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Educazione e Legalità, l’alleanza tra istituzioni civili e militari trova sponda… in chiesa
Una sindaca, Daniela Ghergo eletta da una coalizione a guida PD, un parroco intraprendente, Aldo Buonaiuto e un questore “pedagogo” ante litteram sono stati i padrini (o padroni?) dell’iniziativa denominata di “Prossimità” cha ha visto 200 ragazz3 di Fabriano, nel quadro delle attività ludico-educative di un centro-estivo parrocchiale, a contatto con un gruppo di  poliziotti. Come in altri casi, sempre nelle Marche, si è vista la presenza di bellissimi cani-lupo, anti-droga, anti-esplosivi, anti-tutto, ecc..  La fantasia delle istituzioni che in Italia gestiscono l’ordine pubblico e che in questi ultimi anni tentano in tutti i modi di far passare la narrazione che il disagio sociale o psicologico, l’emarginazione e l’esclusione, le sofferenze per il non trovare casa o lavoro, quando si esprimono  in modo violento, vanno innanzitutto repressi e poi, se avanza tempo, si affrontano con altri mezzi, non conosce limiti. Anche perché sarà questo il loro principale impiego futuro in società, dal momento che l’unico reato in aumento significativo, mentre tutti gli altri sono in caduta libera, sono quelli informatici (clonazione carte, phishing, ecc.) e le truffe on-line. Tra il 2013 e il 2022 i furti in appartamento sono diminuiti del 46,9% e il balzo in alto tra il ’23 e il ’24 di circa il 10% non giustifica l’allarme dei media mainstream in quanto, in ogni caso, non si sono superati i dati del 2013. D’altra parte il balzo è anche legato all’effetto post-pandemia, all’aumento del turismo di massa che espelle sempre più persone in zone periferiche abbandonate a sé stesse e non ultimo l’impoverimento generalizzato della popolazione. Ciononostante è sempre allarme sociale, i furti sono dietro l’angolo la percezione, più che i dati di fatto è in crescita. D’altro canto, anche, la crescita dei reati informatici e truffe, se in valore assoluto sono in crescita, il loro valore percentuale andrebbe calcolato sul numero totale delle transazioni on-line, sul numero totale di utenti che navigano, acquistano e quindi subiscono pubblicità profilate. Allora cos’è che spinge gli educatori, in questo caso il parroco, a mettere in contatto i/le bambn3 con i poliziotti? La risposta la dà il questore di Ancona in persona “percorrere insieme i tempi che cambiano fa sì che i giovani trovino sempre e sempre più naturale fidarsi ed affidarsi alla Polizia di Stato in una prospettiva di prevenzione dei reati e di sana crescita generazionale (fonte ANSA)”. Le parole-chiave, dunque, sono affidarsi e fidarsi, (alle forze dell’ordine) contro nemici interni immaginari o reali/creati, senza curarsi della cause sociali, dei percorsi di devianza che portano a commettere furti o spaccio di stupefacenti ma anche da quelli esterni reali/creati, anche qui senza curarsi di spiegare come, un amico, ad esempio il Putin “berlusconiano”, un tempo desideroso di entrare addirittura nella NATO, si trasformi in un acerrimo nemico, tanto da costringerci a tagliare letteralmente i ponti con lui oltre che i tubi del gas russo, per comprare costosi carburanti in giro per vari paesi del  mondo compreso gli USA. Non si spiega altrimenti l’immancabile show degli artificieri con i loro robottini guidati dall’A.I. che disinnescano bombe, trovate sempre dal solito cane-poliziotto, sogno di tutt3 i/le bambin3. Preso forse dal senso di colpa per aver fatto immergere i proprio gregge di bambin3 in un clima di guerra e di lotta contro un crimine che non esiste se non a livello percettivo, il parroco alla fine si ricorda (anche) dei più sfortunati e quindi “non ha fatto mancare, a tutti i presenti, un profondo pensiero sulla drammaticità della condizione dei bambini nei mondi in cui fame e guerre mettono a rischio la loro vita (fonte ANSA)”. Al parroco della chiesa S. Niccolò di Fabriano, nella tranquilla e ordinate Marche, diciamo, a questo punto, da educatore a educatore che se non se la sente di seguire le orme di Don Pino Puglisi, ucciso nel 1993 nel  giorno del suo 56° compleanno dai sicari dei fratelli Graviano nel quartiere-feudo di Totò Riina e Leoluca Bagarella, il famigerato quartiere Brancaccio di Palermo, può fare richiesta come cappellano militare, così forse farà meno danni alle giovani generazioni, cui si prospetta un futuro di precariato lavorativo, relazioni (forse) coniugali senza figli e sullo sfondo, sempre nuove guerre. Stefano Bertoldi – Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università.
