Source - Osservatorio nazionale NUDM

Non Una Di Meno

FEMMINICIDI E ABILISMO
L’Osservatorio Femminicidi Lesbicidi Transcidi (FLT) in Italia di Non Una Di Meno monitora gli eventi, riportati dai media, che possono essere qualificati come femminicidi, lesbicidi e trans*cidi. Eventi in cui l’uccisione di una persona avviene per motivi riconducibili a relazioni di potere e alla violenza eterocispatriarcale e di genere. Nel 2023 l’Osservatorio ha registrato 120 tra femminicidi, lesbicidi, transcidi, puttanocidi e suicidi di stato. Di questi, 16 casi riguardavano donne con disabilità di età compresa tra i 67 e i 90 anni. Sono 170 gli articoli usciti sui 16 casi di femminicidio di donne con disabilità, da questi risulta difficile estrapolare informazioni sulle vittime. Spesso restituiscono una narrazione sconfortante in cui le indagini si focalizzano nella ricerca di malattie e problemi economici ignorando le violenze fisiche o psicologiche subite. Non viene fatta alcuna analisi del rapporto tra la vittima e l’assassino, anzi, la narrazione proposta è volta a salvare e ricomporre l’immaginario della famiglia spezzata, ricalcando il “gesto altruistico” agito fino a quel momento dall’assassino nel suo presunto lavoro di cura, finendo per, di fatto, deresponsabilizzarlo.  I femminicidi delle donne disabili e disabilizzate, soprattutto in età avanzata e uccise da familiari, partner o figli, vengono spesso non considerati tali o comunque invisibilizzati. Nella maggior parte dei casi avvengono in contesti familiari dove la cura verso la donna viene vissuta come un peso.  Questi femminicidi, considerati di serie b, restano dunque nell’ombra. La parola femminicidio infatti non appare nelle sentenze giudiziarie e neanche nella stampa, che si ostina a raccontarli come tragedie familiari. Molti di questi casi che vedono coinvolte donne anziane e disabili, vengono chiusi come omicidi – suicidi. Non si approfondiscono le ragioni per cui le donne vengono uccise, a favore di una narrazione che parla di un gesto disperato ed eroico che mimetizza il crimine. Non a caso, spesso, l’uomo viene definito un buon marito o un buon figlio. L’infantilizzazione e la patologizzazione nei femminicidi di donne disabili avviene adottando il  punto di vista del femminicida.  Oltre al fattore abilista, vi è anche l’aspetto ageista nei casi di donne anziane: infatti i femminicidi di donne anziane spariscono rapidamente dalla cronaca, paragonato a quanto succede per i femminicidi  di donne giovani (in ogni caso anch’essi raccontati in modo estremamente problematico e strumentalizzato). Nel 2024 sono finora 2 i femminicidi di donne con disabilità: Teresa Sartori, 81 anni, uccisa dal figlio l’8 gennaio e Alessandra Mazza, 35 anni, uccisa dal padre il 14 febbraio. Il femminicidio di Teresa e quello di Alessandra sono stati raccontati con due pesi e due misure: nel primo, gli articoli dedicati sono stati 7, tutti scarni, dai quali emerge una narrazione ageista e un evidente focus sulla fatica e lo stress provati dal figlio di Teresa nell’accudirla. Teresa è stata uccisa a coltellate. Il secondo caso di Alessandra Mazza, ottiene invece una certa copertura mediatica. In questo caso, la narrazione patriarcale e abilista falsa il caso di femminicidio assolvendo il padre. Le informazioni vengono manipolate, soprattutto nei programmi televisivi che montano servizi ad hoc in cui la vittima viene infantilizzata e la sua disabilità psichica viene patologizzata: il suo corpo viene problematizzato per il solo fatto di non essere considerato adatto alla produzione e riproduzione sociale in un’ottica patriarcale. Il sottotesto che in entrambi i femminicidi passa è l’altruismo del femminicida nel farsi carico della vittima. Per l’ennesima volta le donne con disabilità vengono ritenute un peso per una società patriarcale che capitalizza su corpi abili. In una prospettiva patriarcale, l’esistenza delle donne è valida solo finché risulta funzionale ai processi di produzione e/o riproduzione. Nel momento in cui questo viene  meno, nel momento in cui le donne si sottraggono al ruolo patriarcale imposto, diventano un peso considerato inutile, la loro vita perde così tanto valore che può essere interrotta da chiunque, senza subirne particolari conseguenze. Se questo atroce meccanismo è vero per tutte le persone socializzate donne, lo è per forza di cose ancora di più nel caso di donne disabilizzate e disabili. Share Post Share L'articolo FEMMINICIDI E ABILISMO proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
Liberiamo nodi, tessiamo trame
Intervento all’Assemblea Nazionale di Non Una di Meno a Genova, 12-13 aprile 2025 Audre Lorde in «Poetry Is Not a Luxury» diceva: «La poesia non è un lusso. È una necessità, vitale per la nostra esistenza. Forma la qualità della luce tramite cui esprimiamo le nostre speranze e i nostri sogni diretti alla sopravvivenza e al cambiamento, che diventano dapprima linguaggio, poi idee, poi azioni tangibili. I nostri sogni puntano verso la via della libertà. Le nostre poesie ci hanno dato la forza e il coraggio di vedere, di sentire, di parlare, di osare. Se ciò che abbiamo bisogno di sognare, lo consideriamo un lusso allora abbiamo rinunciato al futuro dei nostri mondi» Nei momenti di confronto sovente discutiamo di cosa generi e di come si generi la violenza che viviamo e di quali strumenti pensiamo possano essere utili a contrastarla. Vogliamo portare a questa assemblea alcuni timori e riflessioni, nell’idea e nella fiducia che sapremo affrontarli.  Come rete abbiamo alle spalle quasi dieci anni di lotta e dobbiamo riconoscerci l’enorme percorso fatto insieme. Molte cose sono diverse da allora così come lo siamo noi e la nostra consapevolezza collettiva e personale. Dal Covid in avanti il quotidiano,già opprimente, è diventato un rutilante susseguirsi di fatti pericolosi e gravi, di narrazioni manipolate che hanno occupato ogni nostra energia dandoci, a volte, un enorme senso di impotenza. Le guerre, il genocidio in Palestina, la crisi climatica e la devastazione ambientale, l’odio razziale, i CPR, la distruzione della sanità, della scuola, dello stato sociale, la militarizzazione delle vite e del linguaggio,la repressione violenta e incondizionata,la morte dell’informazione, l’impoverimento delle famiglie, gli attacchi sempre più forti alla comunità trans e non binaria e soprattutto all’infanzia, trans e cis, lo sfruttamento dei corpi tutti  e della terra per estrarne  profitti, tutte forme di quella violenza patriarcale che ha nella politica istituzionale la sua perfetta e continua espressione. I femminicidi sono costanti mentre gli omicidi continuano a decrescere, la violenza domestica è vorticosamente in aumento come lo è la violenza su e fra persone piccole e molto giovani. Ma è sempre la narrazione mainstream a decidere quali e quante violenze hanno diritto di attenzione. Un’attenzione morbosa, rivittimizzante, razzista, ageista, transodiante, classista e abilista. E no, non sono parole messe in fila per correttezza politica vuota e borghese. Sono le nostre vite, è il nostro diritto e desiderio di vederle riconosciute almeno da chi abbiamo vicin3 nella vita, nella lotta e nella liberazione dalle oppressioni. Sappiamo bene su chi si riversa prima e di più tutta questa violenza. Lo sappiamo e non siamo sol3 a vederlo. In questo clima da fine del mondo c’è un mondo che effettivamente deve finire e lo sa e, per questo, resiste con ogni mezzo e ferocia: è il mondo della violenza patriarcale e capitalista che pretende di possedere e usare tutto ciò che esiste ed sterminare tutto ciò che gli sfugge. Correndo affannosamente dietro alle impellenze (seppure vere e legittime) di una agenda di atrocità ed emergenze dettato da altri,rischiamo di non avere il tempo e il modo di costruire  il riconoscimento e l’empatia  solidale fra oppress3, la cura, le strategie, le pratiche quotidiane, la politica, che servono per costruire e affermare le alternative, per farlo insieme con quell’intelligenza collettiva che ci sostiene e che è consapevole che il nostro lavoro politico quotidiano deve muoversi, attraversare e farsi attraversare  da tutto quanto è molto oltre le nostre bolle ma si nutre di un obiettivo comune, la poesia per tutt3. Insieme avevamo scritto un piano! Un piano che forse i tanti nodi territoriali che sono “nati” in periodi recenti non hanno avuto modo di conoscere. Lo avevamo costruito insieme e quella costruzione era stata la pratica fondante della visione che ci ha nutrito a lungo, ora forse abbiamo bisogno di riginerarci verso un nuovo piano e nuove pratiche adatte al tempo che viviamo senza lasciare indietro nessun3.   Sentiamo il bisogno di parlare insieme di come si faccia resistenza alla militarizzazione dell’esistenza in maniera transfemminista e non mac(h)ista. Di come prenderci cura delle oppressioni multiple che viviamo e di come farlo praticamente, nel medio e lungo termine. Di cosa significhi nelle pratiche (nel vissuto quotidiano?)costruire una visione che politica transfemminista e intersezionale che rendano la vita quotidiana più sostenibile per le molte persone, anche fra noi, per la quale non lo è, in un momento storico nel quale i fascismi si sono ampiamente affermati dimostrandoci che ciò che non abbiamo accettato che stesse accadendo, è già accaduto.  Reimparare ad aspettarci, a rispettare tempi e priorità delle persone, delle assemblee, delle città, della rete, dell’autonomia e delle diversità senza appiattirle, tentare omogeneizzazioni, marginalizzare, separarsi.  Darci il tempo di accogliere e crescere con chi nella nostra rete arriva o chi arriverebbe ma non sa correre o non può o non vuole ma anche di chi non riesce più ad aspettare. Ad usare gli strumenti che abbiamo e portiamo avanti con impegno e costanza, come l’osservatorio, perchè le persone che si danno il tempo di analizzare, riflettere, trovare parole, comunicare sono già pratica di cambiamento. Concediamoci di sbagliare, di cambiare idea, di aspettare e di discutere ancora, siamo rivoluzionari3! Così da diventare rivoluzione. Non diventiamo le parole della guerra e della rabbia che ci rovesciano addosso. Non spostiamo la rabbia nelle nostre relazioni politiche perché frustrat3 dall’impotenza di un esterno che sembra immutabile, resistere a questo vuol dire già costruire alternative! Inventiamo nuove pratiche ma lasciamo anche spazio a nuove pratiche di altr3. Sempre Audre Lorde diceva che “non si smantella la casa del padrone con gli attrezzi del padrone”.  