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Darfur: il 97% della popolazione senza acqua a sufficienza denuncia COOPI
«L’85% della popolazione sfollata a El Fasher (Sudan, Nord Darfur) non ha accesso a beni e servizi essenziali e nella città restano attive solo tre fonti di approvvigionamento idrico: ben il 97% della popolazione è al di sotto degli standard minimi di accesso all’acqua». A lanciare l’allarme è l’organizzazione umanitaria italiana COOPI – Cooperazione Internazionale, attiva in Sudan da oltre 20 anni. El Fasher – città già sotto assedio da quasi un anno e colpita da bombardamenti continui – in seguito all’attacco dello scorso aprile ai danni del campo per sfollati interni di Zamzam, ha subito un forte peggioramento della situazione umanitaria, con «migliaia di famiglie sfollate accampate in rifugi di fortuna o costrette a dormire all’aperto, senza accesso ad acqua pulita né a servizi igienici di base», spiega Ennio Miccoli, Direttore di COOPI Cooperazione Internazionale. «L’accesso umanitario e la capacità di risposta – aggiunge – sono estremamente limitati e ampiamente insufficienti a soddisfare i bisogni delle migliaia di persone recentemente sfollate, che si aggiungono ai 47.561 sfollati interni già presenti a El Fasher. Noi siamo presenti sul campo per supportare la popolazione civile, la più colpita dal conflitto, cercando di migliorare condizioni di vita molto critiche». Dal 2023 il Sudan è teatro di quella che è considerata la più grave crisi umanitaria al mondo, in cui più di 12 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case, diventando sfollate interne o rifugiandosi in Paesi confinanti come Ciad, Sud Sudan ed Egitto. La situazione è ulteriormente peggiorata proprio nell’aprile 2025 con l’attacco al campo sfollati di Zamzam, uno dei più grandi del Nord Darfur, che ha costretto oltre 500mila persone a fuggire in poche ore verso El Fasher. Attualmente nella città di El Fasher «la maggior parte dei punti d’acqua vicini è ormai inaccessibile a causa della violenza continua, e quelli ancora attivi sono sovrasfruttati e necessitano urgentemente di riparazioni. Nel frattempo, l’impennata dei prezzi del carburante ha ulteriormente compromesso il funzionamento dei sistemi di pompaggio dell’acqua», racconta un operatore COOPI presente a El Fasher. Inoltre, aggiunge, «le pessime condizioni igienico-sanitarie e il ricorso diffuso all’evacuazione in spazi aperti aumentano notevolmente il rischio di epidemie, come il colera o la diarrea acquosa acuta. A causa della grave carenza idrica, molte famiglie sono costrette a dare priorità all’acqua potabile rispetto all’igiene personale, con gravi rischi per la salute, soprattutto nei luoghi sovraffollati». In risposta a questa emergenza COOPI – Cooperazione Internazionale ha avviato un intervento umanitario d’urgenza dal titolo “Provision of Life Saving assistance for IDPs in emergency in El Fasher locality, North Darfur region”, con il sostegno del Sudan Humanitarian Fund di OCHA, garantendo il trasporto di acqua potabile, il monitoraggio della qualità dell’acqua, la distribuzione di contenitori e kit di emergenza e la costruzione di latrine, contribuendo a ridurre i rischi sanitari per la popolazione colpita e a garantire standard igienici di base. «Da aprile stiamo portando avanti i primi interventi di emergenza, con la distribuzione quotidiana di 70mila litri di acqua potabile per oltre 9mila sfollati, la consegna di due contenitori da 20 litri a 1.000 famiglie vulnerabili e la costruzione di 50 latrine d’emergenza nei nuovi campi informali sorti improvvisamente, ma si tratta solo di una prima risposta ai bisogni più urgenti. Le necessità della popolazione sono ancora enormi, il nostro impegno al fianco delle persone sfollate proseguirà quindi nel tempo», conclude Ennio Miccoli. Dal 2004, COOPI è attiva in Sudan e nel Nord Darfur per sostenere le comunità vulnerabili, attraverso un approccio multisettoriale volto a migliorare l’accesso a servizi essenziali come rifugi, sicurezza alimentare e mezzi di sussistenza, acqua, igiene e riduzione del rischio di disastri. Dallo scoppio della guerra civile nell’aprile 2023, l’organizzazione ha intensificato i propri sforzi umanitari, ampliando la presenza sul territorio e rafforzando la risposta d’emergenza per far fronte ai bisogni urgenti delle popolazioni colpite. Negli ultimi vent’anni in particolare COOPI ha realizzato 129 progetti raggiungendo oltre 4 milioni di beneficiari. Attualmente COOPI è attiva in Sudan principalmente nei settori sicurezza alimentare, acqua e igiene e riduzione dei rischi e preparazione ai disastri. Redazione Italia
