La ‘pace dal basso’ nella conferenza a Briga Novarese: reportage e riflessioni di un partecipante
Vivace per contenuti e nutrita nella partecipazione che l’ha accompagnata, la
presentazione di “Le porte dell’arte. I musei come luoghi della cultura tra
educazione basata negli spazi e costruzione della pace” è stata una vera e
propria conferenza sul tema “Per la pace. Pratiche dal basso contro la guerra,
per la tutela dei diritti umani e la costruzione della pace” che, a partire
dalle voci e dal racconto di alcuni dei suoi principali protagonisti, ha saputo
declinare il tema annunciato nel titolo del libro.
Organizzata dal gruppo di Borgomanero del MIR / Movimento Internazionale della
Riconciliazione – Italia, l’iniziativa ha visto il concorso di una vasta rete
associativa, composta in particolare da Acli, Altro Vergante, Associazione per
la Pace Novara, Donne e Diritti Arci, Laboratorio per la Pace di Galliate, Local
March for Gaza, Pace e Convivenza Sesto Calende, nonché la partecipazione di
Mediterranea Saving Humans, Global Sumud Flotilla, Ipri-Ccp (Istituto Italiano
di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace) e l’associazione editoriale
Multimage, editrice del libro al centro di questo dialogo (Le porte dell’arte.
– 2024), oltre che, ovviamente, l’amministrazione comunale di Briga Novarese,
presso la cui Biblioteca civica “Peppino Impastato” ha avuto luogo nel
pomeriggio di sabato 15 novembre 2025.
Cosa significa, dunque, nell’impostazione del tema e nella declinazione che la
conferenza ha inteso sviluppare, agire “per la pace”, attivare “pratiche dal
basso” – e quali – per la prevenzione della violenza, la tutela dei diritti
umani, la costruzione della pace?
Come segnalato nella presentazione dell’iniziativa, a cura del MIR di
Borgomanero, si tratta, come punto di partenza, di mettere al centro non «ciò
che è utile», bensì «ciò che è giusto»: in tempi difficili per la giustizia, per
i diritti e per la verità stessa che viene oscurata, manipolata o sacrificata
all’altare degli interessi economici, politici, finanziari e, soprattutto, del
potere, tempi di guerra e di assenza di pace, insieme con le tante, spesso non
conosciute e non raccontate, realtà in Italia che resistono, lottano, si
impegnano, è necessario offrire un’altra narrazione, conoscere la storia e le
storie dei volontari e delle volontarie, degli operatori e delle operatrici che
rappresentano l’azione civile dal basso che sostiene cause buone, i diritti e la
dignità umana in primo luogo.
La conferenza ha concretamente rappresentato proprio questo tentativo di
raccontare pratiche di azioni di pace dal basso, di interventi civili di pace in
contesti di crisi, conflitto e gravi violazioni dei diritti umani, attraverso la
voce di alcuni tra i protagonisti di queste attivazioni e progetti, quali Maria
Elena Delia, portavoce italiana della Sumud Flotilla, la missione internazionale
umanitaria e politica a sostegno della resistenza del popolo palestinese, Laura
Marmorale, presidentessa di Mediterranea Saving Humans, organizzazione nata nel
2018 dall’indignazione dinanzi alle migliaia di morti nel Mediterraneo e alla
politica dei porti chiusi, e che ha messo in mare la prima e tuttora unica nave
del soccorso civile battente bandiera italiana, e [lo scrivente] Gianmarco Pisa,
segretario dell’Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace,
che coordina un progetto di Corpi Civili di Pace in Kosovo nella forma di una
ricerca-azione per il superamento delle divisioni post-conflitto, la
ricomposizione sociale a partire dalla cultura, e la costruzione della pace, con
diritti e giustizia sociale.
Come si vede, il contesto di riferimento è lo spazio (geografico, politico,
storico, sociale, culturale) “di prossimità”, vale a dire il Mediterraneo,
teatro, al tempo stesso, di conflitti e impressionanti violazioni dei diritti
umani (pensiamo solo al caso, recente e sconvolgente, del genocidio della
popolazione palestinese a Gaza), ma anche di esperienze e pratiche assai vitali
di lotta contro la guerra e per la pace e di risorse e potenzialità di società
civile particolarmente significative e coinvolgenti. Un mare che connette, oggi,
ventidue Paesi di tre diversi continenti, a cavallo tra Europa, Africa e Asia;
che ha dato origine ad alcune tra le grandi civiltà della storia, ognuna delle
quali ha offerto il suo contributo decisivo alle arti e alle scienze, alle
lingue e alle culture, alla letteratura e al pensiero. Il suo spazio marittimo è
servito, nei secoli, come ponte tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud, tra le
culture occidentali e la cultura araba, tra le civiltà europee e quelle
orientali, tra la Cristianità e l’Islam. Oltre cinquecento milioni di persone di
diverse nazionalità, provenienze, costumi, lingue e religioni compongono lo
spettacolare mosaico, sociale e culturale, dei «popoli del Mediterraneo»; di
questi, quasi duecento milioni vivono proprio nel suo bacino costiero, nella
zona costiera del Mare di Mezzo.
