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Indiscrezioni su una nuova fase delle operazioni USA contro il Venezuela
Quattro ufficiali degli Stati Uniti avrebbero rivelato all’agenzia di informazione britannica Reuters, a condizione di rimanere anonimi, che Washington è pronta a lanciare una nuova fase delle operazioni contro il Venezuela, probabilmente già nei prossimi giorni. Non è stato però possibile determinare nei i tempi precisi, né la dimensione e […] L'articolo Indiscrezioni su una nuova fase delle operazioni USA contro il Venezuela su Contropiano.
Lettera del Presidente Nicolás Maduro ai Capi di Stato della CELAC
La lettera che segue, inviata dal presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro Moros, ai capi di Stato e di governo della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC), rappresenta un documento di enorme rilievo politico e storico nel contesto attuale. In un’epoca segnata da guerre globali, aggressioni imperiali e crescenti minacce di militarizzazione del pianeta, Maduro richiama i popoli dell’America Latina e dei Caraibi alla difesa della sovranità, dell’indipendenza e della pace come beni supremi e indivisibili. La lettera denuncia le nuove strategie di assedio — economico, mediatico e militare — che gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali stanno conducendo nella regione caraibica, in aperta violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Il presidente venezuelano chiama a raccolta la CELAC per riaffermare la regione come “Zona di Pace”, principio già proclamato all’Avana nel 2014, invitando a ricostruire la “Grande Patria” sognata da Bolívar, Martí, Chávez e da tutti i leader che hanno fatto dell’integrazione latinoamericana una frontiera di emancipazione collettiva: il bolivarismo. Maduro riafferma che la pace e la giustizia si difendono con la forza dell’unione dei popoli, con l’uguaglianza, la solidarietà e la sovranità dei popoli e non con le armi. È un messaggio che – rivolto a tutti i popoli che lottano contro l’imperialismo e per la dignità umana – riguarda l’intera umanità, minacciata dall’unipolarismo occidentali che usa le sanzioni e la violenza per imporre la propria egemonia.  Caracas, Venezuela, 9 Novembre 2025 Ai Presidenti e ai Capi di Stato della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC) e ai Popoli dell’America Latina e dei Caraibi Da questo luogo, Santa Marta, che ha custodito gli ultimi giorni del Libertador Simón Bolívar, mi rivolgo a voi con la voce del popolo venezuelano e con la memoria della nostra storia come impegno e guida. Qui, dove Bolívar pronunciò il suo ultimo discorso il 10 dicembre 1830 e lasciò un mandato che è ancora valido nel tempo, “lavorate tutti per l’inestimabile benedizione dell’unione”, ci riuniamo oggi per riaffermare che l’unione della nostra America non è un gesto retorico, ma la condizione della nostra libertà e la chiave della nostra dignità. Santa Marta conserva il ricordo della ferita che ha fatto a pezzi la Grande Colombia; conserva il ricordo del tradimento della divisione che ha spento, per un certo periodo, il sogno di una grande patria. Ma conserva anche la voce del Libertador, una voce che, dalla Carta di Giamaica del 1815, ha definito chi siamo e perché dobbiamo rifiutarci di essere sottomessi. Bolívar ci ha insegnato che “non siamo europei, né siamo indios, ma una specie intermedia tra i legittimi proprietari della terra e gli usurpatori spagnoli”; quella condizione meticcia, creativa e sovrana è il substrato della nostra identità e il fondamento della nostra esigenza di rispetto. La storia ci avverte che i tentativi di sottomissione non sono solo un ricordo. Nel 1815 la Corona spagnola inviò una spedizione guidata dal generale Pablo Morillo composta da circa sessanta navi e circa diecimila uomini con l’obiettivo di riconquistare le terre liberate; il suo assedio a Cartagena e il suo passaggio lungo le nostre coste sono un esempio della violenza imperiale contro la libertà americana. Questi numeri simboleggiano la volontà di sottomettere con la forza ciò che i popoli avevano conquistato con il sangue e la convinzione. Oggi, due secoli dopo, le forme dell’assedio sono cambiate, ma non la sua essenza. Nel Mar dei Caraibi si stanno schierando unità navali e aeree che includono portaerei di ultima generazione, cacciatorpediniere missilistiche