La radicalizzazione della destra cilena
Articolo di Javier Molina
Domenica 16 novembre in Cile si sono tenute le elezioni presidenziali e
parlamentari. Come previsto dalla maggior parte dei sondaggi, la candidata
comunista Jeannette Jara ha vinto con poco più del 26% dei voti, spostando
l’attenzione sulla lotta interna tra i tre principali candidati della destra.
Negli ultimi mesi, si è molto discusso a sinistra sullo scenario migliore per il
candidato del partito al governo in caso di ballottaggio: affrontare José
Antonio Kast (che alla fine è passato al secondo turno), Johannes Kaiser o
Evelyn Matthei. Secondo gli ultimi sondaggi, però, Jara perderebbe con tutti e
tre gli scenari. Per cui il problema sta quindi nelle caratteristiche del
discorso di questi candidati di destra che molto probabilmente formeranno il
prossimo governo, cercando di dimostrare, al di là della battaglia elettorale,
cosa significa realmente il clima di radicalizzazione della destra cilena e la
lotta per conquistare il senso comune dell’opinione pubblica. Non è un caso che
due di questi candidati abbiano insistito di essere «il candidato del buon
senso».
LA DESTRA CILENA DOPO LA DITTATURA
In primo luogo, esaminiamo quali siano le linee ideologiche di questi progetti
politici e quali siano le principali differenze tra i candidati di destra. La
questione non è tanto se il loro discorso sia pinochetista, paleolibertario,
sessista, xenofobo o negazionista dell’Olocausto, perché, in misura maggiore o
minore, sia Matthei che i fratelli KaKa contengono questi elementi, seppur in
combinazioni diverse. Il filo conduttore dei Chicago Boys, l’ideologia egemonica
della destra cilena post-dittatura, non è stato superato; si è semplicemente
diversificato. In effetti, le candidature dei presunti «riformatori» di questa
destra – Kaiser e KaKa – sono complementari, e spiegheremo perché.
In larga misura, ognuno di loro approfondisce uno o più aspetti di quel quadro
ideologico-politico, senza tentare di trascenderlo. Secondo la nostra ricerca,
Johannes Kaiser è più vicino al modello dell’argentino Milei, cioè al
paleolibertarismo, sebbene lo combini con una dose dello stato securitario di
Bukele [presidente del Salvador, ndt]. Questa miscela si è incarnata
ideologicamente nel «nuovo» Partito nazional-libertario, un nome simile al
partito guidato da Mussolini un secolo fa o al progetto del cugino argentino.
Non è un caso che suo fratello Axel lavori per il governo argentino attraverso
la Fondazione Faro e alcune consulenze tecniche, e che sia amico di Javier Milei
da anni (Milei lo ha citato più volte come riferimento ideologico). Axel è anche
diventato uno dei principali intellettuali del neoliberismo in America latina,
attraverso reti di think tank. Sua sorella, Vanessa Kaiser, è più vicina a Sara
Huff, Agustín Laje e Santiago Abascal, ovvero alla destra conservatrice. Non
sorprende che difenda l’idea di una guerra culturale e si opponga a quello che
in quell’ambito viene definito marxismo culturale, con particolare attenzione
alla «difesa della famiglia tradizionale».
Sebbene si presenti come un outsider, non ha lo stesso tipo di personalità
pubblica del suo vicino argentino. Forse la cultura cilena non ne ha bisogno.
Kaiser non va in giro con una motosega; preferisce invece indossare una cravatta
con la Costituzione degli Stati uniti stampata sopra, come fece nel primo
dibattito televisivo. Non urla né canta in pubblico e parla tedesco nelle
interviste con i giornalisti tedeschi. Ha trascorso gran parte degli ultimi anni
lavorando in Austria e, attraverso il suo canale YouTube, ha costruito una
community che lo ha portato alla sua elezione a parlamentare nel 2022.
All’epoca, Kast lo invitò a candidarsi, e lui si presentò alla corsa con il
Partito repubblicano, ora uno dei suoi rivali.
Rifiuta i Brics (il blocco dei paesi emergenti), difende l’amministrazione Trump
e mantiene uno stretto rapporto con il sionismo. In questo senso, ci si potrebbe
chiedere se la presunta sovranità di Johannes Kaiser non sia solo una cortina
fumogena, soprattutto considerando le reti transnazionali della famiglia Kaiser
all’interno della «nuova destra». La sua piattaforma si addentra nella guerra
culturale e nella difesa dei valori trascendentali, in linea con la crociata di
civiltà promossa dalla destra conservatrice. Pertanto, sebbene non invochi
costantemente la religione, il suo obiettivo finale è una riconquista teologica
del mondo.
In questo modo, è riuscito a catturare i voti più radicali di Kast, lasciandolo
al «centro» all’interno dell’ala destra. Vale a dire, tra la radicalizzazione
del minarchismo e la controrivoluzione culturale dello stesso Kaiser e la
candidatura di Evelyn Matthei. La destra mainstream – i partiti della destra
dittatoriale e le loro successive ramificazioni, inclusi settori significativi
della vecchia Democrazia cristiana – è rimasta con Matthei, che ha cercato di
diventare un «nuovo centro». Questa forza centripeta della destra non ha
ottenuto abbastanza slancio e, come tutti i sondaggi prevedevano, non è arrivata
al ballottaggio. Si tratta degli stessi gruppi di destra che difendono i
pilastri del regime dittatoriale, seppur con alcune sfumature economiche,
nazionaliste o socio-cristiane.
