Tag - sorveglianza

Entry-Exit System, la UE avvia un enorme esperimento di sorveglianza biometrica
Il 30 luglio la Commissione Europea ha annunciato il prossimo avvio di una grande sperimentazione di sorveglianza biometrica per tutti i cittadini non UE. Dal 12 ottobre, chiunque vorrà attraversare le frontiere Schengen senza essere cittadino di un suo paese dovrà fornire la propria immagine facciale e le proprie impronte […] L'articolo Entry-Exit System, la UE avvia un enorme esperimento di sorveglianza biometrica su Contropiano.
Chi controlla il controllore? Sulla sorveglianza delle opposizioni politiche in Italia
Oltre un mese fa, e nuovamente nei giorni scorsi, l’inchiesta giornalistica pubblicata da Fanpage ha portato alla luce fatti di estrema gravità per la tenuta democratica del nostro Paese. Secondo documenti interni e testimonianze, almeno cinque agenti della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione – cioè l’antiterrorismo del Ministero dell’Interno […] L'articolo Chi controlla il controllore? Sulla sorveglianza delle opposizioni politiche in Italia su Contropiano.
L’arma MOSAIC dell’AIEA: spionaggio predittivo e guerra all’Iran
Kit Klarenberg è un giornalista britannico che ha prodotto varie inchieste di spessore sull’Ucraina e sul complesso quadro mediorientale. Per questo, è finito nel mirino della repressione della corona di Londra, secondo la quale non è possibile criticare gli indirizzi di politica estera del Regno Unito, degli Stati Uniti e […] L'articolo L’arma MOSAIC dell’AIEA: spionaggio predittivo e guerra all’Iran su Contropiano.
La Silicon Valley è pronta ad andare in guerra
Da culla del progressismo a cuore dell’industria bellica a stelle e strisce: Meta, OpenAI, Microsoft, Anduril e l’inarrestabile crescita della defence tech. “C’è un sacco di patriottismo che è stato a lungo tenuto nascosto e che adesso sta venendo alla luce”, ha spiegato al Wall Street Journal, Andrew Bosworth, direttore tecnico di Meta. Bosworth – assieme a Kevin Weil e Bob McGrew, rispettivamente responsabile del prodotto ed ex responsabile della ricerca di OpenAI, ai quali si aggiunge Shyam Sankar, direttore tecnico di Palantir – è infatti uno dei quattro dirigenti tech assoldati in quello che è stato ironicamente chiamato “Army Innovation Corps” - Corpo degli ingegneri degli Stati Uniti (il nome ufficiale del programma è Detachment 201). Il clima che si respira oggi nella Silicon Valley è molto differente, la maschera progressista che le Big Tech hanno a lungo indossato è stata infine calata (come mostrato plasticamente dall’ormai storica foto che ritrae i principali “broligarchs” celebrare l’insediamento di Donald Trump), e adesso nessuno sembra più farsi scrupoli a seguire la strada tracciata dalle due più note realtà del settore “defence tech”: Palantir e Anduril, aziende fondate rispettivamente dall’eminenza grigia della tech-right Peter Thiel e dal guerrafondaio Palmer Luckey (già noto per aver fondato Oculus, poi acquistata da Meta, e per rilasciare dichiarazione come: “Vogliamo costruire tecnologie che ci diano la capacità di vincere facilmente ogni guerra”). Articolo completo qui
Nell’era Trump, la lotta ai migranti passa anche dalle app
Immagine in evidenza da RawPixel, licenza CC 1.0 Nelle ultime settimane, hanno suscitato grande scalpore alcune applicazioni sviluppate per segnalare alle autorità competenti i cittadini stranieri che vivono illegalmente negli Stati Uniti. In particolare, secondo The Verge, a ricevere il sostegno di Donald Trump e dei filotrumpiani è stata ICERAID, un’app che promette di premiare con una criptovaluta proprietaria, il token RAID, “i cittadini che acquisiscono, caricano e convalidano le prove fotografiche di otto categorie di sospette attività criminali”. Tra queste i maltrattamenti di animali, i rapimenti, gli omicidi, le rapine, gli atti terroristici e, naturalmente, l’immigrazione clandestina.  L’idea alla base dell’applicazione è quella di trasformare i cittadini in veri e propri “cacciatori di taglie”, permettendo loro di combattere la criminalità in collaborazione con le forze dell’ordine e le agenzie di sicurezza. Con ICERAID, gli americani hanno infatti la possibilità di scattare e caricare la foto di un presunto reato in corso, fornendo tutte le informazioni utili per consentire alle autorità competenti di intervenire, ma solo dopo che la veridicità della segnalazione è stata confermata (al netto degli errori) da un’intelligenza artificiale. Ma non è tutto. Come riportato da Newsweek, l’app vanta un “programma di sponsorizzazione” che promette di “ricompensare gli immigrati privi di documenti e senza precedenti penali che si fanno avanti, attraverso un programma di sostegno in cui vengono aiutati a perseguire lo status legale negli Stati Uniti tramite vari percorsi, tra cui l’assistenza per la ricerca di un avvocato specializzato in immigrazione”.  Eppure, nonostante i sostenitori di Trump abbiano promosso ICERAID in ogni modo possibile, l’applicazione non sembra star riscuotendo il successo sperato. Allo stato attuale, risultano solo otto segnalazioni di attività criminali da parte dei cittadini statunitensi, di cui soltanto tre ritenute valide dall’AI dell’applicazione. Una delle ragioni è probabilmente il fatto che l’app è stata rilasciata sul mercato senza che la sua criptovaluta fosse ancora disponibile, il che ha reso gli americani restii a utilizzarla. Ma anche la cattiva reputazione del fondatore del progetto Jason Meyers – accusato di appropriazione indebita di fondi in una delle sue attività precedenti – non ha contribuito alla credibilità di ICERAID. Di certo, i sostenitori di Trump e gli esponenti della destra americana stanno cercando di trasformare i cittadini comuni in “vigilantes” pronti a dare la caccia agli immigrati clandestini, con o senza il supporto della tecnologia. A gennaio un senatore dello Stato del Mississippi ha presentato una proposta di legge che prevedeva una ricompensa di 1.000 dollari per i cacciatori di taglie che avrebbero portato a termine la cattura di immigrati entrati nel paese senza autorizzazione. Fortunatamente, la proposta non è mai diventata legge, ma ha comunque dimostrato qual è la direzione che sta prendendo la destra americana.  