Nel sobborgo di Dwel’aLE BOMBE SU TEHERAN, L’ATTACCO ALLE BASI USA IN QATAR E I POST DI TRUMP COPRONO
DI ODIOSO SILENZIO NON SOLO QUANTO ACCADE A GAZA MA ANCHE ALTRE NOTIZIE, COME
L’ATTENTATO DI DOMENICA 22 GIUGNO CHE HA COLPITO LA PERIFERIA DI DAMASCO IN CUI
SONO STATE UCCISE VENTI PERSONE. GIOVANNA CAVALLO HA VISITATO IN FEBBRAIO IL
SOBBORGO DI DWEL’A PER LA MISSIONE “SIRIA CON GLI OCCHI DEI CIVILI” PROMOSSA DA
YALLA STUDY. QUELLO DI DOMENICA, DICE, È STATO UN COLPO AL CUORE DI UNA COMUNITÀ
GIÀ STREMATA DA QUINDICI ANNI DI GUERRA, SANZIONI (IMPOSTE DAGLI USA), E POVERTÀ
ENDEMICA. SONO TANTI I RAGAZZINI CHE NON POSSONO PERMETTERSI DI STUDIARE E
TRASCORRONO MOLTO TEMPO ROVISTANDO TRA I RIFIUTI ALLA RICERCA DI OGGETTI DA
SCAMBIARE O VENDERE. “NON SI PUÒ PARLARE DI PACE E STABILITÀ IN SIRIA SENZA
ASCOLTARE PRIMA DI TUTTO LA VOCE DELLE SUE COMUNITÀ PIÙ VULNERABILI…”
Domenica 22 giugno un attentato ha colpito la chiesa cristiana di Sant’Elia di
Dwel’a, nel cuore di una delle comunità più fragili della periferia di Damasco:
una violenta esplosione ha devastato il luogo di culto, lasciando a terra almeno
20 morti e oltre 50 feriti. L’attentatore con la cintura esplosiva è stato
identificato dalle autorità siriane come un affiliato all’Isis.
Giovanna Cavallo ha visitato in febbraio quella chiesa per la missione “Siria
con gli occhi dei civili” promossa da Yalla Study, progetto nato nel Forum
nazionale “Per Cambiare l’ordine delle Cose” per favorire flussi di ingresso
sicuri e garantire il diritto allo studio di giovani migranti. Quello di
domenica, dice, è stato un colpo al cuore di una comunità già stremata da
quindici anni di guerra, sanzioni (imposte dagli Usa), e povertà endemica.
L’attentato non può essere compreso appieno senza conoscere il contesto nel
quale è avvenuto. Questo racconto, scritto in febbraio, ricorda come non si può
parlare di pace e stabilità in Siria senza ascoltare prima di tutto la voce
delle sue comunità più vulnerabili.
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La crisi umanitaria nel sobborgo di Dwel’a, Damasco
Nel sud di Damasco, nel quartiere di Dwel’a, Sami Husmi, un parroco di
periferia, lotta ogni giorno per sostenere la sua comunità a maggioranza
cristiana. Con oltre 7,000 famiglie, Dwel’a è stato segnalato nei report
internazionali come uno dei quartieri più poveri della capitale siriana. Le
case, mal ridotte dal tempo e dalla guerra, fanno da sfondo alle espressioni di
disperazione sui volti dei suoi abitanti.
Ogni giorno, Padre Sami incontra persone che cercano aiuto presso la chiesa. Le
loro storie sono simili: famiglie che lottano per trovare cibo e cure mediche,
spaventate dall’incertezza e dall’instabilità del paese. La situazione economica
devastante ha colpito tutti, e nessuno sembra essere risparmiato dalla morsa
della povertà.
Nella nostra chiacchierata, non è mancato il richiamo alle sanzioni economiche
imposte dagli Stati Uniti, che secondo lui devono essere allentate. Oltre al
declino economico, le misure del Caesar Act hanno peggiorato la situazione della
popolazione, impedendo qualsiasi possibilità di ripresa. Le ONG siriane hanno
visto chiudersi l’accesso ai conti bancari e sono state spesso impedite nelle
transazioni finanziarie, con conseguenze negative anche per i siriani
all’estero.
Al nostro arrivo nel quartiere a bordo di un vecchio taxi, abbiamo visto diverse
scene di estrema fragilità e povertà. Ciò che ci ha colpito è stato vedere
bambini seduti nella spazzatura, rovistando tra i rifiuti alla ricerca di
oggetti che potevano essere scambiati o venduti. Una povertà confermata dalle
statistiche disponibili che indicano come, all’inizio del 2022, metà della
popolazione di Damasco necessita di assistenza umanitaria, con circa 40.000
persone in estremo bisogno. Oltre tre famiglie su quattro non riescono a
soddisfare le esigenze di base e il reddito medio copriva solo il 51% delle
spese. Più di due terzi delle famiglie avevano aumentato i debiti dall’inizio
del 2020, e un terzo dei bambini aveva abbandonato la scuola per lavorare.
Segmenti della popolazione che prima non avevano bisogno di assistenza ora ne
necessitano a causa della svalutazione della valuta, dei prezzi elevati e della
perdita di mezzi di sussistenza.
Padre Sami precisa anche che la mancanza di controllo del territorio ha
aumentato la criminalità comune, spingendo le persone nella paura. Ricorda il
giorno in cui un giovane della parrocchia era stato rapinato mentre tornava a
casa dal lavoro. La comunità era sconvolta, ma impotente di fronte a tali
eventi. La caduta del regime ha portato speranze di cambiamento, ma purtroppo
quei cambiamenti concreti non si erano ancora realizzati.
La chiesa, un tempo un luogo di speranza e conforto, ora è piena di sguardi
persi e mani tese. Ogni domenica, durante la messa, Padre Sami ci racconta che
cerca di infondere un po’ di speranza nei cuori dei suoi parrocchiani. Tuttavia,
sa bene che parole di conforto non bastano a riempire gli stomaci vuoti né a
curare i malati. La situazione devastante dal punto di vista economico continua
a peggiorare. Le famiglie sono costrette a fare scelte difficili: comprare cibo
o medicine, pagare l’affitto o mandare i figli a scuola. Sami fa del suo meglio
per distribuire le risorse limitate della chiesa, ma sente che non è mai
abbastanza.
A Dwel’a abbiamo trovato un triste quadro rappresentativo della situazione
siriana e delle conseguenze devastanti della guerra civile. La testimonianza di
Padre Sami e le realtà quotidiane che abbiamo osservato offrono un quadro chiaro
delle sfide immense che la Siria deve affrontare.
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