Gli attrezzi del transfemminismo che desideriamo e che possiamo costruire  insieme sono la cura, l’analisi, la rete, l’antiperformativismo come risposta alla performatività patriarcale, il non giudizio fra oppress3, l’ascolto attivo, il partire da sé, la e le culture, il riconoscimento di pensieri altri, il riconoscimento della legittimità del desiderio, del piacere, la poesia, l’ironia, l’allegria, l’artivismo, le mille pratiche di mutuo aiuto concrete e legate alle vite e ai territori che viviamo, la rinuncia alle bandiere, alle parole d’ordine, alla guerra.  Riprendiamo in mano i nostri strumenti, inventiamone altri mille. Cospiriamo. Facciamo un nuovo piano. Non abbiamo nessuna intenzione di lasciarci  sopraffare dalla volontà di appropriazione di tutto e tutt3  dell’estrema destra che sfrutta e alimenta il dilagante qualunquismo. Il loro attacco all’esistenza non sarà mai abbastanza feroce da fermare la marea che nasce dalla consapevolezza e dalla pratica. Ricordate? Se cado io ci sei tu, se cadi tu ci saranno altr3 ci dicevamo, con tutta la nostra rabbia, la nostra gioia, la nostra poesia,  non per noi sol3, non solo per noi. Per tutt3, tutto. Share Post Share L'articolo Liberiamo nodi, tessiamo trame proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
Lotto, Boicotto, Sciopero – Osservatorio nelle piazze dell’8 marzo 2025
Le parole e i dati che andiamo a riportare qui di seguito sono riprese testualmente dalle relazioni del Ministero degli interni e dal Ministero della Sanità e relative relazioni dell’Istat. Nel mondo nel 2023 ogni dieci minuti, un partner o un familiare ha ucciso una donna intenzionalmente. In Italia il 31,5% delle donne ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di queste violenze sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. Il 94,3% delle donne italiane è vittima di italiani, 56,2% delle donne straniere è vittima di italiani. Nel 2023 ci sono stati 16.947 accessi delle donne in Pronto Soccorso (PS) con indicazione di violenza, il 17,3% in più rispetto al 2022. Le persone piccole (che nel linguaggio istituzionale continuano ad essere chiamate minorenni n.d.r.) fanno registrare il tasso più elevato. Le chiamate al 1522, il numero nazionale di emergenza Antiviolenza e Antistalking nei primi due trimestri 2024 evidenziano che il numero delle chiamate è aumentato dell’83,5%. Le minacce, gli atti persecutori, lo stalking costituiscono le forme di violenza maggiormente diffuse. Di rilievo anche le chiamate per violenza economica. Il 23 dicembre 2024 è stato emanato il decreto che rende disponibili le risorse finanziarie (pari a 30 milioni di euro) per il reddito di libertà a favore delle donne vittime di violenza, può essere erogato per un massimo di dodici mesi consecutivi, per una sola volta, senza possibilità di rinnovo. 500 euro al mese, per massimo un anno, solo per donne, solo per 5000 donne in tutta Italia. Ecco il “reddito di libertà”. Le parole usate nelle relazioni ministeriali evidenziano in modo palese quanto come Osservatorio contro femminicidi, transcidi, lesbicidi, puttanocidi, suicidi indotti asseriamo da anni, ovvero che l’assassino, il violento ha le chiavi di casa, che è bianco, italiano, di qualsiasi età e ceto sociale e confermano con altrettanta chiarezza che chi ha responsabilità politica sa perfettamente che la violenza di genere si potrebbe limitare e scalfire fino a sconfiggerla. Ci dicono anche che non vengono considerati morti per violenza patriarcale sistemica i transcidi, soprattutto di persone che lavorano nel mercato sessuale, i suicidi indotti dalla violenza sociale e istituzionale così come i suicidi di donne schiacciate dalla violenza. Non ci sono dati per le persone trans, non binarie e intersex perché si continua da una parte a non monitorare e dall’altra ad avere remore rispetto alla denuncia dovute allo stigma e all’odio sociale e istituzionale esistente. Non sono considerati femminicidi quelli delle donne uccise da parenti psichiatrici, non volendo riconoscere quanto spesso le vittime abbiano ripetutamente chiesto aiuto nel gestire la relazione con persone che necessitano sostegno da chi ha competenze professionali specifiche, e sono invece abbandonate dallo stato “alle cure materne”. Madri alle quali viene delegato un compito inaffrontabile. La violenza patriarcale, così come le altre oppressioni, non è immutabile. Si può eroderla sostenendo la Sanità pubblica, finanziando percorsi nelle scuole, sostenendo le persone che lo necessitano nel diritto alla casa, del reddito e dell’inserimento lavorativo, accogliendo le moltissime persone che necessitano di asilo, smettendo di perseguitare, rinchiudere e torturare chi migra, richiedendo narrazioni corrette rispetto alla violenza, immaginando percorsi di educazione affettiva e sessuale, garantendo percorsi di affermazione di genere fondati sul consenso informato fuori dalla psichiatrizzazione, dalla patologizzazione e dalle decisioni dei tribunali, riconoscendo e accogliendo le rivendicazioni delle persone trans piccole, delle persone non binarie e mettendo fine agli interventi alla nascita sui corpi di persone intersex. Ci è chiaro inoltre che i cosiddetti “femminismi” escludenti e trans-odianti sono di fatto al servizio del pensiero delle destre globali così come lo sono i femminismi che non prendono coscienza di quanto il capitalismo uccida, riduca in schiavitù milioni di persone, distrugga i territori ed ogni forma di vita che li abita. La violenza patriarcale si può sconfiggere smettendo di discriminare le persone per genere, orientamento, provenienza, colore, classe sociale, abilità. Si potrebbe eliminare se si riflettesse su cosa significa immaginare un futuro e cosa significa un futuro collettivo. Ma sappiamo che non succederà se non lo facciamo succedere, non con questa ferocia machista estrattiva travestita da fascismo da impero. Audre Lorde diceva che “Lo strumento del padrone non smantellerà mai la casa del padrone. Potrebbe permetterci temporaneamente di batterlo al suo stesso gioco, ma non ci permetterà mai di realizzare un cambiamento genuino.” Quindi starà a ognun di noi, singolarmente e collettivamente, continuare a costruire strumenti alternativi per immaginare e avere una vita dignitosa e libera per tuttə, starà a ognun di noi, singolarmente e collettivamente, pretendere ciò di cui necessitiamo come società e persone. Starà ad ognun di noi scegliere da che parte stare. Intanto noi , come Osservatorio, continueremo a cercare ogni storia, ricordare ogni nome, ogni viso di ogni persona uccisa o morta per violenza patriarcale perché la rivoluzione transfemminista alla fine è non prevaricare, non usurpare, non lasciare nessun da sol, è smettere di essere sol. Buon 8 marzo a tutt Share Post Share L'articolo Lotto, Boicotto, Sciopero – Osservatorio nelle piazze dell’8 marzo 2025 proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
Sorellə non sei solə – Una risposta agli attacchi alle donne trans e trans femme negli Stati Uniti e in Italia
Il “nuovo ordine” di Trump segna il culmine della violenza istituzionale e culturale contro le persone trans, intersex e non binarie. In questi violenti attacchi a tutta la comunità, c’è una particolare acredine nei confronti delle donne trans e trans femme.  Ciò avviene con la retorica della difesa delle “donne”, intese come coloro che hanno la F di Femmina sul documento alla nascita e che seguono le orme di una “tradizione” patriarcale le cui radici affondano nella vera e propria repressione delle stesse, in nome della loro (fittizia) “natura” femminile. Una “natura” che confina le donne cis al ruolo riproduttivo e le donne trans e trans femme fuori dai generi stabiliti e quindi validi e “veri”, dipingendole come una minaccia. C’è di paradossale sicuramente una cosa: per convincere le “vere donne” del pericolo trans, la retorica attuale si trova costretta a sottolinearne una “natura” (mascherata) maschile. Ancora una volta, si dimostra involontariamente che il vero pericolo sta nella maschilità egemonica e violenta, così come costruita dalla stessa cultura transfobica e misogina. Partiamo dal titolo dell’atto esecutivo firmato dal nuovo presidente degli USA: “DEFENDING WOMEN FROM GENDER IDEOLOGY EXTREMISM AND RESTORING BIOLOGICAL TRUTH TO THE FEDERAL GOVERNMENT” (Difendere le donne dall’estremismo dell’ideologia gender e reinstaurare la verità biologica nel governo federale). Ed eccola qui, la “verità biologica”, pronta a cancellare l’esistenza millenaria di persone che non si arrendono al destino binario uomo-donna, o al destino di “angelo del focolare”, o di un ruolo subordinato all’unico genere davvero ideologico che vediamo imporsi con sempre maggiore drammaticità: il maschile patriarcale, l’uomo bianco (meglio se ricco, etero e “abile”). Fino a qui sembra quasi una questione teorica, forse un espediente intellettuale per partire dalla “questione trans” e giungere a fare discorsi altri, generali, più “universali”. E invece vogliamo prendere parola esattamente su questo: cosa significa per milioni di persone vedere cancellata la propria identità per mano della Legge? La censura sui nostri corpi riguarda tutt*. Anche perché questo sta giá accadendo e accadrà sempre più violentemente anche qui. “It is the policy of the United States to recognize two sexes, male and female. These sexes are not changeable” (È politica degli Stati Uniti riconoscere due sessi, maschio e femmina. Questi sessi non si possono cambiare): non è un’opinione, è una direzione politica molto netta, che porta a termine un progetto già iniziato in diversi stati attraverso roghi di libri, divieti alle persone minori di accedere alle terapie ormonali, violenze, transcidi e femminicidi di donne trans e trans femme. Una direzione che abbiamo contestato in massa a Verona, come Non Una Di Meno, durante il Congresso Mondiale delle Famiglie nel 2019, cogliendo la portata internazionale di questa invasione di campo reazionaria, familista, misogina, omolesbobitransfobica in generale, sicuramente fascista.  