TRUMP STA SPINGENDO GLI IMMIGRATI ALL’AUTOESPULSIONE CON UN’APP Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sembra intenzionato a utilizzare ogni mezzo possibile per mantenere la promessa di combattere l’immigrazione clandestina e contenere i flussi di migranti in ingresso al confine sud-occidentale del Paese. Proprio qualche settimana fa, la segretaria alla Sicurezza nazionale Kristi Noem ha infatti annunciato il lancio dell’app Cbp Home, dotata di una funzione specifica che “offre ai cittadini stranieri la possibilità di andarsene ora e di auto-espellersi, il che darebbe loro l’opportunità di tornare legalmente in futuro e vivere il sogno americano”. Più nel dettaglio, l’applicazione non è altro che la versione completamente rinnovata di Cbp One, un’app promossa dall’amministrazione Biden per agevolare i migranti nel fissare un appuntamento per avviare le pratiche di richiesta di asilo negli Stati Uniti. Ora, invece, con Donald Trump l’applicazione ha preso tutta un’altra forma. Secondo quanto riferito da Newsweek, Cbp Home offre alle persone che si trovano illegalmente nel paese, o a cui è stata revocata la libertà vigilata, la possibilità di comunicare al Dipartimento di Sicurezza Nazionale (DHS) la loro volontà di abbandonare gli Stati Uniti, così da evitare “conseguenze più dure”, come la detenzione o l’allontanamento immediato. Per accertarsi che abbiano davvero abbandonato gli Stati Uniti, l’app chiede una conferma della loro espulsione. “Se non lo faranno, li troveremo, li deporteremo e non torneranno mai più”, ha chiosato la segretaria Noem, facendo riferimento all’attuale legge sull’immigrazione degli Stati Uniti, che può impedire a chi è entrato illegalmente nel paese di rientrarvi entro un periodo di tempo che varia dai tre anni a tutta la vita. La nuova funzione di auto-espulsione di Cbp Home, infatti, fa parte di “una più ampia campagna pubblicitaria nazionale e internazionale da 200 milioni di dollari”, che include annunci radiofonici, televisivi e digitali in diverse lingue per dissuadere i migranti dal mettere piede sul suolo statunitense. In questo modo, Donald Trump spera di mantenere la promessa fatta durante la sua campagna elettorale: attuare “il più grande programma di espulsione nella storia del paese”. Ad aprile dello scorso anno, in un’intervista al TIME, l’allora candidato repubblicano aveva dichiarato la sua intenzione di voler espellere dagli Stati Uniti “dai 15 ai 20 milioni di migranti”. Già dal suo primo giorno come presidente, Trump ha dimostrato di voler onorare quanto promesso. Poche ore dopo il suo insediamento, ha firmato una direttiva per dichiarare l’emergenza migratoria nazionale al confine con il Messico, e ha riattivato il programma “Remain in Mexico”, che costringe i richiedenti asilo a rimanere in Messico in attesa che venga elaborato il loro status di immigrati. Inoltre, coerentemente con le sue promesse elettorali, Trump ha presentato una proposta di legge per eliminare la concessione della cittadinanza automatica ai figli degli immigrati nati negli Stati Uniti. LA TECNOLOGIA PER DIFENDERSI DALLA POLITICA DI TRUMP Con l’intensificarsi delle azioni, politiche e non, messe in campo da Donald Trump per combattere l’immigrazione clandestina, anche i migranti stanno ricorrendo alla tecnologia per sfuggire ai raid delle forze dell’ordine e assicurarsi una permanenza nel paese. Secondo quanto riferito da Newsweek, nelle ultime settimane sta riscuotendo un buon successo SignalSafe, un’app di community reporting usata dai migranti o chi li aiuta per segnalare le operazioni degli agenti federali e della polizia locale. Una piattaforma che dichiara di non voler ostacolare le attività dell’ICE (United States Immigration and Customs Enforcement), ma che ha l’obiettivo di “dare potere alle comunità fornendo ai cittadini uno strumento per segnalare e condividere quello che accade negli spazi pubblici”, come riferiscono gli sviluppatori dell’applicazione, che per il momento hanno preferito mantenere segreta la loro identità.  Proprio allo scopo di “garantire la qualità e l’affidabilità” delle informazioni, SignalSafe utilizza “un’intelligenza artificiale avanzata per filtrare le segnalazioni inappropriate o palesemente false non appena arrivano”, che passano poi al vaglio di moderatori umani, i soli a poterle etichettare come verificate o revisionate. In questo modo gli sviluppatori si assicurano che gli utenti abbiano accesso a informazioni veritiere, che possano aiutarli a “prendere decisioni che proteggano se stessi e gli altri”. Negli ultimi anni, l’ICE è stata fortemente contestata per le sue pratiche che includono, tra le atre cose, l’uso di furgoni neri, passamontagna e incursioni improvvise. Una strategia di intervento che fa paura, e che spinge i migranti a rivolgersi alla tecnologia per cercare di tenere al sicuro famiglie, amici e conoscenti. Non stupisce, quindi, che SignalSafe non sia il solo strumento a cui gli immigrati stanno facendo riferimento per evitare l’espulsione dagli Stati Uniti.  Alla fine del mese di marzo, il Washington Post ha riferito che gli immigrati clandestini stanno facendo un largo uso dei social media per “condividere in tempo reale la posizione di veicoli e agenti dell’ICE”, utilizzando parole in codice come “camioncino dei gelati” per segnalare un furgone nero nei paraggi, così da evitare la censura sulle piattaforme e permettere ai loro coetanei di sfuggire ai controlli delle autorità competenti. Questa strategia, com’è facile immaginare, ha irritato i sostenitori di Donald Trump, che hanno reagito mostrando tutta la loro disapprovazione sui social media. Nelle prime due settimane di marzo, stando ai dati della società di analisi Sprout Social, ci sono state quasi 300.000 menzioni dell’ICE nei contenuti pubblicati su X, Reddit e YouTube (un aumento di oltre cinque volte rispetto allo stesso periodo di febbraio), il che dimostra quanto la questione dell’immigrazione clandestina sia al centro del dibattito pubblico.  