Il meccanismo che garantisce l’impunità agli agenti di polizia in Italia
In Italia la disciplina degli agenti di polizia è un complesso insieme di norme contraddittorie che ne garantiscono quasi sempre l’impunità persino per gravi reati penali. L’articolo 8 del DPR 737/1981 prevedeva il licenziamento automatico.[1] Tuttavia, tale articolo è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 971 del 12-14 ottobre 1988.[2] In pratica, il principio attualmente vigente è che la destituzione dell’operatore delle polizie debba sempre essere disposto a seguito di un procedimento disciplinare istituito dal Consiglio Superiore Disciplinare di ciascuna forza di polizia. Ogni forza di polizia italiana ha un proprio regolamento disciplinare e un proprio Consiglio di Disciplina, che stabilisce le eventuali sanzioni per i comportamenti non conformi a tali regolamenti (vedi note seguenti). Questo Consiglio disciplinare è istituito dai vertici di ciascuna polizia che di fatto quasi mai arriva alla misura di destituzione. L’autonomia del procedimento disciplinare dal parallelo procedimento penale da parte di tribunali è da tempo consolidata (sentenza 51/2014 della Corte Costituzionale[3]). Come confermato anche dalla Sessione Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 29 gennaio 2009[4], il procedimento disciplinare deve essere sospeso fino alla conclusione del procedimento penale solo a partire dal momento del rinvio a giudizio del dipendente. Esistono anche disposizioni di coordinamento (come gli articoli 653 e seguenti del Codice di Procedura Penale) che definiscono i criteri in base ai quali l’esito di un procedimento penale è considerato determinante ai fini dell’accertamento della responsabilità per il fatto per il quale il dipendente è stato condannato. Tuttavia, il Consiglio di Disciplina (articolo 16 del citato DPR 737/1981), organo competente a decidere sulle sanzioni oltre al rimprovero (e quindi alla sospensione dal servizio e al licenziamento), ha ampia discrezionalità nel valutare il danno disciplinare connesso a quanto accertato nel procedimento penale (ciò vale in particolare per il Consiglio Supremo e per il Consiglio di Disciplina Centrale). È qui che nascono le discordanze applicative, ben note agli addetti ai lavori (avvocati e sindacati di polizia): la discrezionalità si trasforma in assoluto arbitrio e persino comportamenti identici possono valutati in modo estremamente diverso. Il Consiglio Supremo di Disciplina della Polizia di Stato[5] è istituito annualmente con decreto del Ministro dell’Interno ed è composto da: il Ministro o, per sua delega, il Sottosegretario di Stato (che lo convoca e lo presiede); il Capo della Polizia, che è anche Direttore Generale della Pubblica Sicurezza (o il suo Vice-Direttore); e due funzionari della Polizia di Stato con qualifica dirigenziale, designati dai sindacati di polizia più rappresentativi a livello nazionale. Le deliberazioni del consiglio sono adottate a maggioranza assoluta dei suoi membri. Il Consiglio Centrale Disciplinare è istituito con decreto del Capo della Polizia ed è composto da: a) il Direttore Centrale del Personale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza (o, per sua delega, il Direttore di un servizio della Direzione Centrale, che lo convoca e lo presiede); b) due funzionari della Polizia di Stato con qualifica dirigenziale; c) due ufficiali della Polizia di Stato con qualifica dirigenziale non inferiore a quella dell’imputato, designati di volta in volta dai sindacati di polizia più rappresentativi a livello nazionale. Il Consiglio Disciplinare Provinciale è istituito con decreto del Questore ed è composto da: a) vice questore con funzioni vicarie che lo convoca e lo presiede; b) da due funzionari del ruolo direttivo della Polizia di Stato; c) da due appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato di qualifica superiore a quella dell’incolpato, designati di volta in volta dai sindacati di polizia più rappresentativi sul