e sottomarini nucleari; manovre e attacchi che hanno provocato la morte di civili in alto mare e che sono stati definiti dagli esperti delle Nazioni Unite e dall’Ufficio  dell’Alto Commissario per i diritti umani come “esecuzioni extragiudiziali” che meritano di essere indagate e condannate. Queste dichiarazioni sono state rese pubbliche e sono state persino esposte in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove la gravità dei fatti è stata discussa a livello internazionale e dove la posizione degli Stati Uniti è stata quella di assumersi la responsabilità dei propri crimini. Non possiamo ignorare questa evidenza: quando atti armati e letali vengono compiuti con la giustificazione della “sicurezza” o della “lotta al crimine”, e tali atti comportano esecuzioni in mare, violano il diritto internazionale e calpestano il diritto alla vita umana. Di fronte a un dispiegamento di forze di tale portata non ci possono essere mezze misure. Il principio che oggi è in gioco è chiaro e decisivo: la sovranità degli Stati e la libera autodeterminazione dei popoli. Il Venezuela lo dichiara con assoluta nettezza: non accetta né accetterà nessun tipo di controllo. Non accettiamo che sotto eufemismi come “sicurezza” o “lotta al narcotraffico” si cerchi di imporre la vecchia Dottrina  Monroe, che mira a trasformare la nostra America in teatro di invasioni e colpi di Stato per “cambiare regime” e rubare le nostre immense ricchezze e risorse naturali. Rifiutiamo con forza la rinascita della Dottrina Monroe e, in risposta, rilanciamo la Dottrina Bolivariana in difesa dell’indipendenza, dell’unione e dell’emancipazione dei nostri popoli. La nostra CELAC, nata a Caracas il 2 e 3 dicembre 2011, alla presenza dei 33 capi di Stato e di governo della nostra regione, ha raccolto questo grido di unione regionale come alternativa alla logica della tutela e della pressione. All’inaugurazione del 2011, il comandante Hugo Chávez ha proclamato con energia che “solo l’unione ci renderà liberi”, proponendo alla comunità latino-caraibica la necessità di un’organizzazione che, senza gli Stati Uniti e il Canada al suo interno, rivendicasse la sovranità e l’agenda dei nostri popoli. Questa decisione storica ha aperto una nuova fase di autonomia politica e cooperazione regionale. Oggi, di fronte alla minaccia di guerra nei Caraibi e alle esecuzioni denunciate dall’ONU, siamo obbligati a preservare la pace nella regione, unendo le nostre forze come paesi e chiedendo con una sola voce la cessazione immediata degli attacchi e delle minacce militari contro i nostri popoli. È necessario ripristinare la giustizia, la pace e il rispetto della Carta delle Nazioni Unite. La comunità internazionale deve esigere un’assunzione di responsabilità, la cessazione degli attacchi e il rispetto dei diritti umani di tutte le persone, senza eccezioni. Fratelli e sorelle, la memoria storica e le circostanze attuali ci impongono una risposta unitaria. Invito i presidenti e i capi di Stato qui presenti e i popoli dei Caraibi e dell’America Latina a fare di questo vertice non un esercizio rituale, ma un atto di fermezza: proclamiamo la difesa incondizionata della nostra America come Zona  di Pace, rifiutiamo categoricamente qualsiasi militarizzazione dei Caraibi, esigiamo un’indagine indipendente sulle esecuzioni denunciate dai meccanismi dei diritti umani delle Nazioni Unite e stabiliamo meccanismi regionali di cooperazione umanitaria e difesa collettiva che garantiscano la protezione delle nostre acque, delle nostre coste e delle nostre comunità. Da questo vertice ribadiamo la nostra condanna del criminale e disumano blocco imposto contro il popolo e il governo della Repubblica di Cuba, un’aggressione continua che viola palesemente il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite. Respingiamo inoltre l’inclusione di Cuba in una pretestuosa lista di paesi che presumibilmente sostengono il terrorismo. Chiediamo inoltre l’immediata revoca di tutte le misure coercitive unilaterali e illegali che gravano sui nostri popoli, comprese quelle imposte dall’Unione Europea che, sotto la forma di sanzioni individuali, finiscono per ledere i diritti fondamentali dei nostri popoli e ostacolarne lo sviluppo. Con franchezza e rispetto affermiamo: l’America Latina e i Caraibi sono popoli liberi che propongono relazioni di cooperazione orizzontali; esigiamo