In queste settimane i sostenitori di Trump stanno pubblicando decine e decine di segnalazioni false sulle attività dell’ICE, così da alimentare i sentimenti di paura e confusione negli immigrati clandestini che cercano di salvaguardare la loro permanenza negli Stati Uniti. Una strategia che non sempre sembra funzionare. Come riferisce il Washington Post, i migranti preferiscono setacciare i social media alla ricerca delle informazioni giuste piuttosto che incontrare le forze dell’ordine, anche se questo richiede più tempo. E hanno valide ragioni per farlo, considerando che i filotrumpiani non perdono occasione per creare scompiglio. Lo dimostra la storia di People Over Papers, una mappa collaborativa che segnala i presunti avvistamenti dell’ICE in tutto il Paese e che ha ricevuto più di 12.000 segnalazioni da quando è diventata virale su TikTok alla fine dello scorso gennaio. Secondo quanto raccontato da Celeste, fondatore del progetto, dopo che gli account X Libs of TikTok e Wall Street Apes hanno pubblicato un post in cui sostenevano che People Over Papers aiutasse i criminali a eludere le forze dell’ordine, la mappa è stata invasa da decine e decine di segnalazioni false. Eliminate una a una dai volontari che seguono il progetto.  GLI STRUMENTO DI SORVEGLIANZA NELL’IMMIGRAZIONE Se ICERAID e SignalSafe sono due applicazioni che coinvolgono i cittadini in materia di immigrazione clandestina negli Stati Uniti, non va dimenticato che già da qualche tempo il governo utilizza la tecnologia per sorvegliare gli immigrati che non godono di uno status legale nel paese, anche se non sono detenuti in carcere o in altre strutture specializzate, applicando loro strumenti di localizzazione come smartwatch e cavigliere. Nello specifico, secondo quanto riferito dal New York Times, le autorità governative stanno utilizzando l’app SmartLink sviluppata da Geo Group, uno dei più grandi fornitori statunitensi in ambito penitenziario, per monitorare la posizione dei clandestini identificati dall’ICE. Grazie al programma “Alternative to detection”, questi possono continuare a vivere nel paese, purché segnalino alle forze dell’ordine la loro posizione attraverso l’applicazione quando richiesto, semplicemente scattandosi un selfie e caricandolo in-app.  Un metodo di sorveglianza imvasivo, il cui uso sembra essere cambiato radicalmente con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Già dai primi mesi del suo mandato, infatti, l’app sembra sia stata usata per comunicare all’ICE la posizione degli immigrati, facilitandone così l’arresto. Secondo il Dipartimento di Sicurezza Nazionale, nei primi 50 giorni di mandato del nuovo presidente sono infatti stati arrestati più di 30.000 immigrati.  Non c’è da stupirsi, quindi, che Geo Group sia la compagnia che ha ricevuto più finanziamenti governativi di ogni altra. O che le politiche di immigrazione del presidente degli Stati Uniti abbiano fatto impennare il valore delle sue azioni sul mercato. Eppure, nonostante i sostenitori di Trump abbiano elogiato e supportato in ogni modo possibile questa tecnologia, gli esperti di sicurezza ne hanno criticato aspramente l’uso. “Il governo la presenta come un’alternativa alla detenzione”, ha dichiarato Noor Zafar, avvocato senior dell’American Civil Liberties Union, un’organizzazione non governativa per la difesa dei diritti civili e delle libertà individuali negli Stati Uniti. “Ma noi la vediamo come un’espansione della detenzione”. L'articolo Nell’era Trump, la lotta ai migranti passa anche dalle app proviene da Guerre di Rete.
Poliziotti infiltrati tra attivisti e partiti: il caso italiano ed europeo
Giovani, carini e appena arruolati. Praticamente infiltrati. Dopo la denuncia di Potere al Popolo abbiamo ripercorso due celebri cicli di infiltrazioni nello stato spagnolo e in Gran Bretagna di Checchino Antonini da Diogene Potere al Popolo ha denunciato il 27 maggio che per ben dieci mesi un giovane agente di polizia, fresco di corso, ha partecipato a riunioni, manifestazioni di piazza, assemblee nazionali, volantinaggi e alla vita quotidiana di partito a Napoli. Perché questa operazione? si chiede Pap, e ancora: chi l’ha decisa, pianificata, ordinata? La rivelazione arriva dopo il caso Paragon-Mediterranea emerso quando una comunicazione ufficiale di Meta, proprietaria di Whatsapp ha avvertito Luca Casarini, capomissione di Mediterranea, che il suo telefono era stato violato da una operazione di “spyware” ad alto livello, attraverso l’uso di un software definito “tra i più sofisticati al mondo”. Era il 31 gennaio scorso e Meta consigliava di cambiare subito il cellulare e, quasi contestualmente, testate internazionali davano notizia della violazione dei sistemi di sicurezza di Whatsapp, che coinvolgeva 90 “target” in tutto il mondo, in particolare attivisti della società civile e giornalisti. Il sospetto che il governo Meloni spii partiti di opposizione, ong e giornalisti è fortissimo (una pratica che non disdegnava nemmeno Conte e supponiamo sia bipartisan) e non sembrano convincenti le smentite di rito di Palazzo Chigi tanto su Paragon, sistema di fabbricazione israeliana, tanto su Pap, tanto sul razzismo così diffuso in polizia al punto da inorridire perfino il Consiglio d’Europa. Ma sono legali in Italia le infiltrazioni di poliziotti in organismi che operano alla luce del sole? In qualche modo deve essere autorizzata in un contesto di indagini su droga, armi, terrorismo ma quest’ultimo concetto è così dilatabile che una “funzione di monitoraggio” da parte dell’intelligence è attività nota negli ambiti parlamentari. Vista la smentita maldestra di un’infiltrazione altrettanto maldestra, resta la domanda: chi ha autorizzato quel poliziotto? Forse l’AISI? Forse una polizia parallela di fascisti? Certo i precedenti non mancano, soprattutto di quell’infiltrazione di piazza, ovvero finti manifestanti traditi da particolari del loro outfit oppure dal bozzo del calcio della pistola. Una delle più celebrate infiltrazioni è quella dell’agente immortalato, in borghese, mentre faceva oscillare un cellulare assieme a un gruppo di squadristi che presero d’assalto la sede della Cgil nell’ottobre del 2021. Riavvolgendo il nastro, un altro famoso è Giovanni Santone, fotografato da Tano D’Amico il 12 maggio del 1977, in tenuta settantasettina ma con la pistola d’ordinanza in pugno. Osservatorio Repressione, in un pezzo di qualche anno fa, ricorda che gli infiltrati a volte stanno lì per provocare, altre per uccidere, oltre che per spiare. Certo, l’evoluzione tecnologica, con ogni probabilità ha alleggerito l’esigenza di mimetizzarsi per captare segnali di movimento. Tana per Nieves Giovane e appena arruolato: la