La ‘pace dal basso’ nella conferenza a Briga Novarese: reportage e riflessioni di un partecipante

Pressenza - Tuesday, November 18, 2025

Vivace per contenuti e nutrita nella partecipazione che l’ha accompagnata, la presentazione di “Le porte dell’arte. I musei come luoghi della cultura tra educazione basata negli spazi e costruzione della pace” è stata una vera e propria conferenza sul tema “Per la pace. Pratiche dal basso contro la guerra, per la tutela dei diritti umani e la costruzione della pace” che, a partire dalle voci e dal racconto di alcuni dei suoi principali protagonisti, ha saputo declinare il tema annunciato nel titolo del libro.

Organizzata dal gruppo di Borgomanero del MIR / Movimento Internazionale della Riconciliazione – Italia, l’iniziativa ha visto il concorso di una vasta rete associativa, composta in particolare da Acli, Altro Vergante, Associazione per la Pace Novara, Donne e Diritti Arci, Laboratorio per la Pace di Galliate, Local March for Gaza, Pace e Convivenza Sesto Calende, nonché la partecipazione di Mediterranea Saving Humans, Global Sumud Flotilla, Ipri-Ccp (Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace) e l’associazione editoriale Multimage, editrice del libro al centro di questo dialogo (Le porte dell’arte.  – 2024), oltre che, ovviamente, l’amministrazione comunale di Briga Novarese, presso la cui Biblioteca civica “Peppino Impastato” ha avuto luogo nel pomeriggio di sabato 15 novembre 2025.

Cosa significa, dunque, nell’impostazione del tema e nella declinazione che la conferenza ha inteso sviluppare, agire “per la pace”, attivare “pratiche dal basso” – e quali – per la prevenzione della violenza, la tutela dei diritti umani, la costruzione della pace?

Come segnalato nella presentazione dell’iniziativa, a cura del MIR di Borgomanero, si tratta, come punto di partenza, di mettere al centro non «ciò che è utile», bensì «ciò che è giusto»: in tempi difficili per la giustizia, per i diritti e per la verità stessa che viene oscurata, manipolata o sacrificata all’altare degli interessi economici, politici, finanziari e, soprattutto, del potere, tempi di guerra e di assenza di pace, insieme con le tante, spesso non conosciute e non raccontate, realtà in Italia che resistono, lottano, si impegnano, è necessario offrire un’altra narrazione, conoscere la storia e le storie dei volontari e delle volontarie, degli operatori e delle operatrici che rappresentano l’azione civile dal basso che sostiene cause buone, i diritti e la dignità umana in primo luogo.

La conferenza ha concretamente rappresentato proprio questo tentativo di raccontare pratiche di azioni di pace dal basso, di interventi civili di pace in contesti di crisi, conflitto e gravi violazioni dei diritti umani, attraverso la voce di alcuni tra i protagonisti di queste attivazioni e progetti, quali Maria Elena Delia, portavoce italiana della Sumud Flotilla, la missione internazionale umanitaria e politica a sostegno della resistenza del popolo palestinese, Laura Marmorale, presidentessa di Mediterranea Saving Humans, organizzazione nata nel 2018 dall’indignazione dinanzi alle migliaia di morti nel Mediterraneo e alla politica dei porti chiusi, e che ha messo in mare la prima e tuttora unica nave del soccorso civile battente bandiera italiana, e [lo scrivente] Gianmarco Pisa, segretario dell’Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace, che coordina un progetto di Corpi Civili di Pace in Kosovo nella forma di una ricerca-azione per il superamento delle divisioni post-conflitto, la ricomposizione sociale a partire dalla cultura, e la costruzione della pace, con diritti e giustizia sociale.

Come si vede, il contesto di riferimento è lo spazio (geografico, politico, storico, sociale, culturale) “di prossimità”, vale a dire il Mediterraneo, teatro, al tempo stesso, di conflitti e impressionanti violazioni dei diritti umani (pensiamo solo al caso, recente e sconvolgente, del genocidio della popolazione palestinese a Gaza), ma anche di esperienze e pratiche assai vitali di lotta contro la guerra e per la pace e di risorse e potenzialità di società civile particolarmente significative e coinvolgenti. Un mare che connette, oggi, ventidue Paesi di tre diversi continenti, a cavallo tra Europa, Africa e Asia; che ha dato origine ad alcune tra le grandi civiltà della storia, ognuna delle quali ha offerto il suo contributo decisivo alle arti e alle scienze, alle lingue e alle culture, alla letteratura e al pensiero. Il suo spazio marittimo è servito, nei secoli, come ponte tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud, tra le culture occidentali e la cultura araba, tra le civiltà europee e quelle orientali, tra la Cristianità e l’Islam. Oltre cinquecento milioni di persone di diverse nazionalità, provenienze, costumi, lingue e religioni compongono lo spettacolare mosaico, sociale e culturale, dei «popoli del Mediterraneo»; di questi, quasi duecento milioni vivono proprio nel suo bacino costiero, nella zona costiera del Mare di Mezzo.

