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Nelle Marche un nuovo ‘avvertimento’ ai Giovani Democratici di Filottrano
Sullo sfondo vicende che da anni mettono la cittadina al centro di dinamiche nazionali. “Abbiamo trovato recapitata davanti alla nostra sede questa statuetta rotta, con i cocci intorno alla base e la testa di un’aquila infilzata a un’asta. Un gesto da parte di qualcuno a cui evidentemente non andiamo troppo a genio, un atto vergognoso e indegno da cui non ci faremo di certo intimidire e che nessuna forza politica che si batte su un terreno democratico meriterebbe di ricevere. Un’aquila con le ali lasciate lì per non sbagliare volatile e con la testa come impalata”. Questa la denuncia via Instagram del 19 novembre dei Giovani Democratici (in seguito GD) di Filottrano, in provincia di Ancona. Non è la prima volta che la loro sede è oggetto di azioni intimidatorie e vandaliche. La prima fu il 1° luglio 2023, quando venne devastata. Più volte poi nel tempo, mentre le persone erano dentro in riunione, all’esterno sono stati fatti scoppiare da ignoti dei petardi molto potenti. Un fatto di cui sono stato direttamente testimone la sera del 15 dicembre 2023, quando ero nella sede per un incontro pubblico su tematiche ambientali. Il circolo dei GD di Filottrano è animato da giovani molto più radicali rispetto alla politica del PD e soprattutto è una realtà politica molto isolata dal PD delle Marche, a causa di alcune loro iniziative legate al territorio. Ma va rilevato che il PD delle Marche, dopo la sconfitta elettorale del 2020 che ha consegnato la Regione alla destra, e quella ancora più rovinosa del settembre scorso, che ha consolidato il potere di Fratelli d’Italia, è un partito agonizzante, attraversato da faide interne di gruppi dirigenti legati a irriducibili Raʾīs territoriali. Tanto che sui post Facebook e Instagram in cui i GD denunciano l’atto del 19 novembre, l’unico like (ben pochi peraltro) di solidarietà del partito è quello del sindaco della vicina città di Jesi. Il solo commento istituzionale espresso in maniera estesa sui post è quello della vicesindaca di Filottrano Ivana Ballante, un’autorevole dirigente di FdI, che ha attraversato la militanza a destra già dall’MSI-Destra Nazionale e si avventura su Facebook in un commento di disquisizione zoologica: “Scusate….un’aquila??…sembrerebbe un ariete… però”. Filottrano è una realtà di provincia molto particolare, seppur con poco più di ottomila abitanti. Dal 2024 è guidata da una giunta di destra, capeggiata da un sindaco nato come ‘civico’, l’imprenditore del tessile Luca Paolorossi, e con vicesindaca proprio l’avvocatessa Ivana Ballante. Questa cittadina in anni lontani era nelle Marche una delle roccaforti elettorali del MSI-DN e da un anno e mezzo a questa parte si trova a vivere un’esperienza amministrativa che potrebbe paragonarla, con le dovute proporzioni demografiche, alla Terni di Bandecchi. L’attuale sindaco, che è stato individuato dalla destra marchigiana, in effetti tanto ‘civico’ e avulso dalla politica non è: vanta una candidatura nel 2008 alla Camera dei Deputati con Forza Nuova, ed è stato, non ancora sindaco, il primo ad invitare nel suo territorio il generale Vannacci, che da eurodeputato della Lega, è poi tornato nuovamente a Filottrano nel dicembre 2024, accolto stavolta da Paolorossi in veste di sindaco. Alle scorse regionali di settembre, dopo aver aderito al partito di Salvini, Vannacci si è candidato con la Lega, risultando il più votato delle Marche, ma non è entrato in Consiglio Regionale a causa dei meccanismi di ripartizione dei seggi. Da tempo questa tranquilla realtà delle Marche, da sempre famosa nel mondo per la sua tradizione imprenditoriale nel tessile, è anche, grazie al nuovo sindaco, sulla scena nazionale per i suoi legami con il mondo legato a Visibilia, all’imprenditore abruzzese Altair D’Arcangelo e al suo gruppo Virgo. Per primo Report su Rai3 il 25 gennaio scorso se