vicenda del poliziotto infiltrato ricorda da vicino quello che sta accadendo nello Stato Spagnolo dove già sono stati scoperti almeno tredici casi di infiltrazione di agenti da quando, nel 2022, due media alternativi – La Directa, catalano, e El Salto – hanno avviato un’inchiesta su questo tipo di pratiche di polizia tra gruppi anarchici, occupazioni di case, organizzazioni ambientaliste. La numero 12 è venuta fuori poche settimane fa, il 23 aprile: dietro la falsa identità di Nieves López Medina si nascondeva una funzionaria di polizia che rispondeva alle iniziali di N.M.C.F., diplomata alla 37° corso dell’Accademia di Avila e infiltrata a Madrid, all’interno di gruppi ambientalisti come Rebelión o Extinción e Fridays For Future per circa sei mesi. Il profilo di Nieves coincide con quello della maggior parte dei casi scoperti compreso quello venuto alla luce a Napoli: un’agente appena diplomata alla Scuola Nazionale di Polizia di Avila, che viene introdotta nei movimenti sociali poco dopo il suo giuramento. E’ da notare che l’infiltrazione sotto finta identità di Nieves è avvenuta quando molti di questi casi erano già venuti alla luce; infatti, uno degli agenti scoperti da El Salto, Mavi, è stato scoperto nel marzo 2023, mentre Nieves ha cercato di entrare in questi stessi ambienti nel dicembre dello stesso anno. Di Nieves sappiamo qualcosa di più di quanto si sa dell’infiltrato presunto in Pap: è entrata per la prima volta in contatto con l’ambiente militante quando ha compilato un modulo per partecipare a un’azione di disobbedienza civile contro l’industria dei combustibili fossili organizzata da Rebellion o Extinction (XR). È apparsa per la prima volta in una formazione che si è svolta il 10 dicembre 2023 per preparare questa azione. Il giorno seguente, una trentina di attivisti sono entrati nel recinto di Arganzuela per ancorarsi agli alberi e impedirne l’abbattimento. Sono stati tutti sgomberati con violenza e multati per disobbedienza. Nieves ha partecipato all’azione. Tuttavia, il suo atteggiamento ha presto generato diffidenza tra i suoi nuovi compagni. Da quando la sua collega Mavi si è infiltrata in XR nel 2022, gli attivisti spagnoli sanno che “nei movimenti per il clima ci sono agenti che fanno solo disobbedienza civile, quindi abbiamo imparato a tenerli d’occhio”. Oltre a XR, Nieves partecipava alle assemblee di Fridays For Future. Aveva trent’anni, era arrivata in moto e diceva di essere una magazziniera in un Carrefour. In FFF la maggior parte sono studenti, anche liceali, e nessuno gira in moto. Inoltre non aveva profili social. Fin dall’inizio, Nieves ha mostrato un grande interesse per la disobbedienza civile non violenta e ha chiesto con insistenza di far parte del comitato “relazioni esterne”, cosa insolita per un nuovo membro. Probabilmente il suo obiettivo era quello di avvicinarsi a gruppi più radicali come Futuro Vegetal. Quando è stata multata per “disobbedienza” non ha esitato a inviare la multa a XR affinché la aiutasse a fare ricorso e proprio questo ha permesso al gruppo ambientalista di ottenere una fotocopia della sua carta d’identità farlocca. Con quel documento XR ha richiesto un certificato di nascita all’anagrafe ma non c’era non traccia di lei all’Ufficio del Registro Civile nonostante quella carta d’identità dichiarasse che era nata a Murcia. Tana per Nieves. El Salto ha chiesto chiarimenti al Ministero dell’Interno ricevendo come unica risposta un appello all’articolo 104 della Costituzione spagnola, che stabilisce che “le Forze e i Corpi di Sicurezza dello Stato garantiscono la sicurezza e il libero esercizio dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini, e che agiscono in questi termini, con una rigorosa sottomissione all’ordinamento giuridico”. Da parte sua, la Stazione Generale di Polizia di Madrid, dove sarebbe stata assegnata, si è rifiutata di fare qualsiasi tipo di valutazione. Vale la pena ricordare che, in base all’attuale quadro giuridico iberico, questo tipo di infiltrazione può essere effettuata solo su ordine del tribunale, nei casi di terrorismo, criminalità organizzata e traffico di droga. María, infiltrata con la sua vera madre A Girona, in Catalogna, a un anno e mezzo dalla denuncia, il tribunale ha rifiutato di incriminare una poliziotta infiltrata con un’ordinanza di sole quattro pagine, in cui si conclude che l’agente non avrebbe oltrepassato i suoi limiti. L’ordinanza di archiviazione riconosce che María Isern Torres, agente sotto copertura, stabilì la relazione con l’attivista indipendentista Òscar Campos per ordine dei suoi comandanti, ma non ammette che “fu iniziata e mantenuta in condizioni di disparità” né che l’intenzione fosse quella di “danneggiarlo psicologicamente”. La denuncia accredita, attraverso una perizia, i “postumi psicologici sotto forma di disturbo depressivo e sintomi di stress post-traumatico” causati da “una relazione sentimentale fallace, ingannevole e spuria” e dall’“invasione dei diritti fondamentali”. Durante l’infiltrazione, l’agente ha persino coinvolto la sua vera madre nell’operazione, fornendo una copertura per la missione che era stata assegnata alla figlia. L’attivista di Girona ha soggiornato nella casa di famiglia a Palma, dove madre e figlia hanno mentito sull’attività lavorativa dell’infiltrata. Da quel momento in poi, la madre stabilì una stretta relazione telefonica con la persona spiata e il suo entourage a Girona, con cui condivise momenti di intimità. La relazione è avvenuta tra il 2020 e il 2023. Maria Isern Torres, in realtà è un’agente del Cuerpo Nacional de Policía, operante sotto il falso nome di Maria Perelló Amengual. Nel luglio 2023, Campos scoprì la vera identità e denunciò pubblicamente la “torturadora a les ordres de l’Estat espanyol” (“torturatrice agli ordini dello Stato spagnolo”). La Procura di Girona ha giustificato l’operazione sostenendo che l’agente agiva nell’ambito delle sue funzioni per prevenire azioni secessioniste, ritenendo quindi legittima la sua infiltrazione nei movimenti sociali catalani. L’intera vicenda è stata documentata nel reportage “Infiltrats”, prodotto da 3Cat e La Directa, che ha portato all’attenzione pubblica le modalità e le implicazioni delle infiltrazioni della polizia spagnola nei movimenti sociali catalani. Queste infiltrazioni della polizia