Un mondo in fuga: il grido ignorato della Giornata Mondiale del Rifugiato
Nel 2024 si è toccato un nuovo record: più di 123 milioni di persone costrette ad abbandonare la propria casa. Conflitti vecchi e nuovi, dal Sudan a Gaza, alimentano una crisi umanitaria che i Paesi poveri sopportano quasi da soli. Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, ma come ogni anno non c’è nulla da festeggiare. Al contrario: mai come in questi mesi i numeri parlano una lingua drammatica e inascoltata. Secondo l’ultimo rapporto dell’UNHCR, sono oltre 123 milioni le persone costrette a fuggire dalle proprie case nel mondo, spinte da guerre, persecuzioni, crisi climatiche e instabilità economica. Di queste, almeno 42,7 milioni sono rifugiati nel senso più stretto del termine: persone che hanno attraversato un confine nazionale per cercare protezione altrove. La cifra è in aumento costante: rispetto al 2023, si contano circa 7 milioni di nuovi sfollati forzati. Un incremento che non accenna a rallentare, anzi. Le guerre si moltiplicano, si intensificano, si cronicizzano. Secondo il Peace Research Institute di Oslo, nel 2024 si sono registrati 61 conflitti attivi nel mondo, un record assoluto. Undici di questi hanno superato la soglia delle mille vittime annue, il limite che ne sancisce formalmente lo status di “guerra”. Dall’Ucraina a Gaza, la geografia del dolore Tre sono le aree che più hanno contribuito all’impennata di rifugiati nel corso dell’ultimo anno: Ucraina, Striscia di Gaza e l’intera fascia che va dall’Iran al Libano, oggi al centro di una tensione crescente tra Israele, Hezbollah e altri attori regionali. In Ucraina, dopo oltre tre anni di guerra, si contano più di 8 milioni di sfollati interni e almeno 5 milioni di rifugiati in Europa, ospitati soprattutto da Polonia, Germania e Repubblica Ceca. La guerra in corso, lungi dal concludersi, continua a generare nuovi esodi. In Palestina, e in particolare nella Striscia di Gaza, i numeri sono ancora più drammatici. Le operazioni militari israeliane hanno provocato decine di migliaia di morti e un vero e proprio esodo interno, mentre le popolazioni rifugiate nei campi del Libano vivono in condizioni al limite della sopravvivenza. Il 94% delle vittime in questi teatri è rappresentato da civili. E poi c’è l’Iran, dove il conflitto con Israele sta generando un clima di instabilità e nuove fughe, anche se per il momento i dati restano parziali e difficili da verificare. Foto Unsplash di Julie Ricard Il Sudan, tragedia silenziosa dell’Africa Ma la crisi più grave si consuma nel silenzio quasi totale dei riflettori internazionali. In Sudan, una guerra civile devastante tra l’esercito regolare e le Rapid Support Forces, scoppiata nell’aprile 2023, ha già costretto 12,3 milioni di persone ad abbandonare le proprie case. Di queste, quasi 9 milioni sono sfollati interni, mentre oltre 3,5 milioni sono fuggiti nei Paesi vicini: Ciad, Egitto, Etiopia, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana. Si tratta del più grande esodo africano degli ultimi vent’anni. Molti di questi rifugiati trovano accoglienza in Uganda, un Paese che da anni si distingue per la generosità del suo sistema di asilo, pur tra enormi difficoltà economiche. Oggi, più di 1,8 milioni di persone trovano riparo nel Paese, ma i fondi scarseggiano: le razioni alimentari sono state ridotte per almeno un milione di loro. Il Programma Alimentare Mondiale, colpito da tagli di bilancio e scarsa cooperazione internazionale, fatica a garantire anche i servizi essenziali. Chi accoglie davvero Uno degli aspetti più inquietanti di questa crisi globale è la distribuzione profondamente diseguale dell’accoglienza. Oltre il 73% dei rifugiati si trova in Paesi a basso o medio reddito, per lo più confinanti con le aree di conflitto. Le nazioni che ospitano il maggior numero di rifugiati sono la Turchia (circa 3,6 milioni), l’Iran (3,4 milioni), la Colombia (2,5 milioni), la Germania (2,1 milioni) e il Pakistan (1,7 milioni). Nonostante le dichiarazioni di solidarietà, l’Occidente continua ad accogliere una percentuale minima del totale. I meccanismi di reinsediamento internazionale sono deboli e lenti: nel 2024, solo 188.800 rifugiati sono stati effettivamente reinsediati in un nuovo Paese terzo. Numeri irrisori se confrontati con l’ampiezza del fenomeno. Un appello all’umanità La Giornata Mondiale del Rifugiato dovrebbe essere, prima di tutto, un giorno di responsabilità. Il diritto d’asilo non è un favore né un’opzione politica: è un diritto umano fondamentale. Ma in un’epoca in cui la parola “rifugiato” viene spesso strumentalizzata, deformata, politicizzata, è necessario tornare al significato più semplice e universale: quello di una persona che fugge per salvare la propria vita. Dietro ogni numero, ogni statistica, c’è un volto, una storia, un’infanzia spezzata. Un mondo che fugge non è un mondo sicuro per nessuno. Serve una risposta globale, condivisa e solidale. Non basta più celebrare una giornata: bisogna ascoltarla. Foto da Unsplash di Salah Darwish Heraldo
