Tag - inquinamento

Combustibili fossili in India: proteste a Delhi contro l’inquinamento
La Cop 30 di Belém appena conclusa è l’ennesimo passo indietro rispetto agli accordi di Parigi. Il compromesso raggiunto attorno all’accordo Mutirao vede una netta divisione tra paesi del Nord e del Sud globale, con il raggiungimento di un accordo che continua a far discutere per il suo essere centrato sui fondi di adattamento climatico per i paesi in via di sviluppo, cioè su compensazioni per le emissioni fossili. Scompaiono dal documento finale i riferimenti ai combustibili fossili, facendo emergere le critiche di un gruppo di trentasei paesi – tra cui Francia e Colombia – che reputano il documento finale un passo indietro, su cui pesano il ruolo di Paesi emergenti come India, Cina, Russia, Arabia Saudita e Nigeria. La posizione del governo indiano è tra le più critiche. Il subcontinente è il paese che ha accresciuto di più le proprie emissioni di gas climalteranti nel 2024, un dato da soppesare sì in base alla popolazione di oltre 1.4 miliardi di persone e al crescente ritmo di sviluppo economico, su cui grava l’irresponsabilità del governo nel delineare una strategia di phase out dai combustibili fossili. La dipendenza energetica dal carbone, da cui dipende il 75% della produzione di energia nazionale, è tra i fattori di maggiore criticità. > Nonostante l’implementazione di energie rinnovabili, a oggi 236 GW di energia > fotovoltaica prodotta, la strategia di produzione energetica resta ancorata al > carbone. Il dato è suffragato dall’aumento di concessioni di estrazione di > carbone in aree forestali e dall’accresciuto afflusso di gas e petrolio, anche > grazie agli accordi con Russia e petrostati del golfo arabico. Sono ancora > lontani gli obiettivi di riduzione di dipendenza da fonti carbonifere ad > almeno il 19% del totale del computo energetico necessario per rispettare > l’obiettivo di fermare il riscaldamento globale a 1,5°. Invertire la rotta della dipendenza energetica dalle fonti fossili per l’India è fuori dagli obiettivi economici del Paese in ascesa come potenza economica globale; anche se i dati della produzione di energia da fonti rinnovabili segnano un importante incremento di produzione, queste si inseriscono in uno schema di addizione energetica. Nell’India che vuole affermarsi come potenza economica di prim’ordine, con un governo alla stregua di oligopoli direttamente coinvolti nella produzione di energia fossile e rinnovabile, la prima necessità è accrescere la produzione energetica totale per sostenere la crescita del settore delle infrastrutture, edilizia, industrie ad alta intensità tecnologica e in ultimo data center di nuova generazione – come confermato dagli investimenti proposti da Google e da Tata Consultancy Services. Su questi ultimi due settori, governo e aziende hanno cominciato a sondare il mercato globale per la costruzione di centrali nucleari di nuova generazione e mini centrali nucleari, da costruire nei pressi degli stabilimenti produttivi per garantire continuità e sufficienza energetica degli impianti. Il contraltare di COP 30 e strategia energetica indiana sta nelle condizioni climatiche dell’India, toccata da temperature altissime nelle sue stagioni secche ed esponenziale crescita di eventi climatici disastrosi nella stagione umida. In un report presentato dal dipartimento meteorologico dell’India sui primi nove mesi del 2025, sono 4064 i morti registrati a causa di eventi climatici estremi e ingenti le perdite di raccolti che hanno colpito 9,47 milioni di ettari coltivati. Nella stagione umida appena passata, i danni causati dagli effetti di alluvioni e frane sono aumentati nelle regioni sub-himalayane e a valle. Le immagini di Dharali del 5 agosto scorso, in cui una bomba d’acqua ha causato una frana che ha travolto un intero villaggio, sono emblematiche della situazione in cui versa l’India trainata da costruzioni di infrastrutture e di edilizia turistica selvaggia in aree vulnerabili, della voluta negligenza governativa in materia per favorire la crescita economica a tutti i costi. Simili esempi si possono trovare nelle regioni del Nord-Est indiano come in Kashmir, con fenomeni di simile intensità più o meno accentuati dalla maggior frequenza di bombe d’acqua; o a valle, nelle regioni a forte vocazione agricola dove le alluvioni distruggono raccolti annuali e vite. Basti citare in questa sede le alluvioni nel Punjab indiano dove 1400 villaggi sono stati inondati dall’acqua e trenta persone sono morte, anche a causa delle piogge più forti degli ultimi 25 anni nel mese d’agosto: 253,7mm d’acqua, il 74% più forti rispetto alla media. L’ARIA IRRESPIRABILE DI DELHI Dimensione della crisi climatica che arriva a toccare anche le città. La capitale Delhi è esemplificazione delle contraddizioni che l’India si trova ad affrontare su più fronti: eventi climatici disastrosi, inquinamento delle acque e dell’aria e assenza di efficaci politiche di prevenzione. Nelle scorse settimane sono stati presentati i dati sull’inquinamento urbano, dove al solito troviamo in cima alla classifica delle città più inquinate al mondo megalopoli indiane e pakistane. In questa classifica e dai dati della qualità dell’aria raccolti da IQAir, Delhi si conferma la capitale mondiale più inquinata al mondo. Tra le cause principali l’uso di mezzi di trasporto – pubblici ma soprattutto privati –, gli incendi di sterpaglie agricole negli Stati limitrofi, l’inquinamento delle attività produttive e l’uso di combustibili a uso domestico per cucinare o riscaldarsi. Cause imposte dalle condizioni di impoverimento generalizzato della popolazione indiana che rendono impossibile la diminuzione delle emissioni, soprattutto a fronte dell’assenza di un intervento pubblico atto a sovvenzionare la transizione. Le conseguenze della crisi climatica sono pagate soprattutto