COP30 a Belém: lotte indigene tra estrattivismo ed emergenza climatica
Le immagini che più di tutte racchiudono il significato e la portata delle
mobilitazioni per la giustizia climatica che si sono tenute a Belém – in
occasione della 30esima Conferenza ONU sui Cambiamenti Climatici, la COP30 –
appaiono tra le migliaia e migliaia di manifestanti che il 15 novembre scorso
hanno riempito le strade nella città brasiliana nella marcia per il clima. Una
maschera di cartone di Chico Mendes accanto ad una bandiera palestinese, ed un
“funerale” del carbone e del petrolio, nel mezzo di rappresentanti di movimenti
sociali ed indigeni che nei giorni precedenti avevano partecipato ai lavori
della Cupula dos Povos, organizzata all’interno dell’Università dello Stato di
Parà. Immagini che uniscono vertenze, lotte, piattaforme per
l’autodeterminazione dei popoli, la giustizia ecologica, la protezione dei
territori e degli ecosistemi, intersezionalità e diritti contadini e al cibo, e
che evocano guerre e violenza epistemica, quella dell’estrattivismo e quella
della colonialità del potere.
Non è un caso che proprio i giorni prima della marcia si fosse commemorato il
30esimo anniversario dell’esecuzione di Ken Saro Wiwa, ucciso assieme ad altri 8
attivisti del popolo Ogoni per essersi opposto alle attività di estrazione di
petrolio nel delta del Niger da parte della Shell. Così i padiglioni e le tende
allestite all’università di Parà hanno legato, connesso storie, analisi,
proposte, esperienze di resistenza dal basso, organizzate attorno ad alcuni assi
tematici, dalla transizione giusta alla liberazione dei popoli, alla resistenza
all’estrattivismo, alle economie popolari. Un’evento che ha visto per la maggior
parte la partecipazione di movimenti brasiliani, dai Sem Terra, ai popoli
indigeni, a quelli per il diritto all’educazione, all’acqua, i movimenti di
comunità vittime di megainfrastrutture quali le idrovie nel Cerrado brasiliano o
le grandi dighe, che proprio nello stato di Parà hanno segnato in passato la
storia della resistenza territoriale. Basti pensare alla storica riunione dei
popoli indigeni di Altamira nel 1989, organizzata dal popolo Kayapò mobilitato
contro le dighe sul fiume Xingù, e dal suo leader “spirituale”, Raoni, anch’esso
presente a Belem.
> I corsi e ricorsi storici riaffiorano nelle contraddizioni del modello e del
> paradigma di riferimento dei governi “progressisti” dell’America Latina,
> quelli ancora rimasti. In primis c’è il sostegno dei governi del PT alla
> megadiga di Belo Monte, all’annuncio fatto da Lula, proprio alla vigilia della
> COP30, di concessioni di esplorazione petrolifera all’impresa statale
> Petrobras alla foce del Rio delle Amazzoni.
Un vero elefante nella stanza per il governo Lula, scisso tra cultura
sviluppista e rivendicazioni ambientali e dei popoli indigeni incarnate da due
donne, la ministra per l’Ambiente Marina Silva e quella per le questioni
indigene, Sonia Guajajara presenti alla marcia per la giustizia climatica. La
contraddizione però, è passata in sordina, per evitare di dare alle destre
un’argomento da utilizzare alla vigilia della campagna elettorale per le
presidenziali. Il tutto è stato celato quindi all’interno di una rivendicazione
generica sulla messa al bando dei combustibili fossili da parte di movimenti e
di un numero crescente di governi che hanno aderito all’iniziativa
internazionale per un Trattato vincolante sulla non proliferazione fossile.
Non a caso la Colombia di Gustavo Petro è stata a prima ad annunciare la
decisione di proibire ogni forma di estrattivismo fossile e minerario nella sua
parte di Amazzonia e la convocazione di una conferenza internazionale sulla
nonproliferazione fossile che si terrà nell’aprile 2026 a ridosso della nuova
tornata elettorale nel paese. Poco prima, a marzo, è in programma il Forum
Sociale PanaAmazzonico (FOSPA) che si svolgerà nella regione ecuadoriana del
Pastaza, a Puyo, al cuore dell’Amazzonia ecuadoriana, zona di forte presenza di
imprese petrolifere e di acerrima resistenza da parte dei popoli indigeni. Anni
or sono, in quei luoghi si decise di mantenere il petrolio nel sottosuolo
dell’area forestale di Yasuni, una vittoria consolidata lo scorso anno da un
referendum popolare che vanificò i tentativi di boicottaggio da parte del
governo del Presidente Daniel Noboa.
