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Regione Lombardia, le associazioni denunciano la quantità di inceneritori
Lunedì 15 settembre, conferenza stampa online da parte di numerose associazioni sul problema degli inceneritori in Lombardia. Conosco bene Medicina Democratica, una delle associazioni che promuovono la riunione. Conosco la loro storica serietà, il loro impegno. Partecipare a una conferenza stampa, per noi “mediattivisti” vuol già dire supportarli, aiutarli ad avere forza. Per quanto riguarda i contenuti della conferenza leggete per favore il comunicato sottostante, sono stati elencati dati precisi. In sintesi, si chiede alla Regione Lombardia di aprire un tavolo di discussione che fornisca i dati precisi, compia quello che in passato aveva promesso, ascolti le associazioni formate da cittadini attenti, preparati e fortemente preoccupati sulle condizioni di inquinamento di questa regione. Chi vive in Lombardia conosce bene l’atteggiamento di queste giunte di destra che governano dal 1995, 30 anni. Si potrebbe restringere tutto a una parola sola: affari. I cittadini, la partecipazione spesso invocata, sono in realtà snobbati, bistrattati, irrisi. L’indifferenza di chi ci governa è impressionante: fanno quello che vogliono, come vogliono. Le conseguenze le paghiamo tutti e tutte, a partire dai tumori (punta dell’iceberg di altre malattie dovute alle condizioni ambientali in cui viviamo). I dati della Lombardia primeggiano a livello europeo. Queste associazioni si sono messe insieme e questo è importantissimo; durante la conferenza stampa si ascoltavano gli accenti delle varie province lombarde. Un’unione che deve consolidarsi. Sono decisi: se non inizierà un confronto col potere bisognerà farsi sentire sotto i palazzi. Come Pressenza assicuriamo che ci saremo, ogni volta che ce lo chiederanno. Comunicato stampa di Medicina Democratica Sono ben sette le associazioni che hanno inviato un documento al Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e al Consiglio Regionale per chiedere un tavolo di confronto urgente sulla situazione degli inceneritori e sulla gestione dei rifiuti: le richieste sono state illustrate il 15 settembre nel corso di una conferenza stampa convocata da Rete Ambiente Lombardia, ISDE (Associazione Medici per l’Ambiente), Medicina Democratica, Zero Waste Europe, Zero Waste Italy, 5R Zero Sprechi e Cittadini per l’Aria. Innumerevoli e pesanti le criticità rilevate: ”L’incenerimento è di per sé una tecnologia obsoleta e in contrasto con gli obiettivi dell’economia circolare. Inoltre perpetua l’impatto ambientale della sovrapproduzione delle merci e dello spreco delle materie. L’incenerimento contribuisce a determinare danni ambientali e sanitari, sia per le emissioni che per i rifiuti pericolosi a loro volta prodotti”, è quanto hanno dichiarato Raffaella Mattioni, Rete Ambiente Lombardia, Marco Caldiroli, Medicina Democratica e Celestino Panizza ISDE Medici per l’Ambiente, intervenuti a nome di tutte le associazioni. La Lombardia detiene il primato del numero degli impianti e della capacità di combustione: operano 12 impianti (24 linee) di incenerimento di rifiuti urbani (contro i 3 nel Veneto, 1 in Piemonte, 8 in Emilia per limitarci al Nord Italia), cui si aggiungono l’inceneritore di rifiuti speciali più grande d’Italia, 5 cementifici che praticano la co-combustione e 11 inceneritori industriali. La Lombardia detiene un altro primato: il rapporto rifiuti ISPRA del 2024 mostra che il 43% dei rifiuti bruciati proviene da fuori regione. Nel 2023 sono stati bruciati 2.289.000 tonnellate di rifiuti nei 12 impianti a fronte di una capacità autorizzata di oltre 3 milioni di tonnellate; i rifiuti indifferenziati prodotti dai cittadini sono stati 1.226.000 tonnellate, gli altri impianti hanno combusto ulteriori rifiuti di vario genere per 1.300.000 tonnellate. Le associazioni ritengono inoltre irrazionale la dislocazione degli impianti: nella sola provincia di Bergamo sono attivi 4 impianti ed è in atto il processo