
Vite isolate
Comune-info - Sunday, November 30, 2025
unsplash.comLe settimane della provinciale Italia vedono l’attenzione dei media incentrata su fatti, proposte e decisioni, che riempiono a dismisura il contenitore delle notizie su cui successivamente cerca di esprimersi l’opinione pubblica. La stessa formazione della volontà collettiva viene condizionata dal dibattito calato dall’alto (le elezioni regionali, i progetti militari di Trump e della UE) o, in alcuni casi, incide sulle determinazioni degli organi della giustizia (il caso della famiglia isolata che vive nel bosco e della separazione coatta dai figli). C’è un Paese bipolare, che spesso appare rassegnato, altre volte, in uno slancio di protagonismo sociale grida con forza la sua voce. È successo con le tante manifestazioni in solidarietà con il popolo palestinese, provenienti dalla parte sana e civile della nazione. Tuttavia, nei casi in cui queste esigenze afferiscono a questioni giudiziarie, eclatanti o meno, viene in evidenza un eccesso di giustizialismo, espressione latente di un vuoto incolmabile, data la distanza dalle istituzioni e dai suoi organi, alle cui mancate od inadeguate risposte (in termini sociali e di prevenzione e non certo nelle degenerazioni securitarie e repressive) qualcuno cerca di sopperire in maniera diversa. La volontà popolare e un sentire comune, privo di conoscenze giuridiche o depurato dalle stesse, prova a reindirizzare le pronunce dei giudici su un terreno più affine ai sistemi di common law.
La stessa voglia di farsi giustizia da se non trova riscontro, in termini quantitativi, sul terreno della partecipazione politica. Finite le grandi stagioni delle battaglie per la conquista dei diritti civili e sociali, esaurito lo slancio propulsivo dei movimenti intersezionali, rimane lo strumento della delega. La cieca fiducia verso quella classe dirigente trasversale che ha prodotto l’involuzione di uno Stato presente solo come apparato. Un imbarbarimento proveniente dai decisori, che ha determinato sfiducia, alimentando livore, odio, disaffezione. Questa distanza è tangibile nell‘assenteismo dal voto ma non nel fare politico dal basso (mutualismo, solidarietà, associazionismo). Eppure, una parte del Paese, invischiata con le élite, o con la pancia piena, continua ad accettare il gioco autoreferenziale della rappresentanza degli interessi. La massima ambizione per costoro è quella di essere coinvolti nel processo di spartizione del privilegio. Invece, volendo accettare la logica di un ipotetico contratto sociale, quello che manca per chi pensa che ancora abbia un senso il poter agire all’interno delle istituzioni, mobilitando la volontà popolare oltre la semplice appartenenza di classe (e gli ideali), è il soggetto motore del cambiamento. I tempi non sono maturi. All’orizzonte nessuna parvenza di egemonia che possa ambire a velleità di alfabetizzazione di massa. Un ritardo sostanziale, che necessita, innanzitutto, di una presa di coscienza. Urge il bisogno di quella rivoluzione culturale e civile in grado di dare un senso comune ai sottoposti e che superi ogni forma di identitarismo.
Assistiamo, da trent’anni, sempre alle solite formule. Ammucchiate tra liberal-progressisti, moderati ed esuli della sinistra che non c’è.
Certo, dinnanzi alla volgarità figlia dei movimenti/partiti reazionari l’alternanza liberista che proviene dalla fu sinistra è più presentabile, ma siamo stanchi di sentire appelli a turarci il naso e, sinceramente, questo problema, non me lo sono mai posto, desertando, consapevolmente, le urne. Dobbiamo recuperare ciò che ci accomuna. Soprattutto, il contatto con la natura. Chi sceglie di vivere nei boschi o di volersi isolare da un presente che inquina le vite deve poterlo fare in autonomia, ma tenendo presente che vi è una responsabilità, che trascende il diritto inteso come sovrastruttura costruita dal potere economico, ma che è pur sempre necessario in un quadro fissato da regole minime in grado di assicurare la convivenza. Alla quale andrebbe preferita la convivialità come slancio qualitativo dello stare insieme.
Insomma, c’è tutto un mondo da ricostruire. Innanzitutto le relazioni umane, sulla via della ri-definizione a causa di una tecnologia sempre più invasiva, e che rende la mercificazione delle esistenze qualcosa di diverso. L’alienazione nei rapporti fra le persone è, ormai, un lontano ricordo. Non nel senso che essa sia scomparsa, ma è stata superata da un’attualità sempre più irreale, che rinuncia volentieri alle tradizionali forme di contatto. La spersonalizzazione crescente crea emarginazione e patologie. Siamo andati troppo avanti, e forse, non ricordiamo più come eravamo.
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