La radicalizzazione della destra cilena

Jacobin Italia - Tuesday, November 18, 2025
Articolo di Javier Molina

Domenica 16 novembre in Cile si sono tenute le elezioni presidenziali e parlamentari. Come previsto dalla maggior parte dei sondaggi, la candidata comunista Jeannette Jara ha vinto con poco più del 26% dei voti, spostando l’attenzione sulla lotta interna tra i tre principali candidati della destra.

Negli ultimi mesi, si è molto discusso a sinistra sullo scenario migliore per il candidato del partito al governo in caso di ballottaggio: affrontare José Antonio Kast (che alla fine è passato al secondo turno), Johannes Kaiser o Evelyn Matthei. Secondo gli ultimi sondaggi, però, Jara perderebbe con tutti e tre gli scenari. Per cui il problema sta quindi nelle caratteristiche del discorso di questi candidati di destra che molto probabilmente formeranno il prossimo governo, cercando di dimostrare, al di là della battaglia elettorale, cosa significa realmente il clima di radicalizzazione della destra cilena e la lotta per conquistare il senso comune dell’opinione pubblica. Non è un caso che due di questi candidati abbiano insistito di essere «il candidato del buon senso».

La destra cilena dopo la dittatura

In primo luogo, esaminiamo quali siano le linee ideologiche di questi progetti politici e quali siano le principali differenze tra i candidati di destra. La questione non è tanto se il loro discorso sia pinochetista, paleolibertario, sessista, xenofobo o negazionista dell’Olocausto, perché, in misura maggiore o minore, sia Matthei che i fratelli KaKa contengono questi elementi, seppur in combinazioni diverse. Il filo conduttore dei Chicago Boys, l’ideologia egemonica della destra cilena post-dittatura, non è stato superato; si è semplicemente diversificato. In effetti, le candidature dei presunti «riformatori» di questa destra – Kaiser e KaKa – sono complementari, e spiegheremo perché.

In larga misura, ognuno di loro approfondisce uno o più aspetti di quel quadro ideologico-politico, senza tentare di trascenderlo. Secondo la nostra ricerca, Johannes Kaiser è più vicino al modello dell’argentino Milei, cioè al paleolibertarismo, sebbene lo combini con una dose dello stato securitario di Bukele [presidente del Salvador, ndt]. Questa miscela si è incarnata ideologicamente nel «nuovo» Partito nazional-libertario, un nome simile al partito guidato da Mussolini un secolo fa o al progetto del cugino argentino.

Non è un caso che suo fratello Axel lavori per il governo argentino attraverso la Fondazione Faro e alcune consulenze tecniche, e che sia amico di Javier Milei da anni (Milei lo ha citato più volte come riferimento ideologico). Axel è anche diventato uno dei principali intellettuali del neoliberismo in America latina, attraverso reti di think tank. Sua sorella, Vanessa Kaiser, è più vicina a Sara Huff, Agustín Laje e Santiago Abascal, ovvero alla destra conservatrice. Non sorprende che difenda l’idea di una guerra culturale e si opponga a quello che in quell’ambito viene definito marxismo culturale, con particolare attenzione alla «difesa della famiglia tradizionale».

Sebbene si presenti come un outsider, non ha lo stesso tipo di personalità pubblica del suo vicino argentino. Forse la cultura cilena non ne ha bisogno. Kaiser non va in giro con una motosega; preferisce invece indossare una cravatta con la Costituzione degli Stati uniti stampata sopra, come fece nel primo dibattito televisivo. Non urla né canta in pubblico e parla tedesco nelle interviste con i giornalisti tedeschi. Ha trascorso gran parte degli ultimi anni lavorando in Austria e, attraverso il suo canale YouTube, ha costruito una community che lo ha portato alla sua elezione a parlamentare nel 2022. All’epoca, Kast lo invitò a candidarsi, e lui si presentò alla corsa con il Partito repubblicano, ora uno dei suoi rivali.

Rifiuta i Brics (il blocco dei paesi emergenti), difende l’amministrazione Trump e mantiene uno stretto rapporto con il sionismo. In questo senso, ci si potrebbe chiedere se la presunta sovranità di Johannes Kaiser non sia solo una cortina fumogena, soprattutto considerando le reti transnazionali della famiglia Kaiser all’interno della «nuova destra». La sua piattaforma si addentra nella guerra culturale e nella difesa dei valori trascendentali, in linea con la crociata di civiltà promossa dalla destra conservatrice. Pertanto, sebbene non invochi costantemente la religione, il suo obiettivo finale è una riconquista teologica del mondo.

In questo modo, è riuscito a catturare i voti più radicali di Kast, lasciandolo al «centro» all’interno dell’ala destra. Vale a dire, tra la radicalizzazione del minarchismo e la controrivoluzione culturale dello stesso Kaiser e la candidatura di Evelyn Matthei. La destra mainstream – i partiti della destra dittatoriale e le loro successive ramificazioni, inclusi settori significativi della vecchia Democrazia cristiana – è rimasta con Matthei, che ha cercato di diventare un «nuovo centro». Questa forza centripeta della destra non ha ottenuto abbastanza slancio e, come tutti i sondaggi prevedevano, non è arrivata al ballottaggio. Si tratta degli stessi gruppi di destra che difendono i pilastri del regime dittatoriale, seppur con alcune sfumature economiche, nazionaliste o socio-cristiane.

