infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcaleMercoledì 28 febbraio 2024 Laura, Maria e Mari dell’Osservatorio hano rilasciato
un’intervista a REPORT da cui è stato estrapolato qualche minuto inserito nella
puntata dell’8 marzo. La puntata affrotava il tema dell’infanzia invisibile,
figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcale. Condividiamo qui
il testo che è stato preparato per l’intervista.
L’osservatorio contro femminicidi, transcidi,puttanocidi, lesbicidi,
infanticidi, suicidi di stato e dell’odio sociale di Non Una di Meno nasce nel
2020 dalla consapevolezza che molti delitti basati su “genere” o “scelte
relazionali e/o socioaffettive” ritenute non “a norma” non venivano
contabilizzate a livello ministeriale e che nessuno dei luoghi che monitoravano
avevano una visione transfeminista e quindi una lettura intersezionale del
fenomeno.
L’Osservatorio così come tutto il lavoro di NUDM nascono con l’obiettivo di
mettere in luce il carattere sistemico della violenza eterocispatiarcale.
Vogliamo ricordare e denunciare quanto è frequente, quanto è diffusa la violenza
che uccide donne, persone trans, lesbiche, persone razzializzate, disabili,
giovani e non giovani.
Non è raptus, non è amore, ma violenza di genere all’interno delle famiglie, dei
luoghi di lavoro, di cura e di istruzione e in ogni ambito della nostra vita. E’
la stessa violenza sistemica, strutturale, che lascia figlie e figliu senza
supporto quando rimangono orfani e sol3.
Dal percorso di costruzione collettiva della manifestazione nasce il desiderio
di monitorare, riappropriarci della narrazione, , superare l’invisibilizzazione
dei transcidi, usare la parola lesbicidio a seguito dell’uccisione di Elisa
Pomarelli, porre l’attenzione sulla violenza e l’uccisione dellu sex worker, dei
e delle figlie, sulle persone che si suicidano a causa della violenza
eterocispatriarcale.
È nel percorso di costruzione della manifestazione nazionale del 25 novembre
2019 quando NUDM Piacenza porta in piazza i nomi delle persone uccise che nasce
il desiderio di monitorare, riappropriarci della narrazione, denunciare e
contrastare la violenza e il linguaggio dei media, riflettere, analizzare,
inventare le parole per dirlo.
Cosi usiamo le parole
“lesbicidio” a seguito del femminicidio Elisa Pomarelli, uccisa perchè lesbica:
aveva rifiutato un rapporto sessuale con il suo amico
“transcidio” per superare l’invisibilizzazione delle persone trans e in Italia
siamo primo paese in Europa per queste morti,
“puttanocidio” per includere le persone uccise perché fanno lavoro sessuale,
“suicidat_ dallo stato, dall’odio sociale e dal patriarcato” per le persone il
cui suicidio è indotto da motivazioni di genere (spose bambine che si
sottraggono in questo modo a quello che non riconoscono come il loro destino, o
persone molto giovani discriminate, bullizzate e costrette alla povertà da una
comunità familiare e sociale che non riconosce il loro percorso di affermazione
di genere, o persone adulte indotte al suicidio da una violenza psicologica
sistemica e continua del proprio partner). Nel caso dei suicidi, cerchiamo anche
di comprendere se questi sono legati – sopratutto per persone giovani e
adolescenti, a percorsi di affermazione di genere e opposizione da parte della
famiglia o difficoltà dei percorsi. Ci sono casi di induzione al suicidio a
seguito di violenze psicologiche, o casi in cui una persona fa una scelta di
sottrazione a una vita di violenza, per esempio scegliendo il suicidio per
evitare un matrimonio obbligato, o una violenza sessuale.
Abbiamo incluso anche gli infanticidi cioè le situazioni in cui si colpisce la
madre attraverso l’uccisione delle persone a lei più care e l’uccisione di
persone anziane e/o disabilizzate perchè le persone a cui non è “destinato”, per
ruolo legato al genere il “lavoro di cura”, uccidono come dicono per “liberare
dalla sofferenza”, una sorta di “eutanasia imposta” che solo raramente può
essere considerata realmente un doppio suicidio in presenza di documenti firmati
dalle due persone coinvolte che esplicitino la loro piena e comune volontà.
Molto spesso i mariti si uccidono o tentano di uccidersi ma sono pur sempre sono
loro a imporre “la fine del male”, a chi non l’ha o non può sceglirla.
Queste scelte di linguaggio e di monitoraggio sono quelle che poi fanno
aumentare i numeri della lista del nostro osservatorio rispetto ad altre liste
ma solo perché sono più accurati e pensati. Ogni mese infatti abbiamo
un’assemblea in cui dopo aver esaminato le notizie a nostra disposizione
prendiamo decisioni su inserimento o meno nella lista che aggiorniamo l’8 di
ogni mese.