dai subalterni e in particolare dalle donne. Dal report sulla qualità dell’aria e della vita del 2025 dell’Istituto per le politiche energetiche dell’Università di Chicago, emerge che l’inquinamento dell’aria ha ridotto l’aspettativa di vita degli indiani di circa tre anni e mezzo; da un altro report dello Stato di Delhi fatto sugli standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’aspettativa di vita nelle condizioni di inquinamento in cui versa la capitale indiana si abbassa di 8.2 anni. Secondo uno studio pubblicato dalla rivista scientifica “The Lancet Planetary Health“, a dicembre 2024, sono quasi 1,7 milioni le persone morte tra il 2009 e il 2019 in India a causa dell’esposizione a livelli di PM2.5 superiori a 40 μg/m3. A essere più esposte e vulnerabili sono le donne. Allarmante il dato arrivato da Ahmdebad, capitale del Gujarat, dove le donne esposte a combustibili da biomassa –legname, carbone, ecc. spesso utilizzati in attività domestiche – durante la gravidanza avevano il 50% di probabilità in più di aborto spontaneo. di Ninara (Flickr) LE PROTESTE CONTRO L’INQUINAMENTO Nel mese di ottobre la città di Delhi ha toccato livelli record d’inquinamento in concomitanza con la festività del Diwali. Nonostante il divieto del governo di Delhi di uso di fuochi d’artificio, l’inquinamento dell’aria ha toccato i livelli record di 1000 µg/m³ – ben oltre la soglia limite di 40 µg/m³ fissata dall’organizzazione mondiale della sanità. La situazione è aggravata dal malfunzionamento delle stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria. Stando ai dati raccolti dalla testata indiana “Hindustan Times” solo il 23% delle stazioni di monitoraggio funziona a pieno nella capitale, tra queste molte sono disattivate automaticamente nella notte o al raggiungimento del valore di 1000 µg/m³. Una situazione insostenibile e prolungata oltre il mese del Diwali, dove i valori sono scesi continuando a restare tra i 300 e i 600 µg/m³. La difficile situazione dell’inquinamento dell’aria di Delhi è causata da più fattori, tra cui inquinamento da traffico urbano, combustione di biomasse per uso domestico, centrali a carbone vicine alla città, incendi di rifiuti, inceneritori urbani e arrivo di fumi tossici dagli incendi di sterpaglie da Stati limitrofi. Un’emergenza permanente nella quale vi è un sostanziale immobilismo delle istituzioni nell’invertire la rotta. A nulla è servito l’uso di oltre mille camion con idranti e 140 cannoni d’acqua per ridurre i livelli d’inquinamento dell’aria. Nemmeno l’avveniristica mossa di inseminazione delle nuvole per stimolare piogge naturali condotta da governo di Delhi e Istituto Indiano di Tecnologie di Kanpur ha migliorato la situazione. Irrespirabilità dell’aria e non gestione dell’emergenza da parte delle istituzioni hanno causato proteste di piazza da parte dei giovani della capitale. Al grido di «vogliamo respirare» in centinaia sono scesi in piazza da inizio novembre per rivendicare il proprio diritto a respirare un’aria pulita, richiedendo alle istituzioni un piano credibile per fronteggiare l’emergenza inquinamento nella capitale arrivata a livelli ingestibili. Una protesta organizzata dal Delhi Coordination Committee for Clean Air, e animata da giovani studenti della capitale e cittadini accorsi nella zona turistica di Delhi gate per prendersi la scena uscendo dal perimetro designato dalle istituzioni locali per le manifestazioni della più periferica Jantar Mantar. La risposta delle istituzioni non si è fatta attendere. Con la zona blindata da jester e pattuglie della polizia, le forze dell’ordine hanno caricato i manifestanti su pullman diretti alle stazioni di polizia con la motivazione dell’assenza di autorizzazioni necessarie per la manifestazione. Repressione che non ha fatto demordere i manifestanti dal riscendere in piazza, che a distanza di due settimane hanno riconvocato un presidio statico a Delhi gate con le stesse rivendicazioni fronteggiando una più forte repressione. > Ventitré gli arrestati con accuse di offesa a pubblico ufficiale, > disobbedienza agli ordini di polizia, e cospirazione contro i poteri dello > Stato. Uno dei manifestanti arrestati ha dichiarato alla testata indiana “The > Wire”: «Chiedevamo forse qualcosa di illegale? Chiedevamo l’impossibile? > Stavamo semplicemente ricordando al governo il nostro diritto alla vita. > Eppure, siamo stati trattati come se stessimo incitando la gente a far > crollare il Paese». Hanno fatto scalpore le immagini di uno degli arrestati, il ventiquattrenne Akshay E R, studente della Delhi University, scaraventato a terra dalla polizia, con l’accusa di aver scandito slogan maoisti, aver rotto le barricate e aggredito poliziotti. Tra le motivazioni delle accuse a suo carico il suo attivismo nell’organizzazione Bhagat Singh Chhatra Ekta Manch, tra i collettivi promotori del coordinamento della capitale per l’aria pulita, che ha denunciato sui social le cause dell’inquinamento «aumento delle tariffe del trasporto pubblico, diminuzione del numero di autobus, mancata applicazione degli standard governativi per prevenire l’inquinamento atmosferico in oltre il 70% dei cantieri e l’esenzione concessa a una grande quantità di industrie pesanti all’interno della regione NCR di Delhi sono le ragioni di questa emergenza.» Gli esponenti del Bharatiya Janata Party non hanno risposto nel merito alle proteste cercando di spostare il focus sulla legittimità delle modalità di protesta. Un classico dell’India governata da Modi, dove il diritto al dissenso viene sempre più negato con esplicite motivazioni politiche e anche grazie a nuove norme atte a criminalizzare ogni atto di protesta. La copertina è di Peter Addor da Flickr SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Combustibili fossili in India: proteste a Delhi contro l’inquinamento proviene da DINAMOpress.