piano provinciale. Per le altre forze di polizia, il regolamento prevede procedure specifiche, tuttavia analoghe a quelle della Polizia di Stato, attribuendo sempre potere decisivo ai vertici nazionali e locali. Di fatto i vertici delle forze di polizia hanno sempre cercato di evitare sanzioni gravi, fortemente sostenuti a tal proposito dai sindacati o dai rappresentanti del personale, anzi spesso non hanno comminato alcuna sanzione. È ovvio che il codice disciplinare dovrebbe essere radicalmente riformato e che un codice unico per tutte le forze di polizia sarebbe opportuno, ma come detto in nostre precedenti pubblicazioni, nessuna autorità istituzionale o forza politica osa infrangere l’autonomia, il libero arbitrio e la pressoché totale impunità del personale di queste forze. Per un archivio delle impunità Ricordiamo che nessuno degli alti ufficiali di polizia condannati, anche di quarto grado, per reati penali commessi al vertice del G8 di Genova è stato destituito nonostante le gravi condanne. Lo stesso vale anche per tutti i casi di reati commessi da dirigenti e operatori delle polizie in molteplici circostanze. Si pensi ai responsabili di torture del caso Dozier, nonché ai poliziotti autori delle torture alla caserma Ranieri durante il Global Forum di Napoli (prologo del G8 di Genova), ai casi quali l’assassinio di Stefano Cucchi, quello di Federico Aldrovandi ucciso come George Floyd e i cui assassini sono reintegrati in servizio, e tanti altri ancora (citati in Polizie, sicurezza e insicurezze). L’ultimo caso emblematico e assai sconcertante è quello del Fabrizio Ledoti che nel 2001 era uno dei capi squadra del Settimo nucleo del Reparto mobile di Roma, artefice della “mattanza messicana alla Diaz e condannato a 4 anni per lesioni gravi (vedi articolo di Marco Preve) condanna prescritta perché non c’era legge sulla tortura e le torture erano classificate come semplici lesioni e quindi punite con circa 3 anni e presto prescrittibili, ma promosso ispettore e risarcito. Seguendo peraltro l’esempio dell’eccellente analisi pubblicata dal presidente della sezione riesame del Tribunale di Perugia, Pino Narducci, l’Osservatorio Repressione si impegna a creare un archivio di tutte i casi di impunità. Chiediamo di segnalarci documenti e informazioni a tale proposito.   NOTE: [1] NEL PUBBLICO IMPIEGO ITALIANO, IL “LICENZIAMENTO DI DIRITTO” CONSISTE NELL’ESPULSIONE AUTOMATICA DI UN DIPENDENTE PUBBLICO A SEGUITO DI UNA SPECIFICA CONDANNA PENALE, SENZA LA NECESSITÀ DI ULTERIORI PROCEDIMENTI DISCIPLINARI. IN ALTRE PAROLE, NEI CASI PREVISTI DALLA LEGGE, UNA CONDANNA PENALE COMPORTA AUTOMATICAMENTE IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE. MA COME MOSTRIAMO IN QUESTO ARTICOLO QUESTO NON VALE PER GLI OPERATORI DELLE POLIZIE PROPRIO GRAZIE AL MECCANISMO DI GARANZIA DELLA LORO IMPUNITÀ. [2] LA CORTE COSTITUZIONALE DICHIARA INCOSTITUZIONALE IL DECRETO PRESIDENZIALE 25 OTTOBRE 1981, N. 737 (SANZIONI DISCIPLINARI PER IL PERSONALE DELL’AMMINISTRAZIONE DELLA PUBBLICA SICUREZZA E DISCIPLINA DEI RELATIVI PROCEDIMENTI): HTTPS://GIURCOST.ORG/DECISIONI/1988/0971S-88.HTML [3] ALLORA LA CORTE COSTITUZIONALE ERA COMPOSTA DA ALCUNI FRA I PIÙ IMPORTANTI MINISTRI DEI PASSATI GOVERNI E ANCHE DALL’ATTUALE PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA: HTTPS://WWW.CORTECOSTITUZIONALE.IT/ACTIONSCHEDAPRONUNCIA.DO?ANNO=2014&NUMERO=51. [4] HTTPS://SIULP.IT/PROCEDIMENTO-DISCIPLINARE-LESERCIZIO-DELLAZIONE-PENALE-E-PRESUPPOSTO-OSTATIVO-CONS-STATO-SENT-NR-109-DEL-15-DICEMBRE-2008/ [5] HTTPS://WWW.FSP-POLIZIA.IT/D-P-R-25-OTTOBRE-1981-N-737/ E  HTTPS://WWW.INTERNO.GOV.IT/SITES/DEFAULT/FILES/MODULISTICA/CODICE_COMPORTAMENTO_DEI_DIPENDENTI_DEL_MINISTERO_DELLINTERNO.PDF Salvatore Turi Palidda
Graphic-novel di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza: la militarizzazione avanza