coerenza e rispetto nelle vostre politiche nei confronti della nostra regione. Non accettiamo sanzioni come metodo di punizione politica che violano i diritti, né la logica dei blocchi che puniscono i popoli. Chiediamo un dialogo paritario, cooperazione per la ricostruzione e rispetto del diritto internazionale. Possano Santa Marta e la memoria viva di Bolívar ispirarci a riprendere il cammino che egli tracciò nella Carta di Giamaica del 1815 e nel suo messaggio al Congresso di Angostura del 1819: l’unione per l’emancipazione dell’umanità. Che lo spirito del Congresso Anfictionico di Panama del 1826, convocato da Bolívar e ostacolato dal nascente È necessario ripristinare la giustizia, la pace e il rispetto della Carta delle Nazioni Unite. La comunità internazionale deve esigere un’assunzione di responsabilità, la cessazione degli attacchi e il rispetto dei diritti umani di tutte le persone, senza eccezioni. Fratelli e sorelle, la memoria storica e le circostanze attuali ci impongono una risposta unitaria. Invito i presidenti e i capi di Stato qui presenti e i popoli dei Caraibi e dell’America Latina a fare di questo vertice non un esercizio rituale, ma un atto di fermezza: proclamiamo la difesa incondizionata della nostra America come Zona di Pace, rifiutiamo categoricamente qualsiasi militarizzazione dei Caraibi, esigiamo un’indagine indipendente sulle esecuzioni denunciate dai meccanismi dei diritti umani delle Nazioni Unite e stabiliamo meccanismi regionali di cooperazione umanitaria e difesa collettiva che garantiscano la protezione delle nostre acque, delle nostre coste e delle nostre comunità. Da questo vertice ribadiamo la nostra condanna del criminale e disumano blocco imposto contro il popolo e il governo della Repubblica di Cuba, un’aggressione continua che viola palesemente il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite. Respingiamo inoltre l’inclusione di Cuba in una pretestuosa lista di paesi che presumibilmente sostengono il terrorismo. Chiediamo inoltre l’immediata revoca di tutte le misure coercitive unilaterali e illegali che gravano sui nostri popoli, comprese quelle imposte dall’Unione Europea che, sotto la forma di sanzioni individuali, finiscono per ledere i diritti fondamentali dei nostri popoli e ostacolarne lo sviluppo. Con franchezza e rispetto affermiamo: l’America Latina e i Caraibi sono popoli liberi che propongono relazioni di cooperazione orizzontali; esigiamo coerenza e rispetto nelle vostre politiche nei confronti della nostra regione. Non accettiamo sanzioni come metodo di punizione politica che violano i diritti, né la logica dei blocchi che puniscono i popoli. Il mondo intero sa che in Venezuela, in Colombia e in tutta la nostra regione amiamo la pace come un diritto conquistato, per questo siamo obbligati ad affrontare le sfide del presente con il motto del Libertador Simón Bolívar: “La pace sarà il mio porto, la mia gloria, la mia ricompensa, la mia speranza, la mia felicità e tutto ciò che di prezioso esiste al mondo”. Per la pace con uguaglianza, indipendenza e sovranità, i nostri popoli torneranno a vincere. Da Caracas, culla dei Libertadores, territorio di libertà e dignità Nicolas Maduro Moros Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba
La radicalizzazione della destra cilena
Articolo di Javier Molina Domenica 16 novembre in Cile si sono tenute le elezioni presidenziali e parlamentari. Come previsto dalla maggior parte dei sondaggi, la candidata comunista Jeannette Jara ha vinto con poco più del 26% dei voti, spostando l’attenzione sulla lotta interna tra i tre principali candidati della destra. Negli ultimi mesi, si è molto discusso a sinistra sullo scenario migliore per il candidato del partito al governo in caso di ballottaggio: affrontare José Antonio Kast (che alla fine è passato al secondo turno), Johannes Kaiser o Evelyn Matthei. Secondo gli ultimi sondaggi, però, Jara perderebbe con tutti e tre gli scenari. Per cui il problema sta quindi nelle caratteristiche del discorso di questi candidati di destra che molto probabilmente formeranno il prossimo governo, cercando di dimostrare, al di là della battaglia elettorale, cosa significa realmente il clima di radicalizzazione della destra cilena e la lotta per conquistare il senso comune dell’opinione pubblica. Non è un caso che due di questi candidati abbiano insistito