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Controfuoco. Per una critica all’ordine delle cose (N° 2, giugno 2025)
> con·tro·fuò·co/ > Incendio, appiccato volontariamente, > per eliminare il materiale > combustibile e quindi contrastare > l’avanzata di un incendio di grandi > proporzioni, spec. nei boschi. ARCHITETTURE DEL CONFINAMENTO: IL TRATTENIMENTO COME INFRASTRUTTURA L’editoriale di Francesco Ferri e Omid Firouzi Tabar Sono passati oramai dieci anni dalla cosiddetta “crisi dei rifugiati” e appare sempre più chiaro come il regime complessivo di regolamentazione, filtraggio e selezione della mobilità delle persone migranti sia vivendo una preoccupante virata autoritaria e repressiva, una recrudescenza che vede nella privazione della libertà un fattore sempre più diffuso, strutturale e normalizzato. Questa “sicuritarizzazione” dell’apparato sicuritario-umanitario, che vediamo da alcuni anni intrecciare e ibridare dinamiche di controllo e segregazione con quelle dell’assistenzialismo compassionevole e infantilizzante, si sta progressivamente infiltrando gran parte dei contesti legati alle migrazioni. Lo vediamo nelle narrazioni mediatiche sempre più stigmatizzanti, nel piano normativo che restringe progressivamente diritti e garanzie e nelle prassi istituzionali sempre più segnate da dinamiche di abbandono socio-economico e dalla moltiplicazione degli ostacoli amministrativi e burocratici. Stiamo assistendo in primo luogo a un vero e proprio attacco frontale al diritto di asilo per come lo abbiamo conosciuto, che si materializza attraverso la progressiva centralità di concetti come “paesi sicuro” e alle conseguenti procedure “accelerate” o di “frontiera”. In questo senso la richiesta di protezione internazionale non è più soltanto preludio a una vera e propria trappola sociale, ma è sempre più un’opzione che viene semplicemente negata, soprattutto per sottrarre le persone al pacchetto di diritti che tutt’ora implicherebbe. In tale direzione vanno legislazioni nazionali e il nuovo Patto europeo su migrazioni e asilo, punto di svolta decisivo delle politiche migratorie continentali. A questa erosione del diritto di asilo si accompagna una sorta di “Hotspotizzazione” della regolamentazione delle persone anche oltre alle fasi successive all’approdo. Al netto della resistenza, talvolta anche ostinata, di alcuni tribunali, la prospettiva politica sembra essere quella di dare una progressiva centralità (non soltanto simbolica) a strutture classicamente detentive come i Cpr, ma anche a strutture ibride di trattenimento come i centri albanesi (e altri che fioriranno sul perimetro europeo per le “procedure di frontiera”), e quelli di Pozzallo e Porto Empedocle adibiti per le “procedure veloci”. In parallelo, la costante minaccia di “deportabilità” in questi luoghi, ben agevolata dalla diffusione di misure di militarizzazione urbana come le “Zone Rosse”, diventa ingrediente ricattatorio di estrema violenza. Senza scordarci, per completare questo cupo quadro, di una certa intensificazione della criminalizzazione delle pratiche solidali, soprattutto in mare, e di quella, statisticamente preoccupante, dello smuggling e dei cosiddetti “capitani”, che sta allargando la stretta penale su un numero sempre più vasto di migranti. Tutto ciò non sembra proiettarsi nella direzione di un rafforzamento di forme di mera esclusione ed estromissione delle persone dalla cosiddetta “Fortezza Europa”, concetto che ci appare oggi anche poco funzionale, talvolta del tutto fuorviante, per leggere in profondità i processi in corso e le razionalità che li sottendono. In campo sembra invece persistere un’economia politica del modello confinario imperniata su dinamiche di selettività e di violenta (im)mobilizzazione, orientate a garantire nuove linee di inclusione subalterna e di produzione di soggettività, più che a materializzare una rigida (e improduttiva) impermeabilizzazione del perimetro europeo. Più che alla tensione tra rigide linee che separano estromissione da e inclusione nello spazio europeo, dobbiamo in sintesi sforzarci a cogliere tensioni e conflittualità sempre più molecolari e interstiziali tra espressione di mobilità indisciplinata e tentativo di produzione di soggettività esposte a forme sempre più intensive di sfruttamento lavorativo e di stigmatizzazione utile a nutrire le retoriche sicuritarie. Questi nuovi sviluppi si materializzano dentro una congiuntura di guerra che, oltre alle uccisioni, ai massacri, ai genocidi e alle devastazioni che produce nelle zone di conflitto dove è materialmente in atto, si espande in quanto regime complessivo di produzione di linee di comando, ispirando drammaticamente molte politiche europee tra cui quelle che riguardano migrazioni e confini. In questo scenario bellico la costruzione