Va avanti sempre più spedita la propaganda della “cultura militarizzata” che punta da alcuni anni anche al pubblico dei fumetti, il quale, a parte i nostalgici e/o affezionati storici, si avvicina anche alla fascia di età 20-30. Avendo a disposizione sempre nuove risorse finanziarie pubbliche, al contrario delle case editrici pienamente sul mercato, che arrancano, alzano i prezzi di copertina o chiudono, le forze dell’ordine cooptano prestigiosi disegnatori, tutti di “bocca buona”, per realizzare improbabili graphic novel, certamente non all’altezza creativa delle storie che coinvolgono personaggi come Dylan Dog, Tex o Nathan Never. Vediamo, ad esempio, cosa partorisce la mente creativa della casa editrice di Polizia Moderna, dove è nata la saga auto-definita sul loro sito web, totalmente “made in Polizia di Stato”. Come tutti sanno, in Calabria, si è accumulato negli anni un know-how che ci fa eccellere in tutto il mondo nell’ambito del business della cocaina. D’altra parte, tutte le statistiche contenute in diversi studi sulla devianza e la criminalità organizzata ci dicono che gli omicidi In particolare quelli per mafia sono in calo drastico fin dagli anni Novanta, con oltre 3mila omicidi contro i poco più di 300 degli anni ’20 del 2000. Nasce quindi l’esigenza di inventarsi un nuovo ruolo alle forze dell’ordine, non più intente a sventare sparatorie nelle strade come ci descrivevano i film delle saghe “poliziottesche” degli anni ’70, ma a infondere sicurezza nella popolazione. Questa, dal canto suo, era ed è sempre più alle prese con un’altra forma di insicurezza, quella della precarietà lavorativa, delle emergenze climatiche, della caduta in basso dei salari e del potere d’acquisto delle famiglie, solo per citarne alcune. Questo ruolo protettivo quasi “materno” delle forze dell’ordine, che saranno sempre più impegnate nel sedare rivolte sociali e non più ad arrestare mafiosi incalliti, viene impersonata appunto da questi personaggi grotteschi ben disegnati, ma inseriti in sceneggiature che dire improbabili è farle un complimento! Vediamo quali sono, appunto, queste storie avventurose, quasi marziane, attraverso la presentazione del sito web della Polizia di Stato dell’ultimo numero del commissario Mascherpa impegnato in una terra infestata dalla ‘ndrangheta: «Marta e Mascherpa, si concedono una fuga d’amore sulla Sila innevata (ma col cambiamento climatico occorre andare in altissima quota per trovare neve! n.d.r.) , ma nel corso di un’escursione in slitta accadrà l’impossibile. In aiuto arriveranno i colleghi della polizia di montagna, per fortuna presenti sul posto per il servizio di sicurezza sulle piste da sci (sono anni che le piste da sci sono il più delle volte chiuse per assenza di neve, n.d.r.) Le indagini che seguiranno porteranno a sgominare una banda di criminali anche grazie all’intervento dei Nocs. Nel frattempo a Cosenza una ragazza si risveglia stordita e sta quasi per cadere dal cornicione di un palazzo storico, ma verrà salvata e aiutata da una psicologa della Polizia di Stato a ricostruire cosa è accaduto e ad affrontare una terribile verità». Come si può notare, c’è proprio un corto-circuito, un compiacimento tutto autoreferenziale verso personaggi che forzatamente vengono inseriti per dipingere ruoli accudenti e salvifici che in realtà potrebbero benissimo, e spesso già lo sono, essere svolti, per esempio, dal soccorso alpino o da associazioni di auto-mutuo aiuto per il presunto stato di disagio psicologico di cui soffrirebbe la ragazza del fumetto. Lo stile fumettistico è stato preso in prestito in passato anche per i famosi calendari, come quello del 2019 che sottolineava con enfasi come «ad ogni tavola, sono associati i nuovi segni distintivi di qualifica, che consentono di cristallizzare, anche graficamente, l’identità civile della Polizia di Stato. I nuovi segni di qualifica saranno adottati dalla Polizia di Stato nel prossimo anno e offriranno la possibilità di proiettare l’Istituzione verso il futuro, chiudendo il percorso di smilitarizzazione intrapreso con la riforma del 1981». Purtroppo non bastano dei nuovi segni di qualifica, oppure una