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«A me il consenso sembra un po’ come la pastasciutta»
Torniamo a occuparci di scuola... Abbiamo chiesto a Elena De Marchi di fare per noi/voi una riflessione sullo "stato dell’arte" dell'educazione sessuale e affettiva in classe. Buona lettura! L'articolo «A me il consenso sembra un po’ come la pastasciutta» sembra essere il primo su StorieInMovimento.org.
siamo rete, siamo grido, siamo canto
Viviamo un’epoca davvero faticosa. Attorno a noi sembra che tutto crolli, deragli. Siamo sempre piu pover3, sempre piu stanch3, piu spaventat3. Più in guerra.  La guerra è entrata nel  linguaggio, nell’economia, nelle scuole, nel bilancio dello stato e di conseguenza nella gestione dei servizi alla salute, nel welfare, nella distruzione dell’ambiente e nell’orizzonte collettivo militarizzando l’esistente, cambiando i nostri ruoli, le relazioni. E se la guerra non fosse una condizione imprescindibile dettata dalle contingenze? Se fosse invece la risposta che chi comanda utilizza per sedare ogni dissenso?  Immaginiamo insieme per un attimo che “noi minoranze” prendiamo coscienza di non esserlo. Che invece di percepirci come persone singole in competizione con ogni altra nelle stesse condizioni riconosciamo proprio nelle altre persone che vivono la stessa oppressione delle alleate, cosa accadrebbe? Immaginiamo che lo stesso legame e la stessa fiducia che viviamo quando siamo insieme la provassimo ogni giorno per le strade, nei nostri palazzi o luoghi di lavoro, studio, svago. Cosa succederebbe? In questo mondo militarizzato la cultura e la società le si creano a suon di proclami e paura. Paura del domani, del presente, delle altre persone e anche di noi stess3, delle nostre capacità, dei nostri corpi, delle nostre relazioni mentre chi detiene il potere,intanto, della nostra paura e isolamento si nutre aumentando i profitti e impoverendo le nostre vite praticamente e moralmente. E così, ogni novembre il presidente del consiglio – quel presidente che pretende di essere chiamato al maschile perché simbolo di potere e prestigio – annuncia a gran voce un nuovo intervento legislativo epocale contro la violenza di genere! Lo scorso novembre ci fu l’istituzione dell’ergastolo di default nei casi di femminicidio, quest’anno la legge sul consenso.. mentre prepara il ddl disforia.  Intanto molti componenti del suo governo, partito e coalizione riempiono le cronache di azioni, asserzioni e pratiche violente.  Tagliano i finanziamenti ai centri antiviolenza autonomi e sovvenzionano nuovi centri dedicati a uomini maltrattanti che spesso barattano il percorso con lo sconto di pena, tagliano le politiche sociali che sosterrebbero i percorsi di fuoriuscita dalla violenza aperti a tutte le soggettività, tolgono tutele come la possibilità di richiesta di asilo politico alle donne vittime di tratta e a persone trans, lesbiche, gay, bi o non binarie che nei propri paesi di provenienza sarebbero in carcere o in attesa di pena di morte. Creano leggi come la legge Caivano che riempie le carceri di persone giovani e giovanissime che, rispetto ai figli di politici o ricchi che compiono gli stessi atti, hanno la colpa di essere povere e quindi perseguibili.  Intanto promuovono la cultura della ipersessualizzazione delle donne sin da bambine, della ruolizzazione di genere, del possesso e dell’onore, dell’amore romantico e della famiglia e vietano o disincentivano la educazione alla diversità di genere e a quella sessuoaffettiva nelle scuole, con la scusa che sia giusto e normale che sia la famiglia di origine a decidere cosa le persone piccole e giovani debbano conoscere o pensare. La Famiglia, al quale altare è stato immolato anche il ministero delle pari opportunità, ora Ministero della famiglia, della natalità e pari opportunità e che è il fulcro nel quale la violenza nasce secondo i dati del ministero degli interni stesso. Intanto le persone trans e non binarie sono attaccate da provvedimenti che ne minano la salute, le persone LGTBQIPA+ sono derise, misgenderate, aggredite nei percorsi di formazione, nello spazio pubblico e al lavoro quando riescono a trovarlo.  Intanto le donne e tutte le persone con utero devono lottare per il riconoscimento delle malattie cosiddette invisibili, per il diritto ad un aborto libero, sicuro e gratuito per tutt, o anche “solo” per non essere molestate, derise, sminuite, violentate e uccise ogni giorno. Nell’epoca del liberismo guerrafondaio le persone sono cose e il loro valore e uso è preteso e deciso dai soliti maschi bianchi cis etero e machi al potere. Così devono sparire via via tutte le persone che non sono loro. L’osservatorio nasce per cercare di non dimenticare nessun, nessuna persona soggetta a violenza patriarcale, per gridare ogni vita, ogni speranza, ogni desiderio. Perché per noi e per il transfemminismo per come lo viviamo, ogni vita, ogni speranza, ogni desiderio contano mentre la violenza mangia la vita di chi la subisce ma anche la vita di chi la agisce.  