ne è occupato con un approfondito servizio sulla vicenda. Poi un’inchiesta de Il Fatto Quotidiano del 1° febbraio 2025 ha confermato che “i legami tra il Fondo Virgo e il neosindaco Luca Paolorossi sono anche imprenditoriali: nel 2023 società del gruppo di D’Arcangelo hanno investito 910 mila euro per comprare il 70% della sua Paolorossi Group srl”. Ma le relazioni di Paolorossi attraversano anche il mondo PD molto vicino alla segretaria Schlein, nella figura del deputato Alessandro Zan. Riporta sempre Il Fatto Quotidiano nella stessa inchiesta: “Paolorossi, il 25 agosto 2024 a Chieti, dove è nato D’Arcangelo, ha consegnato il Premio Virgo all’europarlamentare Alessandro Zan, le cui attività imprenditoriali sono legate a D’Arcangelo da sponsorizzazioni, come quelle al Gay Pride di Padova, del quale pure Paolorossi è stato sponsor. Sarà forse un caso che a luglio scorso, appena prima di cedere la sua quota del 52%, Zan ha spostato a Filottrano, in piazza Garibaldi 7, la sede della Be Proud srl con la quale ha organizzato il Pride Village di Padova? La sede è stata oi riportata a Padova poche settimane dopo. A quello stesso indirizzo ha sede Bithouseweb, società della galassia D’Arcangelo alla quale Zan ha ceduto le quote di Be Proud. E di chi è l’edificio di piazza Garibaldi a Filottrano? Di Domus, altra srl (100 mila euro di capitale) del gruppo Virgo di D’Arcangelo, che a Filottrano due anni fa ha comprato per un milione di euro due cadenti palazzi nobiliari. Altra casualità: amministratore unico della Domus, da ottobre 2022, è Luca Paolorossi. Nel dicembre 2022 si tenne l’iniziativa “Il palcoscenico dei borghi e lo spettacolo del Made in Italy”, organizzata da Paolorossi e Virgo, a cui parteciparono il presidente della regione Marche Francesco Acquaroli, l’allora sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi, Barbara D’Urso, il ct della Nazionale di calcio Roberto Mancini (di Jesi, a due passi da Filottrano) e la ministra Daniela Santanché, che inviò un videomessaggio di saluto. Dinamiche ed intrecci che portano anche in Abruzzo, e che sono legate anche alle vicende del Chieti Calcio. E proprio i GD di Filottrano, senza alcun supporto del partito regionale, ma al contrario nella totale distanza, sicuramente a causa anche dell’imbarazzante coinvolgimento dell’on. Zan, sono sempre sul pezzo a segnalare pubblicamente tutte queste storie molto opache, che si riversano sulla quotidianità del loro paese. Tra il gesto di mercoledì e la devastazione della sede di due anni fa, c’è indubbiamente una differenza, ma sono comunque episodi che confermano comunque un aspetto più generale: oggi la politica, il potere in generale, è in mano ad una generazione adulta, autoreferenziale e gerontocratica, che non perde mai occasione per auspicare l’impegno della generazione più giovane. Ma quando poi questa si impegna in maniera difforme a un sistema politico padronale e familistico, va incontro ad episodi come quelli accaduti ai Giovani Democratici di Filottrano.   Leonardo Animali
Un colpo di mano sui diritti fotografici: un emendamento rischia di paralizzare la ricerca e gli archivi italiani
Dopo il pasticcio del decreto sui diritti di riproduzione dei beni culturali, una nuova minaccia si profila per la ricerca e la valorizzazione del patrimonio fotografico italiano. Un emendamento approvato al Senato — su spinta dei fotoreporter e firmato da senatori della Lega — triplica da 20 a 70 anni la durata dei diritti sulle fotografie “semplici”, cioè quelle documentarie e non artistiche. Se la norma passasse alla Camera, interi archivi pubblici e privati dovrebbero essere chiusi o resi a pagamento, vanificando investimenti pubblici e fondi PNRR. Una misura miope e contraria alle tendenze europee, che rischia di infliggere un danno irreparabile alla conoscenza e alla memoria collettiva del Paese. Il Ministero della Cultura circa un anno e mezzo fa aveva messo una pezza a un Decreto Ministeriale relativo