Genocidio israelo-statunitense a Gaza: 618° giorno. 90° dalla fine unilaterale del cessate il fuoco. Bombardamenti contro tende e folle di affamati. Gli ospedali accolgono 65 morti, il bilancio delle vittime sale a 55.362
Gaza-InfoPal. Le forze nazi-sioniste di occupazione israeliane (IOF) hanno continuato la loro guerra genocida sulla Striscia di Gaza per il 90° giorno consecutivo dopo aver posto fine unilateralmente al cessate il fuoco, sostenuti politicamente, economicamente e militarmente dagli Stati Uniti, dall’Europa e da parte del mondo arabo. Decine di attacchi aerei e raffiche di artiglieria hanno colpito tutto il territorio, prendendo di mira case, tende e rifugi civili. Si tratta di una campagna sistematica di sterminio contro la popolazione civile di Gaza. L’esercito israeliano continua a lanciare attacchi mortali contro i civili a Gaza. Nelle ultime 24 ore, gli ospedali della Striscia di Gaza hanno ricevuto i corpi di 57 civili rimasti uccisi in nuovi attacchi israeliani, insieme ai corpi di altre otto persone dichiarate disperse in precedenti attacchi. Secondo quanto comunicato domenica dal ministero della Salute di Gaza, 315 cittadini sono rimasti feriti a seguito degli attacchi israeliani nelle ultime ore. Di conseguenza, un totale di 5.071 persone sono state uccise e altre 16.700 sono rimaste ferite da quando l’esercito di occupazione israeliano ha ripreso la sua guerra genocida contro Gaza il 18 marzo 2025. Le nuove vittime hanno portato il bilancio delle vittime della guerra genocida israeliana contro Gaza, iniziata il 7 ottobre 2023, a 55.362 martiri, ha dichiarato il ministero della Salute. Il Ministero ha aggiunto che anche il numero totale dei feriti è salito a 128.741. Almeno 26 richiedenti aiuti sono stati uccisi e più di 117 sono rimasti feriti, oggi sotto il fuoco israeliano, portando il numero totale di persone uccise da maggio scorso nei centri di distribuzione degli aiuti umanitari tra Stati Uniti e Israele a 300, con 2.649 feriti. Abbracciando il sandalo del padre, la bambina palestinese Bisan Qweider piange la perdita insopportabile del padre, Shadi, ucciso dalle forze israeliane mentre attendeva gli aiuti umanitari sostenuti dagli Stati Uniti a Rafah per sfamare i suoi 11 figli. È tornato dalla sua famiglia non con del cibo, ma come un corpo senza vita. (Fonti: Quds Press, Quds News network, PressTv, PIC, Wafa, The Cradle, Al-Mayadeen; ministero della Salute di Gaza; Euro-Med monitor, Telegram; credits foto e video: Quds News network, PIC, Wafa, ministero della Salute di Gaza, Telegram e singoli autori). Per i precedenti aggiornamenti: https://www.infopal.it/category/genocidio-e-pulizia-etnica-a-gaza
Genocidio israelo-statunitense a Gaza: 616° giorno. 88° dalla fine unilaterale del cessate il fuoco. 26 morti e oltre 294 feriti presso i punti di distribuzione degli aiuti. Bilancio attuale delle vittime: oltre 55.200 morti e 128.000 feriti
Gaza-InfoPal. Le forze nazi-sioniste di occupazione israeliane (IOF) hanno continuato la loro guerra genocida sulla Striscia di Gaza per il 88° giorno consecutivo dopo aver posto fine unilateralmente al cessate il fuoco, sostenuti politicamente, economicamente e militarmente dagli Stati Uniti, dall’Europa e da parte del mondo arabo. Decine di attacchi aerei e raffiche di artiglieria hanno colpito tutto il territorio, prendendo di mira case, tende e rifugi civili. Si tratta di una campagna sistematica di sterminio contro la popolazione civile di Gaza. Civili affamati e sfollati vengono uccisi con il pieno sostegno politico e militare statunitense, nel silenzio internazionale e in un tradimento senza precedenti da parte della comunità internazionale. Gli sviluppi delle ultime ore. Secondo fonti mediche, dall’alba di venerdì sono state segnalate numerose vittime in tutta la Striscia di Gaza a causa di attacchi aerei israeliani. Fonti locali hanno confermato che diversi palestinesi sono stati uccisi e altri feriti quando le forze