legge, per trasformare una cultura militare in una di “servizio civile”, lo spirito repressivo legalitario è sempre più spesso all’esercizio arbitrario ed illecito della forza tipico degli anni ’70, permangono e spesso, come in questi ultimi anni, subiscono un’accelerazione dettata da chi sta al governo. Potendo contare sulle nostre tasse per produrre questi capolavori artistici per fini propagandistici, il prezzo di copertina viene interamente devoluto alla sezione Assistenza della Polizia di Stato – Piano Marco Valerio, istituito per sostenere i figli minori dei dipendenti della Polizia di Stato affetti da gravi patologie. Questa sorta di “welfare aziendale” pagato, anche se indirettamente, sempre dalle nostre tasse, va ad aggiungersi a tutti gli altri benefit degli appartenenti alle forze dell’ordine non ultimo quelli introdotto dall’ultimo ex-decreto sicurezza, che offre ai poliziotti la tutela legale gratuita in caso di controversie penali e civili. D’altra parte quest’opera di mistificazione, purtroppo, viene portata avanti anche colpendo fasce di età inferiori, quelle che abitualmente giocano a colorare le figure di alcuni album, con favole e personaggi vari. Nel “Carabifantasy da colorare”, ideato dai creativi della II Sezione ufficio Cerimoniale Stato Maggiore V Reparto presso il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, troviamo la carabiniera-Biancaneve, un carabiniere-cacciatore nerboruto che protegge un Cappuccetto Rosso intento a fare il saluto militare e la linguaccia, al lupo cattivo che scappa, è un carabiniere-Geppetto che accoglie tra le sue braccia un Pinocchio di legno. Accudimento, quasi materno, protezione, difesa dei più deboli, immagine rassicurante e pacificatrice e onnipresente, questi sono i concetti che tentano di veicolare nel pubblico dei più piccoli le forze dell’ordine nell’intento strategico di normalizzare un approccio alla vita e alla convivenza tra persone ispirato alla logica militare. Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle Scuole e delle Università
Molfest 2025, Festival della cultura POP e cosplay a Molfetta: ma che ci fanno le Forze Armate?
Si è aperta ieri, venerdì 27 giugno 2025, a Molfetta in provincia di Bari il Molfest, il Festival della Cultura POP e del cosplay, che proseguirà per tre giorni tra stand, spettacoli in costume e stage in giro per le strade e le piazze principali della città. Si presuppone che nell’arco dei tre giorni l’iniziativa richiami migliaia di adolescenti e giovani da tutto il Mezzogiorno, attratti e attratte dalla moda del momento, cioè dai travestimenti aventi come tema i personaggi dei cartoni animati, dei fumetti, dei videogiochi e dei manga, i famosi anime giapponesi. Il Festival è patrocinato dalla Città di Molfetta e ha come partners Radio Norba, il più grande network radiotelevisivo del Sud, Junior TV e Super Six, canali tematici per bambine e bambine, insieme al CNR e a tante altre aziende di videogiochi e realtà legate al mondo giovanile dei fumetti. Tra gli espositori, invece, figurano nell’apposita pagina del sito (clicca qui) aziende di abbigliamento, di giochi da tavolo, carte collezionabili, accessori, fumetti, videogiochi, case editrici, tatuaggi, maglie ispirate ai manga giapponesi, il tutto per affascinare i ragazzi e le ragazze. Eppure, senza figurare tra i partner e gli espositori, il Molfest, il Festival della cultura POP risulta costellato di stand delle Forze Armate, dalla Marina Militare all’Aeronautica, all’Esercito alla Polizia Penitenziaria, che occupano nel complesso un’area maggiore rispetto agli altri spazi dedicati allo specifico argomento del Festival, una sproporzione che è sintomatica del clima guerrafondaio che stiamo vivendo in questi ultimi giorni con il Governo che obbedisce al diktat della NATO e aumenta la spesa per la difesa al 5% del PIL nazionale. Ma, quindi, cosa ci fanno le Forze Armate al Molfest, il Festival della cultura POP con tantittime/i bambine/i nei loro stand? Perché un tale