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Un omaggio alla resistenza palestinese nel cuore verde d’Italia
-------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Perugia, capoluogo del “cuore verde” d’Italia, su iniziativa dell’associazione “Umbria della pace”, ha accolto un simbolo vivo della resistenza palestinese e lo ha ospitato in uno dei suoi luoghi non solo più belli ma più emblematici: il giardino dei Giusti del Mondo all’interno dell’antico complesso monumentale San Matteo degli Armeni, dove si trova anche la biblioteca personale appartenuta ad Aldo Capitini che proprio da lì, nel lontano 1961, lanciò la marcia per la pace Perugia-Assisi. Essendo passati più di sessant’anni ed essendo divenuta la marcia Perugia-Assisi più rituale che sostanziale, forse molti si stupirebbero nel leggere le parole del  filosofo della nonviolenza e scoprire che il suo obiettivo era alimentare “idee e iniziative contrarie al capitalismo, al colonialismo, all’imperialismo”, o che “la lotta per la pace deve essere severa contro i mascheramenti dei vari imperialismi, contro le crociate verso un popolo o un altro” come scritto in uno dei suoi editoriali nel periodico “Il potere è di tutti” da lui fondato nel 1964 e consultabile nella sua biblioteca. Luogo migliore per piantare l’olivo della resistenza palestinese, un piccolo olivo scampato alla furia devastatrice israeliana, forse non ce n’era. La targa spiega perché quest’alberello non è dedicato a una singola persona, come tutti gli altri, ma alla difesa di un diritto che si trasforma in azione. Il diritto all’autodeterminazione di un popolo e alla Libertà, quella per cui ogni epoca della storia ha avuto i suoi martiri, tutti, in vario modo, combattenti per la resistenza all’oppressore. Oggi più che mai l’iniziativa dell’Umbria della Pace, accolta e condivisa  dall’amministrazione comunale, risulta importante e insieme coraggiosa. Importante perché consentirà a chiunque andrà a visitare il complesso di San Matteo degli Armeni di vedere che Perugia riconosce il diritto di un popolo oppresso a resistere. Coraggiosa perché la longa manus dell’entità sionista poteva “sporcare” l’iniziativa con la strumentale accusa di antisemitismo, come avvenuto in molteplici altre occasioni. Quindi, veder omaggiare la bandiera palestinese dai numerosi presenti, tra cui l’assessore Croce in rappresentanza del Comune, ha aggiunto senso all’iniziativa e, come si è ricordato durante la cerimonia, la piantumazione di quel piccolo figlio verde della martoriata Palestina, uscito rocambolescamente dalla Striscia di Gaza, non vuole essere solo simbolica testimonianza di solidarietà, ma invito ad agire, ognuno come sa e come può affinché venga fermato il genocidio tuttora in corso e venga stroncato il criminale progetto sionista che avanza da quasi ottant’anni stritolando, nel suo avanzare impunito, anche il diritto internazionale. Cos’avrebbe detto Capitini davanti all’ultimo scempio delle Nazioni Unite dal cui Consiglio di Sicurezza dieci giorni fa è uscita la vergognosa Risoluzione 2803 in piena violazione dei principi della stessa Carta dell’ONU? Siamo certi che avrebbe denunciato la corruzione servile alla legge del più forte e che il suo invito di tanti anni fa “a creare una permanente mobilitazione per controllare la politica estera, la politica militare, la politica scolastica e denunciare errori, colpe, storture, alleanze dei conservatori, degli imperialisti, dei capitalisti…“ si sarebbe fatto ancora più forte ed avrebbe chiamato all’azione, perché c’è una pratica della nonviolenza attiva che può a ben diritto chiamarsi resistenza e non è il chiacchiericcio da salotto. È vero che Aldo Capitini pensava di cambiare il mondo opponendo ai potenti, cioè ai criminali della storia, la forza della nonviolenza come lui la stava costruendo prendendo le mosse dalla resistenza gandhiana,  ma Capitini era anche il cattolico nonviolento che non aveva temuto le rappresaglie fasciste quando nel 1929 aveva definito i Patti Lateranensi  una “merce di scambio” tra Pio XI e il fascismo, e che non aveva