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Il Leviatano e i sentimenti: riflessioni sul disastro elettorale in Cile
Lo scorso 16 novembre si è tenuto il primo turno elettorale delle presidenziali cilene: seppure è arrivata al primo posto la candidata della sinistra, Jeannette Jara, del Partito Comunista – Unidad por Chile, con il 26,78%, gli altri candidati della destra, divisi in almeno tre liste, rendono assolutamente complicato il ballottaggio del prossimo 14 dicembre. Al secondo posto, l’estrema destra di José Antonio Kast, del Partito Repubblicano, con il 24,02%, che andrà al ballottaggio contro Jara. Al terzo e quarto posto, rispettivamente, altri candidati di destra, Franco Parisi Fernández, del Partido de la Gente, al 19% e Johannes Kaiser Barents con il 13%. Indicativamente sosterranno tutti Kast, uscito sconfitto quattro anni fa dal ballottaggio contro Boric e oggi principale candidato alla vittoria presidenziale. Pubblichiamo un testo di analisi dello scenario politico ed elettorale cileno a cura di Rordrigo Karmy Bolton, docente dell’Università del Chile. Quanto destituito dalla rivolta del 2019 è stato capitalizzato dalla nuova destra. La sinistra ha finito per espellere la moltitudine che si era mobilitata al punto di arrivare a redigere una nuova Carta Fondamentale, depoliticizzando tutto il processo e infarcendolo di discorso giuridico (il ripristino di un sapere giuridico che ha oscurato la dimensione politica dei sentimenti), al punto che il “legalismo” della sinistra si è concentrato molto più sul contenuto esatto che sull’effetto politico della Nuova Carta redatta da quell’entità, tanto sfuggente quanto problematica nella storia cilena, chiamata “il popolo”. La sinistra ha sostituito il popolo con il diritto. In questo scenario, la destra ha fatto la sua parte e, attraverso i meccanismi oligarchici del Senato, lo ha spogliato del suo potere costituente. Però il processo costituente è rimasto aperto, nonostante molte proposte siano state respinte sia nella prima che nella seconda Assemblea Costituente. Tuttavia, tra le due Assemblee Costituenti [2020 e 2022 – ndt] si è verificata una congiuntura decisiva: le coalizioni tradizionali, sia progressiste che neoliberiste conservatrici, sono state rimaste fuori dai giochi. Altri attori sono entrati in scena, altri volti sono emersi. È in questo “fuori dai giochi” che irrompe sulla scena il Frente Amplio con al timone. Gabriel Boric [Presidente della Repubblica dal 2022 – ndt] e Daniel Jadue [candidato sconfitto alle primarie del Frente Amplio – ndt] Tuttavia, la situazione affrontata dal governo Boric ha fatto sì che, anziché essere un governo di trasformazione, diventasse un governo di “normalizzazione”, replicando così la razionalità politica concertativa degli ultimi 30 anni, ma in un momento storico in cui il governo era stato destituito dalla rivolta del 2019. Da allora, non potendosi fondare su alcun patto costituzionale, il governo Boric è rimasto un governo etereo. Con il pretesto delle “divergenze” su questioni di sicurezza, il governo ha accettato l’agenda della destra con l’ingresso di Carolina Tohá [ex Ministra dell’Interno,  candidata alle presidenziali per il PPD – Partito per la Democrazia – ndt] e per questo, invece di munirsi di un nuovo patto giuridico e istituzionale, hanno concertato un accordo performativo per la sicurezza. La sicurezza (ovvero il meccanismo fondamentale della guerra civile globale) si è trasformata in un sostitutivo della Costituzione, nonostante fosse stata respinto per ben due volte da una cittadinanza in agitazione. > Il progressismo (o la sinistra, per i più ottimisti) è rimasto intrappolato > dal governo per quattro anni: nella misura in cui ha optato per la razionalità > “transitoria” già destituita, non ha potuto rinnovare il proprio immaginario > politico e, non potendolo fare, ha ceduto alla destra il terreno della > mobilitazione emotiva. A questo proposito, è fondamentale affrontare la questione del contatto. Per quanto sia stato decisivo nella rivolta del 2019, nella misura in cui non è stato altro che un incontro affettivo che ha generato una connessione erotica all’interno della moltitudine, ha però