Possiamo insieme provare a immaginare cosa significhi tutto questo dal punto di vista del diritto alla salute e all’integrità fisica e psicologica: significa che le terapie ormonali non saranno più a disposizione di chi ne ha bisogno; significa che non si potrà più cambiare nome e sesso sui documenti; significa non trovare lavoro, non trovare casa; significa non essere rispettat* in nessuno spazio pubblico che non considera la tua stessa esistenza; significa aumento della violenza in ogni luogo, dalle scuole agli uffici pubblici, ai posti di lavoro, dagli ospedali alle carceri (dove le persone trans saranno obbligate a stare in reparti non consoni e per questo pericolosi); significa vulnerabilità e precarietà; significa anche un possibile aumento di suicidi di stato e dell’odio sociale, forme di disagio per le persone più giovani, già alla mercé di famiglie che spesso non comprendono e di una società sempre più escludente. Siamo consapevoli che questo non è l’unico atto della nuova amministrazione Trump, anzi. Enorme gravità e peso si riversano sulle persone migranti, sulle persone razzializzate, sulle donne, su queer di ogni genere e identità, lavoratrici e lavorator*, disoccupat* e inoccupat*, sulle altre specie viventi e sui territori, in quello che sembra delirio di onnipotenza ed è invece un piano ben preciso. Un piano per un futuro che non ci prevede. Apprendiamo dai giornali ogni giorno di nuove decisioni: abbandono dell’OMS, abbandono dei trattati sull’ambiente, mire espansionistiche e imperialiste, appoggio a Israele, politiche repressive, diritti riproduttivi calpestati, razzismo imperante, plutocrazia. Insomma, un vero e proprio disastro con conseguenze globali. Ed all’interno di questo programma che ha dell’apocalittico vogliamo denunciare come l’accanimento contro le persone trans, soprattutto trans femme e donne, sia stato sottovalutato come “distrazione” dai problemi reali per troppo tempo, mettendo noi tutt* in una condizione di ulteriore vulnerabilità e rivittimizzazione: la condizione di non essere, ancora una volta, credut* quando denunciamo la violenza che si abbatte su di noi. Non solo: l’ingresso nei vocabolari mainstream di termini come “woke”, “politically correct”, “ideologia gender” ha spostato l’opinione pubblica su dibattiti falsificati sin dalle premesse, che descrivono un mondo in mano a femministe e transfemministe. Mentre, in realtà, gli uomini più potenti della terra fanno man bassa delle risorse del pianeta (persone comprese) per aumentare il proprio capitale, alimentando discorsi e politiche patriarcali e di genere estremamente pericolosi. Come osservatorio sulla violenza patriarcale che lavora anche per il riconoscimento della transmisoginia e della violenza transfobica, e che vede al suo interno un intreccio di soggettività femministe e transfemministe, sentiamo l’urgenza di chiarire una volta per tutte: sorella, non sei sola. Le donne cis non sono messe in pericolo dall’esistenza delle donne trans e trans femme. La radice della violenza, in tutte le sue forme, è comune, e le retoriche patriarcali che spadroneggiano in questo momento vogliono farci credere il contrario. Viviamo anche qui in Italia un momento di massima targetizzazione delle stesse soggettività. Abbiamo già visto ridurre lo spazio di libertà trans: dalle persone minori lasciate senza terapie, alla crescente criminalizzazione, alle rappresentazioni macchiettistiche, agli attacchi diretti contro la comunità trans. Abbiamo visto come un certo “femminismo” TERF (femminismo radicale trans escludente) si sia alleato con una certa naturalezza a movimenti fascisti che vogliono cancellare le persone trans, con, ancora una volta, una particolare ossessione nei confronti delle donne trans e trans femme. Marina Terragni è la nuova garante dell’infanzia e dell’adolescenza, e proprio lei è tra quelle che più si impegnano a denigrare le nostre sorelle in primis: la prima cosa che ha fatto non appena avuto l’incarico è stata pubblicare un post contro una nota attivista, Roberta Parigiani, alla quale esprimiamo solidarietà e sorellanza. Allora, se da un lato dobbiamo davvero aprire una riflessione impegnata a decostruire queste mistificazioni di genere e i confini del binarismo, a partire anche da noi stess*, è altrettanto importante smontare l’idea – che anche a “sinistra” ha preso piede – che la vita delle persone trans sia solo un “tema”, o, peggio, un espediente per parlare d’altro o, ancora, l’ultima delle priorità. Auspichiamo una presa di parola diretta sempre più forte, e ci impegniamo a creare le condizioni per cui questo avvenga, consapevoli che il transfemminismo è una pratica politica essenziale, non solo una prospettiva. I tempi sono bui, forse non sono maturi per molt* di noi, sopraffatt* proprio da questa ondata di machismo internazionale e dall’alleanza di un certo “femminile” ancillare.  Ma ricordiamo che non è una novità: la nostra esistenza la dobbiamo a chi ha lottato prima di noi, e continueremo forti dell* nostr* antenat*. Donne trans e trans femme che abbiamo il dovere di conoscere e riconoscere. Continuiamo a costruire insieme una storia delle donne fatta di tutte le donne insieme, unite dalla volontà di emancipazione dal giogo patriarcale. Citiamo, con Angela Davis, le parole di Martin Luther King, perché il futuro ci riguarda ancora e il futuro è ora: “Certe volte dobbiamo accettare delusioni finite, ma dobbiamo aggrapparci alla nostra speranza infinita.” Che la speranza, allora, si trasformi in resistenza. Glossario * Abbiamo utilizzato per le desinenze di genere  a volte la u, a volte la x o un asterisco che equivalgono a un troncamento nella lettura della parola, a volte lo schwa, a volte il 3 che molt3 usano come plurale dello schwa. Differenziamo questo tipo di desinenze perché tutte vengono usate e tutte definiscono nella lingua italiana in cambiamento il genere neutro spesso usato come universale al posto del maschile o femminile per includere tutt* * woke: essere attent3 alle ingiustizie e alle discriminazioni sociali e lottare contro  * politically correct: assumere un linguaggio che visibilizzi tutte le diversità  * targetizzazione: scelta di un gruppo sociale da colpire  * macismo: italianizzazione di machismo che indica la postura e i comportamenti patriarcali assegnati da questo sistema alle persone a cui sia stato assegnato il genere M (maschio) alla nascita (AMAN Assegnate Maschio Alla Nascita) Share Post Share L'articolo Sorellə non sei solə – Una risposta agli attacchi alle donne trans e trans femme negli Stati Uniti e in Italia proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
ANALISI DEI DATI SUI FEMMINICIDI IN ITALIA: c’è un effetto imitazione influenzato dalla copertura mediatica?
Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Nunzia Cecatiello, tratto dalla sua tesi di laurea triennale, discussa a luglio 2024. Mentre gli omicidi in Italia sembrano diminuire, lo stesso non accade per i femminicidi. Dati dell’Istat dimostrano che parallelamente ad un rapido decremento nel tasso di omicidi volontari sulla popolazione, il tasso degli omicidi volontari con vittime di genere femminile è rimasto pressoché costante per almeno gli ultimi 30 anni. Come possiamo spiegare tali dati a fronte di una sempre più ampia diffusione del tema? Di certo la narrazione riduttiva e fuorviante portata avanti dai media non contribuisce al contenimento del fenomeno. Come scritto da Michela Murgia riguardo ad un articolo di cronaca di femminicidio del 2012: “La protagonista di questa notizia è la donna assassinata, […] il titolo di Repubblica mette invece come soggetto dell’azione l’omicida, facendo apparire la morte della donna come una conseguenza accessoria del suo agire. La specificazione che la donna uccisa fosse moglie dell’uccisore […] rende dominante il ruolo familiare della morta rispetto alla sua individualità. C’è molta differenza tra dire che un uomo ha ucciso una donna e dire che un marito ha ucciso sua moglie. […] L’omicidio non è da attribuire alla gelosia […] ma all’uomo e al coltello che ha affondato ripetutamente sul corpo inerme della donna. La gelosia non uccide le donne: le uccidono gli uomini.” Nonostante il determinato e significativo lavoro di attivistɜ nel costruire consapevolezza ed educare, sono i media tradizionali a raggiungere più efficacemente la maggioranza della popolazione italiana – è possibile ipotizzare che questa narrazione dannosa del fenomeno abbia un potenziale effetto sulla diffusione del fenomeno? Studi in passato hanno dimostrato che la ripetuta esposizione alla violenza tramite i media aumenti il rischio nel lettore di perpetrarla a sua volta. Certamente, l’implicita vittimizzazione dell’omicida e la corrispondente colpevolizzazione della vittima dimostrano spaventose potenzialità di suscitare nel lettore un senso di empatia nei confronti dell’assassino. I DATI DELL’OSSERVATORIO DI NUDM Per condurre un’analisi statistica sui femminicidi in Italia, ad oggi, l’unica risorsa accessibile, accurata ed aggiornata a disposizione è quella dell’Osservatorio sui Femminicidi Lesbicidi e Transcidi di Non Una di Meno. La mancanza di dati ufficiali aperti riflette la mancanza di attenzione al fenomeno da parte delle istituzioni. Come afferma Catherine D’Ignazio, “Contare e documentare è un modo per trasformare i fenomeni che vengono misurati da eventi individuali a esempi solidi di un pattern diffuso”. Misurare un fenomeno significa vedere il fenomeno, significa riconoscere le radici sistemiche che lo guidano. Le istituzioni che ancora si limitano alla distinzione tra omicidi con vittime di genere maschile e di genere femminile dimostrano una totale assenza di considerazione ed interesse nei confronti del femminicidio. D’altra parte, una raccolta di dati dal basso come quella offerta dall’Osservatorio non è da sottovalutare. La raccolta dati svolta da chi si occupa del fenomeno in