Siamo un osservatorio e quello che vediamo è che chi agisce violenza occupa tutte le classi sociali, età, territorio, provenienza geografica, percorso di studi. L’unica costante é che é per la stragrande maggioranza delle volte un maschio cis etero e che le violenze fra e da parte di persone giovani stanno aumentando enormemente, chiara conseguenza di un’epoca nella quale l’unico valore che si sostiene è quello del diritto proprietario e del desiderio di possesso mentre si svilisce la cultura, la cura e l’empatia così come aumentano le violenze sulle donne anziane, un peso da eliminare. Oggi portiamo con noi una rete come simbolo di legame, perché è solo stando insieme che possiamo sottrarci alle violenze e tornare a concederci il diritto alla vita che ci appartiene. Non deve per forza essere solo la rabbia a muoverci, soprattutto in un’epoca nella quale tutto attorno a noi lo è. Può essere anche la vita, la bellezza (della vita) che resiste, il riconoscimento reciproco, la fiducia, la solidarietà e il desiderio di uscire dalle proprie tane. Tocchiamoci, annusiamoci (con consenso ovviamente), conosciamoci e supportiamoci. Gridiamo insieme la nostra rabbia ma cantiamo anche insieme la nostra vita ed esistenza, così che ogni voce trovi la sua propria melodia, lo spazio e dilaghi. La rete che portiamo è fatta di occhi, bocche simboli e piccoli suoni, siamo noi. Non sovrasteremo le urla che nel quotidiano ci circondano sommergendoci ma abbiamo detto che siamo e saremo marea e La marea cura, segue i ritmi che tutto in natura vive, torniamo a sentirci parte a costruire alternative radicali, comunità resistenti, cercare l3 altr3, difenderci e accoglierci a vicenda perché noi siamo grido, ma anche canto e vita e “perché non era previsto che sopravvivessimo” Share Post Share L'articolo siamo rete, siamo grido, siamo canto proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
TDOR 2025
Allerta (TW): il linguaggio usato e le notizie riportate in questo articolo/intervento rimandano a situazioni di estrema violenza  di Mari Casalucci Vaffanculo America! Non voglio il tuo odio. Non voglio le decorazioni militari e le medaglie che mi hai conferito.Non voglio la pensione per il mio servizio militare e le invalidità connesse al servizio. Non voglio la tua assistenza sanitaria per curare le malattie mentali che mi hai causato. Non voglio altri ricoveri in reparti psichiatrici per tenermi in vita in una nazione che disprezzo. Non voglio essere sepolt in nessuno dei tuoi cimiteri militari e veterani. Non voglio essere sepolt in nessun luogo sul suolo americano. Non voglio onori militari. Non voglio che le mie ceneri siano conservate sul suolo americano. Voglio che le mie ceneri siano disperse in acque internazionali e voglio che a disperderle sia solo mia moglie. Non voglio la vostra bandiera. La mia morte non è una resa. La mia morte come parte della popolazione transgender non significa che avete vinto. Segna solo la fine della nostra relazione. Questa non è la terra della libertà. L’odio dimostrato fin troppo spesso cancella ogni pretesa di grandezza passata. Siete un pozzo nero di fanatici che adorano un dio che non esiste e non è mai esistito. Godetevi la vostra nuova famiglia reale e il vostro dittatore. Mi rifiuto di partecipare ulteriormente. L’uomo bianco ha decimato e massacrato le popolazioni indigene sulle terre che ora chiamate America. Non potete cancellare le persone non binarie e transgender perché ogni giorno ne fate nascere altre. Questa la lettera di addio di Elisa Rae Shupe, prima soggettività non-binary ad ottenere sul proprio passaporto statunitense la “X” sul marcatore di genere, trovata avvolta nella bandiera trans nel parcheggio di un ospedale per veteran3 a Syracuse, nello Stato di New York il  27 gennaio 2025. I media mainstream hanno cercato inutilmente di ignorarla silenziando questo messaggio che aveva lasciato.  Shupe nasce nel 1963, vive violenze a scuola e in famiglia, nell’82 entra nell’esercito fino al suo ritiro nel 2000. Diventa attivista per i diritti delle persone trans. La sua storia viene strumentalizzata dai gruppi conservatori anti-trans che sfruttano la fragilità di un periodo della sua vita per tuonare teorie pseudoscientifiche sulla “detransizione di genere”. Shupe si ribella e cambia nuovamente il suo nome e i pronomi di riferimento, scrive un libro e prova ad andare avanti con la sua vita. La vittoria di Trump però, e la sua firma sull’ordine esecutivo che mira a cancellare le identità trans e non-binarie dalla carta dei diritti negli Stati Uniti, hanno rappresentato l’ultimo colpo per il suo equilibrio spingendolx a salire all’ultimo piano di quel parcheggio. Nella sua lettera emerge una lucida consapevolezza e una rabbia contagiosa. Il suo è un urlo di rivolta contro un sistema marcio e ipocrita, un rifiuto a starci, a finanziarlo, a restare in silenzio come lo era stato quello di Cloe Bianco.  Come non ricordare Sam Nordquist, un ragazzo di 24 anni molto attivo nell’assistenza alle persone disabilizzate nello Stato di New York, lo stesso dove Shupe aveva deciso di farla finita il 27 gennaio. Era trans,razializzatx e aveva un corpo grasso. Era scomparso a Capodanno scorso. Il giorno di San Valentino viene ritrovato morto. Era stato rapito e torturato brutalmente tanto che la madre riconosce i tatuaggi.  