violano i diritti fondamentali e sono più tipiche di uno Stato di polizia che dello Stato di diritto ma la sentenza del tribunale, pur riconoscendo che la relazione sentimentale, ha facilitato l’accesso dell’agente alla sfera privata di Òscar Campos e ad attività riservate, afferma che non ci sono elementi nella denuncia per ritenere che non ci sia stato consenso. Anche la denuncia per tortura contro Ramon, infiltrato della polizia nei movimenti sociali di Valencia, è stato definitivamente archiviata lo scorso 5 maggio. Ora, ovviamente, di Nieves non si hanno più tracce e gli attivisti ritengono che probabilmente è stata fatta fuori perché non è riuscita a passare inosservata. Ci si interroga sulla relativa facilità con cui è stato possibile smascherare l’infiltrazione: o la Brigata d’Informazione l’ha messa lì apposta per far credere che XR fosse già in grado di individuare gli infiltrati, oppure era semplicemente stupida. Di sicuro i movimenti denunciano la crudeltà di un metodo che genera paranoia, sfiducia, indignazione e paura tra gli attivisti. L’infiltrazione come forma di tortura Pau Pérez-Sales, psichiatra e direttore del SIRA, un centro di assistenza alle vittime di tortura e maltrattamenti, ha spiegato a El Salto che l’infiltrazione è una tortura perché “per essere considerata tale, devono essere presenti quattro elementi: devono esserci gravi sofferenze, deve esserci intenzionalità, deve esserci uno scopo, come ottenere informazioni, punire, umiliare, reprimere o discriminare e, infine, deve essere eseguita da un funzionario statale”. L’eco di queste vicende nello stato spagnolo ha stimolato il progetto militante di pubblicazione, lo scorso febbraio, di un “Manual para destapar a un infiltrado”, operazione che ha infastidito sia la polizia sia i politici che la fiancheggiano. Sabato 24 maggio il Comune di Malaga ha cercato di impedire la presentazione del manuale comunicando agli organizzatori che era necessario avere un permesso speciale in base alla legge sugli spettacoli pubblici, una norma che non può essere applicata a proposte no-profit e a eventi pubblici come la presentazione di un libro, attività peraltro garantite dall’articolo 20 della Costituzione spagnola sulla libertà di espressione e di cultura, e dall’articolo 21 che tutela la libertà di riunione pacifica in spazi privati. A proposito di Nieves è stato detto che almeno, a differenza di Mavi (un altro finto ecologista, vero sbirro) non è andata a letto con nessuno. Non possono dire altrettanto le decine di donne britanniche vittime di altrettanti agenti infiltrati per decenni nelle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, ecologista del Regno Unito. Lo scandalo Spycops Per oltre quarant’anni, la polizia britannica ha condotto un’operazione segreta di spionaggio su migliaia di cittadini. L’opinione pubblica non aveva alcun sentore di questa operazione segreta e solo un ristretto numero di ufficiali di polizia ne era a conoscenza. La polizia ha inviato 140 agenti sotto copertura per spiare più di 1.000 gruppi politici e compilare file riservati sulle attività politiche degli attivisti. La storia, partita nel 1968, è venuta alla luce nell’autunno 2010 quando cominciarono a emergere notizie su Mark Kennedy, un agente di polizia sotto copertura, noto come Mark Stone, che si era infiltrato nei gruppi di protesta ambientalisti provocando molti arresti. Stone viveva tra gli attivisti ed era riuscito ad assumere un ruolo di primo piano in molte azioni, stringendo relazioni intime a lungo termine e relazioni sessuali più brevi con molte donne. In generale era visto come un membro fidato del movimento. E’ attiva una campagna – Police Spies Out of Lives – a sostegno delle donne colpite da relazioni intime con agenti di polizia sotto copertura della SDS, Special Demonstration Squad della Metropolitan Police Special Branch e della National Public Order Intelligence Unit (NPIOU) controllata dall’Association of Chief Police Officers (ACPO). Negli anni sono stati svelati sempre più dettagli, grazie soprattutto al lavoro investigativo degli attivisti e dei giornalisti. Rivelazioni che hanno costretto Theresa May, quando era ministro degli Interni, a commissionare un’inchiesta pubblica guidata da un giudice in pensione, Sir John Mitting partita nell’estate del 2020, con sei anni di ritardo. C’è da capire come gli agenti sotto copertura abbiano ingannato le donne in relazioni intime a lungo termine, alcune durate molti anni e “allietate” dalla nascita di figli. L’inchiesta ha recentemente ammesso per la prima volta che il monitoraggio dei sindacalisti da parte di agenti sotto copertura dell’SDS può essere stato utilizzato dai datori di lavoro a fini di blacklist. Nel 2009, si legge sul Guardian, i membri di un sindacato che erano stati presi di mira dai datori di lavoro per essere licenziati a causa delle loro attività sindacali sono stati riconosciuti come vittime di uno scandalo decennale di liste nere. Un’incursione nella Consulting Association, un’organizzazione segreta che gestiva la lista nera, ha portato alla luce migliaia di file sui lavoratori edili, utilizzati dalle principali imprese edili per “vagliare” l’appartenenza al sindacato dei candidati al momento dell’assunzione. Gli agenti sotto copertura hanno adottato misure elaborate per sviluppare i loro falsi personaggi. Rubavano l’identità di bambini morti, dopo aver setacciato pagine di certificati di morte per trovare una corrispondenza adeguata. Le spie ricevevano documenti ufficiali come patenti di guida e passaporti con nomi falsi, in modo che i loro travestimenti apparissero credibili alla cerchia di manifestanti in cui si infiltravano. Durante le missioni, che in genere duravano quattro anni, gli agenti sotto copertura fingevano di essere manifestanti impegnati. Ma per tutto questo tempo hanno fornito ai loro superiori informazioni sui piani e sui movimenti dei manifestanti. I loro rapporti includevano anche valutazioni delle figure chiave all’interno dei gruppi. L’elenco completo dei gruppi politici presi di mira dal 1968 non è stato pubblicato dall’inchiesta pubblica. Tuttavia, un’analisi dei gruppi pubblicati suggerisce che le spie della polizia hanno monitorato soprattutto gruppi di sinistra e progressisti che sfidavano lo status quo, mentre solo tre gruppi di