sofferto le pene dell’inferno durante la pandemia di Covid19, visto che , con il senno di poi, il contatto non è stato semplicemente oggetto della repressione giuridico-statale, ma piuttosto di gestione biopolitica nella quale bisognava imporre il “distanziamento sociale” e utilizzare le mascherine. Il “contatto” è stato doppiamente pericoloso: per la polizia durante la rivolta e per motivi sanitari durante la pandemia. Di conseguenza, la sinistra intrappolata al governo è stata piuttosto il sintomo di una situazione in cui l’affetto cristallizzato nel “contatto” era stato criminalizzato e patologizzato e, in questo senso, completamente dis-affezionato. Così, il governo di Gabriel Boric ci ha proposto uno scenario ormai vecchio e non ha generato altro che “rabbia” (emozione gioiosa che grida giustizia), immediatamente trasformata dalla destra in “odio” (emozione triste e xenofoba). > La sicurezza ha prevalso. Sia a livello “legale” che “medico”. Ma non come un > punto all’ordine del giorno, bensì come un macchinario mitologico che potuto > compensare con fantasia, attraverso una serie di meccanismi statali, grandi > società di sicurezza private e mezzi di comunicazione in mano agli oligarchi, > lasciando incompiute le trasformazioni costituzionali. Torniamo al punto precedente: il progressismo è stato manchevole di immaginazione politica perché, intrappolate al governo, le masse erano già state tagliate fuori da ogni “contatto”. Tutto è diventato individuale,  tutto apparteneva a “ognuno”, e “l’altro” è diventato un nemico assoluto. La giustizia è stata cancellata dalle priorità e il cammino verso il fascismo internazionale è iniziato proprio in questi anni. L’eventuale vittoria di José Kast [candidato di estrema destra del Partito Repubblicano, fondato nel 2019 da alcuni fuoriusciti dall’UDI Unione Democratica Indipendente – ndt] al secondo turno delle elezioni presidenziali non farà che confermare formalmente il seguente punto: il progressismo ha trovato conforto nella freddezza del Leviatano (lo Stato, secondo Hobbes), ma la nuova destra ne ha catturato l’anima (le emozioni). In breve, il progressismo ha governato seguendo una razionalità politica (la transizione dalla dittatura) che non è riuscita a mobilitare le emozioni. E, di conseguenza, è stata proprio la destra a gestire le anime dei cileni. Stiamo assistendo alla fine del progressismo neoliberista e della visione di transizione che ha rappresentato. La democrazia è diventata così profondamente securitaria che funzionerà come nuova forma di dittatura “civile” (o cibernetica, se vogliamo), precipitando il Paese nella dilagante guerra civiles globale. Ovviamente, tutto questo deve essere spiegato nel contesto globale del trionfo delle destre. Ma nulla può essere spiegato se non si analizza l’impatto locale della mobilitazione emotiva del fascismo alimentata dalla paralisi governative e delle istituzioni. Nulla può essere spiegato se non riconosciamo la sua metamorfosi in quella ragione politica di transizione che la cittadinanza stessa aveva rifiutato. Lo spettro di Portales [Diego Portales, politico cileno durante la Repubblica Conservatrice, ucciso durante un’insurrezione contro la guerra contro la Confederazione Perù-Bolivia del 1836-1839 – ndt], (immagine che riassume il panorama politico della storia cilena) è più attuale che mai: Diego Portales ha instaurato una dittatura e in caso di vittoria al secondo turno, José Kast non eserciterebbe una dittatura nel senso tradizionale del termine, ma intensificherà l’intero apparato securitario che la democrazia fornisce già per iniziare a interferire in spazi ed erodere diritti un tempo considerati inalienabili. Immaginare che la “democrazia liberale” sia l’unico orizzonte politico per la sinistra non è soltanto ingenuo, ma anche complice della trappola in cui è stata catturata. La copertina ritrae Gabriel Boric dopo l’elezione presidenziale (wikimedia) Articolo pubblicato originariamente sul sito lavozdeloquesobra.cl. Traduzione a cura di Michele Fazioli per DinamoPress SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Il Leviatano e i sentimenti: riflessioni sul disastro elettorale in Cile proviene da DINAMOpress.