di essere «il candidato del buon senso». LA DESTRA CILENA DOPO LA DITTATURA In primo luogo, esaminiamo quali siano le linee ideologiche di questi progetti politici e quali siano le principali differenze tra i candidati di destra. La questione non è tanto se il loro discorso sia pinochetista, paleolibertario, sessista, xenofobo o negazionista dell’Olocausto, perché, in misura maggiore o minore, sia Matthei che i fratelli KaKa contengono questi elementi, seppur in combinazioni diverse. Il filo conduttore dei Chicago Boys, l’ideologia egemonica della destra cilena post-dittatura, non è stato superato; si è semplicemente diversificato. In effetti, le candidature dei presunti «riformatori» di questa destra – Kaiser e KaKa – sono complementari, e spiegheremo perché. In larga misura, ognuno di loro approfondisce uno o più aspetti di quel quadro ideologico-politico, senza tentare di trascenderlo. Secondo la nostra ricerca, Johannes Kaiser è più vicino al modello dell’argentino Milei, cioè al paleolibertarismo, sebbene lo combini con una dose dello stato securitario di Bukele [presidente del Salvador, ndt]. Questa miscela si è incarnata ideologicamente nel «nuovo» Partito nazional-libertario, un nome simile al partito guidato da Mussolini un secolo fa o al progetto del cugino argentino. Non è un caso che suo fratello Axel lavori per il governo argentino attraverso la Fondazione Faro e alcune consulenze tecniche, e che sia amico di Javier Milei da anni (Milei lo ha citato più volte come riferimento ideologico). Axel è anche diventato uno dei principali intellettuali del neoliberismo in America latina, attraverso reti di think tank. Sua sorella, Vanessa Kaiser, è più vicina a Sara Huff, Agustín Laje e Santiago Abascal, ovvero alla destra conservatrice. Non sorprende che difenda l’idea di una guerra culturale e si opponga a quello che in quell’ambito viene definito marxismo culturale, con particolare attenzione alla «difesa della famiglia tradizionale». Sebbene si presenti come un outsider, non ha lo stesso tipo di personalità pubblica del suo vicino argentino. Forse la cultura cilena non ne ha bisogno. Kaiser non va in giro con una motosega; preferisce invece indossare una cravatta con la Costituzione degli Stati uniti stampata sopra, come fece nel primo dibattito televisivo. Non urla né canta in pubblico e parla tedesco nelle interviste con i giornalisti tedeschi. Ha trascorso gran parte degli ultimi anni lavorando in Austria e, attraverso il suo canale YouTube, ha costruito una community che lo ha portato alla sua elezione a parlamentare nel 2022. All’epoca, Kast lo invitò a candidarsi, e lui si presentò alla corsa con il Partito repubblicano, ora uno dei suoi rivali. Rifiuta i Brics (il blocco dei paesi emergenti), difende l’amministrazione Trump e mantiene uno stretto rapporto con il sionismo. In questo senso, ci si potrebbe chiedere se la presunta sovranità di Johannes Kaiser non sia solo una cortina fumogena, soprattutto considerando le reti transnazionali della famiglia Kaiser all’interno della «nuova destra». La sua piattaforma si addentra nella guerra culturale e nella difesa dei valori trascendentali, in linea con la crociata di civiltà promossa dalla destra conservatrice. Pertanto, sebbene non invochi costantemente la religione, il suo obiettivo finale è una riconquista teologica del mondo. In questo modo, è riuscito a catturare i voti più radicali di Kast, lasciandolo al «centro» all’interno dell’ala destra. Vale a dire, tra la radicalizzazione del minarchismo e la controrivoluzione culturale dello stesso Kaiser e la candidatura di Evelyn Matthei. La destra mainstream – i partiti della destra dittatoriale e le loro successive ramificazioni, inclusi settori significativi della vecchia Democrazia cristiana – è rimasta con Matthei, che ha cercato di diventare un «nuovo centro». Questa forza centripeta della destra non ha ottenuto abbastanza slancio e, come tutti i sondaggi prevedevano, non è arrivata al ballottaggio. Si tratta degli stessi gruppi di destra che difendono i pilastri del regime dittatoriale, seppur con alcune sfumature economiche, nazionaliste o socio-cristiane. José Antonio Kast, d’altra parte, è un politico più noto, di formazione conservatrice e proveniente direttamente dalla destra mainstream (l’Udi, il partito di Jaime Guzmán, di cui Matthei è ora membro). La differenza