Perchè richiamo questi due casi degli Stati Uniti. Perchè le vite delle persone trans, intersex, non binarie sono costantemente attaccate dai regimi e dalle dittature di destra che si sono affermate nel mondo, perchè la paura per i disastri dell’oggi e del domani tutti figli del sistema capitalista, estrattivista e coloniale deve individuare delle cause che portino lontano dai veri responsabili. E cosa c’è di più pauroso, di più pericoloso dello strano, del queer, del mostro, della diversità non conosciuta, dell’animale che si libera, delle persone che decidono di vivere in un bosco, di chi vive in una favelas ai margini di una grande cittá, di chi resiste e difende la terra dove vive, di chi resiste cioè a un sistema che vuole tuttx ben allineat all’interno di ruoli e destini imposti?  L’organizzazione sociale è una potente macchina globale, che manipola, impone, reprime e arriva ad uccidere con i suoi eserciti, le polizie ma anche persone individuali o gruppi collettivi che si fanno strumento violento della riproduzione del sistema. Gli assassinii di genere (femminicidi, transcidi, puttanocidi, istigazioni al suicidio) non sono altro che azioni del braccio armato extragiudiziale e non irregimentato istituzionalmente dell’eterocispatriarcato. Per imporre capitalismo e colonialismo si sono usati roghi, false denunce, lapidazioni di piazza, tutte per sconfiggere il “male”, il demonio rappresentabile in qualsiasi forma di diversità che si sottrasesse nello spazio pubblico o privato alle norme del potere. La repressione anche oggi è fortissima e, con lentezza spietata, ha cambiato il valore di parole come rivoluzione e resistenza, la legittimità cioè di costruire alternative a questo sistema. La violenza viene agita attraverso la psichiatrizzazione, la discriminazione, la marginalizzazionee e l’odio sociale alimentato da quei politici al governo che arrivano a chiamarci “schifezze” e che usano e strumentalizzano i corpi trans per imporre le loro politiche.  I dati del TMM (trans murder monitoring 2025) che si riferiscono all’ultimo anno (1 ottobre 24- 30 settembre 25) ci danno il quadro della fase che stiamo atraversando.  * 281 persone trans e non binarie uccise, una dimunuzione rispetto all’anno precedente in cui il monitoraggio aveva elencato 350 casi. Ma, ci allerta lo stesso TMM questo non corrisponde necessariamente a maggiore sicurezza ma piuttosto all’invisibilità crescente degli assassinnii se si vanno ad analizzare nei motori di ricerca gli algoritmi che mostrano invece un crescente disiteresse verso queste morti sempre più difficili da identificare e verificare. Ne sono testimonianza l’uso del nome/genere imposto alla nascita nelle notizie relegate alla cronaca nera. Perchè anche questo succede, la cancellazione oltre la morte. Molte persone tra giornalisti, famiglie e persone vicine ritornano ad usare il nome assegnato alla nascita cancellando e uccidendo per la seconda volta le persone trans.  * Le persone che fanno lavoro sessuale restano il gruppo più colpito con il 34% rispetto a chi svolge altre mansioni.  * C’è una tendenza preoccupante in aumento all’assassinio di persone attiviste e leader del movimento (14% dei casi), il doppio dell’anno precedente.  * Il 90% dei casi presi in considerazione sono femminicidi, l’88% persone trans razializzate * Il 24% aveva tra 19–25, 25% 26–30, 26% 31–40, e 5% sotto il 18, un dato che ci racconta quanto sia ancora breve l’aspettativa di vita nella nostra comunità.  * IL 68% delle uccisioni sono nell’Abya Yala, quella parte del mondo chiamata America latina e ai Caraibi con il Brasile per il 18esimo anno il paese più colpito con il 30% dei casi totali. Ma questo può forse voler dire che in territori come l’Africa dove nessuna strage e genocidio fa notizia la situazine non sia grave? * 25% delle uccisioni sono avvenute in strada e solo il 22% nella casa della vittima, il che dimostra che, a differenza dei femminicidi di persone non trans, l’assassinx è nello spazio pubblico e nella maggioranza dei casi non ha le chiavi di casa  Sono riportati dal TMM solo 5 casi in Europa, nessunx in Italia  Questo è determinato dal fatto che il TMM continua a rifiutare, nonostante i nostri costanti solleciti, l’inserimanto delle persone suicidate dall’odio sociale, dagli ostacoli all’autodeterminazione e ai percorsi di affermazione di genere, o dalle  resistenze da parte delle famiglie, giustificando il loro rifiuto con motivi tecnici e non per posizionamento politico. Le famiglie poi sono per la maggior parte poco preparate all’accoglienza in un sistema che ci considera fuori norma e quindi psichiatrizzabili e marginalizzabili, rendendoci costantemente vulnerabili ed esposte alla violenza e alle aggressioni nello spazio pubblico e privato. Basti pensare che nel nostro paese NON sono ancora considerate reato le cosiddette “terapie di riconversione”, in cui si cerca di convincere una persona a non essere quello che è, e le mutilazioni genitali su neonati intersex, tendenti a ricollocare in una imposizione di genere quei genitali che non corrispondono agli standard decisi.  