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Brasile di Lula tra la Cop30, i territori indigeni e le promesse mancate. Intervista a Loretta Emiri
Cop30, le trame oscure del “green capitalism”, la colonizzazione dei crediti di carbonio, le false soluzioni tecnocratiche alla crisi climatica, la lotta per il riconoscimento dei territori indigeni amazzonici e le mancate promesse del governo Lula, ormai totalmente dipendente dal Congresso Nazionale in mano alla destra neoliberista. In questa intervista c’è tutta la passione di una ecologista e indigenista italiana che ha vissuto con gli indigeni amazzonici del Brasile e con loro ha respirato la loro lingua, la loro cultura, la loro spiritualità, la profonda connessione con la Natura, la difesa dei loro sistemi di medicina tradizionale, la lotta per la difesa dell’Amazzonia e dei territori indigeni dall’estrattivismo e dalla deforestazione. Nel 1977 Loretta Emiri si è stabilita nell’Amazzonia brasiliana dove, per 18 anni, ha sempre lavorato con o per gli indios. I primi quattro anni e mezzo li ha vissuti con gli indigeni Yanomami delle regioni del Catrimâni, Ajarani e Demini. Fra di loro ha svolto lavori di assistenza sanitaria e un progetto chiamato Piano di Coscientizzazione, del quale l’alfabetizzazione di adulti nella lingua materna faceva parte. In quell’epoca ha prodotto saggi e lavori didattici, fra i quali: Gramática pedagógica da língua yãnomamè (Grammatica pedagogica della lingua yãnomamè), Cartilha yãnomamè (Abbecedario yãnomamè), Leituras yãnomamè (Letture yãnomamè), Dicionário Yãnomamè-Português (Dizionario Yãnomamè-Portoghese). Nel 1989 è stato pubblicato A conquista da escrita – Encontros de educação indígena (La conquista della scrittura – Incontri di educazione indigena), che Loretta ha organizzato insieme alla linguista Ruth Monserrat, e che include il capitolo Yanomami di cui è autrice. Nel 1992 ha pubblicato la raccolta poetica Mulher entre três culturas – Ítalo-brasileira ‘educada’ pelos Yanomami (Donna fra tre culture – Italo-brasiliana ‘educata’ dagli Yanomami). Alcune sue poesie sono state incluse nel volume 3 della Saciedade dos poetas vivos. Nel 1997 ha pubblicato Parole italiane per immagini amazzoniche, opera che riunisce ventisette poesie; tredici sono in portoghese, lingua nella quale sono state generate, accompagnate da versioni in italiano. Nel 1994 ha pubblicato il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver. Nel 2022 ha pubblicato Educada pelos Yanomami (Educata dagli Yanomami), libro di poesie e foto scattate tra gli Yanomami. In italiano, Loretta ha pubblicato i libri di racconti Amazzonia portatile, A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta, Discriminati che ha ottenuto il Premio Speciale Migliore Opera a Tematica Sociale del 12º Concorso Letterario Città di Grottammare-2021; le presentazioni degli ultimi due libri sono entrate nel programma ufficiale del Salone Internazionale del libro di Torino, rispettivamente nel 2017 e 2019; invece per Amazzone in tempo reale  ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria per la Saggistica del Premio Franz Kafka Italia 2013. Nel 2020 ha pubblicato Mosaico indigeno, che riunisce testi con taglio giornalistico sulla congiuntura indigena. Loretta è anche autrice del romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne, 2011, e di Romanzo indigenista, 2023. Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più è stato divulgato in versione pdf nel gennaio del 2023. Suoi testi appaiono in blogs e riviste on-line, tra cui Sagarana, La macchina sognante, Fili d’aquilone, El ghibli, I giorni e le notti, AMAZZONIA ­– fratelli indios, Euterpe, Pressenza, La bottega del Barbieri, Sarapegbe, Atlante Residenze Creative, Cartesensibili. Nel maggio del 2018 è stata insignita del Premio alla Carriera “Novella Torregiani – Letteratura e Arti Figurative”, per la difesa dei diritti dei popoli indigeni brasiliani. Come è andata la Cop30 a Belem, in Brasile? Le conferenze climatiche sono sempre servite per stilare accordi tra capi di governo e esponenti del capitale globale. A ogni anno che passa, questa realtà è sempre più squallidamente evidente.   Tali accordi mascherano le disuguaglianze storiche e perpetuano le strutture coloniali. Ciò che cambia negli anni, sono le parole e le strategie usate per mantenere gli interessi autocratici e geopolitici determinati da coloro che detengono il potere economico. A Belem si è ripetuto il teatrino: nonostante la massiccia presenza di indigeni, comunità tradizionali, lavoratori, movimenti sociali, il processo ufficiale è stato dominato totalmente dai suddetti interessi economici. L’espressiva presenza delle minoranze e delle classi oppresse è servita, però, a mettere in evidenza, in modo eclatante, definitivo, proprio il distanziamento che c’è tra il potere costituito, asservito al capitalismo, e le popolazioni. La Cop30 in molti avevano previsto che sarebbe stata l’ennesima occasione persa, per via della prospettiva completamente eurocentrica che sembra aver preso in questi anni trattando fondamentalmente del tema del net-zero, della retorica sulla “neutralità carbonica” e delle false soluzioni tecnocratiche alla crisi climatica: quello che il presidente della Bolivia Luis Arce aveva definito “colonizzazione dei crediti di carbonio” e “capitalismo green”. Ha riscontrato anche lei questa tendenza? Rispondendo alla prima domanda, ho risposto parzialmente a questa. Ma il quesito posto merita un approfondimento a partire dalla definizione “green capitalism”. Dietro questo termine così moderno e accattivante si nasconde tutto il marciume del capitalismo selvaggio, dell’ipocrisia, del colonialismo tuttora vivo e vegeto. Ripeto: ciò che cambia sono le parole e le strategie. Vi faccio un esempio concreto parlandovi degli Yanomami, con i quali ho avuto il privilegio di vivere per oltre quattro anni nella loro patria/foresta, e di cui sono un’alleata storica. La gioielleria francese Cartier ha creato una fondazione attraverso la quale finanzia pubblicazioni e mostre che hanno a che vedere con gli Yanomami. Il territorio di questo popolo è sistematicamente violato dai cercatori d’oro; durante l’invasione organizzata nel 1987 dalle oligarchie locali, l’etnia ha rischiato l’estinzione; nel 1992 il suo territorio è stato ufficialmente omologato, ma ciò non ha fermato le invasioni; durante il governo Bolsonaro gli Yanomami hanno di nuovo rischiato di scomparire; nel marzo del 2024, il governo Lula ha ordinato la rimozione dalla Terra Indigena Yanomami dei cercatori d’oro, con la distruzione delle loro sofisticate armi e dei potenti macchinari di cui oggigiorno dispongono. Quest’ultima è stata senz’altro una iniziativa lodevole ma, storicamente, succede che i cercatori vengono allontanati per poi sempre tornare invadendo altre aree; i politici parlano di successi e conquiste, gli Yanomami continuano a denunciare le sistematiche nuove invasioni (che potrebbero essere evitate adottando provvedimenti più efficaci già identificati e ripetutamente suggeriti).  