È uno scenario, dunque, irripetibile, per le forme delle proprie convivenze e i
suoi diffusi conflitti, per la sua storia e le istanze che i suoi popoli
esprimono per la libertà e l’autodeterminazione, i diritti e la giustizia. Ed è,
al tempo stesso, il contesto in cui si sono espresse e si esprimono alcuni
grandi potenzialità di attivazioni autonome di società civile per la pace,
soprattutto a partire dagli anni Novanta, dalla Marcia dei Cinquecento a
Sarajevo (1992) alle esperienze delle Ambasciate di Pace in zona di conflitto,
prima in Iraq al tempo della guerra del Golfo (1990), quindi in Kosovo (1995)
sino all’aggressione occidentale alla Jugoslavia (1999) che ha rappresentato un
vero e proprio spartiacque, oltre a segnare anche una sorta di cambio di
paradigma (si pensi al nuovo Concetto Strategico della Nato, varato a
Washington, non a caso, proprio il 23-24 aprile 1999).
Di fronte a un panorama, ieri come oggi, sempre più segnato da guerre e
violazioni, al punto che il Sipri, l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla
Pace di Stoccolma, e il Global Peace Index documentano oggi ben 56 conflitti
armati, vale a dire guerre, il numero più alto mai registrato dalla fine della
Seconda guerra mondiale, un panorama apparentemente soverchiante e paralizzante,
sorge naturalmente la domanda: «e io cosa posso fare?». Per quanto possa
sembrare (o venga spesso rappresentato come) un percorso lontano e
irrealizzabile, velleitario o, nella migliore delle ipotesi, utopistico, tanto è
possibile fare e variegato è il contributo che, nel proprio piccolo e con le
proprie risorse, ciascuno e ciascuna può dare per costruire pace, a partire
dalla costruzione di una narrazione contraria alla guerra e alla definizione di
un’autentica cultura di pace nella società.
Iniziative di conoscenza, informazione e sensibilizzazione; presentazioni di
libri e proiezioni di film; incontri, anche informali, per dialogare e
riflettere sui diversi contesti di guerra e le ipotesi per la pace; sostegno
alle campagne della società civile organizzata per la tutela dei diritti e la
costruzione della pace; partecipazione, come operatori o come volontari, ai
progetti delle organizzazioni che intendono promuovere diritti e dignità, azione
contro la guerra e impegno per la pace; iniziativa, nelle scuole di ogni ordine
e grado, per fare educazione alla pace e, come si diceva sino a pochi anni fa,
alla mondialità; indirizzi, da parte degli enti locali, le amministrazioni di
prossimità, attraverso delibere, mozioni, ordini del giorno, a sostegno del
superamento dei conflitti, della tutela dei diritti umani, della promozione
degli sforzi per la pace. Non per obiettivi, allo stato, velleitari, del tipo
“fermare tutte le guerre e portare la pace nel mondo”, ma per agire nel
concreto, con creatività, portando alla luce, sensibilizzando le opinioni
pubbliche, dando un contributo concreto e positivo.
È a questo livello che agiscono, infatti, gli interventi civili di pace e, in
particolare, i corpi civili di pace, una «azione civile, non armata e
nonviolenta, di operatori professionali e volontari che, come terze parti,
sostengono gli attori locali nella prevenzione e trasformazione dei conflitti …
Essi intervengono … in territori di conflitto o dove si prevede possano
scoppiare conflitti determinati da violenza diretta, culturale o strutturale …
Il loro intervento avviene solo su richiesta leggibile della società civile
locale, interessata dal conflitto, e deve essere progettato con la
partecipazione di partner locali … Sul campo possono attivare relazioni di
collaborazione con altre Ong, agenzie di organizzazioni internazionali,
istituzioni pubbliche, solo se tali rapporti non minano l’indipendenza e
l’imparzialità della missione. Con attori armati – regolari e non regolari – non
sono ammesse forme di collaborazione o sinergia né scorta armata; può esserci
dialogo finalizzato alla gestione nonviolenta del conflitto o scambio di
informazioni sulla sicurezza, ove questo non pregiudichi la “legittimità
nonviolenta” della missione, in termini di modalità d’azione e di ricezione
presso le parti». Dunque, non strutture inquadrate nella politica di sicurezza
delle istituzioni promotrici del riarmo e della guerra, bensì strumenti della
società civile, istanze dell’impegno dei popoli contro la guerra e per la pace,
con dignità, diritti e giustizia sociale. Un compito strategico e un mandato
operativo più chiari e, nel tempo difficile del nostro presente, più urgenti che
mai.
La registrazione della conferenza è temporaneamente disponibile online sul
profilo Facebook di MIR Borgomanero
RIFERIMENTI INFORMATIVI
Alberto L’Abate: Origini, critiche e ragioni del progetto delle ambasciate di
pace / BERRETTO BIANCHI
Gianmarco Pisa: Cosa sono i Corpi Civili di Pace? / PRESSENZA – 2023
Il Nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica / STUDI PER LA PACE – 1999
UNESCO :
* Dichiarazione sulla Cultura di Pace – 1999
* La nuova Raccomandazione sull’Educazione alla Pace – 2023
Gianmarco Pisa