Il Brasile “ecologista” di Lula svende i giacimenti di petrolio. Monta la protesta indigenaIl Brasile del presidente Lula continua a spingere per la produzione di
petrolio, davanti alle proteste crescenti della popolazione indigena e dei
gruppi ambientalisti. il Paese ha infatti messo all’asta oltre 170 blocchi
petroliferi offshore, molti dei quali situati in aree incontaminate, come per
esempio alla foce del Rio della Amazzoni. Al termine dell’asta, tenutasi presso
un hotel di lusso di Rio de Janeiro, l’agenzia petrolifera brasiliana ha
osservato che i bonus di firma ammontavano a circa 180 milioni di dollari. Nel
frattempo, fuori dall’albergo, i gruppi indigeni hanno organizzato una protesta
per contestare l’asta e rivendicare il diritto a essere chiamati in causa nelle
questioni che riguardano le aree di loro competenza. In generale, le
associazioni ambientaliste e la popolazione indigena protestano da tempo contro
le politiche di Lula, che sin dal suo insediamento si era posto l’obiettivo di
tutelare l’Amazzonia. Ciononostante, il suo governo ha preso diverse decisioni
giudicate controverse, rafforzando la produzione di petrolio del Paese e aprendo
al disboscamento di ingenti aree dell’Amazzonia per costruire un’autostrada per
Belém, sede della prossima Conferenza delle Parti sul Clima (COP30).
L’asta indetta dal Brasile si è tenuta a Rio de Janeiro martedì 17 giugno. Di
preciso, l’Agenzia Nazionale del Petrolio ha messo all’asta 172 blocchi offshore
di petrolio; di questi, 47 erano località vicino alla foce del Rio delle
Amazzoni, e 2 siti nell’entroterra amazzonico vicino ai territori indigeni.
L’Agenzia è riuscita a vendere un totale di 34 blocchi, di cui 19 alle
multinazionali degli idrocarburi Chevron, ExxonMobil, Petrobras e CNPC. Un
rappresentante dell’agenzia ha affermato che il premio più alto è stato
assegnato a un blocco situato vicino alla foce del Rio delle Amazzoni, area
giudicata particolarmente promettente dalle grandi multinazionali del petrolio.
In una dichiarazione di apertura registrata all’inizio dell’evento, l’Agenzia
nazionale per il petrolio ha affermato che le aste fanno parte della strategia
di diversificazione energetica e allontanamento dal carbonio del Paese, e che
prevedrebbero la sottoscrizione di contratti dotati di investimenti obbligatori
in progetti di transizione energetica.
Fuori dall’albergo dove si svolgeva l’asta, gruppi indigeni e ambientalisti
hanno inscenato una protesta per denunciare i rischi dell’allargamento della
produzione petrolifera nell’area interessata. Proprio i primi stanno guidando la
protesta in difesa del territorio amazzonico, rivendicando il proprio diritto a
essere consultati quando il governo prende decisioni sull’area: «Siamo venuti a
Rio per contestare l’asta», ha dichiarato un membro della tribù amazzonica dei
Manoki presente alla manifestazione. «Avremmo voluto essere consultati e vedere
studi su come le trivellazioni petrolifere avrebbero potuto avere ripercussioni
su di noi. Nulla di tutto ciò è stato fatto».
In una intervista all’agenzia di stampa Associated Press, invece, Nicole
Oliveira, direttrice esecutiva dell’organizzazione no-profit ambientale Arayara,
ha sottolineato che alcuni dei bacini interessati dalle vendite «non hanno
ancora ricevuto la licenza ambientale», e ha annunciato l’intenzione di muovere
causa contro l’asta. In generale, i manifestanti giudicano il governo Lula
incoerente, perché da un lato si presenta come strenuo difensore
dell’ambientalismo, e dall’altro spinge sempre di più ad aumentare la produzione
di petrolio.
Sin dal suo insediamento nel 2023 Lula ha dichiarato che al centro della sua
presidenza ci sarebbe stata proprio la tutela dell’Amazzonia. Lula aveva già
portato avanti tale agenda negli anni in cui aveva governato il Brasile – dal
2003 al 2011 – in cui la deforestazione è diminuita da 27.700 chilometri
quadrati all’anno a 4.500 chilometri quadrati all’anno. Una svolta resa
possibile soprattutto dalla creazione di aree di conservazione e riserve
indigene. Eppure, sono tante le scelte contrarie alle sue dichiarate intenzioni.
Già durante la cerimonia di insediamento, infatti, il nuovo presidente si era
detto favorevole alla costruzione di una grande autostrada in
Amazzonia, presentandola come un capolavoro di «crescita e sviluppo». Il
progetto era in cantiere da anni ed è stato lanciato da Bolsonaro, il
predecessore di Lula: esso prevede il disboscamento di ettari di foresta per
favorire la costruzione di un’autostrada a quattro corsie lunga 13,6 chilometri
che porti alla città brasiliana di Belém, dove a novembre di quest’anno si terrà
la COP30.
L'Indipendente