forma più approfondita e allo stesso tempo capillare come fa Non Una Di Meno, riguardo ad un tema che richiede attenzione e profondità per una corretta classificazione, riesce ad arrivare dove le fonti ufficiali non sono in grado, arricchendo la raccolta dati di un valore umano e personale. Raccogliere dati è una delle pratiche con cui NUDM fa memoria, ricordo delle vittime e analisi politica della violenza che le ha uccise. Una più stretta collaborazione tra le istituzioni e i movimenti dal basso potrebbe rendere la raccolta dati nazionalmente univoca, ricca e dettagliata, grazie alle diverse risorse delle parti. I FEMMINICIDI NELLE RICERCHE ONLINE Ad una diversa narrazione dei fenomeni consegue una diversa ricezione da parte degli utenti. Non tutte le vittime ricevono la stessa attenzione – grazie ad un’analisi sulle ricerche sul motore di ricerca Google di ogni vittima di femminicidio dal 2020 al 2024, si osserva che le vittime di nazionalità italiana sono in proporzione più cercate delle vittime di nazionalità straniera. Allo stesso modo, i nomi delle vittime di femminicidio perpetrato dall’attuale partner sono ampiamente meno ricercate online dei casi avvenuti per mano di ex o familiari. Ciò si può probabilmente spiegare come conseguenza dell’inconscia normalizzazione, se non legittimazione, dei femminicidi perpetrati in un contesto intimo/romantico. Le vittime di femminicidio in ambito di coppia non sono spettacolarizzabili come le altre – questi casi sono sempre più narrati ormai come evento ordinario. La narrazione di questi casi come regolare avvenire concorre ad una radicazione ed infiltrazione del fenomeno che appare ai media ed ai lettori sempre più come un fenomeno senza un’individuabile causa. Normalizzare vuol dire giustificare, la giustificazione porta alla diffusione. Un caso come quello di Giulia Cecchettin è esemplare per comprendere come l’informazione ed i media impattano sulla sensibilizzazione e la consapevolezza della società. Per l’appunto, da una comparazione tra le ricerche Google del termine “femminicidio” svolte nel periodo antecedente e nel periodo posteriore a Giulia, si osserva un chiaro distacco nel mantenimento dell’interesse con l’allontanarsi dell’evento. Settimane dopo il caso di Giulia, l’argomento dei femminicidi ha continuato a rimanere rilevante nelle ricerche degli utenti, diversamente da quanto non è accaduto dopo casi altrettanto mediaticamente noti in passato. La mobilitazione che il caso di Giulia ha portato nella società ha influito sull’interesse e sull’informazione da parte di utenti non già vicini al fenomeno. Allo stesso modo, osservando l’andamento dei casi nella settimana successiva a casi di particolare scalpore, notiamo una leggera diminuzione: possiamo con discreta sicurezza affermare che questa diminuzione sia dovuta non tanto ad un ricredersi dei potenziali killer, ma ad una crescita nelle ricerche d’aiuto da parte delle donne in situazioni di difficoltà che, a loro volta riconoscendosi nelle vittime, avvertono maggiormente la situazione di pericolo in cui si ritrovano. È chiaro che ciò che conta, più che del quanto se ne parla, è il come. Un articolo di cronaca non potrà fermare un femminicida ma il lavoro di giornalistɜ e attivistɜ nell’utilizzare un linguaggio che sappia opportunamente rispecchiare le cause e la natura del fenomeno, saper osservare, catturare e mettere a disposizione sempre più risorse a servizio della società sono strumenti fondamentali per trovare la direzione per arginare la violenza. L’attivismo si fa anche contando. Nunzia Cecatiello Share Post Share L'articolo ANALISI DEI DATI SUI FEMMINICIDI IN ITALIA: c’è un effetto imitazione influenzato dalla copertura mediatica? proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
TDOR 2024 – la R non è più solo RICORDO ma anche RABBIA, RESISTENZA e RIVOLTA
La violenza di genere non è un’emergenza ma è strutturale in questo sistema eterocispatriarcale e capitalista basato su gerarchie, potere e dominio. È  parte fondante della guerra contro ogni corpo vivente e contro la stessa terra. Si manifesta con processi di colonizzazione, occupazione, genocidi, estrattivismo, sfruttamento, uso e abuso dei corpi per i profitti. La crisi economica, politica, culturale, sociale determina la necessità di tenere in piedi il sistema, di continuare a produrre incrementando la devastazione e frenando la possibilità di di creare reali alternative di pensiero, pratiche, economie. L’organizzazione sociale è una potente macchina ormai globale, che manipola, impone, reprime e arriva ad uccidere con i suoi eserciti, le polizie ma anche persone individuali o gruppi collettivi che si fanno strumento violento della riproduzione del sistema. Gli assassinii di genere (femminicidi, transcidi, puttanocidi, istigazioni al suicidio) non sono altro che azioni del braccio armato extragiudiziale e non irregimentato istituzionalmente dell’eterocispatriarcato che ci riporta alle origini stesse del capitalismo e del colonialismo quando si usavano roghi, false denunce, lapidazioni di piazza per sconfiggere il “male”, il demonio qualsiasi forma cioè di diversità che si sottraesse, nello spazio pubblico o privato, alle norme del potere. Anche recentemente il fuoco è stato utilizzato in alcuni casi di femminicidio, segno questo che i roghi qui come in altri paesi non sono assolutamente tragica storia del passato. Per questo sosteniamo la campagna mai più roghi che tende a superare quelle rappresentazioni simboliche mascherate da tradizioni popolari che ancora bruciano fantocci di persone femminilizzate, nella maggior parte identificabili come vecchie, streghe o persone razzializzate e che non fanno che normalizzare pratiche violente. Forme di resistenza, di ribellione, di desiderio di profondi scardinamenti di questa società e della sua macchina infernale che ha la sua prima forma regolata e asservita nella famiglia ci sono ma la repressione è fortissima e, con lentezza spietata, ha cambiato nel corso degli anni il valore di parole come rivoluzione, azione diretta, boicottaggio, resistenza, disobbedienza civile, occupazione dello spazio pubblico, risposta alle provocazioni, la legittimità cioè di una narrazione radicale e alternativa. Parole e pratiche sono diventate reato… persino azioni che solo qualche decennio fa sarebbero sembrate di scarso impatto conflittivo. Aprire uno striscione, fare una manifestazione o un corteo, occupare un piazza con i nostri corpi, protestare davanti al palazzo dove si trovano quelle persone che scrivono leggi e dettano norme “in nostro nome” diventa reato. In altre parti del mondo la repressione e la criminalizzazioni sono ancora più gravi con sparizioni e assassinii a sangue freddo. Lavorare nell’Osservatorio è difficile e doloroso ma siamo spintə dal desiderio e dalla rabbia di fare eco alla resistenza di tuttə le persone che oggi non sono più con noi. Persone che hanno lottato per sottrarsi alla violenza del sistema e per affermare la propria libertà e autodeterminazione dalle gabbie reali e virtuali. Segnaliamo il preoccupante aumento dei casi di suicidio tra le persone trans e queer, soprattutto molto giovani. Il suicidio di Cloe è stato un chiaro segnale di quanto la discriminazione, la marginalizzazione e il demansionamento siano stati fattori che hanno contribuito alla sua decisione finale di togliersi la vita. La morte per suicidio delle persone trans è un omicidio sociale, di cui tuttə siamo complici o spettatorə. Per questo nell’osservatorio di NUDM usiamo la perifrasi “suicidatə dallo stato e dall’odio sociale”. Ciò che più ci spinge e motiva a portare avanti il nostro lavoro è la voglia di supportare anche chi resta, chi si è battutə affinché le storie e le denunce fossero credute e raccontate. Siamo al fianco di chi cerca di costruire percorsi di fuoriuscita dalla violenza per persone trans, sempre più ostacolatə dalle istituzioni, che si vestono di pink, red e rainbow nelle giornate di rito. Vogliamo dei Centri Antiviolenza che sappiano accogliere, ascoltare, mettere in protezione le persone trans che spesso non hanno spazi e luoghi in cui rifugiarsi. Non vogliamo l’inasprimento delle pene ma una giustizia trasformativa, un cambio di sistema che impedisca la morte costante delle persone di cui oggi facciamo memoria. Il TMM, trans murder monitoring, che da anni fa monitoraggio a livello globale e il TGEU (https://tgeu.org/) che lo fa a livello europeo ci danno il dato allucinante di 48 persone trans uccise dal 2008 ad oggi in Italia, il numero più alto tra tutti i paesi dell’Unione Europea. Questi due osservatori raccontano e registrano come crimini di odio tutti i tipi di assassinio delle persone trans perché, affermano, molto spesso sono relazionati alle situazioni specifiche di marginalizzazione nella vita, nell’accesso al lavoro e nel diritto a una casa. Condividiamo come osservatorio di NUDM la loro stessa difficoltà di reperire i dati e di non poter quindi che giudicare parziali quelli che abbiamo per la scarsità di informazioni e l’assenza di specifici sistemi di vigilanza a livello nazionale. In Italia si aggiunge la difficoltà di rilevare i casi a causa di misgenderizzazioni e del continuo tentativo di nasconderli a livello familiare e sociale. Oggi vogliamo fare eco con rabbia alla voce di chi non è più con noi. Sì perché per una persona trans, travesti, puttana, intersex, chiamata “pazza”, disabilizzata o in qualsiasi forma considerata FUORI NORMA la stessa esistenza è un atto di resistenza e noi lo rivendichiamo oggi più che mai. E non dimentichiamo e non perdoniamo * perché a novembre scorso un ragazzo di soli 13 anni si è suicidato in Sicilia a causa dell’odio sociale. Aveva cambiato scuola ma né nella vecchia, né nella nuova probabilmente è mai stato fatto un lavoro di educazione alla diversità e per lo sradicamento reale delle norme eterocis imposte dal sistema (grazie Valditara, Roccella e gli antiscelta complici del sistema per impedire l’educazione alla diversità nelle scuole) E non dimentichiamo e non perdoniamo * perché il 27 maggio 2024 è stato accreditato come suicidio quello di un ragazzo trans di 24 anni arrivato