“LATINOAMERICA”: PRESIDENZIALI IN CILE E REFERENDUM IN ECUADOR. LA PUNTATA DI LUNEDI’ 17 NOVEMBRE 2025
LatinoAmerica è la trasmissione quindicinale di Radio Onda d’Urto. Ogni due settimane, 30 minuti in volo libero e ribelle…tra il border di Tijuana e gli orizzonti sconfinati della Patagonia. 30 minuti su Radio Onda d’Urto, dentro il ciclo della “Cassetta degli Attrezzi”: appuntamento ogni due lunedì, alle ore 18.45, e in replica il giorno dopo, il martedì, alle ore 6.30. La puntata di lunedì 17 novembre 2025 ci porta in Cile ed Ecuador. * Cile: al primo turno, domenica 16 novembre, delle elezioni presidenziali la candidata del Partito Comunista, Jeannette Jara, ottiene il 26,85% ed è al primo posto. Non è però un buon risultato, anzi: l’unica candidata non esplicitamente di destra si ferma ben al di sotto del 30%, considerato il livello minimo per pensare concretamente a vincere il ballottaggio. Le destre, divise in tre candidati, sono sopra il 50%, sommando i loro consensi. Al ballottaggio ci sarà l’estremista di destra, esplicito nostalgico di Pinochet e nemico dichiarato di donne, poveri e migranti, Kast, del (cosiddetto) Partito Repubblicano col 23,92% delle preferenze. * Ecuador: anche qui si è votato, domenica 16 novembre, per 4 referendum presentati dal presidente conservatore Noboa. A sorpresa, elettori ed elettrici hanno sonoramente cassato i quattro quesiti, a partire da quello sull’abrogazione della legge che vieta la costruzione di basi militari straniere (cioè Usa) nel Paese. Bocciati anche i quesiti sull’eliminazione dei finanziamenti ai partiti, la riduzione del numero dei parlamentari e la nascita di un’Assemblea costituente, per piegare l’attuale Costituzione in vigore a Quito in senso più nazionalista, estrattivista e iper-capitalista. Di Cile ed Ecuador parliamo con Rodrigo Andrea Rivas, compagno cileno, esule in Italia dopo il colpo di Stato di Pinochet e da allora giornalista e attento osservatore e analista di questioni sudamericane. Ascolta LatinoAmerica di lunedì 17 novembre. Ascolta o scarica.
“LATINOAMERICA”: MESSICO, VENEZUELA E WALLMAPU (CILE). LA PUNTATA DI LUNEDI’ 3 NOVEMBRE 2025
LatinoAmerica è la trasmissione quindicinale di Radio Onda d’Urto dedicata al Centro e Sud America. Ogni due settimane, 30 minuti in volo libero e ribelle…tra il border di Tijuana e gli orizzonti sconfinati della Patagonia. 30 minuti su Radio Onda d’Urto, dentro il ciclo della “Cassetta degli Attrezzi”: appuntamento ogni due lunedì, alle ore 18.45, e in replica il giorno dopo, il martedì, alle ore 6.30. La puntata, in onda su Radio Onda d’Urto lunedì 3 novembre 2025, ci porta in Messico, Venezuela e Cile. * Messico: venerdì 7 novembre, ore 18.30, al csa Magazzino 47 di Brescia proiezione del documentario “Mexico2025” con la partecipazione di alcun* compagn* messican*, Alicia Castellanos e Gilberto López y Rivas, in dialogo con il regista e nostro collaboratore Andrea Cegna. Con lui abbiamo anche aggiornato la situazione nel Paese. * Venezuela: Trump minaccia un regime change manu militari. Oltre 500 tra intellettuali, docenti, attivisti e giornalisti, hanno intanto firmato un “appello a difesa del Venezuela bolivariano e dei popoli del mondo, per la pace e la giustizia sociale”. Tra i firmatari Angelo d’Orsi, docente e storico del pensiero politico all’Università di Torino, ai nostri microfoni * Cile: aggiornamento sul Wallmapu, le terre ancestrali dei Mapuche, con Fabrizio di Operazione Colomba, presente dal 2018 nel centro e sud del Cile.   Ascolta LatinoAmerica di lunedì 3 novembre. Ascolta o scarica Prossima puntata: lunedì 17 novembre, ore 18.45.