ai diritti di riproduzione dei beni culturali di proprietà statale, che l’anno precedente aveva fatto insorgere tutte le istituzioni culturali d’Italia. Roars se ne era occupato qui. Anche con le modifiche migliorative il provvedimento era rimasto un’assurda complicazione con errori ed anacronismi, ma almeno rimediava ai danni maggiori che avrebbe subito la ricerca e l’editoria. Ora assistiamo a una nuova puntata di questa vicenda, che ripropone il tema sotto altra forma nel silenzio generale: su pressione dei fotoreporter alcuni senatori della Lega Nord, con la lungimiranza culturale che li contraddistingue, hanno fatto votare al Senato un emendamento al decreto Disposizioni per la semplificazione e la digitalizzazione dei procedimenti in materia di attività economiche e di servizi a favore dei cittadini e delle imprese – DDL 1184. In sostanza la modifica sostituisce l’articolo 92 della legge 22 aprile 1941, n. 633 e porta a 70 anni dalla data di produzione dello scatto la durata del diritto esclusivo sulle fotografie che non siano “opera fotografica”. Viene così più che triplicato il termine precedente di 20 anni, che valeva per le “fotografie semplici”. Per chiarezza va specificato che con quest’ultima definizione si intendono: le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche. Non sono comprese le fotografie di scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili (legge n. 633 del 1941, art. 87). Dunque, non stiamo parlando delle fotografie artistiche e creative, i cui diritti scadono 70 anni dopo la morte dell’autore. È evidente che, se passasse alla Camera, la norma sarebbe devastante per la ricerca storica e la valorizzazione e divulgazione del patrimonio fotografico nazionale. Esiste infatti nelle collezioni pubbliche e private un patrimonio immenso di foto documentarie della vita e della storia del paese senza le quali non sarebbe più possibile fare ricerca e divulgazione su quel che riguarda le ultime due generazioni di italiani. Sulla base della precedente normativa – quella che prevede una protezione di 20 anni – erano state digitalizzate, catalogate e messe a disposizione della libera fruizione del pubblico intere collezioni con ingente esborso di risorse pubbliche e di fondi PNRR, investimenti che ora verrebbero completamente vanificati. I fondi degli archivi che oggi sono liberamente fruibili dovrebbero infatti essere resi accessibili solo a pagamento e nemmeno sarebbe chiaro come, visto che non si conosce o non è rintracciabile l’autore di un grandissimo numero di queste fotografie. Sarebbe di fatto la paralisi amministrativa. E ovviamente tutto ciò bloccherebbe qualsiasi ulteriore progetto rinviandolo di due giubilei, fra 50 anni, quando molti di noi non saranno più su questa terra. Inoltre, quale ente culturale acquisterebbe collezioni fotografiche sapendo di non poterle toccare per mezzo secolo? Con il rischio (diciamo la certezza) che in questa maniera interi archivi vadano perduti o dispersi. Senza parlare di chi si occupa della storia contemporanea del paese, che troverebbe enormi ostacoli non solo per la ricerca accademica, ma anche per semplice la divulgazione. Questo mentre tutto il mondo civile si sta muovendo in senso contrario verso una progressiva liberalizzazione dell’immagine per promuovere la piena fruibilità del patrimonio storico e culturale, e ovviamente in controtendenza – tanto per cambiare – con la normativa europea. In questo modo si causerebbe un danno gravissimo alla comunità per procurare un vantaggio assai modesto ai fotografi professionisti. Sono infatti solo le foto dell’attualità che hanno una valenza commerciale significativa, non certo quelle di venti anni fa e più. C’è da sperare che il Ministero della Cultura si accorga di questo assurdo autogol, motivato da una visione di straordinaria e miope grettezza, e che si opponga fermamente a una norma che contrasterebbe gli interessi e i progetti promossi dallo stesso Ministero.