al pronto soccorso per abusi in famiglia e ricoverato nel reparto di ginecologia dell’ospedale. Ha denunciato una violenza subita mentre si trovava sulla barella, è stato trasferito in altro ospedale ma poi riportato nel primo ospedale dove era avvenuto l’abuso. “È stato suicidato” dal quarto piano ed è morto sul colpo. Molti giornali l’hanno chiamato “donna”. A denunciare le responsabilità di quel gesto sono state le persone vicine al ragazzo in un post veicolato dal collettivo milanese Kasciavìt: «Anche dopo una fine tragica i giornalisti non si sono presi la briga di capire chi era lui veramente. Com’è possibile che una tale violenza sia avvenuta “in un luogo protetto come un ospedale”? perché un ragazzo é stato lasciato “solo e senza tutele”? La sua comunità ha tante domande su quello che è successo” e ce le abbiamo anche noi come osservatorio ma sono rimaste senza risposta in questi lunghi 6 mesi! Non si tratta di errori o disattenzioni ma di responsabilità pesanti come macigni E non dimentichiamo e non perdoniamo * perché il 6 luglio 2024 Lucero Valdivia di origine perviana, trans e lavoratrice sessuale è stata ritrovata nella pineta di Casal Fusano. I giornali ancora una volta hanno parlato per giorni di lei al maschile, misgenderizzando come quasi sempre fanno E non dimentichiamo e non perdoniamo * i commenti violenti che accompagnano le nostre pubblicazioni all’8 di ogni mese che abbondano di negazionismo e che sono persino arrivati a mettere in discussione il fatto che inserissimo il suicidio del giovane gay di 33 anni di Palermo del 10 settembre che ha lasciato una lettera dove chiede scusa per non essere riuscito ad amare una donna. Non sei tu a dover chiedere scusa ma la comunità in cui vivi che ti ha costretto a rinunciare a vivere. E non dimentichiamo e non perdoniamo * che Nex Benedict ragazzu non binariu sia statx suicidato dall’odio sociale l’8 febbraio negli Stati Uniti in Oklaoma. La madre ha dichiarato che Nex è stat bullizzato per oltre un anno nella sua scuola. Nel 2022 l’Oklahoma si è distinto per essere il primo stato negli USA a proibire l’uso del genere non binario nei certificati di nascita. Allu studentx è proibito usare un bagno che non corrisponda al genere assegnato alla nascita e alle persone minori vengono vietati percorsi di affermazione di genere. La nuova legge presentata per il 2024 per i curricoli delle scuole pubbliche descrive il genere come un carattere biologicamente immutabile e vieta il cambio di genere nei certificati di nascita, il divieto di usare nomi e pronomi di elezione. E non dimentichiamo e non perdoniamo * che Kesaria Abramidze, 37enne modella e attivista transgender, il 18 settembre è stata lasciata a morire nel cuore della notte da una persona di cui si fidava. La comunità LGBTQIAP+ georgiana perde uno dei volti più noti dell’attivismo trans, una donna che aveva scelto di vivere apertamente la sua identità nonostante l’ostilità e il pregiudizio dilagante. Abramidze si era fatta portavoce delle battaglie contro la discriminazione transodiante e per i diritti civili in talk show e trasmissioni televisive di rilevanza nazionale. Le sue esperienze personali di violenza e oppressione erano strettamente intrecciate con il suo impegno pubblico. E anche in questo caso la sua morte arriva immediatamente dopo l’approvazione di una legge fortemente discriminatoria contro la cosiddetta “propaganda gay”. Un provvedimento, voluto da frange conservatrici e religiose, che limita ulteriormente i diritti della comunità, vietando manifestazioni pubbliche di sostegno e istituzionalizzando lo stesso clima di odio e oppressione che ha ucciso Kesaria. Perché abbiamo voluto raccontare queste storie? Perché fare memoria è importante come è importante scendere nelle piazze con amore e rabbia contro ogni discriminazione e violenza di genere di fronte all’inadempienza delle nostre istituzioni nel garantire percorsi di autodeterminazione e alla crescente ondata d’odio e di intolleranza propagandata dal governo Meloni e dalle destre fasciste che lo compongono. Un odio che si concretizza nelle azioni e politiche stesse portate avanti dal governo e dai suoi rappresentanti. Ne sono un esempio i continui attacchi alla carriera alias e all’infanzia trans, il mantenimento di percorsi di affermazione di genere fondati su patologizzazione e psichiatrizzazione che vedono nei tribunali la decisione sulle vite, le narrazioni contorte e stigmatizzanti, la difficoltà per le persone della nostra comunità di trovare casa e lavoro. Vogliamo ricordare chi non c’è più per averci insegnato il cammino di resistenza che dobbiamo continuare a percorrere, per stare al fianco di chi resta, per continuare a lottare per il riconoscimento del danno e degli errori che sono stati compiuti contro tutte queste persone. Assumiamo la necessità di garantire percorsi di affermazione di genere accessibili e gratuiti all’interno del servizio sanitario pubblico e non più subordinati all’approvazione, viziata da canoni e stereotipi binari di psico e giudici cisgender. Vogliamo si viva l’euforia e l’autodeterminazione, delle relazioni, delle vite senza invisibilizzare le soggettività non binarie, ma che considerino e valorizzino la complessità di tutte le identità. Vogliamo che ci si impegni a rispettare e si smetta di misgenderare con la scusa della fatica ad assumere linguaggi appropriati perché sappiamo quanto sia più faticoso e doloroso non essere riconosciutx. Vogliamo che le case di accoglienza e le case rifugio non discriminino le persone trans che stanno vivendo situazioni di violenza. Vogliamo accesso ai lavori, ai servizi, a un reddito di autodeterminazione quando tutto questo diventa difficile. Vogliamo finalmente che sia riconosciuto il diritto ad una legge scritta dal basso come quella che è stata elaborata dal laboratorio di autodeterminazione trans di Stati Genderali, basata su autodeterminazione e consenso informato perché la 164 è obsoleta, inadeguata, superata dai fatti e va abrogata. Vogliamo che le elaborazioni della comunità siano accolte, assunte e non strumentalizzate per pulire le coscienze: le identità di genere non sono beni di consumo, né tanto meno pubblicità gratuita o emblemi per la propaganda capitalista, egemone e coloniale. Autodeterminazione e liberazione per i corpi tutti! Ci vogliamo viv3 e vogliamo tutto! TGEU-Trans Europe and Central Asia pubblica l’aggiornamento annuale del progetto globale Trans Murder Monitoring per il 2024 a questo link: https://tgeu.org/will-the-cycle-of-violence-ever-end-tgeus-trans-murder-monitoring-project-crosses-5000-cases/ Share Post Share L'articolo TDOR 2024 – la R non è più solo RICORDO ma anche RABBIA, RESISTENZA e RIVOLTA proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
Giustizia per Pamela, Roxana e Andrea, assassinate crudelmente per essere lesbiche
Il movimento Ni una menos in Argentina si è ritrovato in piazza per la manifestazione del 3 giugno, una manifestazione che dal 2015 porta in piazza il movimento per ricordare femminicidi e transcidi. Quest’anno la chiamata era rafforzata dalla lotta contro il governo fascista, omolesbotransodiante e razzista che promuove politiche di fame e di povertà. Un governo che ha attaccato in forma esplicita il movimento transfemminista eliminando il ministero delle politiche di genere e  accentuando i discorsi di odio verso le diversità e la dissidenza di genere. I femminicidi, i transcidi, i lesbicidi e i travesticidi sono la punta dell’iceberg di multiple forme di violenza che sono radicate in una società con grandi disparità di genere. I diritti conquistati con le leggi approvate e le scelte istituzionali degli anni e governi precedenti sono ora minacciati e sono stati sicuramente più avanzati rispetto a quello che succede nelle case dove le persone socializzate come donne lavorano ancora il doppio degli uomini nel lavoro di cura. L’Argentina è l’ultimo paese in america per numero di permessi di paternità: solo due giorni a fligliu. Ma quello che grave è che il governo di Milei continui a negare l’esistenza di un problema e metta in discussione tutto il cammino fatto fino ad ora in questo paese che ha le leggi più avanzate a livello mondiale rispetto a percorsi di affermazione di genere, aborto, cambi di nome anagrafici, diritto di famiglia, etc. Milei era fra gli ospiti del megaincontro organizzato da Vox il 18 maggio scorso in Spagna insieme ai peggiori rappresentanti della destra europea. Non mancava infatti Giorgia Meloni, che è intervenuta in videoconferenza, la leader del partito francese Rassemblement National, Marine Le Pen, André Ventura presidente del partito portoghese Chega che significa “Basta”, l’ex primo ministro polacco di Diritto e Giustizia Mateusz Morawiecki, il primo ministro ungherese Viktor Orbán. I discorsi di odio legittimati dai governi e amplificati dai media ci uccidono in ogni parte del mondo! E le violenze continuano a crescere in un contesto di crescente precarietà. I femminicidi non sono diminuiti in Argentina. Se ne registra 1 ogni 35 ore. 2500 negli ultimi 10 anni e tutti per mano di ex, o di mariti, amanti, conviventi. “Ammazzano uomini come ammazzano donne”, ha detto la deputata Lilia Lemoine in una intervista per sminuire la forza delle affermazioni del movimento femminista. La prima manifestazione di Ni una menos fu per l’assassinio di Chiara Páez uccisa dal fidanzato a soli 14 anni. Quest’anno il caso che più ha risuonato nella marcia è stato il triplice femminicidio di Pamela Cobbas, Roxana Figueroa e Andrea Amarante.  