Come vogliamo definire la Cartier, potente gioielleria francese che finanzia iniziative relative gli Yanomami minacciati di estinzione proprio a causa dell’estrazione dell’oro nel loro territorio? È ipocrisia anche cercare di convincere l’opinione pubblica che l’estrazione legale dell’oro è differente da quella illegale, dato che gli habitat sono ugualmente distrutti, le popolazioni locali sono ugualmente sfruttate e si ammalano a causa dello stravolgimento dell’ambiente, mentre i capitalisti mondiali divengono più oscenamente obesi di quello che già sono.  Per non parlare di un altro fenomeno che sta sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno affronta: professionisti (antropologi, fotografi, scrittori, e persino filosofi o pseudo-tali) che hanno raggiunto notorietà e fama internazionale, nelle loro attività sono finanziati da fondazioni simili a quella della Cartier; fondazioni create da colossi mondiali che, attraverso il “capitalismo green”, perpetuano il colonialismo. Dal gennaio del 2023, cioè da quando Lula è tornato al potere, sono impegnata in una battaglia persa: fomento la creazione di un Centro di Formazione Yanomami, che potrebbe essere facilmente creato nell’unica area del loro territorio raggiungibile attraverso la strada. Una delle finalità della proposta è quella di incentivare l’unione e la collaborazione tra i gruppi locali, storicamente nemici fra di loro, perché solo l’unione e l’organizzazione permetterà agli Yanomami di sopravvivere fisicamente e culturalmente. Un’altra finalità è quella di preparare professionalmente i giovani, affinché assumano funzioni e ruoli a tutt’oggi svolti o controllati dai bianchi, mettendoli in condizione di prendere decisioni autonomamente e dispensare gli “intermediari”, cioè le poche persone che decidono per loro. L’unione e la formazione sono strumenti di lotta che rafforzerebbero l’organizzazione e l’autonomia della società yanomami. Io penso e scrivo le stesse cose da oltre quarant’anni, ma coloro che potrebbero concretizzare la proposta della formazione rivolta a tutta il popolo, e non solo ad alcuni privilegiati individui o gruppi locali, continuano, imperterriti, a fare “orecchie da mercante”. Come si sta muovendo il governo di Lula di fronte ai temi dell’ambiente? Sta portando avanti i temi della deforestazione, della fine dell’estrattivismo e della consegna delle terre agli indigeni come aveva promesso? Naturalmente, in occasione della Cop30 Lula ha omologato alcune poche terre indigene, tanto per dare un contentino; ma ce ne sono oltre sessanta di cui il processo amministrativo è stato completato e alle quali manca solo la sua firma. Lula è potuto tornare al governo facendo accordi a dir poco “ambigui”, così che può decidere ben poco. Chi decide è il Congresso Nazionale, nel cui seno sono confluiti loschi figuri legati al governo anteriore e quindi all’estremissima destra. E il Congresso non dà tregua: mi riferisco al Progetto di Legge definito Della Devastazione; al Senato che in cinque minuti ha approvato una legge che beneficia termoelettriche a carbone; alla crescente offensiva dell’agribusiness contro i popoli indigeni, offensiva incentivata dall’indecente tesi del Marco Temporale, tesi che contraddice quanto stabilito dal STF (Supremo Tribunale Federale), e cioè che la data della promulgazione della Costituzione Federale non può essere utilizzata per definire l’occupazione tradizionale delle terre indigene. Dato che era già stato approvato nella Camera dei Deputati, il suddetto progetto di legge venne inviato a Lula che ne vietò la tesi e altri dispositivi; i veti presidenziali vennero poi rigettati dal Congresso, cosi il progetto è diventato la Legge Nº 14.701/2023. Lo scienziato Philip Fearnside, ricercatore dell’INPA (Istituto Nazionale di Ricerche dell’Amazzonia), reputa che la Cop30 sai stata caratterizzata da una generalizzata mancanza di coraggio politico per affrontare i temi centrali della crisi climatica. Nell’intervista concessa alla rivista Amazônia Real, egli afferma che la conferenza ha ignorato i combustibili fossili e non ha fatto passi in avanti per combattere la deforestazione; decisioni queste che, secondo lui, mettono a rischio immediato la sopravvivenza dei popoli indigeni e delle comunità tradizionali dell’Amazzonia. Inoltre, Fearnside afferma che il Brasile sbaglia anche nella transizione energetica, mantenendo contraddizioni come l’asfaltatura della strada BR-319 e nuovi progetti di estrazione del petrolio, mentre i provvedimenti emergenziali in atto non hanno la capacità di accompagnare la velocità con cui avviene il surriscaldamento della terra. Alla vigilia della Cop30 l’Ibama (Istituto Brasiliano dell’Ambiente e delle Risorse Naturali Rinnovabili, che è un’autarchia federale) ha autorizzato la Petrobras a realizzare ricerche per rendere viabile l’esplorazione del petrolio a cinquecento km. dalla Foce del Fiume Amazonas, nel cosiddetto Margine Equatoriale, in alto mare, a confine tra gli Stati di Amapá e Pará. Mentre, appena la Cop30 si è conclusa, il Congresso ha rigettato i veti che erano stati suggeriti e ha autorizzato nuovi interventi in punti critici della strada BR-319; notizia, questa, del 27 novembre 2025. Durante la Cop30 sono successe cose che, per un spettatore esterno sembrerebbero assurde. Le proteste degli indigeni alla Cop30 sono state represse duramente. Cosa è successo precisamente? Il fatto che la Cop30 sia stata realizzata in Brasile ha permesso che un grande numero di indigeni ed esponenti di popolazioni tradizionali si facessero presenti a Belem, che è la capitale simbolica dell’Amazzonia brasiliana. La loro massiccia presenza, la coloratissima diversità culturale che li caratterizza, le manifestazioni che hanno saputo