
Lampedusa, 13 agosto: un’altra strage di frontiera
Progetto Melting Pot Europa - Thursday, August 28, 2025Il 13 agosto, al largo di Lampedusa, un’imbarcazione si è capovolta causando 23 morti accertati e tra le 15 e le 20 persone disperse. Non è un evento ineluttabile: è l’effetto diretto delle politiche europee di chiusura e di controllo, che continuano a negare la libertà di movimento nel Mediterraneo centrale 1.

Un’altra strage nel Mediterraneo, lo stesso cinismo
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Le persone che hanno perso la vita erano in cammino da Somalia, Egitto ed Etiopia. Non solo vittime di un naufragio, ma viaggiatori e viaggiatrici che affermavano, attraverso la traversata, il diritto a cercare una vita diversa, a muoversi liberamente, a resistere al regime di frontiera.
Mem.Med ha affiancato le famiglie nei processi di identificazione, resi complessi dal sistema dei visti e dalla dispersione dei corpi nei cimiteri della provincia di Agrigento. Tra il 16 e il 19 agosto sono stati trasferiti 20 corpi, mentre gli ultimi 3 sono stati spostati il 25 agosto in un cimitero di un paese in provincia di Agrigento.
Nei giorni successivi al naufragio del 13 agosto, il veliero Nadir della ONG tedesca RESQSHIP ha recuperato in mare i corpi di tre sorelle – di 9, 11 e 17 anni – successivamente sbarcati a Lampedusa insieme ai 71 sopravvissuti tratti da un gommone in difficoltà. Le bambine sono state identificate dalla madre e dal fratello, entrambi sopravvissuti al naufragio. Anche per loro non è garantita la sepoltura secondo il rito islamico.
Le famiglie hanno espresso chiaramente il desiderio che i loro cari ricevano sepoltura secondo i riti islamici, in cimiteri musulmani o, quando non disponibili, almeno nella terra – secondo fede e tradizione. È un atto di dignità e di resistenza, che contrasta la volontà istituzionale di cancellare memoria e legami.
Alle famiglie vengono imposti ostacoli nell’accesso ai processi di ricerca, identificazione e sepoltura.
La dispersione dei corpi in diversi cimiteri rende difficile conoscere dove riposino i propri morti e impedisce un lutto collettivo. Questi non sono incidenti burocratici, ma atti di violenza sistemica, con cui il regime di frontiera mira a normalizzare la morte e a produrre oblio attorno alle stragi in mare.
In continuità con questo impegno, il comunicato congiunto di metà luglio, firmato da Memoria Mediterranea insieme ad ASGI, Emergency e Sea-Watch, rilancia una richiesta urgente: “dare un nome alle vittime della migrazione recuperate nel Mediterraneo centrale”.
Non si tratta solo di riconoscere identità, ma di restituire dignità ai morti e conforto ai loro cari, interrompendo la logica dell’oblio che le politiche di frontiera impongono. Questo appello, rivolto alle istituzioni e alla società civile, ribadisce che la memoria non è un rito astratto, ma un atto politico che restituisce soggettività e umanità a chi è stato ridotto al silenzio.
Le pratiche suggerite comprendono esami forensi approfonditi, catalogazione accurata di oggetti, dati fisionomici e segni particolari, assegnazione di codici identificativi unici e sepoltura in luoghi rintracciabili, secondo le raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 2024.
Questa strage è il risultato delle politiche europee in materia di migrazione e asilo: respingimenti, assenza di canali di ingresso sicuri, gestione securitaria delle frontiere e sistema dei visti sono scelte deliberate che producono morte e sofferenza.
Ma le persone migranti che attraversano il mare non sono soltanto vittime di queste violenze: sono soggetti politici che affermano il diritto a muoversi, resistono ai confini e rivendicano la propria libertà.
In questo contesto, l’operato di Mem.Med è un lavoro di riconoscimento, memoria e affiancamento alle lotte dei familiari e dei sopravvissuti, contro l’oblio imposto dalle istituzioni e dai governi europei.
«Vogliamo ringraziare» – scrive l’associazione – «due fratelli somali che hanno perso i loro cari, nostri compagni di lotta in queste ore. Con loro abbiamo guardato frammenti di morte e di vita, memorizzando volti e nomi. Lasciandoci con una promessa: Né perdono, né oblio».
- Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) 370 persone hanno perso la vita e 300 risultano disperse fino al 9 agosto del 2025 nel Mediterraneo centrale ↩︎