La mattina di lunedì 6 maggio nel quartiere Barracas di Buenos Aires un “conventillo” è stato lo scenario di un episodio di LESBodio per mano di un uomo che abitava nello stesso edificio: ha lanciato due bombe  molotov contro la stanza delle sue vicine lesbiche, che aveva già precedentemente molestato. Nell’abitazione c’erano quattro donne, una di queste incinta, che sono state ricoverate con ustioni gravissime. Pamela Cobos ha perso la vita nello stesso giorno mentre Roxana e Andrea Amarante sono morte nei giorni successivi. “Vogliamo giustizia per Pamela, Roxana y Andrea, assassinate crudelmente per essere lesbiche” hanno scritto le associazioni che hanno convocato la marcia del 3 giugno in un comunicato che è stato letto davanti alla sede del governo a Buenos Aires. “Affermiamo che i discorsi di odio promossi dal massimo rappresentante del governo – continua il comunicato – portano a una società che attua di conseguenza. Indichiamo quindi il presidente come responsabile del fatto che gli attacchi alla comunità LGBTIQ+ sono aumentati fino a raggiungere la loro massima espressione”. Le persone hanno chiesto un intervento urgente di riparazione per Sofía Castro Riglos, l’unica sopravvissuta a quello che è conosciuto come il massacro di Barracas. Prima aveva poco, ma ora ha solo la solidarietà e il sostegno collettivo. Ha perso le sue amiche Pamela, Roxana e Andrea e tutte le sue cose nello stesso momento, nello stesso attacco assassino. Il percorso sarà lungo e per questo è stata aperta una raccolta fondi per accompagnare Sofia. Non possiamo che aiutarla a ricostruire un luogo dove vivere e ricostruire relazioni. Per trasparenza la comunità di “lesbiche autoconvocate” ha deciso di utilizzare il conto corrente di Ni UNA MENOS CBU 1910027855002701341732 numero di conto 191027013417/3  intestato a ACIVIL.NIUNA.MENOS CAUSALE “lesbianas” ¡BASTA DE LGBTIQODIO! #EstoNoEsLibertad #JusticiaporRoxana #JusticiaporPamela #JusticiaporAndrea  #EstadoesResponsable Share Post Share L'articolo Giustizia per Pamela, Roxana e Andrea, assassinate crudelmente per essere lesbiche proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcale
Mercoledì 28 febbraio 2024 Laura, Maria e Mari dell’Osservatorio hano rilasciato un’intervista a REPORT da cui è stato estrapolato qualche minuto inserito nella puntata dell’8 marzo. La puntata affrotava il tema dell’infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcale. Condividiamo qui il testo che è stato preparato per l’intervista. L’osservatorio contro femminicidi, transcidi,puttanocidi, lesbicidi, infanticidi, suicidi di stato e dell’odio sociale di Non Una di Meno nasce nel 2020 dalla consapevolezza che molti delitti basati su “genere” o “scelte relazionali e/o socioaffettive” ritenute non “a norma” non venivano contabilizzate a livello ministeriale e che nessuno dei luoghi che monitoravano avevano una visione transfeminista e quindi una lettura intersezionale del fenomeno. L’Osservatorio così come tutto il lavoro di NUDM nascono con l’obiettivo di mettere in luce il carattere sistemico della violenza eterocispatiarcale. Vogliamo ricordare e denunciare quanto è frequente, quanto è diffusa la violenza che uccide donne, persone trans, lesbiche, persone razzializzate, disabili, giovani e non giovani.  Non è raptus, non è amore, ma violenza di genere all’interno delle famiglie, dei luoghi di lavoro, di cura e di istruzione e in ogni ambito della nostra vita. E’ la stessa violenza sistemica, strutturale, che lascia figlie e figliu senza supporto quando rimangono orfani e sol3. Dal percorso di costruzione collettiva della manifestazione nasce il desiderio di monitorare, riappropriarci della narrazione, , superare l’invisibilizzazione dei transcidi, usare la parola lesbicidio a seguito dell’uccisione di Elisa Pomarelli, porre l’attenzione sulla violenza e l’uccisione dellu sex worker, dei e delle figlie, sulle persone che si suicidano a causa della violenza eterocispatriarcale. È nel percorso di costruzione della manifestazione nazionale del 25 novembre 2019 quando NUDM Piacenza porta in piazza i nomi delle persone uccise che nasce il desiderio di monitorare, riappropriarci della narrazione, denunciare e contrastare la violenza e il linguaggio dei media, riflettere, analizzare, inventare le parole per dirlo. Cosi  usiamo le parole  “lesbicidio” a seguito del femminicidio Elisa Pomarelli, uccisa perchè lesbica: aveva rifiutato un rapporto sessuale con il suo amico  “transcidio” per superare l’invisibilizzazione delle persone trans e in Italia siamo primo paese in Europa per queste morti,  “puttanocidio” per includere le persone uccise perché fanno lavoro sessuale, “suicidat_ dallo stato, dall’odio sociale e dal patriarcato” per le persone il cui suicidio è indotto da motivazioni di genere (spose bambine che si sottraggono in questo modo a quello che non riconoscono come il loro destino, o persone molto giovani discriminate, bullizzate e costrette alla povertà da una comunità familiare e sociale che non riconosce il loro percorso di affermazione di genere, o persone adulte indotte al suicidio da una violenza psicologica sistemica e continua del proprio partner). Nel caso dei suicidi, cerchiamo anche di comprendere se questi sono legati – sopratutto per persone giovani e adolescenti, a percorsi di affermazione di genere e opposizione da parte della famiglia o difficoltà dei percorsi. Ci sono casi di induzione al suicidio a seguito di violenze psicologiche, o casi in cui una persona fa una scelta di sottrazione a una vita di violenza, per esempio scegliendo il suicidio per evitare un matrimonio obbligato, o una violenza sessuale.  Abbiamo incluso anche gli infanticidi cioè le situazioni in cui si colpisce la madre attraverso l’uccisione delle persone a lei più care e l’uccisione di persone anziane e/o disabilizzate perchè le persone a cui non è “destinato”, per ruolo legato al genere il “lavoro di cura”, uccidono come dicono per “liberare dalla sofferenza”, una sorta di “eutanasia imposta” che solo raramente può essere considerata realmente un doppio suicidio in presenza di documenti firmati dalle due persone coinvolte che esplicitino la loro piena e comune volontà. Molto spesso i mariti si uccidono o tentano di uccidersi ma sono pur sempre sono loro a imporre “la fine del male”, a chi non l’ha o non può sceglirla.  Queste scelte di linguaggio e di monitoraggio sono quelle che poi fanno aumentare i numeri della lista del nostro osservatorio rispetto ad altre liste ma solo perché sono più accurati e pensati. Ogni mese infatti abbiamo un’assemblea in cui dopo aver esaminato le notizie a nostra disposizione prendiamo decisioni su inserimento o meno nella lista che aggiorniamo l’8 di ogni mese.  I dati dell’Osservatorio sono divisi per anni, dal 2020 ad oggi. Siamo consapevoli della parzialità dei numeri e delle informazioni che riusciamo a raccogliere. Il valore del nostro lavoro è nel percorso, nella denuncia e nella riflessione che facciamo a partire da ogni singolo caso, nel nostro sguardo transfemminista eintersezionale sulla violenza di genere e patriarcale.  I casi di transcidio infatti spesso non vengono riportati dalla stampa o i nomi non corrispondono al genere di elezione, lo stesso succede ai casi di persone che fanno lavoro sessuale. Le persone razializzate troppo spesso vengono titolate con il paese di provenienza invece che con il loro nome. Ci sono continui riferimenti alla sofferenza di chi uccide che alla fine diventa una giustificare dell’atto piuttosto che un’offerta del contesto in cui viene agito.  C’è una gerarchia di valori rispetto alla trattazione dei casi che risponde all’ideologia del sistema. Gli eventi cioè in cui l’uccisione di una persona avviene per motivi riconducibili a relazioni di potere e a violenze determinate dal genere. Meno la persona uccisa corrisponde al modello “ruolo” imposto alle persone assegnate F alla nasita (AFAN), meno se ne parla o trova spazio sia nelle informazioni che nelle indagini.  In alcuni casi mediaticamente più “famosi” – spesso di giovani ragazze o madri – i media riportano numerosi dettagli. In altri casi – quando si tratta di donne anziane, di persone con disabilità o malattie, di persone razzializzate, sex worker, persone trans etc – la copertura mediatica è molto minore e spesso piena di imprecisioni e di parole violente e sbagliate nelle descrizioni. Ci sono casi in cui il risultato dell’autopsia non viene reso noto, o casi di suicidio che vengono archiviati senza molto approfondimento, o casi in cui le indagini per arrivare al presunto colpevole sono molto lunghe. I suicidi vengono spesso archiviati troppo facilmente soprattutto se si tratta di persone che svolgono lavoro sessuale, le indagini sono lunghe e non vengono più riportate informazioni nei giornali se non per annunci eclatanti. Abbiamo molti casi in sospeso che vorremmo ma non riusciamo a seguire.  Quello che pubblichiamo mese per mese diventa anche azione di piazza: in molte città, ogni 8 del mese è un giorno di presidi e azioni pubbliche in cui si ricorda chi è stat_ uccis_ e si denuncia il sistema di violenza di genere e patriarcale in cui viviamo. In alcune piazza ci sono luoghi fisici fissi con pañueli e simboli di NUDM (Brescia, Firenze, Mantova, Torino, Trieste). Abbiamo avuto denunce di casi in cui questi simboli vengono rimossi, danneggiati o devastati, ma NUDM torna a rimetterli per segnalare quanto il patriarcato ANCHE in Italia sia il problema. Si risponde anche territorialmente ad ogni notizia di violenza di genere con passeggiate rumorose e/o silenziose per comunicare quanto queste uccisioni siano parte di un sistema patriarcale da distruggere totalmente e contro cui dobbiao lottare insieme.  NUDM ha seguito e segue le persone che restano (orfani e familiari) in alcuni casi in cui c’è un contatto e la volontà di sostenersi insieme, in procedimenti che sono spesso molto lunghi e dolorosi e in cui le persone offese coinvolte subiscono una forte vittimizzazione secondaria.  ll Ministero dell’Interno pubblica i dati su tutti gli omicidi nel nostro paese. Le statistiche ufficiali in Italia sono disponibili solo disaggregate per genere in modo binario: maschio o femmina cosi come compare nei documenti di identità. Non c’è modo dunque di rendere visibili le persone trans – che vengono spesso misgenderizzate, cioè le si assegna al genere sbagliato e si continua a chiamarle e contarle con il sesso assegnato alla nascita se non era intervenuta una rettifica dei documenti. Le statistiche ufficiali non mettono in relazione il genere della persona uccisa con tutte le altre caratteristiche che noi cerchiamo di monitorare per mettere in luce la relazione tra genere, orientamento sessuale, età, paese di origine, salute e situazioni disabilizzanti della persona uccisa e matrice patriarcale.  