sfoggio di divise e simulatori di strumenti di morte, come cacciabombardieri, portaerei, elicotteri, visori, largamente sponsorizzati da Leonardo SpA, la maggiore industria di costruzione ed esportazione di mezzi di guerra? In tempi di totale disimpegno morale, di generale indifferenza nei confronti dei massacri e dei genocidi in corso per mano di governi fanatici e di militari fuori controllo, qual è il rapporto tra la cultura POP e le Forze Armate? In realtà, le risposte circostanziate ai nostri interrogativi, e questo capita ormai da molto tempo, rimarranno inevase, giacché l’unico motivo per cui le Forze Armate sono presenti in tutte le manifestazioni in cui accorrono i/le giovani obbedisce ad un progetto ben definito, esplicitato chiaramente nel Programma di Comunicazione del Ministero della Difesa del 2019 (clicca qui per il documento) e anche in quello più recente del 2025 (clicca qui per il documento), in cui risulta chiaro l’obiettivo delle Forze Armate, cioè quello di aggredire tutti gli spazi, dalle scuole alle manifestazioni pubbliche in cui sono presenti i/le giovani e presentare la prospettiva di arruolamento, dal momento che, come afferma anche il generale Leonardo Tricarico, «Se venissimo attaccati non potremmo difenderci. I nostri militari? Non bastano». Sono anni, ormai, che come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denunciamo questa indebita invasione di spazi pubblici della società civile per fare reclutamento e presentare, come scrivono nei loro documenti, «la Difesa e le Forze Armate come elementi essenziali del sistema nazionale e internazionale di sicurezza, al servizio della protezione delle nostre libertà», legittimando uno slogan, ormai diventato istituzionale, secondo il quale «Si vis pacem, para bellum». E, in particolare, la presenza delle Forze Armate al Molfest rientra in una delle “azioni specifiche” del Programma di Comunicazione 2025, infatti: «Per azioni specifiche si intendono le iniziative di comunicazione con cui il Dicastero intende proiettarsi all’esterno. Si continueranno ad utilizzare i tradizionali canali di interazione, ma per tutti vale il tassativo indirizzo che su questi canali, sempre, si dovrà far riferimento a un’unica realtà identitaria che si sintetizza con il termine “DIFESA”. In particolare i canali sono: eventi e attività aperti alla partecipazione della società civile, quali saloni, mostre, convegni, incontri culturali, seminari nelle scuole, ecc. continueranno a svolgere una funzione importante quali occasioni per esprimere le eccellenze peculiari della Difesa. Le manifestazioni di interesse dovranno essere individuate sulla base di criteri che tengano conto di idonei criteri tematici, geografici e temporali, della reputazione delle società organizzatrici, della pertinenza dei contenuti e dell’adeguatezza dei contesti di svolgimento». Prepariamoci, dunque, in tutti gli spazi e in tutti i settori della società civile a questa subdola e aggressiva strategia di comunicazione delle Forze Armate, compatte sotto “l’identità linguistica” #DIFESA, che, mentre mostra gli aspetti più ludici e accattivanti della strumentazione a loro disposizione, contribuiscono a normalizzare l’universo simbolico che legittima le guerre che domani i nostri figli e le nostre figlie affronteranno, giacché quello del 5% del PIL nazionale non è che un investimento economico che dovrà, in qualche modo, dare i suoi frutti. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Puglia
Sulle montagne del Piemonte la polizia insegna alle scuole dell’infanzia il controllo delle frontiere