E noi persone trans e non binarie siamo ancora costrette a percorsi di affermazione di genere psichiatrizzanti che prescindono dall’autodeterminazione sui nostri corpi riconosciuta invece da molti paesi d’Europa e del mondo  I dati dei suicidi o dei percorsi di vita fermati dal transodio vengono invece monitorati dall’osservatorio di NUDM dall’inizio del suo prezioso lavoro nel 2020.  La morte per suicidio delle persone trans e non binarie è un omicidio sociale, di cui tuttə siamo complici e/o spettatorə e per questo ci riguarda, va nominata e monitorata così come fa l’osservatorio di NUDM. È una sconfitta di tutt e una vergogna per il sistema che ne è responsabile. E dobbiamo lavorare perchè percorsi di educazione alla diversità, sportelli, sostegni, consultorie transfemministe e centri antiviolenza aperti a tutte le soggettività nascano e prolifichino come funghi in una rete in grado di sostenere chi vive quotidianamente una violenza cosi profonda e per cancellare alla radice la “cultura” (e mi fa fatica chiamarla tale) patricapitalista che sostiene questo sistema ormai marcio fin nelle radici più profonde, riuscendo a sopravvivere solo con genocidi, violenze e guerre.  E nelle giornate del TDOR non possiamo fermarci alla parola RICORDO e quella R finale dice RABBIA, RESISTENZA e RIVOLTA.  Non c’è voglia di fare silenzio, ma di fare un gran rumore in questa giornata perchè non possiamo perdonare e non possiamo dimenticare Giorgio Marziani, 14 anni che il 6 gennaio è stato suicidato a Caserta da transodio, discriminazioni di genere e bullismo. Né vogliamo dimenticare Alexandra Garufi, 21 anni, tiktoker che ci ha lasciato il 19 marzo a Sesto San Giovanni, dopo aver vissuto violenze verbali continue sul suo profilo social. La Procura di Monza ha aperto un fascicolo di inchiesta per istigazione al suicidio riguardo alla morte di Alexandra, che raccontava online con coraggio e determinazione il percorso alla scoperta della propria identità di genere.  E vogliamo ricordare qui Thiago Elar, tiktoker trans, 27 anni. “Cause naturali”, secondo la stampa nazionale che continua tra l’altro ad usare il suo dead name. Nei suoi video, condivideva la propria storia: un racconto fatto di sofferenze, ma anche di resistenza, battaglie più o meno silenziose e il desiderio di essere riconosciuto per quello che era. Un desiderio che spesso si è scontrato con un senso di invisibilità e negazione. Dai suoi racconti social è emerso un rapporto difficile con la famiglia, la stessa famiglia che pubblica il necrologio con il suo dead name uccidendo Thiago un’altra volta. “Sto qui da un anno e quattro mesi. Qui mi stanno accoppando. Io non ce la faccio più…”, aveva confidato in uno dei suoi ultimi video. Ma voglio ricordare anche Mirella Souza, 44 anni. Morta a Pisa il 14 agosto 2025 dopo un’iniezione di olio illegale iniettato dai cosiddetti bombaderos. Si tratta del cosiddetto silicone liquido industriale vietato in Italia dal 1993. Nel caso si arrivasse a un processo, l’associazione Consultorio Transgenere si costituirà parte civile perché per una persona trans l’adeguamento del corpo al genere in cui si identifica è vitale e, non avendo i soldi per farlo, costringe a scelte con conseguenze anche mortali. L’olio al silicone è purtroppo ancora molto diffuso in una parte della collettività trans* da parte di soggetti che vivono in condizioni di povertà, marginalizzazione e stigma sociale di cui le istituzioni non si fanno assolutamente carico. Vogliamo l’apertura delle case di accoglienza e delle case rifugio per le persone trans che stanno vivendo situazioni di violenza. Vogliamo accesso ai lavori, ai servizi, alla vita. Abbiamo il diritto ad una nuova legge basata su autodeterminazione e consenso informato perché la 164 è obsoleta, inadeguata e superata dai fatti. Vogliamo che le nostre elaborazioni siano accolte, assunte e non strumentalizzate per pulire le coscienze di altri movimenti: le nostre identità non sono beni di consumo, né tanto meno pubblicità gratuita. E non basta inserire nei documenti il nostro acronimo, per altro spesso ritagliato a seconda delle esigenze, per sentirsi alleat3.  Siamo persone trans, non binarie e intersex.  Le nostre bandiere rappresentano le nostre lotte e non sono emblemi per la propaganda capitalista, egemone e coloniale.  Autodeterminazione e liberazione per i corpi tutti! Ci vogliamo viv e vogliamo tutto!  Share Post Share L'articolo TDOR 2025  proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
Fa più rumore nel tuo cuore di un comizio elettorale…
Nei giorni della mobilitazione contro lo sgombero del Leoncavallo pubblichiamo la recensione al libro di Fabrizio C. sui centri sociali romani che Lidia Martin ha letto per noi/voi L'articolo Fa più rumore nel tuo cuore di un comizio elettorale… sembra essere il primo su StorieInMovimento.org.