Cerchiamo anche di un monitorare nel tempo i casi non chiari, le scomparse, i “suicidi”, per provare ad approfondire le informazioni che sono disponibili da fonti aperte (online) e per seguire il caso giudiziario. Per capire come va a finire! Il nostro monitoraggio avviene basicamente attraverso la lettura critica dei media (ne critichiamo costantemente il linguaggio!) e contatti diretti quando possibile grazie alla nostra rete territoriale. Tendiamo a tener presente la complessità del fenomeno e quanto i linguaggi usati, le giustificazioni possano diventare complicità.  NON CI SONO e non accettiamo le motivazioni che spesso vengono nominate come giustificazioni d’amore, di follia, di malattia, di gesto estremo e non evitabile. Il femminicidio si colloca in una logica e pratica di possesso, di potere, di controllo, una pratica gerarchica che vuole annullare la libertà e l’autodeterminazione della persona che viene uccisa Riportiamo il nome, l’età, il luogo dove è stata uccisa, il paese di origine, indichiamo il lavoro se si tratta di lavorator_ del sesso per denunciare e contrastare con forza lo stigma per questo lavoro.  La provenienza di chi ha ucciso non è per giustificare posizionamenti razzisti, ma per sottolineare la trasversalità del fenomeno.  Riportiamo il genere e transgenere della persona uccisa, chi ha ucciso, l’arma usata e quanto questo sia in relazione tra “chi” possiede una pistola per lavoro (polizia, guardia giurata etc) e poi la usa anche per esercitare violenza privata. Monitoriamo  i suicidi, l’occupazione di chi ha ucciso, i precedenti penali, se l’arma da fuoco era denuta legalmente, la “giustificazione” riportata dai media. Le motivazioni del gesto tendono spesso a giustificare il colpevole e a descriverlo con termini molto sbagliati e violenti (raptus, gesto d’amore, etc). Ma in ognuno di questi casi si può rilevare il dispositivo cardine della violenza eterocispatriarcale che vogliamo denunciare: il desiderio di possesso, di controllo sul corpo e sulla vita di un’altra persona, l’incapacità di accettare l’autodeterminazione e la scelta (per esempio, nel caso di persone con orientamento sessuale o affermazione di genere “non conforme”), il distacco (nel caso di una separazione), di fornire cura e assistenza (nel caso di una malattia o disabilità). Vogliamo ribaltare il punto di vista che punta il focus sui comportamenti della persona uccisa, riportiamo se ci sono state denunce inascoltate da parte di servizi e polizia, il n di figliu piccol_ present_ o rimast_ in vita, se era una persona disabilizzata, se sono state uccise altre persone e la descrizione di cosa è avvenuto.  L’Osservatorio non cerca di fissare criteri statici fissi, ma il lavoro di monitoraggio dal basso si muove da alcuni punti di partenza. Non tutti gli omicidi volontari in cui la vittima è donna sono necessariamente femminicidi. Persone trans, persone binarie e non binarie, persone intersex, persone di qualsiasi identità di genere e orientamento sessuale, considerate “non conformi”, sono vittime di violenza di genere e vittime di femminicidio o transcidio o lesbicidio. Ci occupiamo di tutt a differenza dei media, rifiutando gerarchie e valori delle vite fermate. Sia quest’anno che negli anni precedenti, nella maggior parte dei casi la persona viene uccisa da qualcuno che conosceva. Si tratta spesso di mariti, compagni, ex compagni, a volte di figli o altri parenti. Nella maggior parte dei casi le persone vengono uccise a coltellate (35%)  o con armi da fuoco (25%), ma ci sono molte altre modalità di uccisione che abbiamo osservato negli anni: percosse, soffocamenti, strangolamenti, annegamenti, incidenti d’auto, colpi con armi improprie.  Spesso non è possibile comprendere dagli articoli online quante siano le persone che rimangono  – figlie e figliu orfani o che assistono alla morte della madre. Ci sembra comunque importante continuare a provare e raccogliere questa informazione, per dare visibilità a persone che rimangono non-viste anche dopo. Secondo il diritto di famiglia sono molte le scelte che il padre-marito può continuare a fare anche dopo aver ucciso la madre-moglie, sia rispetto alla moglie che rispetto a figli_ sopratutto se non hanno comiuto 18 anni. Le persone che restano soprattutto quelle piccole molto spesso vengono abbandonate a se stesse, potrebbero essere costrette a vedere il padre in carcere, è difficile per loro accedere ai pochi fondi che sostengono le famiglie e le persone affidatarie.  Il “padre” che ha ucciso la madre mantiene la patria potestà, il diritto all’eredità, la pensione di reversibilità perchè il patrimonio e il diritto di famiglia non si tocca. Loro, “le persone piccole che restano”, diventano persone invisibili come viene denunciato nella puntata di REPORT dell’8 marzo 2024 a cui abbiamo partecipato con il nostro interevento  https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Bambini-invisibili-e2ee9f78-3399-4616-9c6c-484d989667d6.html Chissa quante di queste storie ci sono. Queste persone restano invisibili per il sistema e non hanno diritti sulla loro vita nonostante siano “vittime” in vita. Non perdono la patria potestà e si mantiene il diritto all’eredità, alla pensione di reversibilità . Share Post Share L'articolo infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcale proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
Violenza nel mondo del lavoro – INFORTUNI E FEMMINICIDI
Perché accostare morti sul lavoro e femminicidi? Oltre ad essere fenomeni tristemente sempre più emergenti, sono fenomeni che vedono implicati rapporti di debolezza e subalternità. Si muore a casa per mano di chi ti sta accanto. Ma in genere un femminicidio, lesbicidio, transcidio è sempre l’ultimo di una sequenza di atti, l’esito della sottomissione psicologica ed economica della donna, l’episodio terminale di ripetute sopraffazioni fisiche attestate spesso da regolari denunce che non producono effetti. Troppo spesso una donna che lascia o minaccia di farlo è percepita dall’uomo come una proprietà, da uccidere prima di perderne il controllo e di accettarne l’autonomia. Intorno alle vittime, l’esiguità dei servizi sociali territoriali esistenti, e dei Centri Antiviolenza (CAV) che non riescono a rispondere a tutte le richieste di supporto e protezione a causa dei pochi finanziamenti disponibili. Ci sono lavoratrici o lavoratori che muoiono svolgendo mansioni la cui contropartita sarà un salario spesso non adeguato e dignitoso, magari manovrando macchinari o misurandosi con processi produttivi i cui “ingranaggi” e dispositivi di sicurezza non funzionano o funzionano male. Si muore di lavoro per l’inadeguatezza o la totale mancanza delle misure di sicurezza, per lo “stato di necessità” che rende disposti a tutto pur di avere un reddito. La causa delle morti sul lavoro, o meglio degli omicidi sul lavoro è la cultura capitalista che considera il diritto alla salute e alla vita come un ostacolo al profitto, sempre di più indifferente rispetto a quelle vite, le vite di operai che continuano a essere sottoposte alla roulette russa del destino e del lavoro precario. Non solo una cabala di numeri (3 omicidi sul lavoro al giorno, ogni 3 giorni una donna uccisa) ma la necessità di sovvertire questa società che accomuna femminicidi e omicidi sul lavoro con un radicale cambio culturale. Numeri che ottengono visibilità quando sono casi eclatanti come è successo il 17 febbraio scorso a Firenze, o come quando a dicembre 2007 alla ThyssenKrupp di Torino morirono 8 operai . Nei femminicidi la donna uccisa ha una visibilità diversa se si tratta di una donna bianca, sposata e incinta, molto meno se è una persona LGBTQIA+ e se è sex-worker! E dietro a ogni persona vittima degli omicidi sul posto di lavoro causati da mancata sicurezza, dietro a ogni donna uccisa perché ha detto “no” ci sono affetti, progetti mancati, altre vite distrutte, figli rimasti orfani di cui pochi si fanno carico. Violenza economica che vede la connessione tra un lavoro produttivo fatto di bassi salari, lavoro intermittente, precario, sfruttato, sottopagato e povero, e un lavoro di cura gratuito che pesa, per oltre il 75%, sulle donne. Violenza economica sono i ricatti nell’accesso e per il mantenimento del posto di lavoro, il part time involontario, il disconoscimento delle norme sulla maternità (congedi, allattamento), il ricatto di turnazioni che rendono inconciliabile la funzione genitoriale e di cura, fino alle molestie sessuali vere e proprie che, una volta portate allo scoperto, sfociano in vero e proprio mobbing ai danni di chi denuncia. Problemi per avere congedi, permessi, e lo smartworking considerato una facilitazione per le lavoratrici che devono lavorare due volte a casa, usando le proprie utenze e facendo anche la casalinga Nei posti di lavoro pubblici e privati discriminazioni, molestie e ricatti contro le donne e violenza di genere avvengono quotidianamente e non dimentichiamoci che le molestie valgono anche se sei apprendista, precaria. Va denunciato e preteso che sia lui a lasciare il posto di lavoro. Gli uomini, in genere, occupano posti più importanti. Le donne sono più numerose nei lavori ad orario ridotto. Vi sono altre differenze dovute al genere nelle condizioni di lavoro che si ripercuotono anche sulla sicurezza e salute sul lavoro. Per esempio, si trovano più donne in attività precarie e mal retribuite, il che si ripercuote sulle loro condizioni di lavoro e sui rischi a cui sono esposte. In Italia l’esercito è schierato nelle principali città, mezzi da guerra presidiano musei e strade del centro delle grandi città, ai grandi eventi le persone vengono perquisite per fare prevenzione verso eventuali atti di terrorismo. Incutere la paura del delinquente comune o del migrante questo è quello che quotidianamente i media e il governo/ i vari governi ci propinano. I vari Governi e il Parlamento non varano alcuna legge speciale, non inviano eserciti di ispettori nelle officine, nei cantieri, nelle ditte manifatturiere e non “arringano” la popolazione sulla difesa della vita di chi lavora. Non vengono incrementati i finanziamenti ai CAV per i percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Vengono invece incrementate le spese per le armi e per le guerre. D’altronde questa società si basa sullo sfruttamento, anche fino alla morte, per avere profitto. ABORTIAMO IL PATRIARCATO E IL CAPITALISMO #8marzo #lottomarzo #scioperoperché NUDM Livorno Share Post Share L'articolo Violenza nel mondo del lavoro – INFORTUNI E FEMMINICIDI proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