A Robilante, località di tradizione occitana in provincia di Cuneo, quasi al confine con la Francia, le maestre della scuola per l’infanzia hanno condotto i bambini e le bambine a fare le/gli “agenti per un giorno” per imparare dalla polizia di frontiera di Limone Piemonte e di Borgo San Dalmazzo come si controllano i confini. La militarizzazione dell’infanzia incrocia dunque la questione delle migrazioni e per questo abbiamo chiesto alla sociologa Maria Perino, di OnBorders e ADL Zavidovici, di analizzare il comunicato della Questura di Cuneo del 23 maggio 2025, “Agenti per un giorno”: avventura e scoperta con la polizia di frontiera, ripreso da diversi quotidiani locali. «Il comunicato in questione è esemplare e inquietante: le categorie interpretative usate per descrivere i fenomeni migratori, la connessione tra sicurezza e migrazioni, la presenza della polizia nelle scuole – già dell’infanzia – presentata come forza rassicurante ed educativa, sono date per scontate, pensiero dominante indiscutibile. Si racconta dell’esperienza dei bambini che hanno partecipato alle giornate organizzate dagli agenti del Settore della Polizia di Frontiera di Limone Piemonte “all’insegna della scoperta e dell’entusiasmo”. Il quadro interpretativo e le modalità comunicative (un “linguaggio semplice e coinvolgente” adatto alla loro età) richiedono attenzione. Il testo, che riporta le posizioni degli agenti di polizia e presumibilmente di molti insegnanti, infatti: * Sottolinea che si è trattato di un’esperienza tra “avventura e scoperta”, enfatizzando il fascino degli strumenti della polizia presentati in forma di gioco. * Condivide l’immagine del “confine” come “soglia di casa” per accedere alla quale “occorre chiedere permesso”.  E la polizia, “proprio come mamma e papà” fanno riguardo alla casa, controlla chi entra nel “nostro paese”. La similitudine paternalistica e la funzione di maternage della polizia forniscono una interpretazione delle società in cui il territorio è “proprietà” dei cittadini – ed è implicito il fatto che si è tali per origine, “sangue”, o per “concessione” – che possono “tollerare” ingressi di “altri” a certe condizioni. Con l’ulteriore problema di collocarvi le persone che nascono in Italia e sono “straniere”, come sicuramente alcuni dei bambini presenti all’iniziativa * Connette le migrazioni al tema della sicurezza. Lo spostarsi non appare come normale, ma un movimento minaccioso per l’isomorfismo tra territorio, stato, “popolo”. Il primo confine è quello tra “noi” e “loro”, di difficile definizione, ma molto evocativo.  * Implicitamente richiama la dicotomia tra l’immigrato bisognoso che viene “accolto” e l’immigrato minaccioso da respingere come categoria risolutiva per descrivere le migrazioni. * Sostiene che l’ascolto dei racconti degli agenti è stato occasione di imparare “il rispetto delle regole e della collaborazione”. Infatti “l’iniziativa si inserisce in un più ampio progetto volto a promuovere la cultura della legalità e la conoscenza delle istituzioni tra le nuove generazioni, sottolineando l’importanza della collaborazione tra la Polizia di Stato e le scuole del territorio”. Grande lavoro per gli insegnanti. Il breve comunicato può infatti essere letto come esempio del “banale” nazionalismo, militarizzato e integrato continuamente nel senso comune da meccanismi istituzionali, il che di fatto lo rende meno messo in discussione e quindi molto più forte. Fornire “altre lenti” per guardare e stare nella realtà è difficile e urgente». Maria Perino, OnBorders e ADL Zavidovici
[2025-06-03] Abolizionismo, piccoli passi per @ Piazza nuccitelli
ABOLIZIONISMO, PICCOLI PASSI PER Piazza nuccitelli - Piazza nuccitelli (martedì, 3 giugno 18:00) ⛓‍💥 *Dal sistema repressivo alla cura di comunità* Primo incontro del ciclo "Abolizionismo, piccoli passi per". Origini e scopo della polizia come istituzione. Devianza e criminalizzazione. Cosa significa abolire la polizia?Presentazione del libro "Police abolition". Ne parleremo con: Italo di Sabato, Vincenzo Scalia e Giuseppe Pulvirenti. 📌 *Martedì 3 giugno, Piazza Nuccitelli al Pigneto, alle ore 18:00*. 🥘Seguirà all'incontro una *cena benefit* da Zazie nel Metrò : parte del ricavato sarà devoluto all'associazione Yairaiha, che dal 2006 si impegna per contrastare il carcere e le sue violenze, e alla campagna #180benecomune, per supportare il Viaggio di Marco Cavallo nei CPR.