Daspo, multe e denunce a Extinction Rebellion per la protesta delle acque verdi
Dopo aver colorato le acque di verde, azione le cui foto sono finite sui giornali di tutto il mondo, Extinction Rebellion denuncia abusi in tutta Italia. A Venezia, Daspo e denunce – come quelli che avrebbero coinvolto Greta Thunberg – sono state comunicate solo a mezzo stampa e mai notificati. A Trieste, Bologna e Roma sono invece stati registrati pedinamenti, fermi, denunce e sanzioni. La protesta, del tutto pacifica e lanciata per richiamare l’emergenza climatica, apre un nuovo fronte sul diritto a manifestare in Italia. Con la conclusione della COP30 in Brasile, l’Italia ha vissuto uno dei weekend più accesi degli ultimi mesi sul fronte delle proteste climatiche. Sabato 22 novembre, Extinction Rebellion ha infatti colorato di verde le acque di 11 città italiane utilizzando fluoresceina, un tracciante innocuo comunemente usato dagli idrogeologi. Un’azione dimostrativa che nei giorni successivi ha avuto molta risonanza in Italia e all’estero, finendo sulle pagine di The Independent, The Telegraph, ABC News, Le Figaro, Le Parisien e di molte altre testate internazionali. Il clamore mediatico ha fatto eco alle pesanti reazioni politiche, in cui non sono mancati gli attacchi pubblici nei confronti del movimento e di Greta Thunberg da parte di diversi esponenti di Lega e Fratelli d’Italia, tra cui l’ex presidente del Veneto Luca Zaia, violando  il silenzio elettorale, e il Ministro dei Trasporti Matteo Salvini. È stata proprio Venezia a diventare epicentro delle polemiche: 37 persone – tra cui proprio Greta Thunberg – sarebbero state denunciate, multate e colpite da un Daspo urbano, senza però che nessuna notifica ufficiale sia mai stata consegnata agli interessati. “Scopriamo a mezzo stampa che 37 persone sarebbero state denunciate e allontanate da Venezia per un reato che non è mai stato commesso” spiega Aleandro del gruppo veneziano di Extinction Rebellion. “Siamo al paradosso: la Questura che esegue ordini dal governo e diventa strumento di propaganda politica, rilasciando comunicati stampa sulle conseguenze legali di privati cittadini, come nel caso di Greta, senza nemmeno informare i diretti interessati”. Gli abusi riportati da Extinction Rebellion, tuttavia, erano iniziati già durante l’azione: “La polizia quel giorno ha letteralmente rubato striscioni, bandiere e tamburi pochi minuti dopo l’inizio, senza nemmeno rilasciare un verbale, violando quindi i più elementari diritti costituzionali” aggiunge Paola, sempre da Venezia. “Sono dovuta andare io stessa in Questura per riceverlo e non ci hanno notificato alcuna denuncia. La notizia che sta girando sulle pagine di tutti i giornali è il frutto di una precisa strategia di propaganda politica e polarizzazione dell’opinione pubblica. Le acque del Canal Grande sono già tornate come prima, a differenza dei danni ambientali causati dalle politiche della Regione Veneto, come le opere costruite per le Olimpiadi o l’inquinamento della raffineria di Marghera.” Sabato stesso il movimento aveva riportato provvedimenti arbitrari e illegittimi in diverse città. A Trieste, 8 persone erano state portate in Questura, trattenute per diverse ore e denunciate per “manifestazione non preavvisata”, nonostante – sottolinea XR – avessero fornito regolarmente i documenti come previsto dalla legge. A Bologna, invece, nonostante solo 3 persone avessero materialmente versato la fluoresceina nel canale delle Moline, 16 persone si sono viste recapitare una sanzione di 50 euro ciascuno per “sversamento illecito di rifiuti”. “Getto di rifiuti?” racconta Veronica da Bologna “La fluoresceina è un sale regolarmente usato per tracciare corsi d’acqua. Quindi o la fluoresceina è considerata un rifiuto e a quel punto sanzioniamo tutti i subacquei e speleologi d’Italia, o la Questura di Bologna sta nuovamente eseguendo degli ordini e abusando del proprio potere”. Secondo il movimento, la situazione più grave si sarebbe verificata però a Roma, dove 8 persone riferiscono di essere state pedinate, fermate, perquisite e 2 di loro poi portate in Questura e denunciate, pur non avendo realizzato alcuna azione. “Nessuna di noi è sottoposta alla sorveglianza speciale, eppure continuiamo a essere pedinati, portati in Questura e trattenuti per ore, senza che sia stato commesso alcun reato” commenta Tommaso da Roma. La protesta di Extinction Rebellion ha riacceso il dibattito sul diritto di manifestare in Italia. Da un lato, diversi esponenti politici che non hanno esitato ad attaccare pubblicamente il movimento e Greta Thunberg, ricorrendo a espressioni come “gretini”, “vandali” e “criminali”. Dall’altro, un movimento nonviolento che rivendica di aver utilizzato un tracciante svanito nel giro di poche ore e privo di qualunque impatto ambientale, riportando invece una preoccupante gestione pubblica del dissenso. Mentre in Brasile la COP30 si chiude senza un accordo per l’uscita dai combustibili fossili, in Italia si riapre il dibattito sulle garanzie democratiche e sul ruolo delle forze dell’ordine nella gestione delle proteste ambientali. Un tema su cui Extinction Rebellion continua a battersi, denunciando Questure, sostenendo ricorsi e difendendosi in tribunale. “Le acque di tutta Italia sono tornate come prima, inquinate e contaminate. Chi ci governa può continuare a promuovere progetti che deturpano il paesaggio irreversibilmente senza che questo generi preoccupazione.” conclude Extinction Rebellion. Fonti: * Extinction Rebellion: http://extinctionrebellion.it/press/2025/11/22/acque-verdi-cop30/ * The Independent: https://www.independent.co.uk/news/world/europe/greta-thunberg-banned-venice-grand-canal-protest-b2871264.html * The Telegraph: https://www.telegraph.co.uk/world-news/2025/11/24/greta-thunberg-banned-from-venice-after-dyeing-canal-green/ * ABC News: https://abcnews.go.com/International/climate-activist-greta-thunberg-banned-venice-after-grand/story?id=127862310 * Le Figaro: https://www.lefigaro.fr/international/cop30-greta-thunberg-bannie-temporairement-de-venise-apres-une-action-coup-de-poing-dans-le-grand-canal-20251125 * Le Parisien: https://www.leparisien.fr/international/italie/greta-thunberg-bannie-de-venise-apres-avoir-colore-le-grand-canal-en-vert-en-marge-de-la-cop30-24-11-2025-JBEFZ3E3UZBVVOMFRES3M635KY.php * Post di Luca Zaia: https://www.facebook.com/zaiaufficiale/posts/pfbid02wzc8qyMjfADnS25KvNZajSkk5Gc9KDns27wNMJ5EX6fdGEKs3qKX7iumw8abW5Jul * Post di Matteo Salvini: https://www.facebook.com/salviniofficial/posts/pfbid02eAVj4umnvYEefVwM9wgYuzqBR4MXgXXyzK4xbTDuvQRiPSCw9gfYvCBeio1Rksbpl * Rai News: https://www.rainews.it/tgr/veneto/articoli/2025/11/venezia-daspo-urbano-48-ore-per-greta-thunberg-e-36-attivisti-di-extinction-rebellion-per-manifestazione-non-autorizzata-6783a731-9cc6-4886-a929-b2b4f120132f.html * L’Indipendente: https://www.lindipendente.online/2025/11/23/cop30-nessun-accordo-sulle-fossili-le-richiede-del-sud-globale-rimangono-inascoltate/ Extinction Rebellion
[Impatto - voci contro le nocività] L'IMPATTO ambientale delle missioni satellitari sullo strato di Ozono
Chiacchieriamo in lungo e in largo con un compagno edotto di dinamiche dell'atmosfera e missioni satellitari sull'impatto ambientale che potrebbe avere l'aumento vertiginoso dei lanci orbitali di satelliti per le telecomunicazioni. Si parla di un aumento dai circa 100 lanci del 2019 ai 258 del 2024, per una stima di circa 800 lanci annuali entro i prossimi 5 anni. Tutto questo chiaramente legato al sempre maggiore giro di affari della tecnologia (dual use civile e militare) legata ai servizi per l'accesso alla rete internet.  Questa nuova tendenza è chiaramente iniziata con la creazione della flotta satellitare Starlink, ma molte altre reti simili verranno lanciate da molti altri attori civili, militari, statali e privati. L'impatto ambientale è legato all'uso di propellenti solidi per i razzi che immettono in alta atmosfera enormi quantità di cloro e alluminio, veri e propri killer della sottile e delicata fascia di ozono che potrebbe arrivare a diminuire fra il 0.17% e lo 0.29% annualmente, con enormi impatti sulla salute di tutti gli esseri viventi del pianeta.
Puntata del 18/11/2025@1
Il primo argomento della puntata è stato quello della logistica, infatti in compagnia telefonica di Andrea Bottalico, abbiamo parlato del suo ultimo libro “Logistica in Italia. Merci, lavoro e conflitti”. Approfittando della prossima presentazione del testo edito da Carocci Editore a Torino presso la sede di USB, ripercorriamo assieme all’ autore il particolare sviluppo nel contesto economico/sociale/produttivo italiano di questo settore che è diventato sempre più strategico negli ultimi anni a livello internazionale. Questi e altri sono stati gli stimoli di discussione all’interno di questa intervista, che ci serviranno per arrivare preparati alla presentazione del libro in via Quarto dei mille 32, Torino alle 17:30 il 21 novembre. Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Il secondo approfondimento della puntata lo abbiamo fatto in compagnia di Raffaele Cataldi del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto sulla fine che si sta sempre di più rivelando dell’ex ILVA. Raffaele, autore anche del libro “Malesangue. Storia di un operaio dell’Ilva di Taranto” (https://edizionialegre.it/product/malesangue/), ha analizzato le scelte politiche annunciate dal governo il 4 novembre 2025 durante la trattativa con i confederali dal punto di vista di una classe operaia da sempre schiacciata nel ricatto tra salute e lavoro: 6.000 cassaintegrati diventano di fatto esuberi ed entra in gioco il pirata americano con il fondo Bedrock Industries che vuole a costo 0 rilevare l’impianto industriale la partita, intanto Gozzi, il falco di Federacciai, conferma: “Ex Ilva, temo che siamo ai titoli di coda”. Le conseguenze occupazionali sono devastanti: ma questo scenario il comitato lo aveva anticipato da anni! E più che una profezia diventa evidente l’unica via d’uscita sia per il territorio che per la salute e l’occupazione: investire sulla bonifica del territoriale fatta dagli “esuberi” della fabbrica. Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Il terzo argomento della puntata è stata l’aggressione avvenuta nei confronti del picchetto organizzato dal SUDD COBAS ad Euroingro, ovvero il più grande centro di distribuzione dell’abbigliamento di Europa. Il presidio era stato chiamato dopo che il tavolo di trattativa tra sindacato e azienda era saltato riguardo alla regolarizzazione di 5 operai, costretti a turni di lavoro di 12 ore. Arturo oltre a riportarci gli eventi, ci dona un’ analisi generale su quanto successo nonché riportandoci anche qualche buona notizia per quanto riguarda le trattative poi riprese a seguito dell’aggressione. Buon ascolto
Puntata del 18/11/2025@0