estrema destra sono stati infiltrati: il British National Party, Combat 18 e la United British Alliance. Un gruppo trotzkista in particolare – il Socialist Workers Party (SWP) – è stato pesantemente infiltrato con più di 20 agenti, molto più di qualsiasi altro gruppo. Con cinismo e vigliaccheria Dopo che l’esistenza dell’operazione segreta è stata resa nota nel 2010, le donne si sono raggruppate e hanno intrapreso con successo un’azione legale contro la polizia ottenendo decine di risarcimenti. Quando le donne hanno iniziato a fornire i loro resoconti e a condividere le loro storie, è emerso chiaramente che il comportamento degli uomini nelle relazioni, i loro retroscena e i metodi per sparire discretamente presentavano notevoli somiglianze che suggerivano metodi sistematici di infiltrazione e minavano il mito dell’agente disonesto. Raccontano i legali che è stato evidente che tutte le donne hanno subito un notevole impatto emotivo e psicologico dalla scoperta dell’inganno e della violazione personale. In particolare, il loro senso di sicurezza nel mondo in cui vivevano e la capacità di fidarsi degli altri erano stati gravemente danneggiati. Tuttavia, poiché le loro esperienze erano insolite ma simili, e poiché provenivano tutte da ambienti politicamente impegnati, hanno rapidamente sviluppato un approccio di sostegno reciproco e collettivo per lavorare insieme al loro caso legale. Ci sono ancora troppi agenti, secondo Police Spies Out of Lives, la cui identità reale e fittizia rimane segreta. Sono stati scoperti altri comportamenti scorretti. In casi giudiziari che riguardavano l’incriminazione di attivisti, gli agenti sotto copertura e i loro supervisori hanno nascosto prove vitali che avrebbero potuto portare alla loro assoluzione. Finora si sa che almeno 50 manifestanti sono stati condannati o perseguiti ingiustamente perché le prove relative alle attività delle spie della polizia sono state ingiustamente insabbiate nei procedimenti giudiziari. Solo uno degli agenti sotto copertura è diventato un informatore. Peter Francis, che è stato inviato a spiare i manifestanti antirazzisti per quattro anni negli anni Novanta, ha rivelato come funzionava la sua ex unità, la Squadra speciale per le dimostrazioni. Ha anche rivelato che la squadra aveva raccolto informazioni sui genitori di Stephen Lawrence nel momento in cui stavano conducendo una campagna per convincere la polizia a condurre un’indagine adeguata sull’omicidio razzista del figlio. Lawrence, studente di origine giamaicana, fu ucciso il 22 aprile 1993 a Eltham, nel sud-est di Londra da un branco di ragazzi bianchi mentre aspettava l’autobus con un amico. Il rapporto Macpherson del 1999 concluse che la Metropolitan Police era “istituzionalmente razzista”. La polizia è stata costretta ad ammettere che i suoi agenti sotto copertura avevano spiato almeno 18 famiglie in lutto che si battevano per ottenere giustizia dalla polizia. Tra queste c’erano anche famiglie i cui parenti erano stati uccisi o erano morti sotto la custodia della polizia. L’inchiesta pubblica sull’uso di agenti sotto copertura nel Regno Unito, nota come Spycops Inquiry o Undercover Policing Inquiry, è attualmente in corso ma sta affrontando numerose difficoltà operative, ritardi e critiche da parte delle vittime e dei partecipanti. L’inchiesta, spiega Campaign Opposing Police Surveillance, è suddivisa in “tranche” tematiche. Le udienze della Tranche 2 (1983–1992) si sono svolte tra luglio 2024 e febbraio 2025. La Tranche 3 (1993–2007), inizialmente prevista per aprile 2025, è stata posticipata a ottobre 2025. È probabile che anche la Tranche 4, dedicata alla National Public Order Intelligence Unit (NPOIU), subisca ritardi. Più di 100 vittime e gruppi coinvolti hanno firmato una lettera aperta rifiutandosi di fornire prove entro le scadenze imposte, considerate irragionevoli. Il sito Freedom News riferisce che, nonostante il rinvio delle udienze, i termini per la presentazione delle testimonianze non sono stati estesi, suscitando accuse di trattamento iniquo. Inoltre l’inchiesta sta procedendo in modo squilibrato, favorendo le forze dell’ordine: mancanza di trasparenza, distruzione intenzionale di documenti da parte della polizia e pressione esercitata per rispettare una scadenza finale arbitraria fissata per dicembre 2026, che potrebbe compromettere la credibilità dell’intero processo che dovrebbe essere cruciale nel dibattito sul controllo democratico delle forze di polizia nel Regno Unito. Solo nel luglio 2024, la Metropolitan Police ha pubblicamente condannato le operazioni della Special Demonstration Squad (SDS), ammettendo gravi violazioni, tra cui relazioni sessuali ingannevoli con attiviste e infiltrazioni in gruppi per la giustizia razziale. Tre mesi più tardi, nuove prove hanno suggerito che Bob Lambert, ex agente sotto copertura e figura chiave dell’inchiesta, avrebbe partecipato a un incendio doloso in un negozio Debenhams nel 1987 mentre si fingeva attivista per i diritti degli animali. Della brutalità e della spregiudicatezza della polizia francese s’è letto molto anche in Italia in questi anni, segno che questa ondata di malapolizia è sintomo delle tendenze più ampie di regimi ormai post-democratici tuttavia oltralpe è stata registrata un’infiltrazione al contrario: nel settembre 2020, la pubblicazione del libro Flic di Valentin Gendrot ha fatto scalpore. Dopo aver trascorso due anni sotto copertura nella polizia di Parigi, dove era stato assunto come dipendente a contratto (tra gli “assistenti di sicurezza”, poi ribattezzati “assistenti di polizia”), il giornalista ha descritto una quotidianità mediocre, la miseria sociale e la mancanza di rispetto per gli utenti. Soprattutto, ha accusato diversi suoi colleghi, di stanza nel 19° arrondissement di Parigi, di aver commesso atti di violenza e di averli coperti con false denunce. Le sue rivelazioni hanno indotto la magistratura ad aprire un’inchiesta. Ma questa è un’altra storia. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
Sorveglianza in Iran: fuori e dentro la rete