Intervento dell’Osservatorio all’Assemblea Nazionale NUDM a Bologna
Intervento durante la plenaria dell’Assemblea Nazionale di Non Una di Meno a Bologna, sabato 3 febbraio 2024 ETÀ DELLE PERSONE UCCISE Sebbene la stampa dia risalto, nella cronaca, ai femminicidi di giovani donne dai 20 ai 30 anni, la fascia di età più esposta ai femminicidi è tra i 40/60 anni o over 80. I 120 casi del 2023 ci offrono un quadro impressionante: nonostante i casi mediatici di Giulia Tramontano (29 anni), Giulia Cecchettin (22 anni) e Vanessa Ballan (27 anni), notiamo che le donne più grandi sono maggiormente esposte alla violenza e quindi future vittime di femminicidio. Non possiamo poi ignorare le vergognose strumentalizzazioni della destra in concomitanza con i due femminicidi di donne gestanti per imporre, per esempio, il riconoscemento della “persona in vita” dal momento del concepimento.  PERSONE DISABILIZZATE E CASI ARCHIVIATI Aumentano anche i casi di persone disabilizzate di cui il sistema continua a non farsi carico, uccise da uomini incapaci di gestire il ruolo di cura: un ruolo per cui non sono stati educati e non sono socialmente destinati. I percorsi di autonomia e liberazione non possono che essere colpiti violentemente perché il sistema familistico e capitalista si riproduca senza possibilità di cambiamento.  Quest’anno abbiamo anche rilevato casi archiviati come suicidi e riconosciuti, a distanza di troppo tempo, come femminicidi. A volte la vittima era riuscita a impiccarsi rimanendo coi piedi appoggiati, annodando il laccio al collo in una posizione altamente improbabile a seguito di un incontro con un cliente poi sparito. Ci chiediamo quindi quanti siano i casi tutt’oggi non riconosciuti e di cui non abbiamo traccia. Ad uccidere sono sempre persone che incarnano il patriarcato: uomini, mariti, padri, fratelli, ex, i chiamati “amici” o addirittura “compagni”, per imporre il dominio e punire l’autodeterminazione della persona con cui si relazionano. Persona che va bene solo fino a quando sta resta nei ruoli e nei binari previsti dalle norme imposte dal sistema. BRACCIALETTO ELETTRONICO Denunce e braccialetti elettronici: sono queste le soluzioni adottate dal/dai governi.  Quattordici le donne di cui sappiamo con certezza che avevano esposto denuncia, nessuna di loro è stata ascoltata e spesso queste informazioni non vengono nemmeno riportate negli articoli. Il braccialetto elettronico viene trattato dallo stato come se fosse l’unico mezzo per la prevenzione. Sono stati investiti 5 milioni su un dispositivo che toglie fondi ai CAV, “spacciandolo” come unico mezzo per la prevenzione alla violenza di genere.  I dati emersi sull’utilizzo del braccialetto dimostrano che spesso non funziona.  Quando non si ritiene di applicare il carcere o gli arresti domiciliari, viene ordinato il divieto di avvicinamento alla vittima applicando il braccialetto alla caviglia della persona abusante. A questo, si sommano altri due dispositivi: uno nella casa della persona minacciata e uno nella casa del minacciante. Alla vittima inoltre, viene dato un telefonino collegato alla sala operativa della società che applica i braccialetti. Quando lo stalker viola la distanza e si avvicina, se c’è copertura della linea internet, scatta l’allarme al fine di un pronto intervento. La società incaricata avvisa in tempo reale i carabinieri/polizia che intervengono. Nel caso di Concetta, infermiera di 53 anni uccisa con 42 coltellate sferrate dall’uomo che aveva nei suoi confronti un divieto di avvicinamento e che indossava un braccialetto elettronico, non ha funzionato. Come non hanno funzionato né il dispositivo in possesso della vittima che quello in possesso del figlio. Di tre dispositivi, solo uno ha funzionato ma l’assassino era già entrato nella casa della vittima. Il braccialetto risulta poco affidabile quindi, a volte suona ripetutamente nonostante il potenziale assassino non sia nelle vicinanze, altre può essere rotto, come è successo con una persona agli arresti domiciliari per reati vari. Queste misure oltre ad avere un costo elevato non fermano i femminicidi né limitano la violenza. COSA VOGLIAMO Non chiediamo il controllo delle persone potenzialmente abusanti ma interventi diversi, che vadano alla radice dei problemi: l’aumento dei centri anti-violenza aperti a tuttu, programmi educativi che promuovano la cultura del consenso, che parlino di diversità, di relazioni e di affettività ma soprattutto che mettano in discussione i capisaldi del sistema patriarcale di dominio, di possesso e di potere gerarchico.  I media scandagliano le vite delle vittime ma non quelle di chi agisce il danno costantemente giustificato da motivazioni che ci riportano al delitto d’onore scomparso dalla nostra legislazione solo nel ’95.  Per uno Stato che non muove un dito per modificare la cultura dominante, siamo soltanto numeri.  Per noi raccogliere i dati, non fermarci alle statistiche, leggere le storie è importante per rilevare i cambiamenti e gli errori del sistema che sempre più evidenzia l’inesistenza di un lavoro di prevenzione efficace. La violenza di genere è strutturale, strutturale a questo sistema patriarcale e capitalista, basato su gerarchia, potere e sudditanza.  Vogliamo ribaltare un sistema che conta le morti, gli stupri, le violenze, ma non vuole riconoscere la radice da cui provengono e risponde con la giustizia punitiva e carceraria anziché con risposte collettive e di comunità che possano realmente de-costruire il patriarcato.  Vogliamo ribaltare un sistema che strumentalizza le morti, gli stupri e la violenza per far passare il riconoscimento della vita dal concepimento, per criminalizzare le persone razzializzate e per imporre in nome di sicurezza e decoro la militarizzazione ulteriore delle nostre strade e l’aumento delle pene.  Vogliamo contarci vivə, per fare delle nostre vite ciò che desideriamo.  Share Post Share L'articolo Intervento dell’Osservatorio all’Assemblea Nazionale NUDM a Bologna proviene da Osservatorio nazionale NUDM.
Strumentalizzazione dei femminicidi in funzione del ricooscimento del feto come “persona a partire dal concepimento”
Sul femminicidio di Vanessa Ballan, così come successe con Giulia Tramontano. si stanno scatenando provita e FdI sulla questione aborto. Nei femminicidi incontriamo diversi aspetti problematici nella narrazione: dalla loro rappresentazione, all’omissione nel nominarli come “femminicidi”, alla strumentalizzazione dei femminicidi per fini diversi. Per il femminicidio di Vanessa Ballan ben 7 articoli sui 16 che abbimo esaminato viene menzionata come “giovane mamma” nel titolo. Questo avviene anche per altri femminicidi: o si riporta il ruolo materno, la nazionalità, alcune caratteristiche ma quasi mai il nome e cognome della persona uccisa come se fosse un optional, quasi si dovesse svalorizzare in questo modo l’identità della persona. In due casi di femminicidio, quello di Vanessa Bollan e quello di Giulia Tramontano essere “future mamme e uccise durante la gestazione” dà la miccia alle associazioni di destra per rincarare la dose sull’aborto. Sette mesi fa il femminicidio di Giulia Tramontano è entrato nel sentire comune non solo per il modus operandi e per la sua giovane età, ma anche perché era incinta. Questo ha destato maggiore attenzione rispetto ad altri femminicidi. È  diventato “il caso”: non solo si allarga l’attenzione mediatica sulla “donna prossima ad essere madre” ma viene immediatamente strumentalizzata dai pro vita e famiglia tanto che Gandolfini propone a gran voce al governo di mettere l’aggravante “del duplice omicidio” nel processo per Giulia utilizzando la norma giuridica per imporre il feto “persona giuridica”. Questa affermazione ci riporta immediatamente alla proposta di legge fatta ad ottobre del 2022, appena insediato il governo di destra, che è la stessa proposta di legge che ciclicamente ripropone FdI per osteggiare l’interruzione volontaria di gravidanza. Due tematiche che non c’entrano nulla fra loro perché nella legislazione italiana penale già è presente l’aggravante per omicidio di una persona in gestazione e procurato omicidio in gestazione quindi, ci chiediamo e vi chiediamo, perché riprendere questo reato già presente nel codice penale e parlare di duplice omicidio? Gandolfini, tramite provita e famiglia, vuole strumare a suo favore il femminicidio di Vanessa Ballan, uccisa da un uomo che lei aveva già denunciato per stalking. Bisognerebbe porre l’accento sulla mancata assistenza e sostegno a Vanessa Ballan lasciata completamente sola, la sua denuncia derubricata come un litigio tra persone senza vedere il pericolo imminente. E invece la senatrice Lucia Ronzulli pensa bene di spostare l’attenzione dai problemi reali del continuo non ascolto di chi denuncia per riprendere immediatamente le dichiarazioni di Gandolfini fatte 7 mesi fa per il femminicidio di Giulia Tramontano e dai social punta tutto sul riconoscimento del duplice omicidio. Il punto qui ancora una volta è che non vogliamo discettare sulle pene e l’aumento degli anni in carcere ma come agire a monte quando le persone sono vive per evitare che questo continui a succedere! La stessa polizia che utilizza la poesia di Cristina Torre Caceres nei suoi post poi si rivela per quello che è veramente. Vanessa, Giulia, Rita, Yrelis e tuttə lə altrə sono e rimangono assassinii di Stato ed è per questo che dobbiamo distruggere il patriarcato e costruire un’alternativa possibile, necessaria e urgente. Share Post Share L'articolo Strumentalizzazione dei femminicidi in funzione del ricooscimento del feto come “persona a partire dal concepimento” proviene da Osservatorio nazionale NUDM.