José Antonio Kast, d’altra parte, è un politico più noto, di formazione
conservatrice e proveniente direttamente dalla destra mainstream (l’Udi, il
partito di Jaime Guzmán, di cui Matthei è ora membro). La differenza
fondamentale è che Kast sta cercando da tempo di riorientare il progetto di
Guzmán e di riposizionare il conservatorismo, incorporando un’agenda incentrata
su valori e principi presumibilmente dimenticati. In altre parole, sta tentando
una ri-teologizzazione del discorso di destra che, a suo avviso, si è
concentrato troppo sull’economia e sull’amministrazione, trascurando i principi
morali.
Ecco perché si è schierato con il Forum di Madrid, guidato da Abascal, con gli
incontri del Cpac in Brasile e in altri paesi e, come chiunque avrebbe potuto
immaginare, con il clan Bolsonaro. Ha legami con gruppi nazionalisti in Europa,
in Ungheria, Spagna e Italia, che si collocano come parte del progetto di difesa
della «civiltà cristiana occidentale», una crociata civilizzatrice che traduce
la politica in termini teologici. Ha persino parlato in recenti discorsi del
pericolo della «Grande Sostituzione», e vale la pena ricordare che è figlio di
un militante nazista; il che non significherebbe nulla se avesse cambiato la sua
retorica, cosa che non ha fatto.
Oggi non è esattamente lo stesso candidato del 2021. Mantiene un tono pacato, ma
ha attenuato l’enfasi religiosa. Ciononostante, parla della crisi della
«famiglia tradizionale», della lotta contro quella che chiamano ideologia
gender, e così via. Come ha raccontato sua moglie, Maria Pia Adriasola, durante
la campagna precedente, Kast l’ha sconsigliata dall’uso della contraccezione per
motivi religiosi: hanno avuto nove figli. È un attivista antiabortista. Non
sorprende che siano state le donne a causare la sua sconfitta elettorale alle
ultime elezioni.
Il focus principale della sua campagna è stato la sicurezza e l’immigrazione;
non è un caso che in ogni dibattito menzioni il narcotraffico, il terrorismo, la
violenza e gli immigrati clandestini, in particolare venezuelani e colombiani.
Il secondo processo costituzionale (2022-2023) è stato guidato dal Partito
repubblicano, rivelando il livello di conservatorismo morale tra i suoi membri:
evangelici conservatori, membri dell’Opus Dei, cattolici tradizionalisti, tra
gli altri. Sono le stesse persone che hanno promosso l’autobus transfobico
qualche anno fa, che difendono la «famiglia tradizionale», che si oppongono
all’aborto anche nei tre casi previsti dalla legge e che sono vicine a movimenti
come «Non scherzare con i miei figli».
Nonostante la sconfitta, hanno guadagnato terreno nella battaglia ideologica, in
un contesto in cui la Costituzione della dittatura di Pinochet appariva quasi
moderata rispetto alla proposta di questo gruppo. Ciò ha spostato i confini
discorsivi della destra. Ma oggi Kast si concentra sulla sicurezza e
sull’economia, consentendo a Kaiser di ricoprire il ruolo di portabandiera dei
valori. Ciò illustra la divisione del lavoro ideologico all’interno della destra
cilena: Kast appare più legato alla religiosità cattolica, mentre Kaiser si
posiziona come meno religioso, ma ugualmente conservatore e reazionario.
Entrambi rafforzano il discorso di una crociata civilizzatrice, di salvezza
nazionale, in un momento che presentano come critico. Questo scenario non è poi
così diverso da quello degli anni Sessanta e dalla campagna anticomunista prima
e durante il governo di Unità Popolare. E sappiamo già come andò a finire.
IL RITORNO DEL PINOCHETISMO
Quest’anno è diventato chiaro che il pinochetismo è riemerso con forza, sebbene
non sia mai veramente scomparso. Troll e bot sui social media, insieme agli
intellettuali di destra, hanno alimentato una marcata radicalizzazione
dell’opinione pubblica. Oggi, alla televisione cilena, qualcuno può dire senza
vergogna – e persino con orgoglio – di essere il candidato presidenziale che
sostiene il colpo di Stato, o dichiararsi apertamente contrario ai diritti umani
in un dibattito. Può affermare di credere nella fantasia di complotto della
«Grande Sostituzione» o di essere «no-vax» e di voler ritirare il Cile
dall’Organizzazione mondiale della sanità. Tutto ciò alimenta campagne che
impiegano una retorica omofoba, misogina e xenofoba. Il risultato, familiare in
altri paesi, è simile: una fascistizzazione della società e la crescente
legittimazione di un discorso reazionario, caratterizzato dalla negazione della
storia, dal sostegno al regime dittatoriale e, in casi estremi, dalla
rivendicazione del dittatore.
In questo scenario, il discorso pubblico si è talmente spostato che Evelyn
Matthei – membro dell’Udi, il partito fondato dal principale ideologo della
dittatura – si è collocata al centro politico. Questo «centro» non è altro che
una rivoluzione passiva, come sosteneva Gramsci; mentre gli altri due progetti
rappresentano chiaramente la controrivoluzione, sia culturale che economica. In
breve, i tre forti candidati di destra che si sono contesi un posto al
ballottaggio incarnano progetti distinti, ma complementari, della reazione
cilena. Nel Cile di oggi – lo stesso paese che ha assistito alla rivolta del
2019 – tre progetti di destra si sono contesi l’egemonia nelle elezioni
presidenziali.
In una certa misura, possono essere identificati ciascuno come un progetto
vicino all’ideologia di Bolsonaro, come a quella di Milei mentre il terzo appare
più vicino alla Democrazia cristiana tedesca o al Partito popolare spagnolo.
Tuttavia, i risultati elettorali della destra non riflettono necessariamente le
forze ideologiche e politiche egemoniche al suo interno.
*Javier Molina studia le reti, gli intellettuali e le ideologie della destra
latinoamericana. Questo articolo è uscito su Jacobin America latina. La
traduzione è a cura della redazione.
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