L’Europa sta spingendo per uno Stato palestinese, o per la resa palestinese?
30/07/2025 di G - Invicta Palestina
Il tardivo riconoscimento dello Stato Palestinese da parte dell’Europa è una
palese manovra geopolitica, parte di una più ampia spinta alla normalizzazione
che mette da parte la liberazione palestinese, mentre confeziona la sconfitta
come un progresso diplomatico. Stiamo assistendo alla nascita di uno Stato? O
alla dichiarazione della sua sconfitta?
Fonte: English version
Di Malek al-Khoury – 28 luglio 2025
Fin dalla sua nascita nel 1948, Israele non ha mai operato entro confini fissi.
L’espansione è sempre stata la sua dottrina, non vincolata dalla legge, ma
spinta dalla forza e sostenuta da un incrollabile sostegno occidentale. Israele
si è rifiutato di definire i propri confini per quasi ottant’anni perché la sua
stessa identità è radicata in un’ambizione coloniale che non è mai veramente
tramontata.
Dalla Nakba (Catastrofe) alla Naksa (Retrocessione), dalle invasioni
territoriali all’annessione di Gerusalemme, delle Alture del Golan e della
Cisgiordania, lo Stato di Occupazione ha continuato a ridisegnare i propri
confini in base al potere, non alla legittimità.
Questo progetto espansionistico si è ulteriormente rafforzato con l’ascesa della
corrente nazionalista messianica all’interno di Israele, che considera il pieno
controllo del “Grande Israele” un diritto storico irrinunciabile.
Oggi, a 77 anni dalla Nakba, Israele ha avviato una modalità di espansione a
pieno regime, espropriando i palestinesi, distruggendo intere città e villaggi,
consolidando insediamenti ebraici illegali e imponendo l’Apartheid. Eppure,
paradossalmente, Stati europei come Francia e Regno Unito si stanno preparando a
riconoscere uno “Stato Palestinese” proprio quando la geografia politica
palestinese è al suo massimo di frammentazione e il Progetto Sionista è al suo
massimo di aggressività.
Cosa significa dunque questo riconoscimento? Si tratta di un risultato
strategico per i palestinesi o di uno stratagemma diplomatico che scredita la
resa come un successo?
Uno Stato senza confini, un progetto senza freni
La Dichiarazione Balfour del 1917 segnò l’avvio formale di un Progetto di
Colonialismo di Insediamento in Palestina. Ciò che seguì non fu l’immigrazione,
ma un’espropriazione calcolata: dalle confische di terre e dai Massacri
agevolati dagli inglesi, alle espulsioni di massa della Nakba del 1948, che
determinò una Pulizia Etnica di oltre 750.000 palestinesi.
Non si trattò di mero Colonialismo. Fu una sostituzione etnica: terre confiscate
sotto la protezione imperiale, poi conquistate militarmente. Questa Campagna non
si concluse mai. Proseguì con l’Occupazione di Gaza, Gerusalemme e Cisgiordania,
e si intensificò dopo il 1967. L’obiettivo di Israele non è mai stata la
coesistenza. È sempre stata la Supremazia Ebraica.
Il Piano di Partizione delle Nazioni Unite del 1947 (Risoluzione 181) concesse
oltre il 55% della Palestina Storica al Movimento Sionista, nonostante gli ebrei
ne possedessero solo il 6%. Il Movimento Sionista accettò questo sulla carta per
ottenere legittimità internazionale, per poi violarne immediatamente i termini,
occupando con la forza il 78% del territorio.
Ad oggi, lo Stato di Occupazione non ha adottato una costituzione formale, e il
motivo è che basarsi sul Piano di Partizione avrebbe limitato le sue ambizioni
espansionistiche. La Dottrina Sionista non ha mai riconosciuto confini
definitivi, istituendo invece uno Stato senza frontiere ufficiali, poiché le sue
ambizioni si estendono oltre la geografia palestinese per includere parti di
Giordania, Siria, Libano ed Egitto.