israeliane hanno preso di mira una tenda che ospitava famiglie sfollate nella zona di Al-Mawasi, a ovest di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza meridionale. Sono state segnalate vittime a seguito di un attacco israeliano nell’area intorno ad Al-Da’wah, a nord-est del campo profughi di al-Nuseirat, nella Striscia di Gaza centrale. Le forze israeliane hanno preso di mira civili riuniti per ricevere aiuti nella zona di Al-Sudaniya, a nord della città di Gaza, ferendone a decine. Sei martiri, tra coloro che attendevano aiuto, sono stati trasportati all’ospedale Al-Shifa dopo essere stati presi di mira ad Al-Sudaniya. L’artiglieria israeliana ha bombardato aree a nord del campo di al-Nuseirat e a est del quartiere di Al-Zaytoun, nella Striscia di Gaza sud-orientale. Un elicottero israeliano ha aperto il fuoco a est della città di Gaza e aerei da guerra hanno preso di mira la moschea di Al-Taqwa, già distrutta, nel campo profughi di Al-Bureij. Le forze di occupazione hanno lanciato bengala intorno al ponte di Wadi Gaza e hanno bombardato i palestinesi in attesa di aiuti in via Salah Al-Din, nel centro della Striscia di Gaza. Il giovane Hamza Mohammad Abdullah è stato ucciso in un attacco aereo su Jabalia, a nord. Un palestinese è stato ucciso e diversi feriti in un attacco contro un gruppo a est di Al-Matahin, a sud di Deir al-Balah. Altre sei persone sono state uccise e diverse ferite dopo che le forze israeliane hanno preso di mira un gruppo di cittadini nel campo di Al-Maghazi, nel centro della Striscia di Gaza. Quattro persone sono state uccise e altre ferite in un attacco contro la zona delle Torri di Al-Muqawasi, a nord-ovest della città di Gaza. Le forze israeliane hanno demolito case a nord-est della città di Gaza e nel quartiere di Al-Tuffah. Due palestinesi sono stati uccisi nella zona di Be’er Al-Na’ja, a ovest del campo di Jabalia, mentre i jet israeliani lanciavano pesanti attacchi sulla città. Due civili sono stati uccisi in un attacco su Batn Al-Samin, a sud di Khan Yunis. Due civili sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco dalle forze di occupazione vicino al centro di soccorso di Al-Shakoush, a nord-ovest di Rafah. Fonti mediche dell’ospedale al-Nasser hanno riferito di aver ricevuto un martire, ucciso da un attacco di droni israeliani ad Abasan Al-Kabira, a est di Khan Yunis. Le forze israeliane stanno demolendo edifici nella parte orientale e meridionale di Khan Yunis. L’ospedale Al-Awda di al-Nuseirat ha riportato 13 morti e 200 feriti dopo che le forze di occupazione hanno aperto il fuoco sui richiedenti aiuti umanitari vicino al corridoio di Netzarim. Bilancio delle vittime in aumento. Fonti mediche palestinesi hanno confermato che 64 civili, tra cui 26 persone affamate, sono stati uccisi e oltre 218 feriti, nelle ultime 24 ore. Il ministero della Salute di Gaza ha dichiarato che oggi sono stati registrati 26 morti e oltre 294 feriti presso i punti di distribuzione degli aiuti. Il numero totale di palestinesi morti durante la ricerca di aiuti umanitari ha raggiunto quota 245, con oltre 2.152 feriti. Le ultime statistiche del ministero confermano che dal 7 ottobre 2023 il bilancio delle vittime dell’aggressione militare israeliana ha raggiunto quota 55.207, con 127.821 feriti. Dal 18 marzo 2025, quando il cessate il fuoco è stato rotto e il genocidio è ripreso, il numero dei martiri ha raggiunto quota 4.924, con 15.780 feriti. Quattro palestinesi sono stati confermati uccisi dopo una serie di attacchi israeliani notturni contro civili e richiedenti aiuti nella città di Gaza. I loro corpi sono stati trasportati al Complesso Medico Al-Shifa questa mattina presto. Due persone sono state uccise e molte altre sono rimaste ferite in un attacco aereo israeliano che ha preso di mira una tenda per sfollati a Mawasi Al-Qarara, a nord di Khan Younis. Mentre Internet e le telecomunicazioni sono completamente interrotte, gli aerei da guerra israeliani bombardano Jabalia Al-Balad, nel nord di Gaza. (Fonti: Quds Press, Quds News network, PressTv, PIC, Wafa, The Cradle, Al-Mayadeen; ministero della Salute di Gaza; Euro-Med monitor, Telegram; credits foto e video: Quds News network, PIC, Wafa, ministero della Salute di Gaza, Telegram e singoli autori). Per i precedenti aggiornamenti: https://www.infopal.it/category/genocidio-e-pulizia-etnica-a-gaza
UNICEF: I bambini di Gaza lottano per procurarsi un pasto al giorno “se sono fortunati”