organizzare, le loro accorate dichiarazioni, che sono frutto di oltre cinquecento anni di soprusi e sofferenze, hanno messo sotto i riflettori le contraddizioni dell’attuale governo. A stento Lula si barcamena tra ciò che potrebbe fare, ma non ha il coraggio sufficiente per fare, e ciò che fa, costretto dall’estremissima destra che controlla il Congresso Nazionale. Le forze dell’ordine hanno represso i manifestanti, proprio come accade in qualsiasi altro Paese che pensa di essere democratico: le popolazioni vengono represse quando osano mettere in discussione le scelte di Stato. Txulunh Natieli, che è una giovane leader del popolo Laklãnõ-Xokleng, ha riassunto brillantemente il risultato della Cop30 dicendo che la conferenza ha esposto le contraddizioni stesse del Brasile, la cui politica è molto esterna e poco interna. Invece Luene, del popolo Karipuna, ha affermato che il Brasile potrà guidare la transizione climatica soltanto se dichiarerà l’Amazzonia “zona libera dai combustibili fossili”. Il documento finale della conferenza invita alla cooperazione globale, ma evita di citare paroline quali “petrolio”, “carbone”, “gas”; dal documento è stata esclusa anche la locuzione “eliminazione graduale”. Gli accordi firmati durante la Cop30 rivelano la squallida farsa della sostenibilità, le lobby dei fossili, dell’oro, dell’agribusiness. Nonostante siano stati fatti alcuni pontuali passi in avanti, la conferenza è terminata lasciando grandemente frustrati leader indigeni, specialisti, osservatori, cioè tutti coloro che si rifiutano di essere servi di un sistema sociale piramidale. Cosa è successo tra Raoni e Lula e perché ha fatto così scalpore? Raoni è molto amato dagli indigeni e dai loro alleati, ma è molto conosciuto anche all’estero da quando il cantante Sting lo aiutò a far uscire la problematica indigena dall’ambito brasiliano per proiettarla a livello mondiale. È un adorabile vecchietto, dai più considerato e amato come “nonno”.  Durante tutta la vita, è stato coraggioso e coerente; il tema più ricorrente nei suoi discorsi riguarda il riconoscimento e l’ufficializzazione delle terre indigene. Come può sopravvivere un popolo senza un territorio dove vivere bene e perpetuarsi? Quando Lula è stato rieletto, il giorno della cerimonia ufficiale per l’inizio del suo nuovo mandato di presidente, ha voluto Raoni accanto a sé. Ha salito la rampa che lo ha condotto nel Palazzo del Planalto, sede del Potere Esecutivo Federale, tenendo a braccetto il vecchio leader indigeno. Durante la Cop30, senza usare mezzi termini, Raoni ha manifestato la sua profonda delusione di fronte al fatto che alle solite promesse non fanno mai seguito le scelte politiche che andrebbero fatte e, naturalmente, la sua presa di posizione ha avuto una grande ripercussione sia in Brasile che all’estero. Gli indigeni, come sempre, sono solo usati, strumentalizzati. Le foto scattate a Lula al fianco di Raoni sono l’espressione visiva delle promesse mancate contrapposte alla cruda realtà dei fatti. Quale è la situazione delle popolazioni indigene amazzoniche ora e cosa bisogna cambiare? In Brasile gli indigeni dovrebbero rifiutare di farsi cooptare dal governo federale, dal momento che molto poco riescono a fare: molti di loro si sono già “bruciati”, cioè hanno deluso il movimento indigeno organizzato perché difendono o tacciono su molte scelte ambigue fatte dal governo. In Italia, quello che andrebbe fatto sarebbe smettere di definire “di sinistra” persone e governi. La sinistra esiste ancora solo attraverso i movimenti e le organizzazioni popolari. Se Lula è stato un solido leader sindacale, fondatore del Partito dei Lavoratori, non significa che per arrivare ad essere eletto e rieletto presidente di un paese continentale come il Brasile non abbia dovuto modificare principi e posizioni, non abbia dovuto allearsi alle più disparate e ambigue forze politiche. Inoltre, come spiegare il fatto che all’interno del suo partito, apparentemente, sembra non esserci nessuno in condizione di sostituirlo? Corre voce che si candiderà per l’ennesima volta; e questa, almeno per me, non è democrazia, ma il perpetuarsi di una posizione di potere. Quello che andrebbe fatto sarebbe di analizzare con più equilibrio, più attenzione, meno retorica la situazione politica brasiliana ma, soprattutto, dovrebbe essere denunciato coraggiosamente, senza mezzi termini, il “capitalismo green”, che è fortemente praticato anche da multinazionali di origine italiana. Ciò che andrebbe fatto è denunciare e porre fine al colonialismo, che continua vivo e vegeto attraverso l’invenzione di nuovi termini e nuove strategie, che sono così efficaci da ingannare individui e intere popolazioni.  Ciò che gli indigeni fanno, da oltre cinquecento anni, è resistere per esistere.   Bibliografia Amazônia Real https://amazoniareal.com.br/repercussao-da-cop30-oscila…/ Apib Oficial https://apiboficial.org/2025/10/13/as-vesperas-da-cop-povos-indigenas-cobram-demarcacao-de-terras-67-so-dependem-de-uma-assinatura-de-lula/? Mídia Ninja https://www.facebook.com/MidiaNINJA Loretta Emiri, “Amazzonia – Il piromane ha nome e cognome” https://www.pressenza.com/it/2019/09/amazzonia-il-piromane-ha-nome-e-cognome/ Centro de Formação Yanomami no Ajarani – Dossier https://drive.google.com/file/d/1O_A3dR4u28VLB_iyrj3Xpxk–xRyYkC0/view?usp=share_link Durante la privilegiata, come lei stessa sostiene, convivenza con gli Yanomami, ha raccolto oggetti della cultura materiale di questo popolo. Di particolare rilievo è il nucleo dedicato all’arte plumaria, collane ed orecchini. Per lunghi anni ha accarezzato il sogno di sistemare i materiali in luogo pubblico. Il sogno si è concretizzato all’inizio del 2001, quando il Museo Civico-Archeologico-Etnologico di Modena ha accolto i 176 pezzi della Collezione Emiri di Cultura Materiale Yanomami. Nel maggio del 2019, una parte della collezione è stata esposta al pubblico e ufficialmente inaugurata. Durante tutto il 2023 e 2024 si è dedicata, sistematicamente, al fomento della creazione del Centro di Formazione Yanomami, da strutturarsi nell’area indigena Ajarani, producendo e divulgando vari testi riuniti nel Dossier “Moyãmi Thèpè Yãno – A Casa dos Esclarecidos – Centro de Formação Yanomami – Dossiê”, Loretta Emiri, CPI/RR, 01-24. Lorenzo Poli
Lula torna nella Zona Blu della 30ª Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici nella fase finale dei negoziati