Il dibattito interno in Israele sulla dichiarazione di uno “Stato Ebraico” non è
semplicemente una questione legale, ma un tentativo di consolidare un’identità
esclusiva e basata sulla sostituzione, che sancisce legalmente la
Discriminazione Razziale e nega ai palestinesi il loro status di popolo nativo.
Riallineamento della Resistenza: il 7 ottobre e la svolta a due Stati
Il terremoto innescato dall’Operazione Onda di Al-Aqsa ha scosso non solo
Israele, ma anche il contesto politico del Movimento Palestinese.
Sorprendentemente, le fazioni palestinesi, tra cui Hamas, hanno iniziato a
esprimere esplicitamente il loro sostegno alla “Soluzione a Due Stati”, dopo
anni di insistenza sulla Liberazione completa della Palestina storica.
In una dichiarazione senza precedenti, l’alto funzionario di Hamas Khalil
al-Hayya ha dichiarato nel maggio 2024:
“Siamo pronti a impegnarci positivamente in qualsiasi seria iniziativa per una
Soluzione a Due Stati, a condizione che comporti un vero Stato Palestinese sui
confini del 1967, con Gerusalemme come capitale e senza insediamenti”.
Questo adattamento tattico segnala un cambiamento significativo. Dopo decenni di
insistenza sulla piena liberazione, attori palestinesi chiave stanno ora
prendendo apertamente in considerazione uno Stato troncato. Si tratta di un
riflesso di dinamiche di potere in evoluzione? O di un riallineamento imposto
sotto pressione regionale e internazionale?
Riconoscimento come leva: Francia, Arabia Saudita e normalizzazione
La scorsa settimana, in un post su X, il Presidente francese Emmanuel Macron ha
dichiarato:
“In linea con il suo impegno storico per una pace giusta e duratura in Medio
Oriente, ho deciso che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina. Farò questo
solenne annuncio davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il prossimo
settembre. Abbiamo bisogno di un cessate il fuoco immediato, del rilascio di
tutti gli ostaggi e di massicci aiuti umanitari per la popolazione di Gaza.
Dobbiamo anche garantire la smilitarizzazione di Hamas, proteggere e ricostruire
Gaza. E infine, dobbiamo costruire lo Stato di Palestina, garantirne la vitalità
e garantire che, accettandone la smilitarizzazione e riconoscendo pienamente
Israele, contribuisca alla sicurezza di tutti nella Regione. Non c’è
alternativa”.
Il riconoscimento previsto dalla Francia di uno Stato Palestinese a settembre
non è motivato da principi, ma da una dura e fredda manovra geopolitica.
Sembrerebbe che Parigi stia cercando di stringere legami più stretti con Riad,
che ha legato la normalizzazione con Tel Aviv ai progressi sulla questione
palestinese. Il riconoscimento francese è quindi un segnale calcolato all’Arabia
Saudita, non un gesto di solidarietà con i palestinesi.
In questa equazione, la Palestina diventa moneta di scambio. La sua indipendenza
non viene affermata come un diritto, ma sbandierata come precondizione negli
accordi di normalizzazione tra le monarchie arabe e lo Stato Occupante.
Allineamenti strategici: l’asse Ankara -Londra
Con un terzo dei parlamentari che chiede al Primo Ministro britannico Keir
Starmer di riconoscere la Palestina, la pressione si sta accumulando anche su
Londra.
In una dichiarazione, Starmer ha affermato:
“Insieme ai nostri più stretti alleati, sto lavorando a un percorso verso la
pace nella Regione, incentrato su soluzioni pratiche che faranno davvero la
differenza nella vita di coloro che soffrono in questa guerra. Questo percorso
definirà i passi concreti necessari per trasformare il cessate il fuoco, così
disperatamente necessario, in una pace duratura. Il riconoscimento di uno Stato
Palestinese deve essere uno di questi passi. Sono inequivocabile al riguardo”.