Immagine in evidenza: proteste ad Ottawa da Wikimedia Iran: il 15 marzo, durante una cerimonia a cui ha partecipato il vicepresidente iraniano per la Scienza e la Tecnologia, Hossein Afshin, la Repubblica islamica ha presentato la sua prima piattaforma nazionale di intelligenza artificiale. Una piattaforma, la cui versione finale dovrebbe essere lanciata nel marzo 2026, basata su una tecnologia open source e su un’infrastruttura nazionale che ne garantisce l’operatività anche durante le interruzioni di internet. La piattaforma include funzionalità di base come la visione artificiale, l’elaborazione del linguaggio naturale e il riconoscimento vocale e facciale. Partner chiave della nuova piattaforma è l’Università Sharif, ente sanzionato dall’Unione Europea e da altri Paesi per il suo coinvolgimento in progetti militari e missilistici, e per intrattenere rapporti con il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), o pasdaran. Il lancio di questa piattaforma giunge esattamente il giorno dopo la pubblicazione del documento delle Nazioni Unite intitolato Report of the independent international fact-finding mission on the Islamic Republic of Iran, presentato al Consiglio dei diritti umani a Ginevra il 18 marzo scorso. Il rapporto, pubblicato dopo due anni di indagini indipendenti che hanno incluso interviste a circa 285 vittime e testimoni e l’analisi di oltre 38.000 prove, rivela come le autorità iraniane, dalla fine del 2022 a oggi, abbiano intensificato l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza, droni aerei, applicazioni informatiche e software di riconoscimento facciale per monitorare la condotta dei cittadini, in particolare delle donne e il loro uso dello hijab.  Una “condotta persecutoria verso le donne”, così viene definita nel testo, la cui fase cruciale è coincisa con l’approvazione del piano Noor, lanciato nell’aprile 2024 dal Comando di Polizia della Repubblica Islamica dell’Iran (FARAJA), teso a inasprire ulteriormente le pene per chi violava la legge sull’obbligo di indossare lo hijab. E proprio in questa occasione la Repubblica islamica ha fatto ricorso all’uso dell’applicazione mobile Nazer. NAZER, “L’HIJAB MONITOR” DELLA REPUBBLICA ISLAMICA Nazer è una parola persiana che significa “supervisore” o “sorvegliante”. L’applicazione, riferisce uno studio di Filter Watch (progetto del Gruppo Miaan, organizzazione che lavora per sostenere la libertà di internet e il libero flusso di informazioni in Iran e nel Medio Oriente), funziona esclusivamente sulla National Information Network (NIN), una intranet controllata dallo Stato modellata sul Great Firewall cinese e sul RuNet russo, che mira a isolare l’internet nazionale dalla rete globale. Nazer è accessibile sul sito web della polizia e sul canale Eitaa, un’app di messaggistica domestica. Prima di poter utilizzare Nazer, i potenziali utenti e il loro dispositivo devono essere approvati dalla polizia FARAJA. Lo scopo di questa app è quello di segnalare alla polizia le donne che all’interno delle auto non indossano lo hijab in modo appropriato. La trasgressione può essere comunicata inserendo nell’app la posizione del veicolo, la data, l’ora e il numero di targa, dopodiché partirà in tempo reale un messaggio di testo alla polizia, segnalando così il veicolo. “In Nazer non è presente una tecnologia di riconoscimento facciale, e l’app non è progettata per scattare foto di volti. È possibile però scattare foto delle targhe”, riporta lo studio di Filter Watch. A settembre 2024, riferisce un nuovo report di Filter Watch, Nazer è stata aggiornata per consentire il monitoraggio delle donne presenti in ambulanza, sui mezzi pubblici o sui taxi, suggerendo come per i funzionari governativi l’applicazione delle leggi sull’hijab siano una priorità rispetto a un’emergenza medica. L’app è inoltre dotata di nuove funzioni che in futuro potrebbero essere usate per segnalare altri tipi di violazioni, come persone che protestano, che consumano alcolici, che mangiano o bevono in pubblico durante il Ramadan, e comportamenti considerati contrari alla “moralità pubblica”. Una volta che l’auto viene segnalata, la polizia procede inviando un SMS di avvertimento al proprietario. Qualora la violazione venisse ripetuta una seconda volta, l’auto verrà sequestrata elettronicamente. Alla terza infrazione sarà sequestrata sul posto e successivamente, alla quarta infrazione, sequestrata nei parcheggi designati dalla polizia.  Ottenere dati precisi sul numero delle auto confiscate non è semplice, a causa della pesante censura che vige nella Repubblica Islamica. Si parla comunque di migliaia di veicoli sequestrati in questi mesi. A riferirlo è un recentissimo articolo apparso su Etemad, giornale riformista. L’avvocato Mohsen Borhani, sentito da Etemad, ha denunciato come questi sequestri siano illegali. Borhani ha ribadito che non ci sono statistiche esatte sul numero di sanzioni effettuate, ma sulla base delle dichiarazioni di alcuni funzionari e delle indagini sul campo afferma che a migliaia di cittadini sia stata sequestrata l’auto.  LA VIDEOSORVEGLIANZA, UN’ARMA DI REPRESSIONE Oltre l’uso di applicazioni informatiche, la Repubblica islamica ha in questi ultimi mesi inasprito l’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza. In ottobre, sulla scia dell’approvazione della Legge a sostegno della famiglia attraverso la promozione della cultura dell’hijab e della castità, legge pubblicata il 30 novembre ma poi sospesa, è stato lanciato un nuovo sistema di videosorveglianza chiamato Saptam. La funzione di Saptam è monitorare gli spazi pubblici, in particolare gli esercizi commerciali.  Questo sistema, creato in collaborazione con la polizia locale, collega le telecamere installate nei negozi ai server cloud gestiti dal sistema nazionale di telecomunicazioni, consentendo alla polizia locale di accedere ai filmati registrati. L’implementazione del sistema Saptam, riferisce Iran News Update, ha coinvolto inizialmente 39 aziende e circa 280 gruppi commerciali. Sebbene l’introduzione di questo nuovo sistema sia stata giustificata per contrastare reati, per esempio le rapine, molti temono che questa installazione venga utilizzata anche per reprimere il dissenso e monitorare l’abbigliamento delle donne.  