PressTV. Un portavoce del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) ha avvertito che i bambini malnutriti di Gaza ricoverati negli ospedali potrebbero non sopravvivere la prossima settimana a causa del blocco imposto da Israele, sottolineando che la maggior parte di loro lotta per procurarsi anche solo un pasto al giorno. James Elder, in un’intervista a Sky News, sabato, ha sottolineato la terribile situazione a Gaza, affermando che la maggior parte delle madri nella regione è costretta a sacrificare il proprio cibo per garantire ai propri figli qualcosa da mangiare. “È il momento peggiore che abbiano mai vissuto donne e bambini qui a Gaza“, ha detto. “Vedo bambini negli ospedali che non saranno vivi la prossima settimana a causa del livello di malnutrizione e perché i rifornimenti non li possono raggiungere. “La maggior parte delle madri con cui parlo mangia un pasto a giorni alterni perché sacrifica il cibo che ha per i propri figli”, ha aggiunto. Elder ha raccontato le terrificanti conseguenze dei bombardamenti indiscriminati del regime israeliano sui bambini di Gaza, facendo luce sulle esperienze traumatiche di chi ha subito la perdita degli arti a causa dei continui attacchi. “Quello che mi colpisce stavolta sono le urla negli ospedali. Ho visto un centinaio di bambini con amputazioni”. Secondo le organizzazioni delle Nazioni Unite e altre agenzie umanitarie, i beni (cibo, carburante, forniture mediche e acqua) indispensabili per la sopravvivenza delle persone sono esauriti o si prevede che finiranno nei prossimi giorni. Le organizzazioni umanitarie hanno ripetutamente avvertito che se nei prossimi giorni il blocco imposto da Israele non sarà tolto, l’intera popolazione sprofonderà in una catastrofe umanitaria su vasta scala, con migliaia di bambini che moriranno di fame. Ministero della Salute: gli attacchi israeliani a Gaza uccidono almeno 95 Palestinesi nelle ultime 48 ore. Almeno 95 persone, tra cui donne e bambini, sono state uccise dagli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza, negli ultimi due giorni. Secondo la Classificazione della fase di sicurezza alimentare integrata (IPC), l’intera popolazione di Gaza affronta elevati livelli di acuta insicurezza alimentare, con mezzo milione di persone (una su cinque) che rischiano di morire di fame. “Dall’11 maggio alla fine di settembre 2025, l’intero territorio è classificato come Emergenza (Fase 4 dell’IPC), con l’intera popolazione che si prevede affronti la Crisi o, la peggiore insicurezza alimentare acuta (Fase 3 o oltre dell’IPC)”, ha affermato  l’IPC. “Questo comprende 470.000 persone (il 22% della popolazione) in Catastrofe (Fase 5 dell’IPC), oltre un milione di persone (il 54%) in Emergenza (Fase 4 dell’IPC) e il restante mezzo milione (il 24%) in Crisi (Fase 3 dell’IPC)”, ha aggiunto l’IPC. Secondo le statistiche pubblicate dal ministero della Salute di Gaza, dal 7 ottobre 2023, quando il regime israeliano ha iniziato la sua guerra genocida contro Gaza, ha ucciso circa 55.000 Palestinesi e ne ha feriti più di 126.000, la maggior parte dei quali bambini e donne. (Foto: il bambino palestinese Osama Kamal Al Rakab lotta per sopravvivere, Khan Yunis, Gaza, 14 aprile 2025. Di Anadolu Agency). Traduzione per InfoPal di Edy Meroli
I centri di distribuzione degli aiuti a Gaza si trasformano in trappole di morte collettiva
API. In una scena tragica che si ripete quotidianamente, i centri di distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza — gestiti spesso da società americane — si stanno trasformando in luoghi di sterminio di massa. Il cittadino, sfinito dalla fame, si reca in questi centri nella speranza di tornare dai suoi figli con un pacco alimentare o un sacco di farina, ma spesso vi trova la morte o finisce fatto a pezzi dai proiettili dell’esercito di occupazione israeliano. L’esercito israeliano continua a esercitare pratiche sadiche contro civili disarmati, nell’ambito di una politica sistematica di genocidio e fame forzata. Oggi si è consumato un nuovo massacro, che ha provocato decine di martiri e feriti, rendendo questo uno dei giorni più sanguinosi dall’inizio della guerra. Facciamo appello al mondo libero — alle sue istituzioni, organizzazioni e popoli — affinché si assuma le proprie responsabilità umanitarie e morali, e agisca immediatamente per: Fermare l’aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza. Garantire l’ingresso immediato degli aiuti umanitari bloccati ai cancelli del valico di Rafah. Fornire protezione ai civili e ai centri di distribuzione alimentare. Porre fine alla guerra della fame sistematica condotta contro oltre due milioni di persone. Dopo venti mesi di guerra genocida ininterrotta, il silenzio internazionale è diventato complice del crimine. È giunto il momento di un’azione concreta che salvi ciò che resta delle vite innocenti. Associazione dei Palestinesi in Italia (API)