José Antonio Kast, d’altra parte, è un politico più noto, di formazione conservatrice e proveniente direttamente dalla destra mainstream (l’Udi, il partito di Jaime Guzmán, di cui Matthei è ora membro). La differenza fondamentale è che Kast sta cercando da tempo di riorientare il progetto di Guzmán e di riposizionare il conservatorismo, incorporando un’agenda incentrata su valori e principi presumibilmente dimenticati. In altre parole, sta tentando una ri-teologizzazione del discorso di destra che, a suo avviso, si è concentrato troppo sull’economia e sull’amministrazione, trascurando i principi morali.

Ecco perché si è schierato con il Forum di Madrid, guidato da Abascal, con gli incontri del Cpac in Brasile e in altri paesi e, come chiunque avrebbe potuto immaginare, con il clan Bolsonaro. Ha legami con gruppi nazionalisti in Europa, in Ungheria, Spagna e Italia, che si collocano come parte del progetto di difesa della «civiltà cristiana occidentale», una crociata civilizzatrice che traduce la politica in termini teologici. Ha persino parlato in recenti discorsi del pericolo della «Grande Sostituzione», e vale la pena ricordare che è figlio di un militante nazista; il che non significherebbe nulla se avesse cambiato la sua retorica, cosa che non ha fatto.

Oggi non è esattamente lo stesso candidato del 2021. Mantiene un tono pacato, ma ha attenuato l’enfasi religiosa. Ciononostante, parla della crisi della «famiglia tradizionale», della lotta contro quella che chiamano ideologia gender, e così via. Come ha raccontato sua moglie, Maria Pia Adriasola, durante la campagna precedente, Kast l’ha sconsigliata dall’uso della contraccezione per motivi religiosi: hanno avuto nove figli. È un attivista antiabortista. Non sorprende che siano state le donne a causare la sua sconfitta elettorale alle ultime elezioni.

Il focus principale della sua campagna è stato la sicurezza e l’immigrazione; non è un caso che in ogni dibattito menzioni il narcotraffico, il terrorismo, la violenza e gli immigrati clandestini, in particolare venezuelani e colombiani.

Il secondo processo costituzionale (2022-2023) è stato guidato dal Partito repubblicano, rivelando il livello di conservatorismo morale tra i suoi membri: evangelici conservatori, membri dell’Opus Dei, cattolici tradizionalisti, tra gli altri. Sono le stesse persone che hanno promosso l’autobus transfobico qualche anno fa, che difendono la «famiglia tradizionale», che si oppongono all’aborto anche nei tre casi previsti dalla legge e che sono vicine a movimenti come «Non scherzare con i miei figli».

Nonostante la sconfitta, hanno guadagnato terreno nella battaglia ideologica, in un contesto in cui la Costituzione della dittatura di Pinochet appariva quasi moderata rispetto alla proposta di questo gruppo. Ciò ha spostato i confini discorsivi della destra. Ma oggi Kast si concentra sulla sicurezza e sull’economia, consentendo a Kaiser di ricoprire il ruolo di portabandiera dei valori. Ciò illustra la divisione del lavoro ideologico all’interno della destra cilena: Kast appare più legato alla religiosità cattolica, mentre Kaiser si posiziona come meno religioso, ma ugualmente conservatore e reazionario. Entrambi rafforzano il discorso di una crociata civilizzatrice, di salvezza nazionale, in un momento che presentano come critico. Questo scenario non è poi così diverso da quello degli anni Sessanta e dalla campagna anticomunista prima e durante il governo di Unità Popolare. E sappiamo già come andò a finire.

Il ritorno del pinochetismo

Quest’anno è diventato chiaro che il pinochetismo è riemerso con forza, sebbene non sia mai veramente scomparso. Troll e bot sui social media, insieme agli intellettuali di destra, hanno alimentato una marcata radicalizzazione dell’opinione pubblica. Oggi, alla televisione cilena, qualcuno può dire senza vergogna – e persino con orgoglio – di essere il candidato presidenziale che sostiene il colpo di Stato, o dichiararsi apertamente contrario ai diritti umani in un dibattito. Può affermare di credere nella fantasia di complotto della «Grande Sostituzione» o di essere «no-vax» e di voler ritirare il Cile dall’Organizzazione mondiale della sanità. Tutto ciò alimenta campagne che impiegano una retorica omofoba, misogina e xenofoba. Il risultato, familiare in altri paesi, è simile: una fascistizzazione della società e la crescente legittimazione di un discorso reazionario, caratterizzato dalla negazione della storia, dal sostegno al regime dittatoriale e, in casi estremi, dalla rivendicazione del dittatore.

In questo scenario, il discorso pubblico si è talmente spostato che Evelyn Matthei – membro dell’Udi, il partito fondato dal principale ideologo della dittatura – si è collocata al centro politico. Questo «centro» non è altro che una rivoluzione passiva, come sosteneva Gramsci; mentre gli altri due progetti rappresentano chiaramente la controrivoluzione, sia culturale che economica. In breve, i tre forti candidati di destra che si sono contesi un posto al ballottaggio incarnano progetti distinti, ma complementari, della reazione cilena. Nel Cile di oggi – lo stesso paese che ha assistito alla rivolta del 2019 – tre progetti di destra si sono contesi l’egemonia nelle elezioni presidenziali.

In una certa misura, possono essere identificati ciascuno come un progetto vicino all’ideologia di Bolsonaro, come a quella di Milei mentre il terzo appare più vicino alla Democrazia cristiana tedesca o al Partito popolare spagnolo. Tuttavia, i risultati elettorali della destra non riflettono necessariamente le forze ideologiche e politiche egemoniche al suo interno.

*Javier Molina studia le reti, gli intellettuali e le ideologie della destra latinoamericana. Questo articolo è uscito su Jacobin America latina. La traduzione è a cura della redazione.

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