CILE: AGGIORNAMENTO DAL “WALLMAPU”, I TERRITORI MAPUCHE. INTERVISTA A OPERAZIONE COLOMBA
Dal 2018 Operazione Colomba ha aperto il progetto “Cile Mapuche”, con una presenza di monitoraggio dei diritti civili nel “Wallmapu”, le terre ancestrali del popolo Mapuche. L’obiettivo generale è quello di monitorare la situazione del rispetto dei Diritti Umani delle popolazioni indigene Mapuche dell’Araucanía e in generale del sud del Cile e definire un modello di intervento per la trasformazione nonviolenta del conflitto. Da giugno 2025 “le attività sul campo sono state compromesse – spiega Operazione Colomba – da un evento particolarmente critico e doloroso: la casa di Lautaro, sede dei volontari e delle volontarie di Operazione Colomba, è stata interamente distrutta da un incendio. Il forte impatto di quanto successo è stato accompagnato dalla generosità della comunità circostante, che da subito ha accolto e sostenuto i volontari con attenzione e cura, segno anche di una reale condivisione diretta che Operazione Colomba ha avuto la fortuna di coltivare in questi anni. L’avvenimento ha costretto il gruppo a sospendere le attività sul territorio, ritenendo opportuno il rientro in Italia. Prima del ritorno, i volontari e le volontarie hanno potuto incontrare alcuni attivisti Mapuche, visitando terre ancestrali nei pressi di Curacautín”. Da alcune settimane l’attività sul territorio sta ripartendo, mentre non si sono mai fermati i report mensili e gli aggiornamenti dal Cile. L’ultimo è datato settembre 2025, “in Cile un mese carico di significato, per la storia della dittatura militare di Pinochet (1973-1990) e per le celebrazioni de las Fiestas Patrias. Per le comunità Mapuche, settembre quest’anno si è tuttavia contraddistinto per gli ennesimi atti di ingiustizia e per tenaci azioni di protesta”. Radio Onda d’Urto ha intervistato Fabrizio, di Operazione Colomba, che ha trascorso un lungo periodo a contatto con le comunità Mapuche nella zona centrale e meridionale dell’attuale Cile. Ascolta o scarica    
Jeannette Jara: la prima comunista che guiderà la sinistra cilena
Alle primarie delle elezioni cilene ha vinto Jeannette Jara per il Partito Comunista con oltre il 60% dei voti. Domenica 29 giugno si sono tenute le primarie della sinistra cilena. L’elezione vedeva confrontarsi quattro candidati: Carolina Tohá per il PPD, partito di centrosinistra membro della storica Concertación; Gonzalo Winter per il Frente Amplio, la coalizione del presidente Boric; Jaime Mulet, della Federación Regionalista Verde Social, e Jeannette Jara per il Partito Comunista. Ha vinto Jara, che con oltre il 60% dei voti ha ottenuto una vittoria non solo netta, ma anche storica: per la prima volta, infatti, una militante del Partito Comunista guiderà la candidatura presidenziale della sinistra cilena. Fino a oggi, il Partito Comunista del Cile (PCCh) aveva partecipato a numerose candidature e governi della sinistra cilena. Il governo del presidente Boric, quello di Salvador Allende o il secondo mandato di Bachelet sono alcuni degli esempi più rilevanti. In questi governi e nelle candidature che li hanno portati alla Moneda, il PCCh era presente, ma sempre in secondo piano. I comunisti fornivano disciplina, lavoro e forza militante, ma si riteneva che un candidato di quell’area fosse un suicidio politico. Il Cile era un paese troppo conservatore, o troppo anticomunista, perché qualcuno del PCCh potesse raggiungere la presidenza. Questa narrazione è durata a lungo ed è stata presente persino nella precedente primaria presidenziale, in cui il comunista Jadue partiva come favorito, ma fu ampiamente superato da Gabriel Boric che, oltre a fare una campagna migliore, era considerato più competitivo per la corsa presidenziale. Oggi, per la prima volta, questo racconto si è spezzato e Jara si è imposta con una forza che neppure le più ottimiste si sarebbero aspettate. L’ex-ministra di Boric ha vinto in tutte le regioni e ha ottenuto il doppio dei voti rispetto all’altra ex-ministra Carolina Tohá, che inizialmente molti consideravano come la favorita. Ha dimostrato chiaramente