I dati dell’Osservatorio sono divisi per anni, dal 2020 ad oggi. Siamo
consapevoli della parzialità dei numeri e delle informazioni che riusciamo a
raccogliere. Il valore del nostro lavoro è nel percorso, nella denuncia e nella
riflessione che facciamo a partire da ogni singolo caso, nel nostro sguardo
transfemminista eintersezionale sulla violenza di genere e patriarcale.
I casi di transcidio infatti spesso non vengono riportati dalla stampa o i nomi
non corrispondono al genere di elezione, lo stesso succede ai casi di persone
che fanno lavoro sessuale. Le persone razializzate troppo spesso vengono
titolate con il paese di provenienza invece che con il loro nome. Ci sono
continui riferimenti alla sofferenza di chi uccide che alla fine diventa una
giustificare dell’atto piuttosto che un’offerta del contesto in cui viene
agito.
C’è una gerarchia di valori rispetto alla trattazione dei casi che risponde
all’ideologia del sistema. Gli eventi cioè in cui l’uccisione di una persona
avviene per motivi riconducibili a relazioni di potere e a violenze determinate
dal genere. Meno la persona uccisa corrisponde al modello “ruolo” imposto alle
persone assegnate F alla nasita (AFAN), meno se ne parla o trova spazio sia
nelle informazioni che nelle indagini.
In alcuni casi mediaticamente più “famosi” – spesso di giovani ragazze o madri –
i media riportano numerosi dettagli. In altri casi – quando si tratta di donne
anziane, di persone con disabilità o malattie, di persone razzializzate, sex
worker, persone trans etc – la copertura mediatica è molto minore e spesso piena
di imprecisioni e di parole violente e sbagliate nelle descrizioni. Ci sono casi
in cui il risultato dell’autopsia non viene reso noto, o casi di suicidio che
vengono archiviati senza molto approfondimento, o casi in cui le indagini per
arrivare al presunto colpevole sono molto lunghe.
I suicidi vengono spesso archiviati troppo facilmente soprattutto se si tratta
di persone che svolgono lavoro sessuale, le indagini sono lunghe e non vengono
più riportate informazioni nei giornali se non per annunci eclatanti. Abbiamo
molti casi in sospeso che vorremmo ma non riusciamo a seguire.
Quello che pubblichiamo mese per mese diventa anche azione di piazza: in molte
città, ogni 8 del mese è un giorno di presidi e azioni pubbliche in cui si
ricorda chi è stat_ uccis_ e si denuncia il sistema di violenza di genere e
patriarcale in cui viviamo. In alcune piazza ci sono luoghi fisici fissi con
pañueli e simboli di NUDM (Brescia, Firenze, Mantova, Torino, Trieste). Abbiamo
avuto denunce di casi in cui questi simboli vengono rimossi, danneggiati o
devastati, ma NUDM torna a rimetterli per segnalare quanto il patriarcato ANCHE
in Italia sia il problema.
Si risponde anche territorialmente ad ogni notizia di violenza di genere con
passeggiate rumorose e/o silenziose per comunicare quanto queste uccisioni siano
parte di un sistema patriarcale da distruggere totalmente e contro cui dobbiao
lottare insieme.
NUDM ha seguito e segue le persone che restano (orfani e familiari) in alcuni
casi in cui c’è un contatto e la volontà di sostenersi insieme, in procedimenti
che sono spesso molto lunghi e dolorosi e in cui le persone offese coinvolte
subiscono una forte vittimizzazione secondaria.
ll Ministero dell’Interno pubblica i dati su tutti gli omicidi nel nostro paese.
Le statistiche ufficiali in Italia sono disponibili solo disaggregate per genere
in modo binario: maschio o femmina cosi come compare nei documenti di identità.
Non c’è modo dunque di rendere visibili le persone trans – che vengono spesso
misgenderizzate, cioè le si assegna al genere sbagliato e si continua a
chiamarle e contarle con il sesso assegnato alla nascita se non era intervenuta
una rettifica dei documenti. Le statistiche ufficiali non mettono in relazione
il genere della persona uccisa con tutte le altre caratteristiche che noi
cerchiamo di monitorare per mettere in luce la relazione tra genere,
orientamento sessuale, età, paese di origine, salute e situazioni disabilizzanti
della persona uccisa e matrice patriarcale.
Cerchiamo anche di un monitorare nel tempo i casi non chiari, le scomparse, i
“suicidi”, per provare ad approfondire le informazioni che sono disponibili da
fonti aperte (online) e per seguire il caso giudiziario. Per capire come va a
finire!
Il nostro monitoraggio avviene basicamente attraverso la lettura critica dei
media (ne critichiamo costantemente il linguaggio!) e contatti diretti quando
possibile grazie alla nostra rete territoriale. Tendiamo a tener presente la
complessità del fenomeno e quanto i linguaggi usati, le giustificazioni possano
diventare complicità.