In piazza con gli operai Gruppo8, l’appello sottoscritto da associazioni e partiti
La vicenda dei lavoratori della filiera Gruppo 8 è simbolica di un sistema sempre più diffuso del “Made in Italy”. Grandi Multinazionali che vogliono sfoggiare il brand Made in Italy, ma che pretendono condizioni di tutt’altre latitudini. Utilizzano aziende terziste satelliti che sfruttano spietatamente lavoratori e lavoratrici facendogli fare il lavoro sporco, per poi incassare mega profitti. Sono ormai tanti i casi fatti emergere anche dalle procure nel settore della moda, ma l’arredamento non è da meno. A Forlì e a Cesena non sono per fortuna condizioni così diffuse come in altri territori, ma sappiamo che i meccanismi di sfruttamento attecchiscono facilemente dove trovano campo libero, a causa degli immensi profitti che generano. A Gruppo 8 e HTL international forse non è andata bene come speravano. Grazie al coraggio dei lavoratori che hanno denunciato le condizioni disumane a cui erano costretti e si sono messi in lotta per i loro diritti. Ma sappiamo di non poterli lasciare soli. Non solo perché hanno bisogno di tutto il supporto possibile, ma perché questa lotta parla a tutte e tutti, su questa lotta si gioca il futuro di un territorio. Non è retorica. Sono tanti i territori dove indifferenza e noncuranza hanno dato in pasto il tessuto economico a sfruttamento e nocività. Qual’è l’antidoto a tutto questo? Solidarietà, lotta, convergenza. Convergere per difendere il lavoro dignitoso e le libertà sindacali. Abbiamo davanti una controparte che non fa che invocare il decreto sicurezza contro la mobilitazione sindacale. Ci rende chiaro quali sono gli obiettivi di queste norme e del governo che le ha scritte: difendere le aziende che sfruttano, dare mano libera a multinazionali senza scrupoli. Sicurezza per i profitti, non certo per i lavoratori e lavoratrici. Ancora di più è necessario convergere insieme su Forlì, farci trovare pronte e pronti, al fianco dei lavoratori Gruppo 8 in sciopero. LE PRIME ADESIONI: ADL Cobas Amnesty International Italia – Gruppo di Forlì Anpi Comunale Forlì Anpi Provinciale FC Associazione voceDonna Comitato NoMegastore Comitato Forlì Pride Collettivo Caracol Cesena Comitato NoMegastore – Forli Coop. Equamente CSP Collettivo Studentesco per la Palestina Forlì Europa Verde Forli Cesena Fondamenta – Alleanza Verdi e Sinistra di Cesena Forlì Città Aperta Ipazia liberedonne Libera Forlì-Cesena Legambiente Forlì Cesena Mani Rosse Antirazziste Forlì Mediterranea Saving Humans Forlì-Cesena Monnalisa collettivo femminista Movimento 5 Stelle – gruppo territoriale Forlì Genitori per la futura Forlì Partito Comunista dei Lavoratori – sezione Romagna Partito Democratico – Unione Territoriale Forlivese PCI Forlì-Cesena Pietre Resistenti APS Rea collettivo di genere Rifondazione Comunista Cesena Rifondazione Comunista Forlì Sinistra Italiana Forlì-Cesena Sorrivoli Resistente Un secco no APS Unione Giovani di Sinistra Forlì-Cesena USB Romagna XR Romagna The post In piazza con gli operai Gruppo8, l’appello sottoscritto da associazioni e partiti first appeared on SUDD Cobas. The post In piazza con gli operai Gruppo8, l’appello sottoscritto da associazioni e partiti appeared first on SUDD Cobas.
Gruppo 8, facciamo il punto sulla vertenza.