La Lega vuole eliminare circa 25mila ettari del Parco dell’Adamello che tutela la ValCamonica
Riproponiamo un importante articolo di Alberto Marzocchi pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 15 maggio 2025, in cui si riporta la proposta della Lega di dimezzare il Parco dell’Adamello per costruire ovunque. Fa parte dell’area protetta più grande delle Alpi e contiene il ghiacciaio più grande d’Italia. Dalle creste e dalle montagne si dipanano boschi e valli ricchi di biodiversità, storia e cultura. Ma ora il rischio è che il Parco regionale dell’Adamello venga sacrificato per soddisfare gli appetiti della politica. La Lega ha appena proposto, infatti, di elevare la quota da cui far partire il confine del parco dai 1600 metri di altitudine in su. Il che si traduce in un dato che fa impressione: degli attuali 51mila ettari di estensione, circa la metà (25mila) verrebbero tagliati. In pratica, addio parco. Complice il momento politico favorevole – tanto in Regione Lombardia, va da sé, quanto, soprattutto, al governo – la Lega della Valle Camonica (Brescia), con la regia dell’ex assessore al Bilancio di Palazzo Lombardia, Davide Caparini (oggi consigliere al Pirellone), ha presentato il proprio piano in una conferenza stampa a Berzo Demo. Le ragioni. Primo: il parco comprende anche zone a bassa quota, riperimetrarlo – e dunque ridurlo – consentirebbe di concentrare sforzi e risorse economiche in zone di “maggior pregio ambientale”. Due: le attività economiche della valle sono ostacolate dai vincoli dettati dal parco. Ed è questo il punto fondamentale. Da Ponte di Legno a Bienno – i Comuni interessati sono 19 – e dunque dai 1250 metri di altitudine del primo ai 450 del secondo, verrebbero meno i vincoli di carattere ambientali e paesaggistico del Parco regionale dell’Adamello. Tradotto: si avrebbe mano libera per edificare dove il suolo – ancora – lo permette. L’iter ora prevede l’approvazione della Comunità montana – che gestisce il parco – e in un secondo momento l’interlocuzione con la Regione Lombardia. “È una proposta scellerata che dimostra tutta l’incapacità e l’incompetenza di chi non sa cosa significa gestire un ambientale naturale” commenta la presidente di Legambiente Lombardia, Barbara Meggetto. “In un contesto di crisi climatica, la politica dovrebbe essere consapevole che la montagna risulta essere ancora più fragile di prima, perché per esempio va incontro a maggiori rischi di carattere idrogeologico. Eppure qui si vogliono disattendere le norme che regolano la necessità di preservare ambienti naturali così delicati”. Secondo Meggetto la proposta della Lega ha un’unica finalità: “Il desiderio è quello di costruire il più possibile, che si tratti di edifici o infrastrutture. Ma cosa vogliono ottenere? Già il fondovalle è costruito all’inverosimile, e mi pare che anche i centri abitati di montagna non siano da meno. Togliendo i vincoli, dove vogliono andare? Non è possibile che le lamentele di dieci o cento cittadini portino a una proposta così grave, non c’è proporzione. La verità è che vogliono mano libera per costruire. È una scelta figlia di una politica sballata che considera il territorio come proprio e che non si preoccupa di tutelarlo per la comunità”. ⁠Il Parco regionale dell’Adamello è stato istituito nel 1983 e costituisce una sorta di ponte tra il Parco trentino dell’Adamello-Brenta e il Parco nazionale dello Stelvio. Un’area protetta che, presa tutta insieme, vale 400mila ettari. Secondo Italo Bigioli, storico ambientalista della Valle Camonica e responsabile dell’associazione Amici della natura di Saviore, si tratta di “un’operazione elettorale. La Lega qui è in forte difficoltà, perché Fratelli d’Italia le sta sottraendo gran parte del consenso”. A elaborare l’idea è stato Giovan Battista Bernardi, sindaco di Berzo Demo e assessore al Parco, assolto a gennaio in primo grado dalle accuse di falso e turbativa d’asta in un processo per presunti appalti pilotati. “È l’ennesimo attacco all’ambiente della Lega, che è passata dal culto delle sacre acque del Po alla conclamata allergia alla natura” dice Paola Pollini, consigliera regionale del Movimento 5 stelle. “Secondo loro il parco sarebbe diventato ingestibile, mal governato per carenza di soldi, nonché un inutile poltronificio. Dichiarazioni pesanti che meriterebbero una replica dura e immediata da parte di Regione Lombardia, che quel parco lo ha voluto e istituito. Sempre che la Regione abbia ancora il coraggio e la dignità per replicare a simili accuse. Invito i sindaci e gli esponenti leghisti a leggere le norme regionali e nazionali in materia di aree protette e a trovare anche un solo riferimento allo ‘sviluppo socio-economico’”. E ancora: “La minaccia di ridimensionare il Parco non può basarsi sul sentito dire o peggio su interessi speculativi, che ci auguriamo non vi siano, ma deve basarsi su analisi scientifiche e naturalistiche dalle quali non si può prescindere. In assenza di questi studi, ogni richiesta di modifica dei confini del Parco va rispedita al mittente ed è ciò che mi aspetto da Regione Lombardia”. Pollini ha depositato un’interrogazione sul caso del Parco regionale dell’Adamello. Contrario il Pd locale. Il segretario Nicola Musati parla di “logica sbagliata che non considera le caratteristiche di ogni borgo e dei Comuni e che può portare a gravi conseguenze e cambiamenti alle principali componenti dell’ambiente. Il Parco regionale dell’Adamello è un esempio per gli alti parchi d’Italia, siamo fortemente convinti che non debba essere svenduto“. Redazione Sebino Franciacorta