Moni Ovadia: a Gaza, la più atroce delle barbarie
Di Moni Ovadia. Quella che si sta compiendo è la più atroce delle barbarie. La questione del genocidio palestinese non riguarda solo la Palestina, che lo sta pagando con i corpi, con i bambini, con la distruzione quotidiana della propria esistenza: riguarda tutti noi. Perché chi oggi sceglie di non schierarsi, e non parlo di schieramenti di partito, sta rinunciando a decidere tra civiltà e barbarie. Un giorno, quando i peggiori dittatori del futuro compiranno crimini indicibili con apparente legittimità, e qualcuno proverà a invocare i diritti umani, essi potranno rispondere: “Zitti, buffoni. Cosa avete fatto con la Palestina?”. E avranno ragione. Non avremo più titolo per parlare. Dobbiamo riconquistarci quel titolo, ricostruire la nostra credibilità morale. L’umanità ha impiegato secoli per arrivare alla Dichiarazione universale dei diritti umani. I cosiddetti democratici occidentali l’hanno calpestata. Hanno fatto carne di porco della legalità internazionale. Se un giorno ci sarà un processo – lo si chiamerebbe “processo di Norimberga”, ma io preferirei un altro nome, perché quello fu comunque un processo di vincitori – ebbene, su quel banco degli imputati dovranno sedersi certo i criminali di guerra, gli assassini sionisti, ma anche tutti i presidenti degli Stati Uniti, tutti i governi europei. Quelli che oggi versano qualche lacrima di coccodrillo. Ma occorre dire qualcosa di fondamentale: non si illudano gli indifferenti. Gramsci ce l’ha insegnato: sono i più detestabili, i più codardi, perché non si assumono la responsabilità della storia. Dante li chiamava “ignavi”: Non ti curar di loro, ma guarda e passa. Eppure io dico: no, non possiamo passarci sopra. Gli indifferenti saranno giudicati lo stesso. Forse non da noi, ma dai loro figli, dai loro nipoti. Un giorno qualcuno della loro discendenza li guarderà negli occhi e chiederà conto del loro silenzio. E loro abbasseranno lo sguardo. E saranno sputati in faccia, per essere stati così vili. Il popolo palestinese è perseguitato da settantasette anni. Assassinato, torturato, espropriato, vessato. E l’Unione Europea, dove stava? Io ho cominciato il mio impegno politico sulla Palestina quarant’anni fa. Ho ricevuto insulti, maledizioni, minacce di morte. Ma adesso voglio guardarli in faccia, questi “moderati”. Perché non c’è peste peggiore della moderazione, quando si tratta di crimini contro l’umanità. La moderazione ci ha regalato l’indifferenza verso la mafia, la ‘ndrangheta, la complicità con il Vietnam, con l’Afghanistan, con l’Iraq, con la Siria, con l’India di Modi. E ora con Gaza. Sapete qual è il numero delle vittime imputabili all’imperialismo statunitense e ai suoi servi? Cinquanta, forse sessanta milioni. E poi hanno anche il coraggio di venire a fare la morale al comunismo. Io non ho ricette in tasca. Ma so una cosa: dobbiamo alzare la voce, e farlo con forza. Basta understatement, basta diplomazie. C’è una sola soluzione, limpida, netta, necessaria: uno Stato unico per tutti gli abitanti della Palestina storica. Tutti con gli stessi diritti. Tutti, fino all’ultimo. Persino il diritto di camminare deve essere garantito. Eppure già si comincia a sentire: “Sì, ma è un po’ esagerato”. E vogliono fare i distinguo, i “puntini sulle i”. Ma è tutto chiaro: fin dalla sua origine, il sionismo è un progetto colonialista. Fin dall’inizio. Quando si presenta al mondo con lo slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, ciò che dice è: eliminiamo chi c’è, chi non vogliamo vedere. Netanyahu non è un’eccezione: è il frutto più autentico del sionismo. Basta con le ipocrisie. Netanyahu è il mostro? Ma Ben Gurion ordinò la distruzione di cinquecento villaggi palestinesi. Golda Meir negava perfino l’esistenza di un popolo palestinese. Le radici del crimine sono lì, non oggi. Anche progetti apparentemente “positivi”, come l’imboschimento della terra, in realtà servivano a nascondere le devastazioni, a seppellire corpi che non si potevano nemmeno nominare. E la cosa più oscena che hanno fatto è stata decidere quando inizia la storia: il 7 ottobre. Tutto ciò che è accaduto prima non conta. Nessun bambino ucciso, nessun arresto arbitrario, nessun furto di terra o di acqua. Niente massacri, niente apartheid. Solo il 7 ottobre. A denunciare