Il primo argomento della puntata è stato quello della logistica, infatti in compagnia telefonica di Andrea Bottalico, abbiamo parlato del suo ultimo libro “Logistica in Italia. Merci, lavoro e conflitti”. Approfittando della prossima presentazione del testo edito da Carocci Editore a Torino presso la sede di USB, ripercorriamo assieme all’ autore il particolare sviluppo nel contesto economico/sociale/produttivo italiano di questo settore che è diventato sempre più strategico negli ultimi anni a livello internazionale. Questi e altri sono stati gli stimoli di discussione all’interno di questa intervista, che ci serviranno per arrivare preparati alla presentazione del libro in via Quarto dei mille 32, Torino alle 17:30 il 21 novembre. Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Il secondo approfondimento della puntata lo abbiamo fatto in compagnia di Raffaele Cataldi del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto sulla fine che si sta sempre di più rivelando dell’ex ILVA. Raffaele, autore anche del libro “Malesangue. Storia di un operaio dell’Ilva di Taranto” (https://edizionialegre.it/product/malesangue/), ha analizzato le scelte politiche annunciate dal governo il 4 novembre 2025 durante la trattativa con i confederali dal punto di vista di una classe operaia da sempre schiacciata nel ricatto tra salute e lavoro: 6.000 cassaintegrati diventano di fatto esuberi ed entra in gioco il pirata americano con il fondo Bedrock Industries che vuole a costo 0 rilevare l’impianto industriale la partita, intanto Gozzi, il falco di Federacciai, conferma: “Ex Ilva, temo che siamo ai titoli di coda”. Le conseguenze occupazionali sono devastanti: ma questo scenario il comitato lo aveva anticipato da anni! E più che una profezia diventa evidente l’unica via d’uscita sia per il territorio che per la salute e l’occupazione: investire sulla bonifica del territoriale fatta dagli “esuberi” della fabbrica. Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Il terzo argomento della puntata è stata l’aggressione avvenuta nei confronti del picchetto organizzato dal SUDD COBAS ad Euroingro, ovvero il più grande centro di distribuzione dell’abbigliamento di Europa. Il presidio era stato chiamato dopo che il tavolo di trattativa tra sindacato e azienda era saltato riguardo alla regolarizzazione di 5 operai, costretti a turni di lavoro di 12 ore. Arturo oltre a riportarci gli eventi, ci dona un’ analisi generale su quanto successo nonché riportandoci anche qualche buona notizia per quanto riguarda le trattative poi riprese a seguito dell’aggressione. Buon ascolto
Puntata del 18/11/2025@2
Il primo argomento della puntata è stato quello della logistica, infatti in compagnia telefonica di Andrea Bottalico, abbiamo parlato del suo ultimo libro “Logistica in Italia. Merci, lavoro e conflitti”. Approfittando della prossima presentazione del testo edito da Carocci Editore a Torino presso la sede di USB, ripercorriamo assieme all’ autore il particolare sviluppo nel contesto economico/sociale/produttivo italiano di questo settore che è diventato sempre più strategico negli ultimi anni a livello internazionale. Questi e altri sono stati gli stimoli di discussione all’interno di questa intervista, che ci serviranno per arrivare preparati alla presentazione del libro in via Quarto dei mille 32, Torino alle 17:30 il 21 novembre. Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Il secondo approfondimento della puntata lo abbiamo fatto in compagnia di Raffaele Cataldi del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto sulla fine che si sta sempre di più rivelando dell’ex ILVA. Raffaele, autore anche del libro “Malesangue. Storia di un operaio dell’Ilva di Taranto” (https://edizionialegre.it/product/malesangue/), ha analizzato le scelte politiche annunciate dal governo il 4 novembre 2025 durante la trattativa con i confederali dal punto di vista di una classe operaia da sempre schiacciata nel ricatto tra salute e lavoro: 6.000 cassaintegrati diventano di fatto esuberi ed entra in gioco il pirata americano con il fondo Bedrock Industries che vuole a costo 0 rilevare l’impianto industriale la partita, intanto Gozzi, il falco di Federacciai, conferma: “Ex Ilva, temo che siamo ai titoli di coda”. Le conseguenze occupazionali sono devastanti: ma questo scenario il comitato lo aveva anticipato da anni! E più che una profezia diventa evidente l’unica via d’uscita sia per il territorio che per la salute e l’occupazione: investire sulla bonifica del territoriale fatta dagli “esuberi” della fabbrica. Buon ascolto -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Il terzo argomento della puntata è stata l’aggressione avvenuta nei confronti del picchetto organizzato dal SUDD COBAS ad Euroingro, ovvero il più grande centro di distribuzione dell’abbigliamento di Europa. Il presidio era stato chiamato dopo che il tavolo di trattativa tra sindacato e azienda era saltato riguardo alla regolarizzazione di 5 operai, costretti a turni di lavoro di 12 ore. Arturo oltre a riportarci gli eventi, ci dona un’ analisi generale su quanto successo nonché riportandoci anche qualche buona notizia per quanto riguarda le trattative poi riprese a seguito dell’aggressione. Buon ascolto
Crisi climatica: le emissioni dei super ricchi minacciano il pianeta
Un individuo appartenente allo 0,1% più ricco del pianeta emette in un solo giorno più CO2 di quanto il 50% più povero della popolazione mondiale ne produce in un anno. Dal 1990, la quota di emissioni dei super ricchi è cresciuta del 32%, mentre quella della metà più povera si è ridotta del 3%. Se tutti vivessimo come lo 0,1% più ricco, il “bilancio di carbonio” globale si esaurirebbe in meno di tre settimane, portando il pianeta verso il disastro climatico. E’ quanto si legge nell’ultimo report di OXFAM pubblicato in vista della Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici del 2025 (Cop30) che si terrà dal 10 al 21 novembre a Belem, in Brasile. I super ricchi emettono una quantità enorme di CO2 a causa del loro stile di vita, ad esempio con l’uso di jet e yacht privati; ma non è solo il loro stile di vita a pesare. Essi, infatti, investono anche in attività economiche tra le più inquinanti e ne traggono profitto. Il 60% degli investimenti dei miliardari globali è concentrato in settori devastanti per il clima, come petrolio e miniere. Le emissioni prodotte dagli investimenti di soli 308 miliardari superano quelle di 118 Paesi messi insieme. Il report