di essere la miglior candidata della primaria e ora resta da vedere come si muoverà in un terreno più difficile: l’elezione presidenziale. Foto di Luca Profenna JARA PUÒ VINCERE? La grande domanda che aleggia nella conversazione pubblica cilena è se Jeannette Jara abbia la possibilità di vincere un’elezione presidenziale. La candidata comunista ha già rotto lo schema delle primarie, ma riuscirà anche a rompere quello di un’elezione presidenziale? La prima cosa da dire è che Jara affronterà la sfida elettorale in un contesto estremamente difficile. La candidata della sinistra cilena avrà molte difficoltà non solo per essere comunista, infatti, molte delle sfide che dovrà affrontare sarebbero toccate a qualunque altro vincitore delle primarie. La prima di queste è il clima di smobilitazione che sta vivendo la sinistra cilena. La campagna ne è stata un chiaro riflesso: mentre la primaria del 2021 fu vibrante, intensa e pervasa da un certo sentimento di speranza, quella del 2025 è stata monotona, noiosa e ha faticato a suscitare l’interesse dei cileni. I numeri della partecipazione parlano da soli: nel 2021 votarono 1,7 milioni di persone in una primaria tra Frente Amplio e Partito Comunista; nel 2025 sono stati solo 1,4 milioni, nonostante questa volta partecipasse anche il centrosinistra e ci fossero quattro candidati. Le differenze non sono solo quantitative, ma anche qualitative: è sembrato che nel 2021 si corresse per vincere, mentre nel 2025 si è corso per sopravvivere. Il secondo elemento che complica qualsiasi candidatura da sinistra è l’usura del governo di Gabriel Boric. Un altro cambiamento del 2025 rispetto al 2021 è che “la primaria della sinistra” è diventata “la primaria del governo” e qualsiasi candidatura vincente sarà la rappresentante dell’attuale esecutivo nel prossimo agosto. Il governo di Boric non è affondato nei consensi, tutt’altro, e a differenza degli ultimi governi Piñera e Bachelet ha mantenuto percentuali stabili fino alla fine del mandato. Il problema è che questi numeri non sono sufficienti, poiché si aggirano attorno al 30% dell’elettorato, più o meno la percentuale che lo sostenne al primo turno nel 2021. Per arrivare al ballottaggio, Jara dovrà inizialmente conquistare quel 30% da cui al momento è piuttosto distante. Nelle elezioni di ieri ha votato solo il 9% del corpo elettorale e la candidata comunista, con i suoi 800.000 voti, dovrà arrivare almeno a due milioni per avere possibilità di giocarsi il secondo turno. Non è impossibile, ma certo non sarà una passeggiata. Il terzo punto critico per la sinistra è un’agenda mediatica sbilanciata a destra, dove l’insicurezza e la lotta alla criminalità restano i temi dominanti del dibattito pubblico e le principali preoccupazioni dei cileni. Questi temi, come già nel 2021, continuano a penalizzare la sinistra, oggi anche considerata responsabile per non averli risolti durante il mandato. In questo contesto, le ricette securitarie e i discorsi della mano dura di Kast, Matthei o Kaiser risultano molto più in sintonia con il sentire comune e hanno maggiori possibilità di crescere rispetto a una sinistra che fatica ancora a trovare tono e proposte. L’unico lato positivo è che almeno la candidata non sarà l’ex-ministra dell’interno – Carolina Tohá – che avrebbe avuto molte difficoltà a convincere qualcuno di essere la soluzione per problemi che non è riuscita a risolvere nell’ultima legislatura. Nonostante uno scenario tutt’altro che promettente, ci sono tre elementi chiave che sono stati determinanti nella vittoria di Jara e su cui si può costruire una candidatura presidenziale vincente. Foto di Luca Profenna LE BUONE CHANCES Il primo è che Jara è l’unica candidata in grado di articolare, in qualche modo, un discorso anti-establishment. A differenza di Winter e Tohá, la candidata comunista è cresciuta in un quartiere popolare e ha una storia personale che può connettere con il cileno medio, evitando di essere percepita come parte dell’élite. Questo è fondamentale nel contesto cileno, dove il rifiuto delle élite è stato una costante negli ultimi anni. Questo