Francia, Germania, aumento delle spese militariGianni Alioti è uno dei maggiori esperti italiani delle produzioni di armamenti,
e di lui su Pressenza abbiamo pubblicato varie documentate riflessioni.
Nei giorni scorsi è stato pubblicato un suo approfondimento di cui vi segnaliamo
alcuni passaggi.
Il testo completo è leggibile sul sito dell’associazione ‘La porta di vetro’:
https://www.laportadivetro.com/post/l-editoriale-della-domenica-da-uno-scoperto-militarismo-agli-interessi-delle-multinazionali
“Il presidente francese Emmanuel Macron nel tradizionale discorso alle Forze
armate alla vigilia della festa nazionale del 14 luglio ha confermato
(nonostante il debito vertiginoso) che il livello delle spese militari sarà
elevato nel 2027 a 64 miliardi di euro, il doppio del bilancio di cui le forze
armate francesi disponevano nel 2017, al suo arrivo all’Eliseo.
Le spese militari in Francia previste per il 2025 superano già i 50 miliardi di
euro.
Non è da meno il Cancelliere tedesco Friedrich Merz.
Nel giorno del suo insediamento ha affermato che la massima priorità del suo
Governo era quella di costruire l’esercito più potente d’Europa.
Promessa non inedita per la Germania… È stato di parola.
A giugno di quest’anno il Governo tedesco ha approvato sia il bilancio 2025,
portando le spese militari a 94 miliardi di euro pari al 2,4% del PIL, sia il
piano finanziario a medio termine per circa 500 miliardi di euro, prevedendo un
forte aumento del debito netto tra 2025 e 2029, allo scopo di sostenere il
potenziamento militare della Germania.
In soldoni un incremento della spesa militare del 70% entro il 2029, per
portarla a 162 miliardi di euro l’anno (3,5% del PIL rispetto a 1,6% del 2024).
Non semplice da far digerire a un’opinione pubblica, cosciente dei corrispettivi
tagli a sanità, istruzione, welfare.
Che il Cancelliere Merz si muova, al netto della retorica, fuori da una reale
prospettiva di difesa comune europea (come del resto fanno anche gli altri
leader dei principali paesi), lo dimostra il fatto che ha firmato a Londra un
trattato bilaterale con il premier britannico Keir Starmer.
Trattato che prevede una clausola di assistenza reciproca in caso di minaccia.
Inoltre, va detto che il programma di riarmo tedesco, alla guida di quello
europeo, è sostenuto da un allineamento politico particolarmente inquietante.
Coinvolge, oltre al Cancelliere, anche la massima carica dello Stato tedesco e
la presidente (tedesca) della Commissione europea.
E, aggiungo non senza malizia, anche l’amministratore delegato della
multinazionale tedesca Rheinmetall, cioè l’azienda più dinamica, sia nella
riorganizzazione del complesso militare-industriale in Europa (Ucraina
compresa), sia nell’accaparrarsi le più grandi commesse di armamenti, come
quella di 23 miliardi di euro dell’Esercito Italiano per la produzione, in joint
venture con Leonardo, di 280 carri armati e 1.050 veicoli corazzati.
In effetti, non solo le ingenti risorse dei singoli Stati spese in nuovi
armamenti hanno moltiplicato il portafoglio ordini e i ricavi dell’azienda, ma
hanno “garantito” la sua capitalizzazione finanziaria in Borsa.
Con la guerra ad alta intensità in Ucraina, il valore di un’azione Rheinmetall è
schizzato dai 90 euro del gennaio 2022 ai 1.871 euro del 14 luglio 2025.
Un incremento che sfiora il 2.000%.
Un’evidente certificazione di quanto scritto da Maurizio Boni sulla rivista
Analisi Difesa: “[…] c’è anche il sospetto che il nuovo militarismo del
Ventunesimo secolo sia alimentato, oltre che da indubbie radici culturali, anche
da un fattore molto più potente dell’ideologia: gli interessi delle
multinazionali che vedono nel militarismo, e del conseguente riarmo, non solo
della Germania, un’occasione irripetibile per accrescere i propri profitti.
Il fatto che il Cancelliere Merz sia stato il Presidente del Consiglio di
Sorveglianza di BlackRock Deutschland, la filiale tedesca del colosso
statunitense, una delle più grandi società di gestione patrimoniale del mondo,
non ci incoraggia affatto”.
E BlackRock non è solo una grande società di investimento con sede a New York,
con un patrimonio totale di 10 mila miliardi di dollari (al 31 dicembre 2023),
di cui un terzo in Europa.
Ma è tra i principali azionisti sia delle 5 big al mondo per fatturato militare
(Lockheed Martin, RTX, Northrop Grumman, Boeing e General Dynamics), sia della
tedesca Rheinmetall, delle britanniche BAE Systems e Rolls-Royce, dell’italiana
Leonardo, della trans-europea Airbus, della ucraina JSC e di altre aziende
europee che operano in campo militare.
Sulla corsa al riarmo in Europa e la correlazione tra il programma ReArm Europe
e obiettivo deciso in ambito NATO di spendere in spese militari + “sicurezza
allargata”, ho rilasciato un’intervista a Settimana News, ( di cui alcuni
passaggi su
https://www.pressenza.com/it/2025/04/il-riarmo-delleuropa-una-intervista-a-gianni-alioti-the-weapon-watch/
.
Concludo questo mio punto di vista critico sul riarmo europeo, tra retorica
militarista e interessi delle multinazionali del settore, ricordando (per dovere
di cronaca), che la politica di riarmo nei paesi UE e in quelli europei della
NATO è ripresa nel 2014 (dopo la flessione causata dalla crisi finanziaria
globale del 2008-2009).
In dieci anni le spese militari sono più che raddoppiate, crescendo esattamente
del 121% tra 2014-2024 (fonte Consiglio Europeo). Ciò che cambia, quindi, non è
tanto il trend, quanto la narrativa pubblica.
Siamo passati, come sostiene Carlo Tombola di The Weapon Watch, dal lungo
silenzio mediatico sulla corsa al riarmo iniziata da oltre un decennio alla
distorsione del linguaggio durante la pandemia.
Fino alla situazione attuale in cui tutto è in funzione della guerra
inevitabile.
Una narrazione bellicista che pare più funzionale a spostare ingenti risorse
pubbliche a interessi privati, piuttosto che alla difesa reale.
Redazione Italia