rileva infatti come in media attraverso i propri investimenti un miliardario sia responsabile dell’emissione di 1,9 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Una quota di emissioni paragonabile a quella prodotta da un jet privato che facesse 10 mila volte il giro del pianeta. Stiamo parlando di un’élite che esercita una forte influenza sui negoziati internazionali sul clima, spesso ostacolando le politiche di transizione ecologica. Alla Cop29 di Baku, ad esempio, risultavano accreditati ben 1.773 lobbisti delle industrie del carbone, del petrolio e del gas, più di quanti fossero i delegati dei 10 Paesi più colpiti al mondo dalla crisi climatica. “Bastano alcuni dati, sottolinea OXFAM, per rendere evidente la deriva che stiamo percorrendo: da qui alla fine del secolo le sole emissioni causate dall’1% più ricco del pianeta potrebbero causare 1,3 milioni di vittime per l’aumento delle temperature e anche un danno economico per oltre 44 trilioni di dollari nei Paesi a basso e medio reddito entro il 2050”. L’impatto della crisi climatica, inoltre, è sempre più forte sulle donne sia nei Paesi ricchi che, soprattutto, in quelli del Sud globale: oggi nel mondo 4 migranti climatici su 5 sono donne, che hanno in media una probabilità 14 volte più alta di restare vittime di disastri naturali rispetto agli uomini; anche nelle città europee ondate di calore sempre più forti e frequenti producono un maggior numero di decessi tra le donne. Per questo, in occasione della Cop30, OXFAM ha lanciato la campagna di sensibilizzazione e attivismo “Climate Justice Is Gender Justice” con l’obiettivo di portare l’attenzione su un tema cruciale come la rilevanza degli aspetti di genere nel contrasto ai cambiamenti climatici. Un tema poco considerato nelle politiche di lotta al cambiamento climatico, definite prevalentemente da uomini: in Europa, ad esempio, meno del 27% dei ministri con delega all’ambiente sono donne. La campagna coinvolgerà centinaia di giovani con tante iniziative e attività di sensibilizzazione fino al Climate Pride del 15 novembre a Roma, in occasione della giornata di mobilitazione globale per il clima che si svolge in simultanea in molti Paesi europei. La Cop30 arriva esattamente a 10 anni dall’approvazione dell’Accordo di Parigi del 2015. In questo lasso di tempo, l’1% più ricco del mondo ha consumato più del doppio del bilancio di carbonio della metà più povera dell’umanità. OXFAM lancia un appello urgente ai governi per un’azione che porti a: * ridurre drasticamente le emissioni dei super ricchi e dei maggiori inquinatori, attraverso una tassazione più marcata dei grandi patrimoni e dei profitti in eccesso delle società di combustibili fossili, sostenendo in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sulla Cooperazione Fiscale Internazionale * ridurre l’influenza economica e politica dei super ricchi, vietando alle società che operano nel settore dei combustibili fossili di partecipare ai negoziati sul clima come la Cop * rafforzare la partecipazione dei Paesi del Sud globale e delle comunità più colpite ai negoziati per il clima, con l’obiettivo di ridurre l’impatto sempre più disuguale della crisi climatica * adottare un approccio equo nella gestione del budget climatico residuo – riflettendo nei piani nazionali le responsabilità storiche e le diverse capacità di azione dei singoli Stati – e assicurando che i Paesi ricchi contribuiscano alla lotta al cambiamento climatico con finanziamenti consistenti, che vengano effettivamente erogati. Qui il Report: https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2025/10/Climate-Plunder-EN-Final-Paper.pdf Giovanni Caprio
Repubblica Democratica del Congo, una questione dimenticata: un incontro coinvolgente a Cardano al Campo (Varese)
Al termine della Congo Week, promossa dall’organizzazione Friends of the Congo – FOTC ogni anno in tutto il mondo, anche in provincia di Varese è stata tenuta una serata divulgativa per informare e sensibilizzare in merito alla difficile situazione della Repubblica Democratica del Congo. Nella serata di domenica 26 ottobre, presso il Circolo Quarto Stato di Cardano al Campo, la giornalista indipendente Chiara Pedrocchi ha intervistato Evelyne Sukali, attivista e mediatrice culturale congolese, la dottoressa Rachele Ossola, ricercatrice e chimico ambientale di Source International e Salvatore Attanasio, padre dell’ambasciatore Luca Attanasio. Il circolo era pieno di gente, tra cui molti attivisti del “Collettivo da Varese a Gaza”; il racconto dei tre ospiti è stato molto forte e ha portato delle testimonianze su una realtà complessa. Chiara Pedrocchi ha fatto una breve introduzione e dato informazioni di contesto per inquadrare la questione. Il Congo, in Africa centrale, è un Paese con una superficie grande come un terzo dell’Europa e con una popolazione di circa 81 milioni di abitanti con un’età media molto bassa, intorno ai 16 anni. La capitale Kinshasa ha circa 17 milioni di abitanti. Dal 1960 è una Repubblica democratica sulla carta, ma in realtà viene gestita ancora come una colonia, a causa dei tanti interessi economici che Europa, Stati Uniti e Cina hanno in quella terra. In tutto il Congo le miniere sotterranee e a cielo aperto sono ricchissime di materie prime come il rame, l’oro, l’uranio e il cobalto, il minerale utilizzato per la produzione di numerosi dispositivi elettronici e delle batterie al litio per alimentare le automobili e le biciclette elettriche che servono per la transizione energetica dei Paesi ricchi del mondo. Nella sola Kolwezi la totalità degli abitanti lavora, sfruttata e in condizioni durissime, per l’estrazione del cobalto. Il primo intervento è stato quello di Evelyne Sukali, una giovane donna congolese, divulgatrice e mediatrice culturale. Partita