dei blocchi e delle polarizzazioni, strutturati intorno a un ritorno di costruzioni identitarie come popolo, stato e nazione, produce inevitabili e considerevoli ripercussioni nei regimi di  “bordering” e di “othering”, ponendosi come frame perfettamente coerente con la stretta sicuritaria vissuta in questa fase storica in molti territori europei. Scendendo su un piano più concreto, l’analisi del “modello Albania” fornisce indicazioni utili per cogliere le tendenze che attraversano il regime confinario. Il funzionamento del centro di Gjader ha evidentemente caratteristiche peculiari ma non è, dal punto di vista della logica che lo informa, un’eccezione. Questo progetto, infatti, rende visibile e leggibile una delle traiettorie più rilevanti del governo della mobilità: l’estensione selettiva del trattenimento come pratica ordinaria. In Italia, la detenzione amministrativa si presenta come diffusa ma non generalizzata: uno scarto importante, da cogliere per darne preciso rilievo politico. Infatti, la gran parte delle persone rimpatriate non passa dai Cpr. Ma questo dato non ridimensiona il ruolo politico di quei centri. Al contrario, lo chiarisce: i Cpr non funzionano per volumi, ma per effetto. Producono una pedagogia della minaccia, inscrivono nella vita migrante una moltiforme precarietà costitutiva, alimentano una condizione permanente di esponibilità alla violenza e al rimpatrio. Il modello Albania riproduce questa stessa logica: poche persone effettivamente trattenute bastano a produrre un salto, simbolico e materiale, nell’architettura del confinamento. È per questo che l’analisi non può fermarsi ai numeri. Serve uno sguardo qualitativo e politico sulla detenzione, che è poi quello che questo numero di Controfuoco tenta di portare. Le molteplici forme del trattenimento non vanno valutate unicamente sulla base della capienza o del tasso di rimpatri che producono, ma interrogati come dispositivi: macchine selettive di produzione della soggettività e della forza-lavoro migrante. Le loro funzioni travalicano i corpi che rinchiudono. La violenza concreta che esercitano non va dunque ridimensionata, ma compresa nella sua estensione. La lista dei diritti violati – libertà personale, difesa, salute, unità familiare – è solo la soglia di un impatto più ampio: una violenza sistemica, che agisce al di là delle griglie giuridiche. È una violenza strutturale, fatta di trattamento differenziale, segregazione materiale e simbolica, disciplinamento sociale. Il trattenimento va allora letto come infrastruttura, non come eccezione. Non è una parentesi nella vita migrante, ma una condizione che incide sui tempi, gli spazi, le possibilità di movimento e di relazione. La deportabilità – più che la deportazione effettiva – è oggi la condizione generalizzata che definisce la collocazione sociale di ampi settori di soggettività migrante. Il rischio permanente della detenzione orienta le traiettorie, comprime le aspettative, spezza le reti, contribuisce alla collocazione nel mercato del lavoro, nei modelli dell’abitare. È in questo scenario che si colloca il presente numero di Controfuoco, dedicato alle molteplici forme del trattenimento. Le attraversa, le connette, le storicizza. Non per restituirne un’immagine unitaria, ma per mapparne le articolazioni, le ricadute, le resistenze. Il trattenimento non è ai margini: è un asse portante delle politiche migratorie. È dentro la società, ne riflette le gerarchie, ne rafforza i confini. L’ambizione di questo numero è chiara: contribuire, con strumenti agili e accessibili, alla politicizzazione del dibattito sul trattenimento. Passando in rassegna i vari contributi, Chiara Denaro presenta delle riflessioni che riguardano i nuovi piani di sperimentazione della detenzione migrante. Si parla dei centri di Pozzallo e Porto Empedocle, pensati per trattenere migranti giunti dai “paesi sicuri”, mentre viene esaminata la loro richiesta di protezione internazionale. L’autrice si sofferma in particolare sulla privazione della libertà vista come ingrediente sempre più diffuso del controllo delle migrazioni e sul ruolo svolto dai giudici e dal diritto in questo campo di tensioni. Francesco Ferri presenta una riflessione critica rispetto a un tema che ha avuto recentemente molta amplificazione mediatica, quello dei centri di detenzione in Albania. Ferri si sofferma nello specifico sulla funzione latente di questi luoghi, interpretati come strumenti punitivi che incarnano, anche in prospettiva delle nuove politiche europee, uno specifico modello di controllo della mobilità indisciplinata. In particolare emerge l’idea che tali luoghi rappresentino un confine interno esternalizzato, dove la dislocazione della detenzione pone, tra i vari, seri problemi dal punto di vista del controllo giurisdizionale e