questa menzogna sono stati alcuni israeliani. Dissidenti coraggiosi. E anche a voi voglio chiedere una cosa: non chiamatelo Stato ebraico. Noi siamo centinaia di migliaia di ebrei antisionisti. Chiamatelo con il suo vero nome: Stato sionista. Perché il crimine si chiama sionismo. Proprio ieri ho finito una riunione con un gruppo di ebrei italiani e israeliani fuggiti da Israele. Stiamo costruendo una rete antisionista italiana, da collegare a quelle americane, inglesi, francesi. È tempo di parlare chiaro. Anche la parola genocidio va detta. Serenamente. Perché questo è ciò che accade: un genocidio. Il primo a usare questa parola in Israele è stato Amos Goldberg, massimo esperto di Shoah. In un testo di venti righe ha usato sei volte la parola genocidio. Alla fine ha scritto: “Genocidio intenzionale”. Non una reazione, non una perdita di controllo. Uno scopo preciso: cancellare un popolo. Deportarlo. Distruggere la sua cultura, la sua lingua, la sua istruzione. Avremo tanto da fare. E sarà una lotta lunga. Io compirò ottant’anni l’anno prossimo. Ma vi chiedo una cosa: non abbassate la tensione. Quando vi diranno “ora va un po’ meglio”, ricordatevi che non esiste il “un po’ meglio”. Esiste la giustizia, o l’ingiustizia. Non c’è via di mezzo. E vi dico un’altra cosa, che ho saputo da un’inchiesta giornalistica seria. La storia della “Riviera” sul Mediterraneo, che alcuni volevano costruire a Gaza, non è un’invenzione. Era un progetto di un’istituzione sionista. Volevano fare la “Riviera” perché sotto il mare di Gaza si trova il terzo giacimento di gas del Mediterraneo. E non solo: volevano costruire un canale, simile al Canale di Suez, che avrebbe tagliato in due Gaza. Non parliamo solo di ideologia: parliamo di affari. I corpi possono marcire, possono bruciare, possono dissolversi. Ma i soldi devono girare. Ecco perché è necessario un movimento che leghi la lotta contro questa violenza alla lotta contro la violenza delle violenze: l’economia turbocapitalista, che è un’economia di morte. Avete visto cosa succede con il business delle armi? Gaza è il laboratorio. I sionisti sperimentano armi nuove. C’è un video in cui si vede una donna palestinese camminare da sola tra le macerie. Le hanno sparato un’arma che l’ha dissolta in una nuvola di polvere. Polvere. Così non resta nulla da seppellire. Nemmeno quel corpo da stringere, come si faceva fin dai tempi della guerra di Troia. Questa è una barbarie mai vista prima. Si credeva che l’umanità avesse toccato il fondo. Non era vero. Dobbiamo reagire. Dobbiamo diventare milioni. Avete visto la manifestazione di Amsterdam? Quella di Parigi? Tocca anche a noi italiani. Un tempo eravamo un paradigma della lotta. Che cazzo ci è successo?
Agenzia ONU: i civili di Gaza subiscono pesanti attacchi mentre cercano cibo nei centri di aiuto
Gaza – MEMO. L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA) ha riferito sabato che i civili che soffrono la fame nella Striscia di Gaza sono stati oggetto di pesanti attacchi israeliani mentre cercavano cibo nei centri di distribuzione degli aiuti, secondo quanto riportato da Anadolu. L’UNRWA ha citato in una dichiarazione la testimonianza di un palestinese sopravvissuto a un attacco contro un centro di distribuzione a Rafah, istituito dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta da Stati Uniti e Israele, con il pretesto di fornire aiuti umanitari. La dichiarazione ha osservato che i palestinesi affamati, nella loro disperata ricerca di cibo, sono esposti a intensi attacchi israeliani contro i cosiddetti centri di distribuzione, mettendo a grave rischio la loro vita. Ha affermato che molti tornano a casa a mani vuote dopo essere sopravvissuti agli attacchi. La dichiarazione ha sottolineato l’urgente necessità di riprendere la distribuzione sicura degli aiuti alla popolazione di Gaza e ha sottolineato che tale operazione deve essere effettuata tramite le agenzie delle Nazioni Unite, tra cui l’UNRWA. Dal 27 maggio, l’esercito israeliano ha lanciato attacchi contro le zone di distribuzione istituite con il pretesto di fornire aiuti umanitari dalla GHF, sostenuta da Israele e Stati Uniti. Le forze israeliane hanno aperto il fuoco sui civili che si accalcavano nei centri di distribuzione nelle “zone cuscinetto” create da Israele. Secondo i dati dell’Ufficio Stampa di Gaza, tra il 27 maggio e il 6 giugno, le forze israeliane hanno effettuato attacchi contro i palestinesi nei centri di distribuzione, uccidendo 110 persone e ferendone 583. I corpi di nove palestinesi risultano ancora dispersi.