di Rosa Jijon
I diritti della Natura riconosciuti dalla Costituzione ecuadoriana sono stati al
centro di varie iniziative all’interno della Cupula dos Povos, tra cui la sesta
sessione del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura, Verso un nuovo
impegno con la Madre Natura, appuntamento conclusivo di una serie di sessioni
tematiche su combustibili fossili e imprese minerarie canadesi. Prima in
occasione della Climate Week di New York del settembre dello scorso anno, poi in
tre sessioni (Serbia, Quito e Toronto) il Tribunale ha analizzato decine di casi
di estrazione petrolifera, e progetti minerari di imprese canadesi, per lo più
impegnate nella prospezione o estrazione di minerali “critici” o di
“transizione”; necessari per la “transizione energetica” evidenziando le
violazioni dei diritti delle comunità, dei difensori e difensore della Madre
Terra, e della Natura.
Parte del Tribunale, presieduto da Nnimmo Bassey storico attivista nigeriano e
Ana Alfinito, avvocata brasiliana, è stata così dedicata all’analisi delle
contraddizioni del modello di transizione energetica e la sua incompatibilità
con il paradigma di riferimento del capitalismo estrattivista. Non a caso due
importanti ricercatori del Pacto Ecosocial ed Intercultural del Sur, Maristella
Svampa e Breno Bringel, hanno definito questa fase come quella del consenso
della decarbonizzazione, caratterizzata da nuove forme di colonialismo e
creazione di nuove zone di sacrificio per alimentare la transizione energetica
nei vari Nord del mondo. Il Tribunale ha poi presentato le sue sentenze su
combustibili fossili e imprese minerarie e la sua politica sui difensori della
Madre Natura introdotta dall’intervento del Relatore Speciale ONU per i
difensori dell’ambiente Michel Forst, ed adottato la sua dichiarazione finale
“Per un nuovo impegno con la Madre Terra”, contributo politico ai lavori della
Cupula dos Povos.
> Nella sua dichiarazione il Tribunale afferma che la policrisi attuale ha
> origine nei sistemi economici, politici, i e sociali determinati dalla
> capitalismo, orientato alla crescita, oltre che al patriarcato, il razzismo e
> l’antropocentrismo. Chiede che l’Amazzonia venga riconosciuta come soggetto di
> diritto in base alla recente opinione consultiva della Corte Interamericana
> dei Diritti Umani che per la prima volta riconosce i diritti intrinseci della
> Natura.
Questo però non basta, sarà urgente infatti porre fine all’estrazione di
minerali e combustibili fossili dal suo sottosuolo oltre a rigettare false
soluzioni alla crisi climatica quali il carbon trading o altre forme di
“mercantilizzazione” della natura, o forme di “transizione verde” che vengono
imposte a discapito dei diritti della Natura e dei popoli.
Il Tribunale annuncia poi l’intenzione di tenere una sessione specifica su
petrolio in Amazzonia proprio in concomitanza con il FOSPA in Ecuador, e
riconosce il ruolo chiave delle comunità e dei difensori e difensore della Madre
Terra, esortando la comunità internazionale a “riparare” ai danni causati da
decenni di estrattivismo. Nel corso della Cupula dos Povos si sono tenuti altri
Tribunali etici o di opinione, uno contro l’ecogenocidio convocato da movimenti
di base brasiliani, confluiti nell’inizativa parallela della COP do Povo, altri
due sul tema della transizione giusta ed il razzismo ambientale, e l’impatto
delle imprese minerarie sui diritti dei popoli nello stato di Parà svoltosi in
una zona periferica di Belem.
Il Tribunale sulla transizione giusta promosso da ActionAid Brasile, ed ispirato
alla sessione sul Cerrado del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP), ha
analizzato vari casi portati alla sua attenzione da comunità di donne
“quilomboas”, (popolazioni afrodiscendenti) relative alla contaminazione causata
dalle imprese minerarie, o dall’imposizione di megaimpianti eolici “made in
France” per la produzione di idrogeno verde da esportare in Europa, in
particolare nello stato di Cearà, esempio evidente di come il Green New Deal
europeo contribuisce a perpetuare ingiustizie storiche nei confronti di
territori sacrificabili allo sviluppo, verde o marrone che sia.