dal suo villaggio in Congo, è arrivata in Italia nel 2011 insieme a un gruppo di persone in cerca di un’opportunità di lavoro nel commercio. Il suo contatto Instagram, per chi volesse seguirla, è  https://www.instagram.com/evelynesukali87/ Il suo viaggio per arrivare a Lampedusa è durato 18 mesi ed è stato difficilissimo. Il racconto molto crudo di ciò che ha visto e vissuto ha lasciato il pubblico in un silenzio commosso. Ha parlato di strade inesistenti, mezzi di trasporto di fortuna e pericolosi come chiatte usate per il traposto del legname per attraversare un fiume, di serpenti e coccodrilli, di fame e di sete nel deserto, di forze allo stremo, di uomini armati, di guerra, di uomini e donne uccisi e brutalizzati. Tutto questo è stato affrontato con l’incertezza di quello che sarebbe successo dopo, con la paura di non farcela, con la caparbietà dello spirito di sopravvivenza. Infine, dopo il viaggio anche attraverso la Libia di Gheddafi, si sono imbarcati verso l’Italia dopo lo scoppio delle primavere arabe. Il viaggio in mare è durato due giorni e dopo aver perso i sensi, al risveglio in un ospedale di Lampedusa, circondata da uomini bianchi, la prima cosa che ha chiesto Evelyne è stata: “Sono viva?” Importante il messaggio lasciato dalla donna a chi ascoltava: all’inizio, quando le domandavano della sua storia, reagiva con rabbia perché la gente non comprendeva realmente ciò che aveva vissuto. Poi, anche grazie a un percorso di supporto psicologico, ha capito di dover incanalare la sua rabbia per fare informazione e così è diventata divulgatrice e intermediatrice culturale. Il secondo intervento è stato quello di Rachele Ossola, appena rientrata da un viaggio in Congo con l’associazione Source International, una Ong che lavora in tutto il mondo con le comunità che si trovano ad affrontare problemi di inquinamento ambientale e di salute, causati principalmente dalle industrie estrattive. Insieme ad altre associazioni presenti sul territorio, Source International si occupa di analizzare campioni di acqua, di terra e di aria, fornendo assistenza scientifica a supporto delle comunità locali, che possono così cercare di tutelare le proprie risorse e la propria salute. Rachele Ossola ha raccontato del suo recente viaggio a Kolwezi, detta la capitale del cobalto, perché fornisce la materia prima per circa il 70% del fabbisogno mondiale. Ha descritto cumuli di terra rossa, materiale di scarto delle miniere che vengono depositati nei pressi e creano un paesaggio particolare, che ricorda il Gran Canyon al contrario. In queste zone operano le grandi industrie estrattive e piccoli artigiani che cercano di recuperare dal materiale di scarto altro materiale da vendere. L’aria circostante è carica di particolato atmosferico che causa problemi respiratori e infiammatori. Il team di ricerca ha fatto diversi rilievi e ha portato in Italia i campioni per le analisi; saranno pronti tra un paio di mesi, ma già dai primi rilievi è stato evidenziato come i filtri utilizzati per la campionatura dell’aria fossero neri, pertanto molto carichi di particolato atmosferico. La campionatura dell’acqua dei pozzi a uso domestico, poi, aveva un ph intorno al 3.5, quindi molto acido; l’Organizzazione Mondiale della Sanità stabilisce che il giusto ph dell’acqua potabile dovrebbe essere compreso tra il 6.8 e l’8.5. Donne e bambini sono coloro che stanno più a contatto con l’acqua e ne pagano maggiormente le conseguenze. L’ultimo intervento è stato quello di Salvatore Attanasio, padre dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, ucciso in un agguato il 22 febbraio 2021, che ha portato la sua testimonianza in merito al lavoro svolto dal figlio in Congo e alle circostanze della sua morte, al momento non ancora del tutto chiarite. Nominato ambasciatore italiano in Congo nel 2017, Luca Attanasio aveva in precedenza lavorato in Marocco e Nigeria per sette anni; arrivato in Congo, si rese subito conto della situazione disastrosa delle comunità locali. Insieme alla moglie Zakia Seddiki Attanasio nel 2017 fondò l’associazione Mama Sofia a supporto dell’educazione e della formazione dei bambini e giovani in difficoltà e collaborò con il Premio Nobel per la Pace 2018, il Dott. Mukwege (ginecologo), che aveva fondato nel 1998 a Bukavu il Panzi Hospital per la cura delle donne vittime di atroci stupri. Attanasio era sempre in prima linea per aiutare sia gli italiani che vivevano in Congo che le comunità locali. Poi, il 22 febbraio 2021, a 25 Km da Goma, in un viaggio per una missione umanitaria su invito delle Nazioni Unite, fu ucciso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista congolese Mustapha Milambo. Le indagini portarono all’arresto di sei congolesi, di cui cinque stanno scontando la pena dell’ergastolo, ma secondo il padre non vennero condotte in modo chiaro e trasparente. Il processo in Congo si svolse in un tribunale di fortuna, mentre in Italia non è ancora terminato. La famiglia non è stata supportata dalle istituzioni, tanto che il governo italiano non si è neanche costituito parte civile, il che avrebbe agevolato la ricerca della verità. A seguito della morte di Luca Attanasio, è nata l’associazione Amici di Luca Attanasio per far conoscere la sua figura e sensibilizzare i giovani sui temi della pace, dell’uguaglianza e della legalità. Il racconto del padre di Luca è stato molto commovente e dimostra come il dolore per la perdita di un figlio possa trasformarsi in una testimonianza di pace e di ricerca di giustizia e verità. Al termine della serata restano le domande: che fine ha fatto il Diritto Internazionale e cosa possiamo fare noi per rendere più giusto questo mondo? Le risposte sono sempre le medesime: informarsi, divulgare, sensibilizzare. Dove le istituzioni sono assenti, chi non vuole essere complice del lassismo e delle ingiustizie può unirsi, collaborare e prendere coscienza. Foto di Michele Testoni Monica Perri