rifiuto ha avuto espressioni tanto a destra quanto a sinistra, a seconda del momento politico, ma è presente dal estallido social [una serie di manifestazioni scoppiate in Cile, principalmente nella capitale Santiago, a partire dal 7 ottobre 2019, inizialmente contro l’aumento del costo del biglietto della metropolitana, ma ben presto estese alla protesta contro il carovita e la corruzione, ndt] del 2019. È stato presente nelle proteste contro il governo Piñera, nel rigetto di due proposte costituzionali e anche in un’elezione presidenziale in cui Boric riuscì a incorniciare il secondo turno come uno scontro tra “il nuovo e il vecchio”, che lo portò alla vittoria su Kast. Se Jara vuole vincere l’elezione dovrà in qualche modo cavalcare questo sentimento diffuso tra molti cileni. Avrà un’occasione, dato che i suoi principali avversari – Matthei, Kast e Kaiser – provengono da famiglie con generazioni alle spalle in posizioni di potere politico o militare. Il punto sarà capire se riuscirà a farlo in un contesto di forte distacco verso un governo di cui ha fatto parte attivamente. Il secondo elemento che favorisce Jara è che probabilmente è colei che meglio può sopravvivere al sentimento antigovernativo oggi prevalente in Cile. Tra tutte le misure adottate dal governo in questi quasi quattro anni, quelle uscite dal ministero di Jara sono state le più apprezzate dalla popolazione cilena. La riduzione della giornata lavorativa e l’aumento del salario minimo sono state tra le poche promesse che il governo Boric ha mantenuto in modo soddisfacente, insieme alla riforma delle pensioni, che pur se insufficiente, almeno indica una direzione. Dunque, se si tratta di difendere l’eredità del governo Boric, Jeannette Jara è probabilmente la più preparata a farlo e la meno esposta alle critiche sull’insoddisfazione verso l’esecutivo. Il terzo punto a favore di Jara riguarda il suo rapporto con il partito. Si è ripetuto fino alla nausea che la sua militanza comunista potrebbe condannarla al fallimento, ma Jara non è percepita come una comunista tipica. Il suo rapporto con il partito è stato molto teso negli ultimi mesi e la candidata si è notevolmente distanziata, senza però rompere del tutto con la cupola comunista. Jara ha dichiarato che chi «vince la primaria sarà la candidata di una coalizione ampia, non di un solo partito» e ha evitato di prendere posizione sugli orientamenti internazionali del partito in temi delicati come Cuba o Venezuela, questioni su cui Jadue perse terreno nelle passate primarie. L’ex-ministra del lavoro sa perfettamente che se sarà percepita come una comunista intransigente non avrà nessuna possibilità in queste elezioni, per cui negli ultimi mesi ha cercato di distaccarsi da quella immagine. La figura di Jara, quindi, non è quella di una militante comunista tradizionale, ma quella di una persona che, tanto per il suo percorso personale quanto per la sua traiettoria politica, può essere considerata a suo modo un’outsider – e questo, negli ultimi anni, ha avuto un certo valore nella politica cilena. Per molti, la nuova candidata ricorda più Bachelet per il suo carisma e la sua empatia nel rapporto con le persone, rispetto a una tipica candidata comunista; questo potrebbe aiutarla nelle prossime elezioni. Come detto, per Jara sarà una sfida molto difficile ed è bene essere consapevoli della realtà e non farsi troppe illusioni, nonostante la forza della sua vittoria. Tuttavia, la campagna delle primarie ha mostrato chiaramente – come già si era visto nel suo lavoro di governo – che è una persona capace di connettere con la gente e che ha delle qualità come candidata. Non sarà la candidata ideale, ma è senza dubbio di gran lunga, colei che meglio può rappresentare la sinistra tra coloro che possono (e vogliono) farlo. Articolo pubblicato originariamente in castigliano su El Salto Diario. Traduzione in italiano di Alessia Arecco per DINAMOpress Immagine di copertina di Voceria de Gobierno de Chile, 2022, da commons.wikimedia L'articolo Jeannette Jara: la prima comunista che guiderà la sinistra cilena proviene da DINAMOpress.