Giorgia Protti / Il diavolo al pronto soccorso
Una giovane dottoressa, medico internista che lavora nel Pronto soccorso di una
grande città, timbra l’uscita ed esce dall’atrio attraverso la porta a vetri.
Pochi minuti dopo la mezzanotte. Un deserto illuminato dalle luci al neon. È
fuori, nel freddo e nella nebbia. Fa freddo, lei tira la cerniera del cappotto e
camminando rasente il muro vuole raggiungere velocemente la macchina. Le chiavi
in mano scattano come fossero un coltello a serramanico, “tiepida sensazione di
sicurezza”. Al centro del cono di luce di un lampione “lui” sta seduto sul
cofano di una macchina, il viso in ombra rischiarato da una sigaretta che
sfrigola, jeans e maglietta dei Rolling Stones da cui fuoriescono due enormi ali
membranose. “Chi sei?” “Chi ti sembro?” Lei pensa: allucinazione. O troppi pasti
saltati. Raggiunge la macchina e si chiude dentro.
È l’inizio del romanzo, è l’inizio del dialogo con quello che sembra la visione
del male interno (o interiore, come si dice) ma che improvvisamente appare ben
visibile, concreto e parlante, esterno al corpo della protagonista. Dottoressa
come Giorgia Protti, in quel di Torino, autrice al suo esordio con questo
romanzo che mette in scena prima di tutto la vera vita tra le pareti di un
Pronto soccorso, là dove le esistenze di medici, infermieri e pazienti
s’incrociano nel bel mezzo delle emergenze sanitarie e psichiche: al centro di
drammi estremi e umanità rimbalzate tra sventure, salvezze e condanne, e
comicità impreviste. Vicende quasi sempre insane e sinistre raccontate come
rapporti sul campo da chi sa – e lo sa bene – cosa significhi tramortirsi in
turni infiniti nel luogo di prima assistenza che spesso si trasforma in luogo
infernale governato dal caos.
Lucifero, con il suo piano, irrompe nel quotidiano tormentato della dottoressa,
verso cui ogni capitolo guarda con precisione quasi forsennata, più che
pertinente considerato il luogo delle operazioni. Il trambusto che governa i
locali del Pronto soccorso, le stanchezze e le intersecazioni umane sono terreno
fertilissimo all’intervento del diavolo, figura che saggia continuamente i
limiti umani della dottoressa, e l’emotività che spesso sconfina in un dialogo
che di mostruoso ha ben poco: “Mi sembri un cazzone.” Risposta: “Mi hanno
chiamato in tanti modi, ma tu sei la prima che mi dà del cazzone”.
Nell’ematologico e corporale susseguirsi del tempo viene a galla quel che
Lucifero, figura sempre più tragicamente “umana”, scopre le carte del suo volere
ponendo di fronte perdizione eterna e salvezza personale. Protti ha parlato – in
intervista – di cruda realtà della carne e di odori (chi ha frequentato gli
ambienti sanitari, da operatore e da paziente, sa bene di che si tratta) in cui
irrompe il sovrannaturale perché in fondo “la materia e lo spirito non sono poi
così lontani”.
La lucidità con cui la scrittrice ha affrontato la storia brutale dei reparti di
emergenza rasenta allo stesso modo momenti metafisici e realismo “chirurgico”: è
proprio questo a sorprendere in un libro dove l’angoscioso trattamento dei
disastri corporali avvicina il prodigio fuori sesto ma non per questo meno
reale. Lucifero ha spesso il bon ton di certa oratoria venata qua e là di
perfidia minacciosa. È verso la fine del romanzo che la storia guidata dalla
presenza diabolica giunge in un territorio insondabile e irrompe la potenza
fantastica del male.
Se i destini in questo romanzo sono sghembi, per come l’autrice agisce pur nella
sua scrittura ordinata e documentarista, la domanda bruciante che il lettore più
attento e scaltrito è: cosa ci influenza di più, la vita dello scrittore o il
suo romanzo? Il destino è in mano a chi pratica la letteratura o è quest’ultima
a tenere strette le briglie del nostro mondo confuso? Probabile che solo il
diavolo lo sappia, come ampiamente dimostra in La giusta distanza dal male. Al
netto della sua (finta) affabilità lanciata come un dardo – tiepido sì ma non
per questo meno mordente – alla dottoressa immersa nell’altrui e propria
sofferenza.
L'articolo Giorgia Protti / Il diavolo al pronto soccorso proviene da Pulp
Magazine.