Si prevede che il primo pacchetto di decisioni venga annunciato oggi e che la presenza del Presidente contribuisca a sbloccare alcune questioni all’ordine del giorno. 19.nov.2025 – 11:23 Belém (PA) Afonso Bezerra Ad oggi, 118 Paesi hanno presentato i loro NDCD (acronimo di Contributi Determinati a Livello Nazionale), ovvero gli obiettivi che i Paesi stessi si impegnano a raggiungere per ridurre le emissioni e raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. L’ordine del giorno del decimo giorno della Conferenza include il ruolo delle donne nella lotta al cambiamento climatico, soluzioni per i sistemi agroalimentari e una Riunione di Alto Livello sull’Azione Globale per il Clima, un momento cruciale della giornata incentrato sulla presentazione di proposte e annunci da parte dei leader. Un giorno prima dell’arrivo del presidente, decine di paesi che hanno formato la cosiddetta Alleanza Oltre il Petrolio e il Gas si sono incontrati in una conferenza stampa per dimostrare il loro sostegno all’appello del leader brasiliano e della Ministra dell’Ambiente e dei Cambiamenti Climatici, Marina Silva, per l’elaborazione di una “Roadmap” per la transizione dai combustibili fossili. “Il Brasile non ha paura di discutere di transizione energetica. Sappiamo già che non è necessario spegnere macchinari e motori, né chiudere fabbriche in tutto il mondo dall’oggi al domani. La scienza e la tecnologia ci consentono di evolvere in sicurezza verso un modello incentrato sull’energia pulita”, ha affermato il presidente al Summit dei leader, un evento che ha preceduto la Conferenza sul clima. > Lula retorna a Belém para ‘destravar negociações’ na reta final da COP30 Redazione Italia
Cop30 in Brasile e la guerra a Madre Natura. Intervista a Antonio Lupo
Il Brasile ospiterà la Cop30, partendo già male in nome del greenwashing, dell’agrobusiness e della Guerra a Madre Natura. Ne parliamo con Antonio Lupo, oncologo ed ematologo ex-aiuto primario all’Ospedale Niguarda di Milano, membro di Medici per l’Ambiente -ISDE e del Comitato Amigos Sem Terra Italia. Ambientalista da molti anni a fianco del Movimento Sem Terra in Brasile, con cui ha avuto esperienza di medicina territoriale; del Movimento La Via Campesina, una delle più grandi organizzazioni contadine ed ecologiste del Sud del Mondo a cui aderiscono più di 200 milioni di contadini e di Navdanya International, organizzazione ecologista e contadina internazionale fondata dall’attivista indiana Vandana Shiva, che si occupa di agroecologia e conservazioni dei semi. Qual è la tua esperienza nei movimenti ecologisti internazionali? Sono un vecchio medico ospedaliero, negli ultimi anni di attività anche medico di Base.  Nei primi anni ’90, avendo collaborato per diversi anni con il NAGA , una importante associazione di volontariato di Milano, ancora molto attiva, che cura ogni giorno i migranti senza permesso di soggiorno, ho imparato dai migranti tante cose sul percorso di “malattia” di ogni persona, che è anche un fatto sociale e culturale, tutte cose che non mi avevano insegnato né insegnano all’Università. Essendo nato e vissuto a Milano fino alla pensione conoscevo ben poco di  Madre Natura e dei suoi cicli: ho iniziato a imparare qualcosa dal 2004, quando abbiamo iniziato ad andare in Brasile, conoscendo il Movimento Sem Terra (MST) e vivendo per lunghi periodi negli accampamenti  dei suoi meravigliosi contadini, che occupano le terre incolte, per restare contadini e non essere espulsi nelle tremende Favelas delle megalopoli del Brasile, dove vivono 16,4 milioni di persone (dati 2022), e dove in gran parte comandano le bande mafiose, spesso in “buoni” rapporti con la polizia. Siamo tornati in Brasile 6 volte e siamo andati a conoscere anche i contadini e i popoli di Bolivia, Cile, Argentina, Cuba e  Honduras in America Latina, un Continente ancora “sotto il tacco”,  non solo degli USA, ma di tutto il colonialismo europeo, che lo ha invaso e massacrato nel 1500 e continua a condizionarlo, con speculazioni sulla sua produzione di materie prime ed export. Da 28 anni siamo fuggiti da Milano e dalla sua aria velenosa, come quella di tutta la Pianura Padana, la terza  area per maggior inquinamento dell’aria in UE, dopo Polonia e Repubblica Ceca. Viviamo in una città della Liguria, a pochi metri dal mare, tutti giorni vediamo il nostro splendido Mediterraneo soffrire, ancor più di tutti mari e Oceani, e maledirci per l’inquinamento e il surriscaldamento dell’acqua marina di origine antropica, che continua a danneggiare il fitoplancton e quindi la metabolizzazione della CO2, che produce ossigeno. I Mari e gli Oceani ricoprono il 70% della superficie terrestre e con l’atmosfera, comandano e rego-lano tutti i cicli naturali e quindi anche la terra (che è solo il 30%) e i suoi abitanti. Ricordiamocelo! Da qualche anno non andiamo in Brasile, ma siamo sempre grandi amigos di Via Campesina Inter-nazionale (un movimento mondiale di 200 milioni di piccoli contadini) e dei contadini brasiliani Sem Terra, che sono diminuiti di numero per l’offensiva spietata delle multinazionali mondiali dell’agrobusiness, che li espellono dalla terra ( l’urbanizzazione in Brasile è arrivata al 92%, come in Argentina!) e continuano a deforestare, per coltivare prodotti per i mangimi, da esportare per gli allevamenti intensivi in Europa e Cina. Questi prodotti agricoli sono soprattutto  la soia OGM e Mais OGM, coltivati in Brasile  (e anche in Argentina), dove si utilizzano pesticidi proibiti in UE (atrazina, acefato, clorotalonil e clorpirifos, i 4 più usati, pesticidi venduti in Brasile, anche da aziende con sede in Ue. Che vergogna!. E poi noi italiani, dove finora è proibito fare coltivazioni OGM, mangiamo, beati, questi prodotti, spesso ultraprocessati, di animali nutriti nei nostri allevamenti intensivi con questi foraggi, coltivati con pesticidi proibiti  in Ue, perchè patogeni! Come siamo stupidi! D’altronde sulle etichette di questi prodotti è proibito scrivere cosa ha mangiato l’animale, la grande tedesca Bayer, che produce enormi quantità di pesticidi, anche proibiti, e medicinali  non vuole! Cosa pensi della Cop30 che si terrà in Brasile? Dal 10 al 21 novembre la COP 30 si svolgerà in Brasile a Belem, alla Foce del Rio delle Amazzoni, 6.400 Km, il secondo fiume più lungo del mondo, dopo il Nilo. Tranne che su media specializzati, se ne è parlato pochissimo sui media, anche