Anche la Gran Bretagna non si sta muovendo verso il riconoscimento per chiarezza
morale, ma per rafforzare il suo asse strategico post-Brexit con la Turchia.
Ankara, alleato commerciale chiave di Israele e sostenitore politico di Hamas,
considera il riconoscimento della Palestina uno strumento per elevare la sua
statura regionale e la sua influenza energetica. Per Londra, approfondire i
legami con la Turchia promette vantaggi economici e geopolitici. Il risultato è
un percorso di riconoscimento convergente tra Parigi e Riad e tra Ankara e
Londra.
Si stanno formando così due assi informali: Parigi-Riyadh e Ankara-Londra,
entrambi convergenti sul riconoscimento di uno Stato Palestinese. Eppure,
nessuno dei due approccia la questione partendo da una convinzione di principio
nei diritti dei palestinesi, ma piuttosto attraverso la lente del potere,
dell’influenza e della realpolitik.
Lo Stato palestinese: riconoscimento senza sovranità
Anche se tutti i Paesi europei riconoscessero la Palestina, ciò non sarebbe
altro che un simbolismo senza applicazione. Non ci sarebbero confini definiti
per lo Stato, nessun controllo sul proprio territorio e nessuna interruzione
delle politiche di espansione degli insediamenti o di annessione perseguite
dallo Stato di Occupazione.
Tel Aviv respinge completamente questa premessa. Il Primo Ministro israeliano
Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che qualsiasi futuro Stato Palestinese
sarebbe “una piattaforma per distruggere Israele” e che il controllo sovrano
della sicurezza deve rimanere a Israele. Ha ripetutamente escluso un ritorno
alle condizioni precedenti al 7 Ottobre.
La realtà è che il 68% della Cisgiordania, classificata come Area C, rimane
sotto il pieno controllo israeliano. Oltre 750.000 coloni sono insediati in quel
territorio, sotto la piena protezione dell’Esercito di Occupazione. Come può uno
Stato esistere su un territorio Occupato e frammentato, sotto costante assedio e
senza sovranità?
“Sono appena tornato da un giro di conferenze in giro per il mondo e posso
affermare con sicurezza che l’immagine e la posizione globale di Israele sono al
punto più basso della storia”, scrive il giornalista israeliano Ben-Dror Yemini.
Eppure, nonostante ciò, il governo di estrema destra di Netanyahu sta
raddoppiando gli sforzi: spinge per la completa annessione della Cisgiordania
Occupata, mira a nuovi punti d’appoggio territoriali nel Sinai, nella Siria
meridionale e persino in Giordania, pur mantenendo posizioni militari nel Libano
meridionale.
L’immagine globale di Israele potrebbe erodersi, ma il suo Progetto strategico
sta avanzando.
Se Israele si sta espandendo e consolidando, mentre il Movimento Palestinese
ridimensiona le richieste e gli Stati regionali normalizzano i rapporti, cosa è
stato ottenuto esattamente?
Le fazioni della Resistenza che un tempo rifiutavano l’esistenza di Tel Aviv ora
propongono la creazione di uno Stato alle sue condizioni. Il riconoscimento
europeo è privo di incisività. Gli insediamenti crescono. Gli sfollamenti
continuano. Questa non è liberazione. È la sepoltura del sogno sotto le mentite
spoglie della diplomazia.
La soluzione provvisoria diventerà l’accordo definitivo. Lo “Stato” Palestinese
diventa un eufemismo diplomatico: una struttura vuota elogiata nei discorsi, ma
negata sul campo.
Malek Al-Khoury è uno scrittore e giornalista geopolitico che in precedenza ha
lavorato presso il principale quotidiano libanese As-Safir.
Traduzione a cura di: Beniamino Rocchetto
L'Europa sta spingendo per uno Stato palestinese, o per la resa palestinese? -
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