di occupazione degli spazi del sapere e della formazione da parte delle Forze Armate e di strutture di controllo. «Concludiamo in modo volutamente telegrafico con il più inquietante fra tutti i fenomeni elencati: impiantata quando la metafora della guerra al virus si è tradotta nella realtà di un generale a capo della campagna vaccinale, la militarizzazione prosegue imperterrita sulle strade, nelle scuole e nelle università, e scandisce il passo di marcia verso un conflitto che pochi, oggi, pensano ancora evitabile. E infatti ora ci dicono che è bene prepararsi al peggio mettendo in borsetta una power bank e un mazzo di carte...continua a leggere su www.wumingfoundation.com.