NON CI SONO e non accettiamo le motivazioni che spesso vengono nominate come
giustificazioni d’amore, di follia, di malattia, di gesto estremo e non
evitabile. Il femminicidio si colloca in una logica e pratica di possesso, di
potere, di controllo, una pratica gerarchica che vuole annullare la libertà e
l’autodeterminazione della persona che viene uccisa
Riportiamo il nome, l’età, il luogo dove è stata uccisa, il paese di origine,
indichiamo il lavoro se si tratta di lavorator_ del sesso per denunciare e
contrastare con forza lo stigma per questo lavoro.
La provenienza di chi ha ucciso non è per giustificare posizionamenti razzisti,
ma per sottolineare la trasversalità del fenomeno.
Riportiamo il genere e transgenere della persona uccisa, chi ha ucciso, l’arma
usata e quanto questo sia in relazione tra “chi” possiede una pistola per lavoro
(polizia, guardia giurata etc) e poi la usa anche per esercitare violenza
privata. Monitoriamo i suicidi, l’occupazione di chi ha ucciso, i precedenti
penali, se l’arma da fuoco era denuta legalmente, la “giustificazione” riportata
dai media. Le motivazioni del gesto tendono spesso a giustificare il colpevole e
a descriverlo con termini molto sbagliati e violenti (raptus, gesto d’amore,
etc). Ma in ognuno di questi casi si può rilevare il dispositivo cardine della
violenza eterocispatriarcale che vogliamo denunciare: il desiderio di possesso,
di controllo sul corpo e sulla vita di un’altra persona, l’incapacità di
accettare l’autodeterminazione e la scelta (per esempio, nel caso di persone con
orientamento sessuale o affermazione di genere “non conforme”), il distacco (nel
caso di una separazione), di fornire cura e assistenza (nel caso di una malattia
o disabilità).
Vogliamo ribaltare il punto di vista che punta il focus sui comportamenti della
persona uccisa, riportiamo se ci sono state denunce inascoltate da parte di
servizi e polizia, il n di figliu piccol_ present_ o rimast_ in vita, se era una
persona disabilizzata, se sono state uccise altre persone e la descrizione di
cosa è avvenuto.
L’Osservatorio non cerca di fissare criteri statici fissi, ma il lavoro di
monitoraggio dal basso si muove da alcuni punti di partenza. Non tutti gli
omicidi volontari in cui la vittima è donna sono necessariamente femminicidi.
Persone trans, persone binarie e non binarie, persone intersex, persone di
qualsiasi identità di genere e orientamento sessuale, considerate “non
conformi”, sono vittime di violenza di genere e vittime di femminicidio o
transcidio o lesbicidio.
Ci occupiamo di tutt a differenza dei media, rifiutando gerarchie e valori delle
vite fermate.
Sia quest’anno che negli anni precedenti, nella maggior parte dei casi la
persona viene uccisa da qualcuno che conosceva. Si tratta spesso di mariti,
compagni, ex compagni, a volte di figli o altri parenti. Nella maggior parte dei
casi le persone vengono uccise a coltellate (35%) o con armi da fuoco (25%), ma
ci sono molte altre modalità di uccisione che abbiamo osservato negli anni:
percosse, soffocamenti, strangolamenti, annegamenti, incidenti d’auto, colpi con
armi improprie.
Spesso non è possibile comprendere dagli articoli online quante siano le persone
che rimangono – figlie e figliu orfani o che assistono alla morte della madre.
Ci sembra comunque importante continuare a provare e raccogliere questa
informazione, per dare visibilità a persone che rimangono non-viste anche dopo.
Secondo il diritto di famiglia sono molte le scelte che il padre-marito può
continuare a fare anche dopo aver ucciso la madre-moglie, sia rispetto alla
moglie che rispetto a figli_ sopratutto se non hanno comiuto 18 anni.
Le persone che restano soprattutto quelle piccole molto spesso vengono
abbandonate a se stesse, potrebbero essere costrette a vedere il padre in
carcere, è difficile per loro accedere ai pochi fondi che sostengono le famiglie
e le persone affidatarie.
Il “padre” che ha ucciso la madre mantiene la patria potestà, il diritto
all’eredità, la pensione di reversibilità perchè il patrimonio e il diritto di
famiglia non si tocca.
Loro, “le persone piccole che restano”, diventano persone invisibili come viene
denunciato nella puntata di REPORT dell’8 marzo 2024 a cui abbiamo partecipato
con il nostro interevento
https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Bambini-invisibili-e2ee9f78-3399-4616-9c6c-484d989667d6.html
Chissa quante di queste storie ci sono. Queste persone restano invisibili per il
sistema e non hanno diritti sulla loro vita nonostante siano “vittime” in vita.
Non perdono la patria potestà e si mantiene il diritto all’eredità, alla
pensione di reversibilità .
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L'articolo infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza
patriarcale proviene da Osservatorio nazionale NUDM.