Alireza, direttore di una piccola azienda, ha riferito a Iran International: “Non passerà molto tempo prima che installino tali sistemi di sicurezza, o meglio strumenti di controllo statale, in tutte le aziende per far rispettare l’uso dello hijab. Le mie dipendenti non sono tenute a indossare l’hijab nei nostri uffici, ma questo non sarà più possibile se consentiremo alla polizia di accedere alle nostre telecamere, perché potrebbero chiuderci”. Mentre Saeed Souzangar, attivista per i diritti digitali, in un post su X ha denunciato: “Il prossimo passo del regime sarà installare telecamere nelle nostre case. Le aziende devono resistere a questi piani abominevoli invece di arrendersi”.  La repressione attraverso apparati tecnologici non si è arrestata: tutt’altro. A dicembre, Nader Yar Ahmadi – consigliere del ministro dell’Interno e capo del Centro per gli Affari degli Stranieri e degli Immigrati del ministero dell’Interno – ha dichiarato a l’Irna, agenzia di stampa statale, che il ministero dell’Interno utilizzerà test biometrici per individuare i cittadini illegali. Questo metodo è stato adoperato dalle autorità iraniane soprattutto per contrastare l’immigrazione proveniente dall’Afghanistan. Quanto finora esposto conferma che nonostante il cambio di governo avvenuto a seguito della morte del presidente Raisi, il nuovo presidente, Masoud Pezeshkian, eletto a luglio, ha continuato ad attuare una pesante e sistematica repressione verso i cittadini e le cittadine, oltre che un vigilantismo informatico e tecnologico sponsorizzato dallo Stato. IL CONTROLLO NELLO SPAZIO DIGITALE E L’USO DELLE VPN La repressione perpetuata dalla Repubblica islamica non si limita agli spazi fisici, ma include anche un controllo sistematico dello spazio digitale. “Dopo aver imposto blocchi a internet durante le proteste e aver sviluppato la propria National Internet Network, lo Stato ha continuato a limitare l’uso di applicazioni mobili impegnandosi in una sorveglianza diffusa. Questi strumenti non sono stati utilizzati solo per restringere la libertà di opinione ed espressione, ma anche per monitorare e prendere di mira i cittadini, tra cui attivisti e giornalisti, oltre che per intimidire, soffocare il dissenso e mettere a tacere le opinioni critiche”, informa il report UN.  Le autorità iraniane hanno varato specifiche misure per impedire ai cittadini di comunicare liberamente e poter accedere a contenuti non sottoposti a censura. Nel febbraio 2024, il Consiglio supremo del cyberspazio ha per esempio vietato l’uso senza un permesso legale delle VPN (reti private virtuali). Una mossa che è servita al governo per aumentare la propria sorveglianza interna, consentendogli di raccogliere informazioni sugli utenti, nonché di tracciare le loro comunicazioni via internet e le loro attività online. Ciò è stato reso possibile anche perché, al posto delle VPN, gli utenti iraniani sono stati costretti, se volevano usufruire di piattaforme straniere, a usare proxy nazionali approvati dallo Stato, riferisce sempre il report. Per servizi essenziali, come quelli bancari, ai cittadini è stato imposto di adoperare solo app locali. Le VPN in Iran sono diventate necessarie per poter accedere ai social e a contenuti bloccati. Senza le VPN, i cittadini e le cittadine iraniane non avrebbero potuto divulgare le immagini delle proteste connesse al movimento rivoluzionario “Donna, Vita, Libertà”, denunciando così gli attacchi violenti della polizia e delle guardie rivoluzionarie contro i manifestanti, e nemmeno esprimere dissenso e coordinare le proteste. A voler aggirare il filtraggio attuato dal regime sono però anche i proprietari di piccole imprese, letteralmente paralizzate dalle riduzioni quotidiane della velocità di internet e dai contenuti bloccati.  Nonostante il 24 dicembre scorso il Consiglio Supremo del Cyberspazio abbia revocato le restrizioni per WhatsApp e Google Play, l’Iran è tra i paesi meno liberi al mondo per quanto riguarda i diritti digitali, e la rincorsa a sistemi alternativi lo conferma. Oltre alle VPN, in Iran un altro metodo per aggirare la censura è Starlink. STARLINK: UN ALTRO METODO PER AGGIRARE LA CENSURA Starlink, sviluppato da SpaceX e di proprietà del miliardario Elon Musk, è vietato in Iran. Da quando però, sul finire del 2022, gli Stati Uniti hanno revocato alcune restrizioni all’esportazione di servizi internet satellitari, Starlink è stato disponibile per migliaia di persone nella Repubblica islamica. Lunedì 6 gennaio 2025, riporta l’agenzia di stampa ILNA, Pouya Pirhoseinlou, capo del Comitato Internet dell’E-Commerce Association, ha dichiarato che in Iran sono oltre 30.000 gli utenti che utilizzano Starlink. Ciò significa che molto probabilmente si assisterà a un’ulteriore crescita dell’uso di questa tecnologia in futuro. L’accesso illimitato e ad alta velocità (qualità perlopiù assenti nell’internet nazionale iraniano) ha incrementato l’uso sottobanco di Starlink, scriveva Newsweek a gennaio. L’internet satellitare, non necessitando di server nazionali e di transitare per la rete iraniana, funziona in modo indipendente, consentendo agli utenti di accedere ai contenuti e ai siti web oscurati, impedendo inoltre alle autorità di tracciare gli utenti e di monitorare le loro azioni nel cyberspazio. Parlando dell’uso di Starlink in Iran non si può non menzionare l’ordine di acquisto da parte dell’Unità di Crisi italiana – struttura del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale – di 2 antenne e 10 abbonamenti da 50 giga di Starlink da destinare all’ambasciata italiana a Teheran. A comunicarlo è un’inchiesta dell’Espresso pubblicata il 14 Gennaio 2025. Nel documento, riportato nell’inchiesta, si legge che l’acquisto è avvenuto “al fine di assicurare la possibilità alla nostra ambasciata di mantenere attivi i collegamenti internet nel caso di interruzione delle comunicazioni terrestri” .  “La procedura prevede che le antenne vengano attivate solo per testarne il funzionamento e siano poi sospese con l’obiettivo di riattivarle solo ove si rendesse necessario”, ha riferito il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, rispondendo a un’interrogazione in Senato sul sistema satellitare Starlink. Nella medesima interrogazione del 13 marzo, Ciriani ha inoltre comunicato: “Sono state avviate alcune sperimentazioni con i sistemi satellitari Starlink presso le sedi diplomatiche in Burkina Faso, in Bangladesh, in Libano e in Iran, che dunque sono state dotate di antenne Starlink, anche se nessuna a oggi è attiva”. L'articolo Sorveglianza in Iran: fuori e dentro la rete proviene da Guerre di Rete.