fondamentale è che Kast sta cercando da tempo di riorientare il progetto di Guzmán e di riposizionare il conservatorismo, incorporando un’agenda incentrata su valori e principi presumibilmente dimenticati. In altre parole, sta tentando una ri-teologizzazione del discorso di destra che, a suo avviso, si è concentrato troppo sull’economia e sull’amministrazione, trascurando i principi morali. Ecco perché si è schierato con il Forum di Madrid, guidato da Abascal, con gli incontri del Cpac in Brasile e in altri paesi e, come chiunque avrebbe potuto immaginare, con il clan Bolsonaro. Ha legami con gruppi nazionalisti in Europa, in Ungheria, Spagna e Italia, che si collocano come parte del progetto di difesa della «civiltà cristiana occidentale», una crociata civilizzatrice che traduce la politica in termini teologici. Ha persino parlato in recenti discorsi del pericolo della «Grande Sostituzione», e vale la pena ricordare che è figlio di un militante nazista; il che non significherebbe nulla se avesse cambiato la sua retorica, cosa che non ha fatto. Oggi non è esattamente lo stesso candidato del 2021. Mantiene un tono pacato, ma ha attenuato l’enfasi religiosa. Ciononostante, parla della crisi della «famiglia tradizionale», della lotta contro quella che chiamano ideologia gender, e così via. Come ha raccontato sua moglie, Maria Pia Adriasola, durante la campagna precedente, Kast l’ha sconsigliata dall’uso della contraccezione per motivi religiosi: hanno avuto nove figli. È un attivista antiabortista. Non sorprende che siano state le donne a causare la sua sconfitta elettorale alle ultime elezioni. Il focus principale della sua campagna è stato la sicurezza e l’immigrazione; non è un caso che in ogni dibattito menzioni il narcotraffico, il terrorismo, la violenza e gli immigrati clandestini, in particolare venezuelani e colombiani. Il secondo processo costituzionale (2022-2023) è stato guidato dal Partito repubblicano, rivelando il livello di conservatorismo morale tra i suoi membri: evangelici conservatori, membri dell’Opus Dei, cattolici tradizionalisti, tra gli altri. Sono le stesse persone che hanno promosso l’autobus transfobico qualche anno fa, che difendono la «famiglia tradizionale», che si oppongono all’aborto anche nei tre casi previsti dalla legge e che sono vicine a movimenti come «Non scherzare con i miei figli». Nonostante la sconfitta, hanno guadagnato terreno nella battaglia ideologica, in un contesto in cui la Costituzione della dittatura di Pinochet appariva quasi moderata rispetto alla proposta di questo gruppo. Ciò ha spostato i confini discorsivi della destra. Ma oggi Kast si concentra sulla sicurezza e sull’economia, consentendo a Kaiser di ricoprire il ruolo di portabandiera dei valori. Ciò illustra la divisione del lavoro ideologico all’interno della destra cilena: Kast appare più legato alla religiosità cattolica, mentre Kaiser si posiziona come meno religioso, ma ugualmente conservatore e reazionario. Entrambi rafforzano il discorso di una crociata civilizzatrice, di salvezza nazionale, in un momento che presentano come critico. Questo scenario non è poi così diverso da quello degli anni Sessanta e dalla campagna anticomunista prima e durante il governo di Unità Popolare. E sappiamo già come andò a finire. IL RITORNO DEL PINOCHETISMO Quest’anno è diventato chiaro che il pinochetismo è riemerso con forza, sebbene non sia mai veramente scomparso. Troll e bot sui social media, insieme agli intellettuali di destra, hanno alimentato una marcata radicalizzazione dell’opinione pubblica. Oggi, alla televisione cilena, qualcuno può dire senza vergogna – e persino con orgoglio – di essere il candidato presidenziale che sostiene il colpo di Stato, o dichiararsi apertamente contrario ai diritti umani in un dibattito. Può affermare di credere nella fantasia di complotto della «Grande Sostituzione» o di essere «no-vax» e di voler ritirare il Cile dall’Organizzazione mondiale della sanità. Tutto ciò alimenta campagne che impiegano una retorica omofoba, misogina e xenofoba. Il risultato, familiare in altri paesi, è simile: una fascistizzazione della società e la crescente legittimazione di un discorso reazionario, caratterizzato dalla negazione della storia, dal sostegno al regime dittatoriale e, in casi estremi, dalla rivendicazione del dittatore. In questo scenario, il discorso pubblico