IA, turbine a gas, centrali atomiche
Le aziende tecnologiche americane stanno installando motori jet dismessi da Boeing e Airbus come generatori d'emergenza per alimentare i data center AI, a causa di tempi d'attesa superiori ai cinque anni per nuovi allacciamenti alla rete elettrica. Il progetto Stargate di OpenAI in Texas utilizza quasi 30 turbine aeroderivative che generano complessivamente oltre 1000 megawatt, creando di fatto una centrale elettrica temporanea in attesa del potenziamento delle infrastrutture tradizionali. Questa soluzione costosa e inquinante rivela un paradosso critico: le stesse aziende che promuovono la sostenibilità sono costrette ad adottare tecnologie a gas per non perdere la corsa competitiva nell'intelligenza artificiale. Va precisato che l'uso di turbine derivate dall'aviazione non rappresenta una novità assoluta nel panorama industriale. Per decenni, queste soluzioni sono state impiegate in ambito militare e nelle piattaforme di trivellazione offshore, dove la necessità di energia portatile e affidabile è sempre stata prioritaria. Tuttavia, la loro comparsa massiccia nei data center segna un momento storico e rivela quanto sia diventata critica la carenza di energia negli Stati Uniti. Si tratta di un segnale inequivocabile: quando giganti tecnologici con bilanci da decine di miliardi di dollari ricorrono a soluzioni definite "di transizione", significa che il problema è strutturale. Amazon dal canto suo punta sul nucleare, con il progetto Cascade Advanced Energy Facility nello stato di Washington, un campus nucleare basato su reattori modulari SMR per alimentare i propri data center con energia carbon-free. Il progetto utilizza la tecnologia Xe-100 e punta ad avviare la produzione elettrica negli anni '30, rappresentando il primo impegno concreto di una Big Tech nella costruzione di nuova capacità nucleare. Articoli completi qui e qui
Colleferro: una storia di guerra e resistenza
L’Italia giolittiana era all’avanguardia nel settore aereonautico e nella connessa meteorologia e quando il Ministero della Guerra (non avevamo aspettato Trump per nominarlo così) scelse il sito per una fabbrica di munizioni si orientò verso la Valle del Sacco – secondo una tradizione tramandata oralmente – perché considerata, per il suo tasso di nebbia, fra le zone più sicure dalle incursioni aeree provenienti dalle altre potenze europee. Era il 1912, in piena guerra di Libia, quando furono impiegati per la prima volta rudimentali bombardamenti per civilizzare gli indigeni e furono provvidenziali gli esplosivi fabbricati dalla Bombrini Parodi-Delfino (BPD) capostipite in vari assetti azionari e denominazioni di una lunga serie di imprese (dalla Snia alla Fiat Aviazione alla Simmel Difesa e all’attuale KNDS Ammo Italy. La BPD inizio l’attività rilevando uno zuccherificio locale e trasformandolo in fabbrica di esplosivi – purtroppo le filiere di quella dolce sostanza, come quelle dei concimi, insetticidi e detersivi sono intercambiabili secondo necessità e la BPD produsse, oltre alle munizioni e ai propellenti per missili, anche i prodotti Lauril nelle confezioni con l’innocente agnellino. > La Grande guerra fu poi una manna, cui l’azienda partecipò all’avanguardia con > le bombe a mano e i calibri 155 a lunga gittata. Fascismo, Spagna, Etiopia e > Seconda guerra fecero il resto. I fasti coloniali furono rinnovati anche nel secondo dopoguerra, con le forniture di proiettili e cariche esplosive BPDF e Simmel sia a Gheddafi che per i raid americani sulla Libia del 2011 (chi si rivede, la Libia), ma già prima con le cariche di lancio delle armi chimiche del buon Saddam contro Iraniani e Curdi e, sempre imparzialmente, con munizionamento e bombe a grappolo a Bush jr. contro il cattivo Saddam nel 2003. Colleferro fu una cittadina nata successivamente, come residenza degli operai e fu istituita come comune solo nel 1935 – esempio abbastanza singolare di Company town a scoppio ritardato, l’unica credo al mondo che nella toponomastica locale annovera una via degli Esplosivi e una via della Polveriera. E che il 29 gennaio 1938 registrò subito un terrificante incidente nel reparto tritolo della BPD con decine di morti e centinaia di feriti.  Un’altra data significativa entrata nella memoria cittadina fu la minoritaria ma eroica occupazione della BPD per una settimana, nel marzo 1950, contro le insopportabili condizioni salariali e disciplinari della fabbrica, che contava allora ben 6.000 dipendenti, più della metà dei quali donne- > Ma danni ben maggiori hanno subito la popolazione, le terre coltivabile e il > bestiame dall’inquinamento del suolo e dei corsi d’acquea per le discariche > della produzione bellica e per la ricaduta di diossina che hanno contaminato > l’intera area, malgrado i tentativi di bonifica conseguenti alle accese > manifestazioni di inizio millennio. Le più recenti proteste sono state scatenate proprio dal tentativo di convertire in parte una delle fabbriche destinate allo smaltimento, la ex-Winchester del citato gruppo KNDS nei pressi di Anagni, in una struttura di preparazione di nitrogelatina destinata a cariche propellenti per  proiettili di medio e grosso calibro della fabbrica principale sita a Colleferro – nel quadro di Rearm Eu e specificamente del programma Act in Support of Ammunition Productionm dotato di 500 milioni di euro per garantire l’aumento a lungo termine della produzione di munizioni a beneficio dell’Ucraina e degli Stati membri dell’Ue. Foto di Wikepedia Commons SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Colleferro: una storia di guerra e resistenza proviene da DINAMOpress.