Dal 1 Agosto è ripresa la lotta dei lavoratori Gruppo8. In ballo ci sono ancora una volta la difesa dei posti di lavoro minacciati dalla delocalizzazione e insieme a questi la difesa dei diritti conquistati lo scorso dicembre. L’accordo che era stato firmato il 20 Luglio in prefettura, arrivato dopo 17 giorni di sciopero e picchetti, è stato fatto carta staccia dall’azienda. Da qui la ripresa della lotta, che stavolta si è allargata anche a Cesena, davanti ad un altra “fabbrica dello sfruttamento” in cui Gruppo 8 ha spostato la lavorazione delle commesse. La lotta dei lavoratori continua ad accendere i riflettori sulla realtà di caporalato e sfruttamento che si nasconde dietro l’etichetta “Made in Italy”, oltre il settore della moda. 1. A Gruppo8 non è in corso una “crisi industriale” ma una delocalizzazione. Questo vuol dire che la difesa dei posti di lavoro è difesa dei diritti. E viceversa. Perchè le commesse di lavoro ci sono, ma vogliono essere portate lì dove il costo del lavoro è inferiore per massimizzare i profitti. La delocalizzazione, in questo caso, è semplicemente la riposta alla sindacalizzazione degli operai. Fino allo scorso Dicembre i lavoratori che stanno picchettando la fabbrica erano costretti a turni di 12 ore, senza diritto a malattia o ferie. Molti di loro erano costretti a vivere in un dormitorio all’interno della fabbrica1 2. Dopo essere stati reclutati da un caporale (che risulta come “titolare” della Sofalegname, la fake company di cui sono formalmente dipendenti) nel distretto tessile di Prato ed essere arrivati qui con promessa di “casa e lavoro”, si sono trovati a vivere in uno deposito senza finestre, riscaldamento né acqua calda. E a trascorrere in fabbrica 24h di tutte delle loro giornate, di cui la metà a lavorare. Dopo 7 giorni di sciopero, a Dicembre gli operai conquistano l’applicazione del CCNL e turni di otto ore per cinque giorni. Poi la delocalizzazione per riportare indietro la lancetta dei diritti. L’azienda non ha mancato di dire “vedete? Almeno prima avevano un lavoro”. Nel caso in cui fosse chiaro quale sia la posta in gioco. 2. Gruppo8 è la società italiana creata dalla multinazionale HTL International 3, leader nella produzione mondiale di divani di alta gamma per il mercato di lusso. Dopo aver acquisito il marchio italiano “Corium”, la multinazionale attraverso Gruppo8 ha avviato la produzione a Forlì. Come accade per il comparto della moda, anche in questo caso ad attirare qui la multinazionale è il valore aggiunto dell’etichetta “Made in Italy”. Che si tratti di una borsa in pelle o di un divano il copione non cambia: la strategia di massimizzazione del profitto passa dalla combinazione dell’ etichetta “made in italy” con costi del lavoro made in China o Bangladesh. I copione passa sempre da catene di appalti “sotto costo” a società a conduzione cinese dove a garantire il risparmio è lo sfruttamento spietato di lavoratori provenienti da Cina, Pakistan, e paesi africani 4. 3. E’ le terza volta in meno di un anno che i lavoratori sono costretti ad entrare in sciopero ad oltranza. A Dicembre per lottare contro il sfruttamento e la conquista di un contratto regolare5. Poi a luglio per fermare il primo tentativo di delocalizzare la produzione6. Diciassetti giorni di picchetto degli operai ed un tentativo della polizia di sgomberare con la forza i lavoratori 7. Poi un accordo firmato in prefettura da sindacato e azienda che prevedeva la riapertura dello stabilimento, apertura di un contratto di solidarietà ed il pagamento degli stipendi arretrati 8. Solo che l’azienda non ha rispettato neanche una riga di quell’accordo9. E l’1 agosto la lotta deve riprende10. 4. La delocalizzazione di Gruppo8 ha due facce. E’ in parte una delocalizzazione “classica”, con i container – bloccati dagli operai – pronti a partire dal Porto di Ravenna in direzione Shahngai. Ma è anche una “delocalizzazione in loco”, o meglio “dietro casa”. Dopo la firma dell’accordo, la commessa che avrebbe dovuto far ripartire la produzione nello stabilimento di via Gramadora a Forlì, è stata dirottata a Cesena. E insieme alla commessa a Cesena sono arrivati anche i picchetti.11 Una volta che l’azienda si è vista costretta a regolarizzare i lavoratori (formalmente dipendenti della fake company Sofalegname), Gruppo8 ha spostato tutte le commesse in un altra fabbrica dello sfruttamento a trenta chilometri di distanza. Pochi mesi prima, un controllo congiunto di polizia municipale e carabinieri trovava in quella stessa fabbrica di Cesena – in zona Calisese – lavoratori a nero e dormitori interni allo stabilimento12. La produzione viene spostata dove è ancora possibile sfruttare, sfuggendo alla sindacalizzazione ed agli accordi sottoscritti. 