si è talmente spostato che Evelyn Matthei – membro dell’Udi, il partito fondato dal principale ideologo della dittatura – si è collocata al centro politico. Questo «centro» non è altro che una rivoluzione passiva, come sosteneva Gramsci; mentre gli altri due progetti rappresentano chiaramente la controrivoluzione, sia culturale che economica. In breve, i tre forti candidati di destra che si sono contesi un posto al ballottaggio incarnano progetti distinti, ma complementari, della reazione cilena. Nel Cile di oggi – lo stesso paese che ha assistito alla rivolta del 2019 – tre progetti di destra si sono contesi l’egemonia nelle elezioni presidenziali. In una certa misura, possono essere identificati ciascuno come un progetto vicino all’ideologia di Bolsonaro, come a quella di Milei mentre il terzo appare più vicino alla Democrazia cristiana tedesca o al Partito popolare spagnolo. Tuttavia, i risultati elettorali della destra non riflettono necessariamente le forze ideologiche e politiche egemoniche al suo interno. *Javier Molina studia le reti, gli intellettuali e le ideologie della destra latinoamericana. Questo articolo è uscito su Jacobin America latina. La traduzione è a cura della redazione. L'articolo La radicalizzazione della destra cilena proviene da Jacobin Italia.
Non passano i referendum in Ecuador: una sconfitta per Noboa… e per Trump
In Ecuador sono naufragati i quattro quesiti referendari che il presidente Daniel Noboa aveva proposto. Votazioni su quesiti che avevano una doppia natura reazionaria: da una parte avrebbero permesso di riscrivere le regole del gioco democratico del paese, dall’altro avrebbero aperto le porte alla presenza militare statunitense. Noboa, con la […] L'articolo Non passano i referendum in Ecuador: una sconfitta per Noboa… e per Trump su Contropiano.
Via al-Sharaa, dentro antifa e narcotraffico. La ridefinizione trumpiana di terrorismo
Appena una settimana fa l’ex qaedista al-Sharaa veniva accolto alla Casa Bianca, prima volta di un presidente siriano dal 1946. Non è si è dovuto aspettare nemmeno un quarto di secolo per passare dalla guerra al terrorismo islamico dal riceverne un leader in quello che è il simbolo del potere […] L'articolo Via al-Sharaa, dentro antifa e narcotraffico. La ridefinizione trumpiana di terrorismo su Contropiano.
“LATINOAMERICA”: PRESIDENZIALI IN CILE E REFERENDUM IN ECUADOR. LA PUNTATA DI LUNEDI’ 17 NOVEMBRE 2025
LatinoAmerica è la trasmissione quindicinale di Radio Onda d’Urto. Ogni due settimane, 30 minuti in volo libero e ribelle…tra il border di Tijuana e gli orizzonti sconfinati della Patagonia. 30 minuti su Radio Onda d’Urto, dentro il ciclo della “Cassetta degli Attrezzi”: appuntamento ogni due lunedì, alle ore 18.45, e in replica il giorno dopo, il martedì, alle ore 6.30. La puntata di lunedì 17 novembre 2025 ci porta in Cile ed Ecuador. * Cile: al primo turno, domenica 16 novembre, delle elezioni presidenziali la candidata del Partito Comunista, Jeannette Jara, ottiene il 26,85% ed è al primo posto. Non è però un buon risultato, anzi: l’unica candidata non esplicitamente di destra si ferma ben al di sotto del 30%, considerato il livello minimo per pensare concretamente a vincere il ballottaggio. Le destre, divise in tre candidati, sono sopra il 50%, sommando i loro consensi. Al ballottaggio ci sarà l’estremista di destra, esplicito nostalgico di Pinochet e nemico dichiarato di donne, poveri e migranti, Kast, del (cosiddetto) Partito Repubblicano col 23,92% delle preferenze. * Ecuador: anche qui si è votato, domenica 16 novembre, per 4 referendum presentati dal presidente conservatore Noboa. A sorpresa, elettori ed elettrici hanno sonoramente cassato i quattro quesiti, a partire da quello sull’abrogazione della legge che vieta la costruzione di basi militari straniere (cioè Usa) nel Paese. Bocciati anche i quesiti sull’eliminazione dei finanziamenti ai partiti, la riduzione del numero dei parlamentari e la nascita di un’Assemblea costituente, per piegare l’attuale Costituzione in vigore a Quito in senso più nazionalista, estrattivista e iper-capitalista. Di Cile ed Ecuador parliamo con Rodrigo Andrea Rivas, compagno cileno, esule in Italia dopo il colpo di Stato di Pinochet e da allora giornalista e attento osservatore e analista di questioni sudamericane. Ascolta LatinoAmerica di lunedì 17 novembre. Ascolta o scarica.