accettato il ricatto di Giovanni Gentile di iscriversi al fascismo per non essere licenziato . Tutto questo ci porta a credere, al pari di Gabriele De Veris, il bibliotecario che ci ha mostrato le sue opere, degli organizzatori dell’evento e di tutti gli intervenuti, che il fondatore della marcia Perugia-Assisi avrebbe sostenuto la resistenza palestinese e che il piccolo olivo scampato ai criminali con la stella di David lo avrebbe accolto come simbolo di resistenza e invito a non cedere ai ricatti di una falsa promessa di pace il cui vero volto, ripulito dalle maschere mediatiche, mostra di essere non pace ma pacificazione imposta col ricatto dal colonialismo sionista sostenuto dal suprematismo  occidentale, servile con i potenti e liberticida con chi reclama la libertà. E così, accanto ad alberi piantati in memoria e in omaggio di figure come Maria Montessori, Carlo Urbani, Danilo Dolci, Anna Frank, Gino Strada, Pietro Terracina e tanti altri, compresi artisti che hanno sempre testimoniato il loro impegno per il rispetto dei diritti umani, l’olivetto di Gaza e la sua esplicita targa saranno in ottima compagnia. Il fatto che sia stato casualmente piantato proprio in prossimità della giornata mondiale degli alberi e della giornata che l’Unesco ha dedicato alla tutela dell’olivo come simbolo di resilienza, di identità culturale e come millenaria fonte di nutrimento del genere umano, richiama l’attenzione sulla continua violenza che subisce da sempre anche l’ambiente rurale palestinese dove la distruzione di frutteti e oliveti, l’espianto e il furto degli olivi secolari e l’abbattimento degli olivi più giovani in tutta la Palestina illegalmente occupata, è uno dei reati pressoché quotidiani che il mondo dei potenti, il mondo complice dell’entità sionista, lascia compiere senza vergognarsi della sua connivenza. Ma, come è stato ricordato da uno dei relatori, l’olivo è capace di rigenerarsi, anche dalle proprie ceneri, e neanche il gelo può ucciderne il ceppo che ne è la “madre”, che è il cuore della resistenza dell’olivo, quella che produce i polloni, la vera e propria rinascita che tramanda il DNA dal ceppo madre ai suoi germogli. Il piccolo olivo uscito di contrabbando da Gaza, e forse proveniente dal ceppo dei millenari olivi dei Getsemani, è quindi simbolo di rigenerazione ed è lì a dire che “la resistenza non verrà schiacciata neanche dai carrarmati”. Una delle relatrici ha ricordato la frase scritta su un muro di Nusseirat, ora distrutto dalla furia israeliana, che riportava questo verso di un poeta greco: “Hanno provato a seppellirci. Non sapevano che eravamo semi” e questo lo si può leggere anche nei polloni che germogliano dai ceppi degli olivi palestinesi bruciati o abbattuti. Non serve molto altro per spiegare che l’olivo rappresenta la capacità di resistere al male e, in ultima analisi, il percorso verso la pace – non la pacificazione imposta dall’oppressore – che è segnato dalla bussola della resistenza. Mentre chiudiamo quest’articolo ci arriva il comunicato di un’altra realtà umbra, la Fondazione Perugi-Assisi la quale invita a partecipare alla manifestazione del 29 novembre, giornata internazionale di solidarietà col popolo palestinese e definisce l’ignobile Risoluzione 2803 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU “un nuovo attentato alla pace e ai diritti umani…” e “un piano di guerra e non di pace” dandone ampia e indiscutibile documentazione. Dal “cuore verde” d’Italia per il momento è tutto. -------------------------------------------------------------------------------- Inviato anche a Pressenza -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Un omaggio alla resistenza palestinese nel cuore verde d’Italia proviene da Comune-info.
Presentazione di Scarceranda a Perugia
In comunicazione telefonica con una compagna di Perugia, abbiamo parlato della serata "Tronchese -contro le sbarre, da entrambi i lati-" che si svolgerà la domenica 7 dicembre al Turba (appena sotto la fermata del minimetrò M. Alta, lungo la ciclabile) e dove sarà presentata l'edizione 2026 di Scarceranda. 