È uno scenario, dunque, irripetibile, per le forme delle proprie convivenze e i suoi diffusi conflitti, per la sua storia e le istanze che i suoi popoli esprimono per la libertà e l’autodeterminazione, i diritti e la giustizia. Ed è, al tempo stesso, il contesto in cui si sono espresse e si esprimono alcuni grandi potenzialità di attivazioni autonome di società civile per la pace, soprattutto a partire dagli anni Novanta, dalla Marcia dei Cinquecento a Sarajevo (1992) alle esperienze delle Ambasciate di Pace in zona di conflitto, prima in Iraq al tempo della guerra del Golfo (1990), quindi in Kosovo (1995) sino all’aggressione occidentale alla Jugoslavia (1999) che ha rappresentato un vero e proprio spartiacque, oltre a segnare anche una sorta di cambio di paradigma (si pensi al nuovo Concetto Strategico della Nato, varato a Washington, non a caso, proprio il 23-24 aprile 1999).

Di fronte a un panorama, ieri come oggi, sempre più segnato da guerre e violazioni, al punto che il Sipri, l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma, e il Global Peace Index documentano oggi ben 56 conflitti armati, vale a dire guerre, il numero più alto mai registrato dalla fine della Seconda guerra mondiale, un panorama apparentemente soverchiante e paralizzante, sorge naturalmente la domanda: «e io cosa posso fare?». Per quanto possa sembrare (o venga spesso rappresentato come) un percorso lontano e irrealizzabile, velleitario o, nella migliore delle ipotesi, utopistico, tanto è possibile fare e variegato è il contributo che, nel proprio piccolo e con le proprie risorse, ciascuno e ciascuna può dare per costruire pace, a partire dalla costruzione di una narrazione contraria alla guerra e alla definizione di un’autentica cultura di pace nella società.

Iniziative di conoscenza, informazione e sensibilizzazione; presentazioni di libri e proiezioni di film; incontri, anche informali, per dialogare e riflettere sui diversi contesti di guerra e le ipotesi per la pace; sostegno alle campagne della società civile organizzata per la tutela dei diritti e la costruzione della pace; partecipazione, come operatori o come volontari, ai progetti delle organizzazioni che intendono promuovere diritti e dignità, azione contro la guerra e impegno per la pace; iniziativa, nelle scuole di ogni ordine e grado, per fare educazione alla pace e, come si diceva sino a pochi anni fa, alla mondialità; indirizzi, da parte degli enti locali, le amministrazioni di prossimità, attraverso delibere, mozioni, ordini del giorno, a sostegno del superamento dei conflitti, della tutela dei diritti umani, della promozione degli sforzi per la pace. Non per obiettivi, allo stato, velleitari, del tipo “fermare tutte le guerre e portare la pace nel mondo”, ma per agire nel concreto, con creatività, portando alla luce, sensibilizzando le opinioni pubbliche, dando un contributo concreto e positivo.

È a questo livello che agiscono, infatti, gli interventi civili di pace e, in particolare, i corpi civili di pace, una «azione civile, non armata e nonviolenta, di operatori professionali e volontari che, come terze parti, sostengono gli attori locali nella prevenzione e trasformazione dei conflitti … Essi intervengono … in territori di conflitto o dove si prevede possano scoppiare conflitti determinati da violenza diretta, culturale o strutturale … Il loro intervento avviene solo su richiesta leggibile della società civile locale, interessata dal conflitto, e deve essere progettato con la partecipazione di partner locali … Sul campo possono attivare relazioni di collaborazione con altre Ong, agenzie di organizzazioni internazionali, istituzioni pubbliche, solo se tali rapporti non minano l’indipendenza e l’imparzialità della missione. Con attori armati – regolari e non regolari – non sono ammesse forme di collaborazione o sinergia né scorta armata; può esserci dialogo finalizzato alla gestione nonviolenta del conflitto o scambio di informazioni sulla sicurezza, ove questo non pregiudichi la “legittimità nonviolenta” della missione, in termini di modalità d’azione e di ricezione presso le parti». Dunque, non strutture inquadrate nella politica di sicurezza delle istituzioni promotrici del riarmo e della guerra, bensì strumenti della società civile, istanze dell’impegno dei popoli contro la guerra e per la pace, con dignità, diritti e giustizia sociale. Un compito strategico e un mandato operativo più chiari e, nel tempo difficile del nostro presente, più urgenti che mai.

La registrazione della conferenza è temporaneamente disponibile online sul profilo Facebook di MIR Borgomanero

RIFERIMENTI INFORMATIVI

Alberto L’Abate: Origini, critiche e ragioni del progetto delle ambasciate di pace / BERRETTO BIANCHI

Gianmarco Pisa: Cosa sono i Corpi Civili di Pace? / PRESSENZA – 2023

Il Nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica / STUDI PER LA PACE – 1999

UNESCO :

Gianmarco Pisa