USA, l’Operazione “Southern Spear” infiamma i Caraibi. Caracas in allerta massima
L’esercito venezuelano è in stato di massima allerta. Martedì, il presidente Nicolas Maduro ha ordinato la “piena operatività” di tutti i reparti delle forze armate, dalla Milicia Nacional Bolivariana all’esercito regolare. Non si tratta di un’esercitazione, ma della risposta diretta a quello che Caracas, e non solo, percepisce come un’aperta […] L'articolo USA, l’Operazione “Southern Spear” infiamma i Caraibi. Caracas in allerta massima su Contropiano.
Una Campagna politica nazionale con Nuestra America per il Socialismo del XXI Secolo
Con 51 voti contrari e 49 favorevoli il Senato statunitense ha bocciato una risoluzione “bipartisan” che avrebbe impedito all’amministrazione repubblicana qualsiasi tipo di azione militare in territorio venezuelano senza il lasciapassare del Congresso che, nell’architettura istituzionale nord-americana, sarebbe il responsabile delle dichiarazioni di guerra. Mentre questo “semaforo verde” per l’aggressione […] L'articolo Una Campagna politica nazionale con Nuestra America per il Socialismo del XXI Secolo su Contropiano.
L’appello di Maduro ai paesi dell’America Latina
La lettera che segue, inviata dal presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro Moros, ai capi di Stato e di governo della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC), rappresenta un documento di enorme rilievo politico e storico nel contesto attuale. In un’epoca segnata da guerre globali, aggressioni imperiali […] L'articolo L’appello di Maduro ai paesi dell’America Latina su Contropiano.
La sfiducia verso gli altri mondi
-------------------------------------------------------------------------------- Foto di Massimo Tennenini -------------------------------------------------------------------------------- Occasionalmente, anche se raramente, troviamo echi nel modo in cui vediamo il mondo, e in particolare, il nostro mondo. Una recente intervista sul sito Comune, condotta da Gianluca Carmosino con l’antropologa italiana Stefania Consigliere, è particolarmente stimolante. Intitolata “Perché è difficile riconoscere nuovi mondi?“, presenta una prospettiva interessante. L’antropologa sostiene che altri mondi, o mondi nuovi, esistano già, anche se appaiono disorganizzati e imperfetti. Individua due ragioni che ci impediscono di vederli, riconoscerli e dare loro l’importanza che meritano. La prima è “lo sguardo coloniale”. A suo avviso, “se un mondo non è tecnologicamente avanzato, ad esempio, o non ha una struttura sociale come la nostra, è un mondo un po’ selvaggio, meno desiderabile e primitivo”. Si tratta di un’“arroganza coloniale” che non è affatto esclusiva dell’Europa o del Nord del mondo, ma è atteggiamento consueto tra la sinistra e gli accademici latinoamericani, che tendono a guardare con distacco e disprezzo le iniziative provenienti dal basso e dalla sinistra. Una riflessione che condividiamo. Il secondo tema affrontato riguarda “l’approccio eroico all’idea di cambiamento”, ereditato dalla nozione tradizionale di “rivoluzione come presa del potere, con il momento magico escatologico nel quale finalmente arriviamo alle leve del comando e dirigiamo la macchina dove ci piace…”. Riesce a collegare la presa del potere statale con “la tentazione del dominio”, che, secondo l’autrice, risulta essere l’aspetto meno esplorato dei movimenti antisistemici. Credo che entrambe le riflessioni siano molto importanti, a patto che riusciamo ad accoglierle come un nostro problema e non come un problema altrui, lontano da noi. Tutti noi che sosteniamo lo zapatismo abbiamo sperimentato persone di sinistra e di altri movimenti che alzavano le spalle quando raccontavamo loro di aver partecipato a un incontro e di aver condiviso le nostre esperienze con i compagni, o che stavamo sostenendo la costruzione di un ospedale, di una scuola o la distribuzione di caffè biologico. L’immagine eroica degli operai