5. Sofalegname – di cui i lavoratori sono formalmente dipendenti -è una società fittizia, creata ad hoc da Gruppo8 e che ha sempre  lavorato esclusivamente per Gruppo8 all’interno di stabilimenti di Gruppo8 sotto la direzione ed il controllo quotidiano di personale di Gruppo8. Siamo di fronte ad un caso eclatante di intermediazione fittizia di manodopera e di caporalato 13. Il sistema è identico a quello rivelato dalle inchieste della Procura di Milano e che hanno portato al commissariamento delle società dei piu importanti brand della moda di lusso (Dior, Giorgio Armani e in ultimo Loro Piana). Quello che in questi casi ha avuto bisogno di lunghe e difficili indagini è stato fatto emergere – nel caso Gruppo8 – in tutta la sua chiarezza e drammaticità direttamente dagli operai sfruttati. Il sistema è identico: un’azienda multinazionale che esternalizza la produzione ad aziende a conduzione cinese che sono semplici “serbatoi di manodopera” e che garantiscono bassisimi costi di produzione imponendo turni di 12 ore al giorno agli operai e condizioni degradanti di vita con dormitori interni alle fabbriche. Questo sistema – in questo come negli altri casi – funziona anche come escamotage per evasione di tasse e contributi INPS. Ed infatti i lavoratori Sofalegname si trovano non solo senza stipendi, ma anche senza contributi versati. Oltra al danno, una beffa non solo per loro ma per tutta la comunità. Sofalegname è la “tipica” società che nasce per accumulare debiti e morire poco dopo lasciando a mani vuote fisco e lavoratori. 6. Nei casi trattati dalla Procura di Milano i brand della moda si sono fatto schermo del “non sapevamo”. La Procura ha provato che si trattava di una menzogna. Non solo perché nei laboratori “cinesi” dello sfruttamento la produzione era quotidianamente controllata da funzionari degli stessi brand, ma perché erano le stesse tariffe che venivano corrisposte a queste società a rendede impossibile lavorare nel rispetto delle regole: puoi “starci dentro” solo sfruttando ed evedendo. Lo sfruttamento e l’illegalità non è un incidente, ma un fatto matematico. Nel caso Gruppo8 ricorre tutto questo. Più uno: Sofalegname ha sempre lavorato “in casa” di Gruppo 8 (ovvero nello stabilimento Gruppo8 concesso alla Sofalegname in “comodato d’uso gratuito”), a stretto contatto con i lavoratori diretti di Gruppo 8. I dormitori e lo sfruttamento erano anche questi in spazi dati da Gruppo 8 alla Sofalegname e letteralmente sotto i loro occhi. Dire di non sapere è davvero impossibile. Perché si tratta di un esternalizzazione della produzione fatta all’interno  del proprio stesso stabilimento. Immagine se la ditta cinese che sfrutta fosse stata “ospitata gratuitamente” in uno stabilimento Giorgio Armani o Loro Piana…  7. Gruppo 8 continua a dichiararsi “completamente estranea alla vertenza”. Nel farlo prende in giro tutti: operai, istituzioni e tutto il territorio. Ma non solo. Vuole mettersi al di sopra della legge (la l. 276/2003) che stabilisce la responsabilità dei committenti su stipendi, contributi e condizioni di lavoro delle aziende a cui viene esternalizzata la produzione 14.  Accettare che Gruppo 8 sia “estranea” a questa vicensa equivale ad un via libera per loro e per altri in futuro allo sfruttamento, al caporalato e all’evasione sfrenata. Equivale a dire a chi vuole massimizzare i profitti sulla pelle dei lavoratori che non ce bisogno di delocalizzare in Cina, perché puoi ottenere la stessa cosa qui sfruttando operai cinesi e pakistani. E mantenendo pure l’etichetta Made In Italy.  8. Gruppo8 invoca il nuovo DL Sicurezza contro gli operai e lo sgombero dei picchetti. Ecco a chi e a cosa – e soprattuto a chi – servono le nuove diposizioni del governo Meloni. Il problema del nostro paese non sono i picchetti, ma lo sfruttamento, il lavoro nero e l’evasione contributiva. Opporsi al DL Sicurezza vuol dire sostenere la lotta degli operai Gruppo8. E viceversa. 