Perugia, il paradosso di un’educazione civica affidata alle Forze dell’Ordine
Il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere, vede negli ultimi anni in diverse scuole interventi delle Forze dell’Ordine con l’obiettivo di contrastare la violenza di genere. Succede in tutta Italia, succede in Umbria e succede nella nostra città. Il 25 novembre saranno gli studenti e le studentesse del Liceo “Pieralli” ad incontrare personale del Comando dei Carabinieri di Perugia. Ma non c’è forse una contraddizione intrinseca nell’affidare percorsi di educazione ad una cultura del rispetto, della pace, della libertà, a chi nella società ha il compito di intervenire laddove quei valori siano stati violati? Compito certamente necessario all’ordine pubblico, ma non propriamente compatibile con la finalità educativa della scuola. La presenza crescente delle Forze dell’Ordine nelle scuole, contribuisce a trasmettere una cultura della sicurezza, più che inserirsi nella più ampia finalità dell’educazione civica. Le Forze dell’Ordine contrastano il reato, ma l’ideale formativo della scuola è sradicare la cultura stessa su cui si innesta il reato. E allora il 25 novembre, più che personale in divisa, ragazzi e ragazze dovrebbero forse incontrare testimonianze, operatori sociali, psicologi, sociologi e chiunque possa scuotere le loro coscienze in una società ancora troppo impregnata di una cultura maschilista, violenta, discriminatoria e prevaricatrice. L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università è nato a livello nazionale nel 2023 proprio per monitorare e denunciare tutte quelle iniziative che trasmettono negli istituti formativi una cultura securitaria, se non addirittura bellicista, anziché rendere la scuola uno spazio ideale di educazione civile al rispetto, al dialogo, all’accoglienza, alla nonviolenza, esigenza tanto più urgente quanto più si assiste a rapporti globali sempre più improntati alla militarizzazione e alla sopraffazione. Che le giovani generazioni possano, il 25 novembre e ogni giorno dell’anno, formare coscienze non violente, empatiche, rispettose di tutte e tutti, senza che ci siano divise a comunicare l’obbedienza alla legge, ma interiorizzando quello che il nostro Aldo Capitini ha poeticamente espresso nel verso “La mia nascita è quando dico un tu”. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Perugia
BOGOTÁ by BOGOTÁ
BOGOTÁ release “BOGOTÁ” out on October 17th 2025  BOGOTÁ is a trio formed in Perugia. Federico Sereni (drums), Filippo Bistocchi (guitar), and Daniel Abeysekera (vocals) bring to the stage an intense and edgy sound that they themselves struggle to pigeonhole into a single genre. Made to be played live, they give […]
Una marcia produce onde che vanno lontano
“Come avrei potuto diffondere la notizia che la pace è in pericolo, come avrei potuto destare la consapevolezza della gente più реriferica, se non ricorrendo all’aiuto di altri e impostando una manifestazione elementare come è una marcia? Sapevo bene che gli aiutanti e i partecipanti non sarebbero stati in gran parte persuasi di idee nonviolente; lo sapevo benissimo ma si presentava l’occasione di mostrare che la nonviolenza è attiva e in avanti, è critica dei mali esistenti, tende a suscitare larghe solidarietà e decise noncollaborazioni, è chiara e razionale nel disegnare le linee di ciò che si deve fare nell’attuale difficile momento” (Aldo Capitini, In cammino per la pace, Einaudi, 1962) Il 24 settembre del 1961 si svolgeva in Italia, per volere di Aldo Capitini, il primo esperimento di “tecnica nonviolenta collettiva”, la Marcia della pace per la fratellanza tra i popoli da Perugia ad Assisi, di cui il filosofo perugino racconterà l’anno dopo nel volume In cammino per la pace. Era una marcia alla quale Capitini pensava e lavorava da anni, che passò alla fase organizzativa nella drammatica estate del 1961, mentre a Berlino veniva tirato su il muro tra la parte Est ed Ovest della città, con una nuova crisi dei rapporti tra Nato e Patto di Varsavia. Capitini comprese che, di