Altro caso presentato da comunità “quilomboas” di Belém era relativo agli
impatti provocati dai lavori per la preparazione delle infrastrutture necessarie
per ospitare le decine di migliaia di delegati alla COP30. Tra questi
l’inquinamento provocato da infrastrutture fognarie che scaricano reflui nei
quartieri periferici di Belém, oppure un’operazione in puro stile greenwashing,
con la piantumazione di alberi per creare una foresta ai margini dell’aeroporto
di Belém e che invece non è stata mai ultimata lasciandosi dietro gravi danni
ambientali per le popolazioni afrodiscendenti.
> Uno dei leitmotiv delle mobilitazioni a Belém è stato proprio la forte
> presenza di popoli indigeni e afrodiscendenti, “invisibili” al potere, ed alle
> istituzioni e che a Belém hanno preso parola per denunciare le loro condizioni
> di vita inique. Per molti popoli indigeni brasiliani e quilomboas Belém ha
> forse rappresentato l’ultima opportunità di visibilità e di amplificazione
> delle proprie richieste a fronte del rischio di un ritorno delle destre al
> potere.
E per questo è stato necessario alzare il livello delle mobilitazioni, con ben
due irruzioni all’interno della zona “blu” quella dove si svolgono i negoziati
ufficiali ben distante in termini topografici e politici dalla Cupula dos Povos.
Proprio all’indomani dell’ultima azione di protesta del popolo Mundurukù, Sonia
Guajajara annunciava la decisione di demarcare quelle terre, ed il lancio di una
iniziativa intergovernamentale di 15 paesi, la prima in assoluto nel suo genere,
per la demarcazione ed il riconoscimento dei diritti territoriali di popoli
indigeni e comunità locali ed afrodiscendenti, e la protezione delle foreste.
Dieci saranno quindi le terre indigene demarcate in Brasile, su un totale di 63
milioni di ettari che il governo intende regolalizzare, 59 milioni dei quali per
i popoli indigeni e 4 per le comunità quilomboas. Colombia e Congo hanno
annunciato iniziative simili.
di Rosa Jijon
L’appello alla demarcazione delle terre indigene era stato ripreso anche nella
dichiarazione finale della Cupula dos Povos nella quale si chiedono anche il
riconoscimento del ruolo centrale delle conoscenze ancestrali, la riforma
agraria e la promozione dell’agroecologia, il contrasto a forme di razzismo
ambientale, si condanna il genocidio del popolo palestinese e si chiede che le
spese militari vengano destinate al recupero e risarcimento del debito ecologico
causato dai disastri climatici e dall’estrattivismo fossile.
La dichiarazione della Cupula sostiene la richiesta di nonproliferazione fossile
ed una transizione giusta, sovrana e popolare fatta dai popoli e per i popoli,
respingendo ogni forma di “falsa soluzione di mercato”. Tra queste il programma
TFFF (Tropical Forests Forever Fund) un fondo promosso dal governo brasiliano
con la leadership della Banca Mondiale che dovrebbe convogliare capitali
pubblici e privati per 4 miliardi di dollari l’anno alla protezione delle
foreste.
> Il rischio, secondo le decine di organizzazioni che hanno firmato una
> dichiarazione congiunta al riguardo, è che questo programma possa offrire alle
> imprese l’ennesima occasione di greenwashing, oltre a non affrontare alla
> radice le cause della deforestazione senza mettere al centro i diritti dei
> popoli delle foreste.
Temi questi che hanno caratterizzato anche il viaggio della Flotilla Amazzonica
Yaku Mama che, partita dall’Ecuador, è arrivata a Belém dopo tremila kilometri
di navigazione , richiamando alla memoria la storica “navigazione” della Senna
da parte di una flotilla indigena in occasione della COP di Parigi di 15 anni
fa.
Il messaggio era e resta uno: è il momento di tracciare una linea rossa, la fine
dell’economia fossile e del capitalismo estrattivista. Belém dimostra che da
allora i movimenti sono cresciuti, si sono consolidati, e offrono alternative
concrete e praticabili e sopratutto quanto mai urgenti, come si legge nella
diachiazione di Belém del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura, per
noi umani e per tutto il vivente.
La copertina è di Rosa Jijon
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