Sono gli interessi dell’industria militare a spingere la corsa al riarmo
Riceviamo e pubblichiamo da Gianni Alioti, attivista di ‘Weapon Watch’ ed uno
dei maggiori esperti italiani di produzioni militari
Nel 1988, il punto più alto raggiunto durante la Guerra Fredda, le spese
militari nel mondo, a valori costanti, avevano raggiunto i 1.750 miliardi di
dollari, nel 2024 le stesse hanno raggiunto ii massimo storico di 2.718 miliardi
di dollari (+55% in termini reali).(Fonte SIPRI)
L’andamento delle spese militari – a valori costanti- dal 1988 al 2024 dimostra
quanto non sia vero che abbiamo goduto di un “dividendo della pace”.
Ciò è vero solo nella prima metà degli anni ‘90 per effetto degli accordi di
disarmo tra Urss e Usa e tra la Nato e il Patto di Varsavia, che sancirono la
fine della ‘Guerra fredda’.
Poi le spese militari hanno ripreso a crescere (specie dal 1999), con una
flessione negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008-2009, per poi
impennarsi negli ultimi dieci anni.
Sul piano ReArm Europe, l’ingente trasferimento di risorse pubbliche verso le
spese militari
(+800 miliardi entro i prossimi quattro anni e l’obiettivo del 5% del Pil entro
il 2035) e la preparazione alla guerra con la Russia, si innesta su un decennio
(2014-2024) di crescita delle spese
militari nei paesi Ue (+ 121%) e della voce armamenti (+325%)- dati depurati
dall’inflazione –
(Fonte Consiglio Europeo).
L’ultimo rapporto della Agenzia europea della difesa ha confermato che l’anno
scorso, le spese
militari nei 27 paesi Ue hanno raggiunto 343 miliardi di euro e quest’anno
raggiungeranno i 392
miliardi di euro (+11% in termini reali).
E’ grave che il piano di riarmo europeo sia stato imposto dalla Comunità Europea
senza un vero dibattito pubblico e una approvazione parlamentare, sia per le
ragioni etiche e politiche che per le conseguenze sulla tenuta del welfare e
sulle politiche di contrasto alla crisi climatica.
Rispetto al coordinamento del piano ReArm Europe, ai fini di una difesa comune
europea e del rafforzamento dell’industria europea della difesa, all’orizzonte
di questa Ue non c’è in agenda
alcun percorso per una difesa comune europea.
Per la prima volta, invece, la Comunità Europea ha un commissario all’industria
della difesa e dello spazio.
Rispetto al passato, il budget europeo destinato a spese militari sarà tale da
poter favorire politiche di coordinamento e integrazione dell’industria europea.
Sono gli interessi dell’industria militare pertanto, a condurre le danze con la
politica in Europa, a pieno servizio del complesso militare-industriale e
finanziario.
Ad esempio, la tedesca Rheinmetall è il più importante hub europeo sia per
l’espansione a Est delle produzioni militari,compresa l’Ucraina, sia nel
potenziamento del settore del munizionamento e dei veicoli corazzati a livello
globale (a partire dalla joint venture con Leonardo).
Nei fatti, le scelte strategiche di Rheinmetall confermano come, prescindendo
dalla retorica sul recupero di autonomia dell’industria europea verso quella
americana nel campo della difesa, non emerga in realtà una strategia coerente in
ambito Ue.
Un’industria militare europea in competizione con quella nord-americana non
esiste, mentre c’è una compenetrazione e interdipendenza produttiva e
tecnologica tra le due sponde dell’Atlantico.
Insieme a un’integrazione dei mercati, con una presenza diretta reciproca delle
aziende Usa nel mercato europeo e delle aziende europee nel mercato americano, è
presente, soprattutto, una integrazione finanziaria.
Gli azionisti che controllano le cinque maggiori aziende al mondo per fatturato
militare sono anche i principali azionisti delle più importanti aziende europee:
Airbus, BAE Systems, Rolls Royce, Leonardo, Hensoldt, Rheinmetall, JSC Ukrainian
Defense Industry ecc.
E’ questa la vera dinamica che ci spinge al riarmo !
Redazione Italia