fronte al pericolo incombente di una guerra nucleare tra i blocchi contrapposti, era necessaria anche in Italia un’azione diretta e spiazzante dal basso che avesse quattro caratteristiche: che l’iniziativa partisse da un nucleo indipendente e pacifista integrale; che destasse la consapevolezza della pace in pericolo nelle persone più periferiche; che fosse l’occasione per lanciare il “metodo nonviolento”; che richiamasse Francesco, il santo italiano della nonviolenza. La Marcia, concepita come mobilitazione popolare, ebbe molta più partecipazione di quella che gli organizzatori si aspettavano, sia di popolo che di intellettuali e artisti, da Italo Calvino a Norberto Bobbio, da Renato Guttuso a Fausto Amodei (che ci ha lasciati nei giorni scorsi, che con la chitarra improvvisò la ballata censuratissima “E se la patria chiama”). A termine di essa, dalla Rocca di Assisi, Capitini lesse la “Mozione del popolo della pace”, testimoniando così l’ingresso sulla scena politica italiana di un soggetto culturalmente autonomo, svincolato dalla logiche di appartenenza partitica, capace di portare nel discorso pubblico le istanze del disarmo e della nonviolenza, parlando con voce propria. La Mozione del popolo della pace affermava cinque principi e, per ciascuno di essi, le rispettive declinazioni pratiche. Rileggiamone una sintesi, perché parlano anche a noi, popolo della pace ancora in cammino in questi giorni oscuri. “Primo: nell’idea di fratellanza dei popoli si riassumono i problemi urgenti di questo tempo: il superamento dell’imperialismo, del razzismo, del colonialismo, dello sfruttamento (…). Secondo: per preparare la pace durante la pace è necessario diffondere nell’educazione e nei rapporti con tutti a tutti i livelli, una capacità di dialogo, una sincera apertura alla coesistenza ed alla pacifica competizione di ideologie e di vari sistemi politici e sociali, nel comune sviluppo civile (…). Terzo: la pace è troppo importante perché possa essere lasciata nelle mani dei soli governanti; è perciò urgente che in ogni nazione tutto il popolo abbia il modo di continuamente e liberamente informarsi, e sia convocato frequentemente ad esprimere il proprio parere. Quarto: nel pericolo che la pace sia spezzata da una guerra immane, è urgente l’unione di tutti coloro che nel mondo sono disposti a resistere alla guerra. Quinto: l’umanità è giunta al punto che è in grado di apprezzare altamente un tipo di educazione aperta, rinnovatrice delle strutture legate a privilegi e pregiudizi, una educazione eroicamente nonviolenta”. Cinque principi, densi di conseguenze operative, nei quali si esprime un’altra idea di civiltà – tanto nei fini quanto nei mezzi per raggiungerla – fondata sulla strenua resistenza alla guerra attraverso la nonviolenza, per gettarla una volta per sempre nei ferrivecchi della storia e costruirne le alternative civili per risolvere le controversie internazionali e convivere nelle differenze. Capitini non realizzò una seconda edizione di quell’esperimento di lotta nonviolenta dal basso. Toccò al Movimento Nonviolento – fondato nel 1962, da Capitini e alcuni altri amici, come esito della Marcia per dare al “popolo della pace” uno strumento di organizzazione autonoma dai partiti – proporne una seconda edizione molti anni dopo: nel 1978, per il decennale della morte del fondatore. E fu Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza “politico” dell’Italia repubblicana, erede di Aldo Capitini nella guida del Movimento Nonviolento, a prenderne in mano il testimone, proponendone altre due edizioni come strumento di azione, a disposizione del più ampio movimento per la pace, con precisi obiettivi politici: nel 1981 contro l’installazione dei missili nucleari, nel 1985 per il blocco delle spese militari. Successivamente la Marcia Perugia-Assisi è stata presa in mano dagli Enti locali umbri e dal Comitato promotore, oggi diventato Fondazione Perugi-Assisi per la Cultura della Pace, che l’ha resa periodica, convocandola ogni due anni, salvo edizioni straordinarie. La Marcia – che come scriveva Capitini “non è fine a se stessa, ma produce onde che vanno lontano” – nel tempo è diventata un appuntamento rituale del popolo della pace, da cui trarre linfa ed ispirazione, sulle orme di Aldo Capitini e di quei primi marciatori, per portare nella propria quotidianità la forza della nonviolenza. Secondo le indicazioni che ne ha dato anche Pietro Pinna: “Nonviolenza significa disarmo unilaterale, rifiuto assoluto, cioè immediato e integrale, di qualsiasi apparato militare, di qualsiasi guerra, fatta da chiunque, contro chiunque, per qualsiasi ragione. E quindi, come pratica immediata possibilità per ognuno: obiezione di coscienza al servizio militare, alle spese militari, alla produzione bellica…”. Oggi, di fronte al genocidio in Palestina, all’infinita inutile strage in Ucraina, alle decine di conflitti armati della “terza guerra mondiale a pezzi”, al riarmo, alla militarizzazione della scuola, dell’economia e della società italiane, marciare un giorno all’anno non è sufficiente: il cammino sulle strade della nonviolenza si deve svolgere ogni giorno, ovunque, tenacemente e continuativamente, fino al completo disarmo, militare e culturale. -------------------------------------------------------------------------------- [Articolo pubblicato su Mosaico di pace] Per un introduzione al pensiero di Capitini, vedi Pasquale Pugliese, Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini, GoWare, 2018 -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Una marcia produce onde che vanno lontano proviene da Comune-info.
Perugia: due giornate sull'antipsichiatria (1/2: Corrispondenza con compagne del Csoa Turba)
Due giornate, sabato 28\06 e domenica 29\06, dedicate al tema dell'antipsichaitria; il Csoa Turba di Perugia ha organizzato dibattiti, proiezioni, cene e concerti. Al telefono due compagne ci hanno raccontato nel dettaglio i programmi, la storia del centro sociale e invitano tutt* a partecipare. A seguire abbiamo sentito un compagno del collettivo Antonin Artaud, collettivo pisano antipsichiatrico che interverrà nel confronto di Sabato, che ci resocontava sull’ultima udienza del processo sui maltrattamenti alla Stella Maris avvenuta martedì 24 giugno 2025. In questa udienza sono state richieste, da parte del pubblico ministero, le condanne fino a cinque anni. Di seguito il programma delle due giornate:  Sabato 28/06 17h00 "Da Basaglia a Stella Maris" - dialogo con il collettivo Antonin Artaud, Caterina Pesce (autrice di "Pratiche di liberazione") e Brigata Basaglia Perugia" a seguire: cena sociale veg e bruschettata Punkol'olio concerto punk/metal fori de capoccia in ordine sparso Fosso della carogna Diserta! OkBye Iatagano Monzo Domenica 29/06 18h00 visione collettiva "Dentro le proprie mura" di Carlo Corinaldesi. Il documentario, prodotto nel 2009 e fondamento della memoria storica perugina "E’ uno spaccato di vita vissuta dentro il manicomio: per chi vi era rinchiuso, chi vi lavorava a diverso titolo (psichiatri, infermieri, assistenti sociali, cuoco, politici e amministratori) che ricostruisce, attraverso le loro testimonianze, il percorso evolutivo che ha portato alla chiusura dell’istituzione manicomiale". a seguire: dibattito e cena bella vita.»  
Perugia: iniziative di solidarietà con la Palestina
In una corrispondenza con un compagno di "All eyes on Palestine - Perugia" presentiamo due diverse iniziative che si svolgeranno questo fine settimana a Perugia e nel suo territorio. Il 28 giugno, a Passignano sul Trasimento, si terrà un festival di tre giorni, il Revolution Lake Festival, nel corso del quale si svolgeranno concerti e la tavola rotonda dal titolo "Dal fiume al mare", dedicata alla questione palestinese e, più in generale, alla crisi medio-orientale. Domenica 29 giugno, alle 17:30, al cinema Méliès di Perugia, sarà invece presentato il report annuale delle attività svolte da Amnesty International; a seguire, in piazza Italia, sarà allestito un presidio delle associazioni che promuovono la causa palestinese nel territorio del capoluogo umbro.