della tutela legale. Il tema della detenzione amministrativa è stato approfondito da Rocco Sapienza, in relazione alla struttura collocata a Palazzo San Gervasio, in Provincia di Potenza. Le riflessioni intorno a questo Cpr si soffermano non soltanto sulla violenza istituzionale agita con le forme del trattenimento all’interno di questo luogo, ma si sviluppano anche in riferimento alla sua collocazione nel territorio e in particolar modo nelle reti e infrastrutture dello sfruttamento lavorativo. La progressiva recrudescenza delle politiche di controllo delle migrazioni e la crescente centralità di strumenti necropolitici e repressivi è la cornice di riferimento del contributo di Francesca Esposito. L’autrice, focalizzandosi sul tema della detenzione amministrativa in Italia e in Europa, propone una riflessione critica di orientamento transfemminista e abolizionista indicando la necessità di guardare alle molteplici interconnessioni tra la violenza confinaria e violenza di genere, con particolare riferimento allo sguardo portato nel dibattito attuale dal femminismo anticarcerario. Anche il contributo di Luca Ceraolo affronta il tema della detenzione delle persone migranti all’interno del Cpr. Tenendo la salute mentale come cornice generale di riferimento, in questo contributo viene messa a fuoco la relazione tra diversi campi del sapere – con particolare attenzione a quello medico – nelle pratiche detentive e la materializzazione di un “continuum coloniale” nei processi di stigmatizzazione che riguardano le soggettività migranti. Luca Daminelli e Andrea Contenta si focalizzano sulla Grecia e sul borderscape rappresentato da quella particolare porta d’ingresso verso l’Europa, segnata fortemente dagli accordi con la Turchia che continuano ad avere molteplici conseguenze. In questo contributo l’attenzione è rivolta ai dispositivi di privazione della libertà, che fungono in modo sempre più diffuso e normalizzato come strategie di regolamentazione, esclusione ed inclusione subalterna dei migranti irregolarizzati, ma anche dei richiedenti asilo. Infine troviamo le riflessioni presentate da Giovanni Marenda, che volge lo sguardo verso la Bulgaria, di nuovo imperniate sull’analisi della centralità assunta dalla pratica della detenzione nel governo delle migrazioni indisciplinate. Secondo l’autore le prassi osservabili in quel territorio, segnate da diffusi soprusi e violenze discrezionali degli attori istituzionali, possono essere interpretate come una sorta di anticipazione del recente Patto europeo sulle migrazioni che tende ad incorporarle, legalizzandole. Quest’ultimo infatti viene immaginato non tanto come cambio di paradigma, ma come normalizzazione di un sistema che prevede lo strapotere di polizia e la generalizzazione della detenzione come fulcri operativi. CONTROFUOCO N° 2 GIUGNO 2025 SOMMARIO I nuovi centri di detenzione per i richiedenti asilo. Genealogia di un fallimento governativo Chiara Denaro Da dove viene la singolare pretesa di trasportare i migranti in Albania per aumentare i rimpatri? Francesco Ferri Geografia del controllo: note da Palazzo San Gervasio Rocco Sapienza Per una critica transfemminista abolizionista della detenzione amministrativa in Italia Francesca Esposito Politiche della diagnosi e continuum della colonia. Riflessioni sulla salute nella detenzione amministrativa Luca Ceraolo La Grecia scudo d’Europa. Di razzismo istituzionale, condizioni di vita inumane e politiche di morte Andrea Contenta e Luca Daminelli Reclusi alla periferia d’Europa. Uno sguardo sulla detenzione dei migranti in Bulgaria Giovanni Marenda Clicca sull’immagine di copertina per scaricare gratuitamente la rivista o qui sotto Download in pdf Acquista una copia cartacea Fotografie: Silvia Di Meo, Rami Sole, Luca Greco, Marios Lolos, Francesco Cibati, Rocco Sapienza, Stop CPR Roma e Mel Progetto grafico: Giacomo Bertorelle Gruppo redazionale: Jacopo Anderlini, Emilio Caja, Francesco Della Puppa, Francesco Ferri, Enrico Gargiulo, Barbara Barbieri, Stefano Bleggi, Giovanni Marenda, Omid Firouzi Tabar, Martina Lo Cascio La foto di copertina è stata scattata durante la mobilitazione del Network Against Migrant Detention in Albania l’1 e 2 dicembre 2024. NAMD è una rete di attivist* transnazionale che chiede l’abolizione della detenzione amministrativa. Cooperativa editrice Tele Radio City s.c.s., Vicolo Pontecorvo, 1/A – 35121 Padova, Italy, Iscr. Albo Soc. Coop. n. A121522 Melting Pot è una testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Padova in data 15/06/2015 n. 2359 del Registro Stampa. Controfuoco è un processo aperto e collettivo che vuole coinvolgere saperi e conoscenze composite e crescere a partire dalle diverse esperienze e biografie che intreccerà. Per contribuire scrivi a collaborazioni@meltingpot.org.