perchè il genocidio  ( non  una guerra!) a Gaza e la guerra in Ucraina hanno monopolizzato opinione pubblica e stampa. I Movimenti mondiali, soprattutto quelli contadini ed ecologisti, prevedono che ne uscirà ben poco. Joao Pedro Stedile, uno dei fondatori e leader  del MST, ha affermato pubblicamente che la COP30 sarà una grande farsa, nonostante l’urgenza di affrontare la crisi climatica in aumento vertiginoso, sopra-tutto il surriscaldamento globale, con conseguenti desertificazione, crisi idriche, eventi estremi ecc. Si parla genericamente di crisi climatica e di transizione ecologica, ma in realtà siamo nel CAOS climatico: l’unica sola via è smettere di fare la Guerra al Madre Natura ed  eliminare l’utilizzo di  carbonfossili e la conseguente emissione di gas serra. Il Re Petrolio continuerà ad essere centrale come sempre nelle politiche internazionali e nella geopolitica? Gli impegni assunti nel 2015 da 196 Paesi, con l’Accordo di Parigi alla COP21, per limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C  sono falliti, per “l’insufficienza degli stanziamenti finanziari, mentre 956 miliardi di dollari sono stati spesi dai governi nel 2023 in sussidi netti ai combustibili fossili.  Le strategie di aumento della produzione dei 100 colossi mondiali del petrolio e del gas porterebbero le loro emissioni a superare di quasi tre volte i livelli compatibili con il limite degli 1,5°C. E tuttora le banche private investono nel fossile.” Re Petrolio continuerà a comandare, all’aumento delle Rinnovabili in molti paesi “ricchi” non corrisponde una diminuzione dei consumi di Petrolio e gas: ad es. “in Italia nel 3° trimestre 2024, la produzione energetica da fonti rinnovabili è cresciuta dell’8%, ma accanto al calo del carbone, c’è stato un maggiore utilizzo di gas (+3%) e petrolio (+2,5%), con il primo in ripresa nella generazione elettrica e il secondo trainato dall’aumento della mobilità”  E’ inutile girarci attorno, il problema rimangono i Paesi più industrializzati… Abissali sono le differenze di consumi elettrici/ab ed emissioni di CO2/ ab tra i paesi ricchi e quelli del Sud del mondo, più che evidenti se confrontiamo ad es. i dati 2022 di USA e Nigeria, due paesi con centinaia di   milioni di abitanti: 1- Speranza vita: USA Uomini 74 anni, Donne 80 anni, Nigeria Uomini 53 anni, Donne 54 2- Consumi elettrici/ab :   -USA12.393 kWh , Nigeria  144 kWh 3-  Emissioni di CO2/ ab:  USA  14,95 Ton.,   Nigeria 0,59 Ton. Confrontiamo anche i dati 2022 del Brasile, una colonia fino al 1822, con 213 milioni di abitanti,  grande 27 volte l’Italia (densità 25 ab.Kmq), e dell’Italia, 59 milioni abitanti ( densità 195 ab.Kmq): 1- Speranza vita:              Brasile Uomini 70 anni, Donne 76 anni, Italia Uomini 79 anni, Donne 86 2- Consumi elettrici/ab :  Brasile 2710  kWh , Italia 4872 kWh 3-  Emissioni di CO2/ab:  Brasile 2,25 Ton.,    Italia 5,73 Ton. Alla Cop30 quindi si discuteranno le false soluzioni alla crisi climatica? A Belem (Stato del Parà), dal 12 al 16 novembre si terrà la Cupola dei Popoli, in parallelo alla riunione di COP30, organizzata dai movimenti dell’America Latina, compreso MST, a cui parteciperanno circa 15 mila delegati di tutti i movimenti mondiali,  per confrontarsi e sollecitare  ai Governi riuniti nella COP30 vere soluzioni, non quelle false come i Mercati del Carbonio, la geoingegneria, il sequestro e stoccaggio del carbonio. Tutti i movimenti sono contro i Crediti di Carbonio, una nuova forma di colonizzazione capitalista, uno strumento finanziario, per cui un’entità, che non può ridurre direttamente le proprie emissioni, può acquistare il diritto a emettere CO2, compensando tale emissione attraverso investimenti in progetti che la riducono altrove. In un manifesto pubblicato alla vigilia della COP30, 55 movimenti e organizzazioni di 14 paesi dell’America Latina e dei Caraibi si sono riuniti per respingere i mercati del carbonio e difendere i loro territori contro una valanga di progetti di compensazione del carbonio che sta causando danni in tutta la regione. Una nuova ricerca di Oxfam e del CARE Climate Justice Centre, pubblicata il 6 Ottobre 2025 rileva che per ogni 5 dollari ricevuti, i paesi in via di sviluppo ne restituiscono 7. A livello globale, quasi il 70% dei finanziamenti viene erogato sotto forma di prestiti anziché di sovvenzioni. Il fatto che la Cop30 avverrà nel Brasile di Lula è un segnale di multipolarismo o di ennesimo avallo all’estrattivismo? La Cop30 sarà presieduta da Lula, Presidente del Brasile, il cui Governo, che ha aderito all’Opec, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, nel febbraio 2025). Dopo 5 anni di battaglia tra Petrobras, l’industria petrolifera statale brasiliana, e Ibama, l’organismo di controllo ambientale, il governo Lula ha autorizzato il 20 ottobre 2025 l‘esplorazione, ai fini di successive trivellazioni di 19 Blocchi alla Foce del Rio delle Amazzoni. “Il progetto prevede la perforazione di un pozzo esplorativo nel Blocco 59, un sito offshore a 500 km dalla foce del Rio delle Amazzoni e a 160 km dalla costa, ad una profondità di oltre 2.800 metri. L’area, nota come Margine equatoriale, è considerata una promettente nuova frontiera petrolifera, sull’onda delle grandi scoperte offshore operate nella vicina Guyana. Secondo Petrobras, le trivellazioni,  inizieranno immediatamente e dureranno cinque mesi. E’ un  progetto prioritario per Lula, che sostiene che le maggiori entrate derivanti dal petrolio saranno fondamentali per finanziare la transizione climatica del Brasile, un Paese che, pur essendo l’8° produttore mondiale di petrolio, ricava circa metà della sua energia da fonti rinnovabili.”   “Mentre lo shale oil sta calando, a livello mondiale quello estratto con trivellazioni offshore da acque profonde (Deep Water) vedrà un’impennata del 60% entro il 2030. Per trovare giacimenti di petrolio e gas sotto il fondo marino, le compagnie energetiche usano cannoni ad aria compressa per creare mappe sismiche”. Dopo la fase di esplorazione l’ANP, l’Agenzia Nazionale Petrolio brasiliana, ha già concesso alle industrie petrolífere Petrobras, ExxonMobil, Chevron e CNPC 19 blocchi per lo sfruttamento di petrolio e gas alla Foce del Rio Amazonas: 10 blocchi alla statale Petrobras e alla ExxonMobil, in un consorzio 50/50 gli altri 9 blocchi a un consorzio composto da Chevron (65%) e dalla statale cinese CNPC (35%), che nel frattempo  ha dato il via a trivellazioni in acque ultra-profonde, fino 11 mila metri per la ricerca di petrolio e gas, per cercare di affrancarsi dal petrolio straniero . In Brasile il Petrolio è ora il principale prodotto di esportazione, avendo superato la soia.Nel 2006 c’è stata in Brasile la prima estrazione di Petrolio PreSal, a profondità fino ai 7000 metri, sotto uno strato di sale spesso fino a 2.500 metri, ma nell’ultimo trimestre 2024 la produzione di  è diminuita del 3,4%, per la necessità di più frequenti fermate per manutenzione dell’estrazione dai pozzi, ma il petrolio da presal, estratto nei bacini di Santos e Campos,  rappresenta ancora a novembre 2024 il 71,5 della produzione totale di petrolio in Brasile. Anche per questa crisi del PreSal il governo punta ad estrazioni offshore a minor profondità e in altre località del mare. Inoltre è da tener presente che il Brasile produce Petrolio greggio da raffinare, ma ha solo 14 raffinerie ( l’Italia ne ha 11), molte  vecchie e con limitazioni tecnologiche per la lavorazione del petrolio pre-sal, che è più leggero e richiede adattamenti. Il Brasile esporta attualmente il 52,1% della sua produzione di petrolio (dati 2024 INEEP (Istituto per gli Studi Strategici su Petrolio, Gas e Biocarburanti). Questo petrolio finisce per essere raffinato in altri Paesi e una parte torna persino in Brasile come combustibile. La Cina importa il 50% del petrolio estratto dal presal non raffinato. Il Brasile importa ancora fino al 25% del suo gasolio ( con cui alimenta  camion, trattori, autobus e macchinari agricoli) e il 10% della  benzina che consuma. Non c’è una Sovranità energetica.  I colli di bottiglia nella raffinazione mostrano una contraddizione che grava pesantemente sulle tasche dei brasiliani, secondo i dati dell’OEC. E’ bene sapere che in Brasile la popolazione è costretta a viaggiare in bus e auto, i binari per trasporto di treni passeggeri sono solo 1500 km, rispetto ai 30.129 mila Km per trasporto merci dei quali solo 1121 elettrificati. E’ un bene che in Brasile nel 2024  ci sia stato una diminuzione delle emissioni di CO2 del 16,7% , secondo l’Osservatorio brasiliano sul clima, una rete di ONG ambientaliste, attribuita al successo del governo di Lula nella lotta alla deforestazione, ma le enormi contraddizioni di Lula stanno esplodendo alla vigilia della sua presidenza della COP 30. Lula ha sempre considerato il Petrolio fondamentale per lo sviluppo del Paese e nell’ultimo anno l’ha difesa più volte dal essere considerata responsabile dell’aumento dei prezzi dei combustibili, ma nell’ultimo anno le ha chiesto di non pensare solo agli azionisti. Che posizione ha il Movimento Sem Terra di fronte a queste contraddizioni? Nell’ultimo mese come Comitato Amigos MST Italia abbiamo chiesto al MST  la sua posizione ufficiale in merito all’autorizzazione per le trivellazioni alla foce del Rio delle Amazzoni, concessa dal governo Lula, che include, per il 65% aziende americane (ExxonMobil e Chevron). Abbiamo scritto: “Il Brasile fa parte dei BRICS (che includono anche governi razzisti e autoritari, come Iran, India, Egitto, ecc.) permetterà agli Stati Uniti di massacrare il Mar del Pará (un oceano che, essendo il più forte, reagirà inevitabilmente, con conseguenze gravi e non del tutto prevedibili per i cambiamenti climatici e anche per la regione amazzonica), tutto questo alla vigilia della COP 30, che il governo Lula presiederà?”. Stedile ci ha risposto: “Avete assolutamente ragione. In effetti, stiamo vivendo molte contraddizioni in ambito ambientale sotto il governo Lula …. ma le forze del capitale sono più forti.” I movimenti ecologisti, contadini, indigeni e terzomondisti continueranno la loro lotta contro quella che Vandana Shiva chiama “ecoapartheid”? Tutta Via Campesina, i movimenti ambientalisti mondiali e  tutti movimenti brasiliani lottano e lotteranno contro questo ecocidio. Anche la Commissione per l’Ecologia Integrale dei vescovi brasiliani CNBB ha preso una posizione durissima: “La Conferenza episcopale brasiliana (CNBB) condanna le trivellazioni petrolifere nel Margine equatoriale e mette in guardia dall’incoerenza del governo in materia di clima” CNBB ha ricordato che due anni fa, Papa Francesco, nella sua esortazione Laudato Deum sulla crisi climatica, avvertiva: «Le compagnie petrolifere e del gas hanno l’ambizione di realizzare nuovi progetti per espandere ulteriormente la loro produzione. (…) Ciò significherebbe esporre tutta l’umanità, specialmente i più poveri, ai peggiori impatti dei cambiamenti climatici”(LD 53). Vedremo come i movimenti riusciranno a incidere sulla COP 30 dei Governi. La nostra lotta, senza guerra, continua, come ci hanno insegnato in America Latina. Ricordiamoci sempre le parole illuminanti di Papa Bergoglio “Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la Natura non perdona mai”, di certo non perchè Madre Natura sia matrigna, come affermava l’illustre oncologo Umberto Veronesi.E’ l’uomo e il patriarcato che sono spesso patrigni. Stop alla Guerra a MADRE NATURA! Stop all’estrazione di Petrolio e al Massacro dei Mari! Lorenzo Poli
Brasile: processo a Bolsonaro, rischi amnistia e mobilitazioni popolari
Insieme ad Andrea Cegna parliamo della storica condanna a 27 anni per tentato golpe dell’ex presidente Bolsonaro. Sul fronte interno, però, il parlamento brasiliano ha nel frattempo dato segni di voler avviare un provvedimento di amnistia. Anche Trump preme sul paese, definendo “sorprendente” la condanna e assicurando vicinanza al suo amico Bolsonaro. Ma il 21 […]
L’amministrazione Lula ritira il Brasile dall’alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto
Brasilia – Uol. Il governo di Luiz Inácio Lula da Silva (Partito dei Lavoratori) si è ritirato dall’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto (IHRA), un’organizzazione internazionale creata per combattere l’antisemitismo. La notizia è stata diffusa dal ministero degli Affari esteri israeliano giovedì 24 luglio e confermata da fonti del ministero degli Esteri brasiliano (Itamaraty). Secondo il governo brasiliano, l’adesione all’IHRA nel 2021, durante l’amministrazione di Jair Bolsonaro, è stata fatta in modo superficiale. Fonti del ministero degli Esteri hanno riferito che tra le ragioni del ritiro, che non è stato ancora formalizzato (il Brasile compare sul sito web dell’IHRA come membro osservatore), ci sono gli obblighi che il Paese dovrebbe avere nei confronti dell’alleanza, che comporterebbe l’impiego di risorse finanziarie.  Il 23, il governo brasiliano ha formalizzato la sua adesione alla causa intentata dal Sudafrica presso la Corte Internazionale di Giustizia, accusando Israele di aver commesso un genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza. Il ministero degli Esteri nega che il ritiro dall’alleanza abbia una relazione diretta con l’adesione alla causa. Nella dichiarazione che annunciava l’adesione del Sudafrica alla causa, il ministero degli Esteri ha criticato Israele per la sua campagna militare nella Striscia di Gaza, che dura da quasi due anni nonostante la devastazione del territorio palestinese e la morte di importanti leader di Hamas. Anche le azioni in Cisgiordania, territorio palestinese in cui Israele è spesso impegnato militarmente e occupato da coloni ebrei, sono state criticate. “Il Brasile ritiene che non ci sia più spazio per ambiguità morali o omissioni politiche. L’impunità mina la legalità internazionale e compromette la credibilità del sistema multilaterale”, si legge nella dichiarazione dell’Itamaraty. Le azioni del governo brasiliano sono state definite da Israele “una dimostrazione di un profondo fallimento morale”. Dall’inizio della guerra a Gaza nel 2023, le relazioni tra lo Stato ebraico e il Paese si sono deteriorate. Nel febbraio dello scorso anno, Lula ha dichiarato che le azioni dell’esercito israeliano a Gaza erano paragonabili all’Olocausto degli ebrei, ed è stato  considerato persona non grata in Israele. Questo episodio ha portato al ritiro dell’ambasciatore brasiliano in Israele, Frederico Meyer, a maggio. La posizione rimane vacante e le relazioni diplomatiche tra i due Paesi rischiano di deteriorarsi ulteriormente nei prossimi mesi, poiché l’Itamaraty continua a rifiutare al diplomatico Gali Dagan di assumere l’incarico di ambasciatore di Israele a Brasilia. La posizione è attualmente ricoperta da Daniel Zonshine. L’uscita  dell’IHRA e il sostegno del Sudafrica all’azione di questa settimana, tuttavia, coincidono con l’aumento delle pressioni della comunità internazionale su Israele, che ha incluso l’annuncio del presidente francese Emmanuel Macron del suo riconoscimento dello Stato di Palestina e la denuncia da parte delle organizzazioni umanitarie della fame diffusa tra i palestinesi. Il ministero degli Esteri ha accolto con favore la decisione presa giovedì da Macron di riconoscere lo Stato di Palestina all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, prevista per settembre, una mossa criticata  da Israele. Critiche all’IHRA. L’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) si definisce un’unione di governi ed esperti per “rafforzare e promuovere l’educazione, la memoria e la ricerca sull’Olocausto”. Creata negli anni ’90, l’organizzazione conta 35 membri e 8 osservatori (tra cui il Brasile, che, a partire da questo sabato, rimane un osservatore sul sito web). Secondo l’organizzazione, i membri dell’alleanza devono riconoscere che “il coordinamento politico internazionale è essenziale”. per combattere la crescente distorsione dell’Olocausto e l’antisemitismo”. L’IHRA è criticata da settori dell’ebraismo e da gruppi per i diritti umani, che accusano l’organizzazione di usare la memoria dell’Olocausto per proteggere lo Stato di Israele. La definizione di antisemitismo dell’organizzazione, adottata dai paesi europei e dagli Stati Uniti, affermano i critici, considera antisemite le posizioni contro Israele. Nel 2023, un gruppo di oltre 100 organizzazioni per i diritti umani, tra cui B’TSelem, la più grande organizzazione per i diritti umani in Israele, Human Rights Watch, Amnesty International e l’American Liberties Union, ha presentato una petizione alle Nazioni Unite per respingere il concetto di antisemitismo dell’IHRA. Le critiche sono espresse anche da uno dei principali ideatori della definizione, Kenneth Stern, un avvocato per i diritti umani. “L’adozione della definizione da parte di governi e istituzioni è spesso presentata come un passo essenziale negli sforzi per combattere l’antisemitismo. Nella pratica, tuttavia, la definizione dell’IHRA è stata spesso utilizzata per etichettare erroneamente le critiche a Israele come antisemite e quindi per soffocare e talvolta sopprimere proteste non violente, attivismo e discorsi critici nei confronti di Israele e/o del sionismo, anche negli Stati Uniti e in Europa”, si legge nella lettera del gruppo.
Il Brasile si unisce alla lotta: un’altra nazione si oppone al genocidio israeliano a Gaza
Brasilia –Presstv.ir. Il Brasile si sta preparando a far valere il proprio peso legale a sostegno della causa per genocidio intentata dal Sudafrica contro il regime israeliano presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG). La decisione è stata inizialmente riportata dal quotidiano brasiliano Folha de S. Paulo e successivamente confermata da Reuters mercoledì, citando una fonte vicina alla vicenda. Il Sudafrica ha avviato la causa nel 2023, dopo che il regime ha sottoposto la striscia costiera a una vera e propria guerra genocida, accusando il brutale assalto militare di aver violato la Convenzione sul genocidio del 1948. Lo scorso ottobre, Pretoria ha presentato una memoria dettagliata al tribunale dell’Aja, illustrando le prove del genocidio. Al crescente coro di nazioni che chiedono l’accertamento delle responsabilità si sono già uniti Spagna, Turchia e Colombia, che hanno fatto richiesta di adesione alla causa. Gli esperti hanno definito la decisione di Brasilia audace, sottolineando come ponga la potenza latinoamericana in netto contrasto con gli Stati Uniti, il principale sostenitore del regime. «Il muro dell’impunità comincia a incrinarsi» Gli analisti hanno anche osservato come la crescente ondata di opposizione stia erodendo l’impunità del regime, garantita dagli Stati Uniti, che puntualmente pongono il veto a qualsiasi azione delle Nazioni Unite contro Tel Aviv. Washington ha accompagnato il suo pieno sostegno politico con un aiuto militare illimitato, fornendo a Tel Aviv miliardi di dollari lungo tutto il conflitto iniziato il 7 ottobre 2023. Finora, oltre 59.200 palestinesi — in gran parte donne e bambini — sono morti a causa dell’assalto. Il genocidio impiega anche la fame come “arma di guerra”, come dimostrato dall’assedio quasi totale imposto da Tel Aviv al territorio palestinese.