bolscevichi che entrano nel Palazzo d’Inverno sembra davvero importante, mentre partecipare a un evento per ascoltare e imparare sembra secondario, quasi irrilevante. Una citazione della scrittrice Simone Weil nell’intervista sopracitata riassume questo atteggiamento avanguardista di non ascolto: “… l’attenzione è la più alta e rara delle virtù. Quindi stare attenti, stare in ascolto, sentirsi, anziché performare”. Questi sono i passaggi preliminari necessari per intraprendere azioni profonde e, quindi, durature. L’immagine della presa del potere come ingresso al palazzo è diventata una cartolina, un’immagine che racchiude le idee semplicistiche di rivoluzione che hanno così profondamente permeato l’immaginario della sinistra mondiale. Tutto ciò che non si allinea con questo è quasi una perdita di tempo. Un grosso problema di questa sinistra è che decontestualizza il prima e il dopo del benedetto binomio “rivoluzione = presa del potere”, isolando quell’evento e trasformandolo in un paradigma di ciò che è desiderabile, dell’unica cosa che ha veramente valore. Ma quel passo è sempre stato preceduto, in ogni caso, da migliaia di piccole azioni che non sembravano importanti, né si sapeva che potessero portare ad azioni più grandi. Un fornaio indipendentista catalano scrisse delle centinaia di forni per il pane di Barcellona, che lavoravano tonnellate di farina ogni giorno per mano di migliaia di persone, come un importante antecedente alla rivoluzione di Barcellona del 1936, seguita al colpo di stato di Franco. Sono appena tornato dal Perù, dove ho avuto una lunga conversazione con uno dei consulenti più esperti dell’organizzazione amazzonica AIDESEP (Associazione Interetnica per lo Sviluppo della Foresta Pluviale Peruviana), che riunisce quasi 2.500 comunità in nove federazioni. Abbiamo parlato a lungo dei 15 governi autonomi che altrettante comunità hanno creato a causa dell’impossibilità di dialogo e negoziazione con il governo di Lima. Quando gli ho chiesto perché i popoli indigeni delle Ande, Quechua e Aymara, non abbiano intrapreso un percorso simile, il suo racconto mi ha sorpreso. La CONACAMI (Confederazione Nazionale delle Comunità del Perù Colpite dall’Attività Mineraria), che rappresentava più della metà delle sei comunità andine del Paese, ha iniziato a discutere la possibilità di adottare un’identità indigena, poiché fino ad allora le organizzazioni si identificavano solo come contadine. Adottare un orientamento indigeno significava rompere con la tradizione di mobilitarsi per rivendicare qualcosa dallo Stato, poiché non riuscivano a concepire altra opzione che negoziare per ottenere risorse. La posizione indigena fu sostenuta, tra gli altri, dal nostro compagno Hugo Blanco. Tuttavia, i partiti di sinistra peruviani si rifiutarono di consentire questo passo, perché ritenevano di perdere il controllo della “loro” base, rigorosamente controllata dalle gerarchie di partito e da movimenti come il PCC (Confederazione Contadina Peruviana). Usarono la minaccia di tagliare i finanziamenti al movimento attraverso le ONG da loro controllate come ricatto, riuscendo così a bloccare questo passo storico che avrebbe condotto i popoli andini verso percorsi più vicini alla costruzione dell’autonomia. Sollevo questa questione perché sento che, oltre allo sguardo coloniale e alla visione eroica dei cambiamenti che analizza Consigliere, ci sono gli interessi personali e politici meschini di coloro che vivono a scapito dello sforzo dei popoli e usano la loro influenza per ottenere qualche tipo di vantaggio. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato su Desinformemonos con il titolo La desconfianza de la izquierda hacia los mundos otros -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI L’INTERVISTA A STEFANIA CONSIGLIERE: > Perché è difficile riconoscere mondi nuovi -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo La sfiducia verso gli altri mondi proviene da Comune-info.