ONU: “Nel nord di Gaza non è operativo un solo ospedale”
Gaza. Le Nazioni Unite affermano che tutti gli ospedali nel nord della Striscia di Gaza hanno cessato di funzionare a causa dell’aggressione militare israeliana, mentre la consegna degli aiuti continua a essere bloccata a causa del persistente rifiuto del regime di consentire l’accesso. “I nostri colleghi sul campo ci dicono che gli ultimi dati indicano che nelle ultime tre settimane, più di 100 mila persone sono state costrette a fuggire solo nei governatorati di Gaza Nord e nella Striscia di Gaza”, ha dichiarato il portavoce Stephane Dujarric in una conferenza stampa, mercoledì. Ha affermato che i partner sanitari hanno avvertito che le strutture sono “gravemente colpite dalle ostilità in corso”, con un numero crescente che interrompe le operazioni ogni giorno. “Lunedì, il personale e i pazienti rimanenti dell’Ospedale Indonesiano, nel nord di Gaza, sono stati evacuati. Di conseguenza, nessun ospedale è ancora operativo nel nord di Gaza”, ha aggiunto Dujarric. Ha affermato che, mentre le Nazioni Unite continuano a consegnare aiuti attraverso il valico di Karem Abu Salem (Kerem Shalom), Israele ha approvato solo 50 camion carichi di farina su un lotto di 130 che avevano già ricevuto l’autorizzazione preliminare. Ha riferito che un convoglio di aiuti è stato completamente bloccato, mentre un altro è riuscito a recuperare solo circa 12 camion. Dalla riapertura del valico sono stati riuniti meno di 400 camion, ha aggiunto. Solo lunedì, le operazioni delle Nazioni Unite hanno dovuto affrontare sei dinieghi di accesso in tutta Gaza, inclusi tentativi falliti di consegnare acqua e carburante. Dujarric ha sottolineato che i dinieghi israeliani impediscono alle Nazioni Unite “di svolgere interventi critici come la consegna di acqua a chi ne ha bisogno”. Oltre a negare la consegna degli aiuti e a condurre attacchi, Israele continua a colpire il sistema sanitario di Gaza. Lunedì, l’esercito israeliano ha completamente demolito il centro di dialisi di Noura al-Kaabi, l’unica struttura medica che fornisce dialisi renale ai pazienti palestinesi nella Striscia di Gaza settentrionale. Sempre domenica, il direttore dell’ospedale al-Shifa ha dichiarato che cinque pazienti oncologici muoiono ogni giorno nelle loro case nella Striscia di Gaza a causa della mancanza di cure mediche causata dal brutale assalto e assedio israeliano. Traduzione per InfoPal di F.L. (Fonti: ONU, PressTV).
Olocausto israelo-statunitense a Gaza: 607° giorno. 79° dalla fine unilaterale del cessate il fuoco. Israele continua ad ammazzare i civili in cerca di aiuti alimentari
Gaza-InfoPal. Le forze nazi-sioniste di occupazione israeliane (IOF) hanno continuato la loro guerra genocida sulla Striscia di Gaza per il 79° giorno consecutivo dopo aver posto fine unilateralmente al cessate il fuoco, sostenuti politicamente, economicamente e militarmente dagli Stati Uniti, dall’Europa e da parte del mondo arabo. Decine di attacchi aerei e raffiche di artiglieria hanno colpito tutto il territorio, prendendo di mira case, tende e rifugi civili. Si tratta di una campagna sistematica di sterminio contro la popolazione civile di Gaza. Questa notte, gli aerei israeliani hanno nuovamente aperto il fuoco sui civili radunati nel corridoio di Netzarim, dove erano arrivati per attendere aiuti umanitari. Migliaia di giovani palestinesi continuano a radunarsi ogni notte nel corridoio di Netzarim, nel centro della Striscia di Gaza, rischiando la vita a temperature gelide in cerca di cibo e aiuti. La scena riflette la disastrosa situazione umanitaria, poiché i limitati aiuti che raggiungono la zona, a quanto pare, coprono meno del 10% delle persone bisognose. Ieri sera, sono stati registrati 5 morti e molti feriti dopo che un attacco aereo israeliano ha preso di mira una tenda che ospitava civili sfollati all’interno del porto di Gaza. (Fonti: Quds Press, Quds News network, PressTv, PIC, Wafa, The Cradle, Al-Mayadeen; ministero della Salute di Gaza; Euro-Med monitor, Telegram; credits foto e video: Quds News network, PIC, Wafa, ministero della Salute di Gaza, Telegram e singoli autori). Per i precedenti aggiornamenti: https://www.infopal.it/category/genocidio-e-pulizia-etnica-a-gaza