Il Brasile “ecologista” di Lula svende i giacimenti di petrolio. Monta la protesta indigena
Il Brasile del presidente Lula continua a spingere per la produzione di petrolio, davanti alle proteste crescenti della popolazione indigena e dei gruppi ambientalisti. il Paese ha infatti messo all’asta oltre 170 blocchi petroliferi offshore, molti dei quali situati in aree incontaminate, come per esempio alla foce del Rio della Amazzoni. Al termine dell’asta, tenutasi presso un hotel di lusso di Rio de Janeiro, l’agenzia petrolifera brasiliana ha osservato che i bonus di firma ammontavano a circa 180 milioni di dollari. Nel frattempo, fuori dall’albergo, i gruppi indigeni hanno organizzato una protesta per contestare l’asta e rivendicare il diritto a essere chiamati in causa nelle questioni che riguardano le aree di loro competenza. In generale, le associazioni ambientaliste e la popolazione indigena protestano da tempo contro le politiche di Lula, che sin dal suo insediamento si era posto l’obiettivo di tutelare l’Amazzonia. Ciononostante, il suo governo ha preso diverse decisioni giudicate controverse, rafforzando la produzione di petrolio del Paese e aprendo al disboscamento di ingenti aree dell’Amazzonia per costruire un’autostrada per Belém, sede della prossima Conferenza delle Parti sul Clima (COP30). L’asta indetta dal Brasile si è tenuta a Rio de Janeiro martedì 17 giugno. Di preciso, l’Agenzia Nazionale del Petrolio ha messo all’asta 172 blocchi offshore di petrolio; di questi, 47 erano località vicino alla foce del Rio delle Amazzoni, e 2 siti nell’entroterra amazzonico vicino ai territori indigeni. L’Agenzia è riuscita a vendere un totale di 34 blocchi, di cui 19 alle multinazionali degli idrocarburi Chevron, ExxonMobil, Petrobras e CNPC. Un rappresentante dell’agenzia ha affermato che il premio più alto è stato assegnato a un blocco situato vicino alla foce del Rio delle Amazzoni, area giudicata particolarmente promettente dalle grandi multinazionali del petrolio. In una dichiarazione di apertura registrata all’inizio dell’evento, l’Agenzia nazionale per il petrolio ha affermato che le aste fanno parte della strategia di diversificazione energetica e allontanamento dal carbonio del Paese, e che prevedrebbero la sottoscrizione di contratti dotati di investimenti obbligatori in progetti di transizione energetica. Fuori dall’albergo dove si svolgeva l’asta, gruppi indigeni e ambientalisti hanno inscenato una protesta per denunciare i rischi dell’allargamento della produzione petrolifera nell’area interessata. Proprio i primi stanno guidando la protesta in difesa del territorio amazzonico, rivendicando il proprio diritto a essere consultati quando il governo prende decisioni sull’area: «Siamo venuti a Rio per contestare l’asta», ha dichiarato un membro della tribù amazzonica dei Manoki presente alla manifestazione. «Avremmo voluto essere consultati e vedere studi su come le trivellazioni petrolifere avrebbero potuto avere ripercussioni su di noi. Nulla di tutto ciò è stato fatto». In una intervista all’agenzia di stampa Associated Press, invece, Nicole Oliveira, direttrice esecutiva dell’organizzazione no-profit ambientale Arayara, ha sottolineato che alcuni dei bacini interessati dalle vendite «non hanno ancora ricevuto la licenza ambientale», e ha annunciato l’intenzione di muovere causa contro l’asta. In generale, i manifestanti giudicano il governo Lula incoerente, perché da un lato si presenta come strenuo difensore dell’ambientalismo, e dall’altro spinge sempre di più ad aumentare la produzione di petrolio. Sin dal suo insediamento nel 2023 Lula ha dichiarato che al centro della sua presidenza ci sarebbe stata proprio la tutela dell’Amazzonia. Lula aveva già portato avanti tale agenda negli anni in cui aveva governato il Brasile – dal 2003 al 2011 – in cui la deforestazione è diminuita da 27.700 chilometri quadrati all’anno a 4.500 chilometri quadrati all’anno. Una svolta resa possibile soprattutto dalla creazione di aree di conservazione e riserve indigene. Eppure, sono tante le scelte contrarie alle sue dichiarate intenzioni. Già durante la cerimonia di insediamento, infatti, il nuovo presidente si era detto favorevole alla costruzione di una grande autostrada in Amazzonia, presentandola come un capolavoro di «crescita e sviluppo». Il progetto era in cantiere da anni ed è stato lanciato da Bolsonaro, il predecessore di Lula: esso prevede il disboscamento di ettari di foresta per favorire la costruzione di un’autostrada a quattro corsie lunga 13,6 chilometri che porti alla città brasiliana di Belém, dove a novembre di quest’anno si terrà la COP30.   L'Indipendente
Il discorso di Lula su Israele: dobbiamo smettere con questo vittimismo (dell’antisemitismo)! È un genocidio!
Brasilia – MEMO. Il presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha nuovamente criticato duramente il governo israeliano per il genocidio nella Striscia di Gaza. Durante una conferenza stampa, martedì mattina 3 giugno, gli è stato chiesto di commentare una dichiarazione dell’ambasciata israeliana in Brasile che criticava il governo brasiliano, e ha risposto ribadendo le sue posizioni. Date un’occhiata: “Il Presidente della Repubblica non risponde a un’ambasciata. Il Presidente della Repubblica ribadisce ciò che ha detto. Quello che sta succedendo a Gaza non è una guerra. È un esercito che uccide donne e bambini. Probabilmente tutte le persone di buon senso del mondo, compresi i membri del popolo israeliano, e avrete letto una lettera dell’ex-primo ministro di Israele, criticano il fatto che non si tratti più di una guerra, ma di un genocidio. Avete già visto le lettere dei militari che affermano che non si tratta di una guerra, ma di un genocidio. Non si può, con il pretesto di trovare qualcuno, continuare a uccidere donne e bambini, lasciandoli affamati”. “Non so se avete visto la scena dei due bambini che portavano farina da mangiare e che sono stati uccisi. In altre parole, è proprio perché il popolo ebraico ha sofferto nella sua storia che il governo israeliano dovrebbe avere buon senso e umanità nei confronti del popolo palestinese”. “Si comportano come se il popolo palestinese fosse un cittadino di seconda classe. E lo diciamo da molto tempo. Il Brasile è stato il primo Paese a riconoscere questo […] Stato, qui in Sud America, e lo ripeto: ci sarà pace solo quando avremo il concetto che i palestinesi hanno diritto al loro Stato, alla terra demarcata, all’accordo stipulato nel 1967, che il governo israeliano non vuole permettere che venga rispettato. E ogni giorno ordina attacchi sul territorio palestinese, compresi i tentativi di attaccare la Cisgiordania per colpire i contadini palestinesi. Tutto qui. E voi venite a dire che questo è antisemitismo? Dovete fermare questo vittimismo e capire che ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza è un genocidio. Ed è la morte di donne e bambini che non partecipano a una guerra. È la decisione di un governo che nemmeno il popolo ebraico vuole. Quindi, come essere umano, nemmeno come presidente della Repubblica del Brasile, come essere umano, non posso accettare questo come se fosse una guerra normale. Non lo è!”