1 La fabbrica dormitorio nel distretto dei divani – Tgr 8.12.24 https://www.rainews.it/tgr/emiliaromagna/video/2024/12/forli-sciopero-divani-fabbrica-dormitorio-2251ad8b-4eaf-4072-8d8b-778701e3e6dc.html 2I lavoratori del “distretto dell’imobottito” di Forlì costretti a dormire in fabbrica – Il Post https://www.ilpost.it/2024/12/10/lavoratori-divani-forli-sciopero/ 3“Gruppo 8 S.R.L is a new enterprise launched in Italy,invested by HTL Group,an international fashion home brand in Singapore.” https://it.linkedin.com/company/gruppo-8srl 4La protesta degli schiavi dei divani va avanti: “Così ci sfruttano, ecco la catena” – il Fatto Quotidiano https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/12/12/protesta-degli-schiavi-dei-divani-di-forli-aggiornamenti/7802402/ 5“Schiavi dei divani”, dopo lo sciopero arriva la stabilizzazione – Tgr 13.12.24 https://www.rainews.it/tgr/emiliaromagna/articoli/2024/12/schiavi-dei-divani-dopo-lo-sciopero-arriva-la-stabilizzazione-dd8e6a13-a26f-4d2a-88ea-edcde2dd8310.html 6 “Restate in ferie”. E a Forlì smontano la fabbrica – Il Fatto Quotidiano 6.07.25 https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2025/07/06/restate-in-ferie-e-a-forli-smontano-la-fabbrica/8051693/ 7 Disordini e feriti lievi tra scioperanti e Polizia – Rai News 14.07.25 https://www.rainews.it/tgr/emiliaromagna/articoli/2025/07/disordini-e-tensione-tra-scioperanti-e-polizia-570f9943-0b40-4e96-b8cb-ce4a31a2a9ec.html 8 Accordo alla Gruppo 8 di Forlì, fermata la delocalizzazione – Ansa 21.07.25 https://www.ansa.it/amp/emiliaromagna/notizie/2025/07/21/accordo-alla-gruppo-8-di-forli-fermata-la-delocalizzazione_ad349524-fb05-4cd5-acc6-fde8c7ba4643.html 9 Sudd Cobas, ‘Gruppo 8 non ha rispettato gli impegni presi’ – Ansa 31.07.25 https://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2025/07/31/sudd-cobas-gruppo-8-non-ha-rispettato-gli-impegni-presi_5eaa4b07-84c2-4ed4-91d6-57647df26d49.html 10 Gruppo8, si riapre la vertenza e tornano i picchetti – Tgr 1.08.25 https://www.rainews.it/tgr/emiliaromagna/video/2025/08/gruppo-8-impegni-sudd-cobas-sofalegname-picchetti-991a684a-5c52-4921-bb5b-7ca010bcec74.html 11 Sofalegname, protesta in trasferta. Presidio in un’azienda cesenate – Il Resto del Carlino 3.08.25 https://www.ilrestodelcarlino.it/forli/cronaca/sofalegname-protesta-in-trasferta-presidio-76e8daef?live 12 Vivevano e lavorano in nero nel capannone trasformato in laboratorio manifatturiero: blitz delle forze dell’ordine – Forlì Today 15.11.24 – https://www.cesenatoday.it/cronaca/1lavoro-nero-laboratori-clandestini-blitz-a-cesena.html 13 La Procura manda Finanza, Ispettorato del lavoro e l’ufficio Immigrazione a setacciare Gruppo 8 e Sofalegname – Forlì Today 16.07.25 https://www.forlitoday.it/cronaca/protesta-mobile-imbottito-ispezione-procura.html 14 Cesena, lavoratori non pagati, Cobas contro “Gruppo 8”: «Per legge deve intervenire il committente» – Corriere Romagna 10.08.25 https://www.corriereromagna.it/cesena/cesena-lavoratori-non-pagati-cobas-contro-gruppo-8-per-legge-deve-intervenire-il-committente-FF1564263?fbclid=IwY2xjawMIV7VleHRuA2FlbQIxMQABHschhz18kJZYa-eO0sbnUedk96GipFOFTXR9u82kF37gkvaHYlw9YrxDWPl7_aem_EcDp_OP3f2OncfZf1JQNyg The post Gruppo 8, facciamo il punto sulla vertenza. first appeared on SUDD Cobas. 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Una piattaforma per la storia dei femminismi a portata di click
Negli ultimi anni, l'esigenza di archiviazione della memoria storica dei movimenti appare sempre più pressante e ciò riguarda anche i movimenti femministi. Oltre alle iniziative spontanee che caratterizzano alcune di queste esperienze, c'è chi sta fornendo degli utili strumenti per la fruizione del patrimonio documentale in questo ambito. Abbiamo chiesto a Elena Petricola di parlarci della piattaforma digitale dedicata ad archivi e biblioteche di donne e femminismi, resa disponibile dall'Archivio delle donne in Piemonte. L'articolo Una piattaforma per la storia dei femminismi a portata di click sembra essere il primo su StorieInMovimento.org.
Contro la violenza dell’infrastruttura coloniale
Per accompagnare l’uscita di "Anime in pena" pubblichiamo un contributo di I.B. che analizza l’intreccio tra carceralità, ingegneria degli spazi, operazioni infrastrutturali e colonialità nell’oppressione del popolo palestinese . Questa è la terza (e ultima) parte. Buona lettura! L'articolo Contro la violenza dell’infrastruttura coloniale sembra essere il primo su StorieInMovimento.org.