Francesco Ravelli al Collegio docenti dell’IPSEOA “G. Pastore” di Varallo-Gattinara contro le iniziative promosse dalle Forze Armate e Polizia
LE/I DOCENTI PRENDONO PAROLA PUBBLICHIAMO QUI DI SEGUITO L’INTERVENTO DI FRANCESCO RAVELLI, DOCENTE ADERENTE ALLA RETE DELLA SCUOLA PER LA PACE TORINO E PIEMONTE, PROPOSTO AL COLLEGIO DEI DOCENTI DELL’IPSEOA “G. PASTORE” DI VARALLO-GATTINARA IL GIORNO 14 MAGGIO 2025. LE SUE PAROLE, DI CARATTERE INFORMATIVO E GENERALE, SONO STATE UNA BUONA OCCASIONE PER PROBLEMATIZZARE INSIEME ALLE COLLEGHE E AI COLLEGHI LA PRESENZA DELLE FORZE ARMATE E DI POLIZIA NELLE NOSTRE SCUOLE. Il mio intervento riguarda una tematica di interesse generale: la partecipazione delle studentesse e degli studenti ad iniziative di formazione e orientamento promosse dalle Forze Armate e di Polizia. Molto semplicemente, vorrei esternare al Collegio la mia contrarietà, derivante dalla convinzione che l’intervento “formativo” di militari e poliziotti sia da collegare all’ormai esplicito tentativo di allargare il potenziale bacino delle future donne e dei futuri uomini in divisa. Richiamo subito tre recenti passaggi. Comincio dalle dichiarazioni del capo della Polizia, Vittorio Pisani, che in un’intervista ha annunciato un piano di reclutamento straordinario per i prossimi quattro anni destinato a 20mila giovani, con l’obiettivo di invertire il trend di “crisi delle vocazioni” attraverso percorsi formativi specifici a partire dalle scuole superiori. (Piano reclutamento Polizia nelle scuole: 20.000 giovani fino al 2028) Le sue parole fanno il paio con quelle espresse dal capo di stato maggiore dell’Esercito, gen. Carmine Masiello, che in Commissione Difesa della Camera dei Deputati ha stimato la necessità di un incremento delle dotazioni organiche fra le 40-45mila unità rispetto alle previsioni normative vigenti. (Masiello alla commissione Difesa: l’Esercito ha bisogno di 40 mila militari in più – Analisi Difesa) Cito anche la recente Risoluzione del Parlamento Europeo che invita gli Stati membri a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle Forze Armate. (Testi approvati – Attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune – relazione annuale 2024 – Mercoledì 2 aprile 2025) Queste fonti ci restituiscono il quadro complessivo che secondo me dovremmo avere presente quando poliziotti e militari entrano in contatto con le classi per tenere lezioni al posto nostro su diverse tematiche. Qui pure a mio avviso dovremmo allargare l’orizzonte. Io ritengo che nelle scuole i fenomeni di bullismo e cyberbullismo, o i vari tipi di dipendenza, possano essere molto più efficacemente trattati da educatori e psicologi. I valori del rispetto, della solidarietà, della convivenza, sono il sottotesto del dialogo educativo quotidiano in quanto appartengono a una dimensione sociale ed etica che non può essere rubricata nelle categorie di “legalità e regole”, di “reato e repressione”. Tavole rotonde con studiosi, avvocati, associazioni, collettivi di ricerca, avrebbero a mio parere un più alto valore didattico. E poi, perché no, si potrebbe valutare di coinvolgere anche le vittime, ad esempio della violenza di genere.  La direzione dovrebbe essere quella di differenziare i profili degli esperti esterni; di aprirsi a competenze che travalicano quelle delle Forze Armate e di Polizia; di raccogliere testimonianze umane che lascino un segno nelle studentesse e negli studenti. Innanzitutto dobbiamo riprenderci i Consigli di Classe, per discutere e decidere. Scarni comunicati riguardanti attività su cui noi non abbiamo potuto dire la nostra o almeno fare una riflessione, finiscono per disabituarci al libero confronto, che invece potrebbe ancora essere istruttivo. Grazie.