autorizzativo per un quinto impianto a Montello. Le associazioni denunciano inoltre la completa assenza di programmi di monitoraggio epidemiologico, messi in atto invece da Piemonte ed Emilia Romagna. A fronte dell’innegabile pericolosità degli impianti che, anche con le migliori tecnologie, emettono inquinanti persistenti (diossine, furani, PFAS), aumentando inevitabilmente il rischio sanitario, le associazioni chiedono un aggiornamento del Piano Regionale Gestione Rifiuti, PRGR, e presentano le seguenti richieste: una moratoria sulla costruzione/ampliamento di ogni tipo di impianto che brucia rifiuti; l’adeguamento della capacità di incenerimento all’effettiva produzione regionale, riducendola con l’attuazione delle politiche di riciclo e soprattutto di prevenzione dei rifiuti; l’attuazione di un monitoraggio epidemiologico delle popolazioni esposte agli impatti ambientali integrato con biomonitoraggi e corrette valutazioni di impatto sanitario; la completa trasparenza e informazione, a livello provinciale, su composizione, raccolta, effettivo riciclo e smaltimento dei rifiuti, come delle politiche di riduzione e prevenzione; la modifica radicale del Piano regionale di gestione dei Rifiuti, in scadenza nel 2027, con la graduale chiusura degli impianti sovrabbondanti rispetto alle esigenze del territorio con impianti di trattamento a freddo e recupero di materia: è dimostrato che una consistente quota di rifiuti destinata all’incenerimento sia ancora recuperabile.       Andrea De Lotto
[2025-09-19] Assemblea Pubblica - sull'esplosione in Via dei Gordiani @ Piazza San Gerardo Maiella
ASSEMBLEA PUBBLICA - SULL'ESPLOSIONE IN VIA DEI GORDIANI Piazza San Gerardo Maiella - Via Romolo Balzani, 74, 00177 Roma RM, Italia (venerdì, 19 settembre 17:30) Sono passati due mesi dalla tragedia annunciata di via dei Gordiani, che ha visto la morte di un lavoratore del distributore di benzina, decine di feriti, la devastazione della scuola Balzani e di tantissime case nel quartiere. Fin da subito si è attivata una mobilitazione dal basso, promossa da una vasta rete di genitori, abitanti, lavoratrici e lavoratori della scuola, comitati, spazi sociali e solidali del quadrante Est di Roma. Nel giro di poche settimane si sono susseguite assemblee, cortei, presidi che hanno messo al centro la critica a un modello di città centrato sugli interessi privati e non sul bene pubblico, tutte e tutti insieme abbiamo ottenuto i primi risultati: lo stanziamento di un fondo speciale per la ricostruzione della scuola, la presa di posizione di diversi esponenti istituzionali a sostegno dello spostamento dei siti industriali, l'avvio di un tavolo di confronto in Campidoglio. Tutto questo, nonostante l'assenza pesante della Regione Lazio che ha in capo la responsabilità politica della delocalizzazione e della bonifica dell'area. A distanza di un mese dall'incontro in comune, torniamo in piazza con una nuova assemblea pubblica che faccia il punto della situazione a partire dalle necessità delle cittadine e dei cittadini, e dal confronto con le istituzioni tutte. Questi i temi che discuteremo pubblicamente: 1. Tempi, modi e obiettivi della bonifica dell'area e risultati del monitoraggio del suolo e dell'aria 1. Delocalizzazione dei siti industriali e del distributore GPL 2. Tempistiche riguardanti i lavori di ristrutturazione della Scuola Balzani 3. Risarcimenti per i danni alle case e alle strutture pubbliche 4. Mappatura delle ulteriori criticità presenti sul territorio ASSEMBLEA PUBBLICA - VENERDI' 19 SETTEMBRE - ORE 17:30 - PIAZZA SAN GERARDO MAIELLA Villa De Sanctis - Casilino 23 Con la presenza delle istituzioni, per continuare la mobilitazione (in caso di pioggia l'incontro si svolgerà a Casale Garibaldi) RETE TERRITORIALE 4 LUGLIO
Il paradosso degli aerei diventati meno costosi dei treni
E’ ormai noto che l’1% della popolazione più ricca del pianeta inquina il doppio della metà più povera e che il singolo volo di un jet privato per poche ore inquina quanto tutti gli spostamenti di 4 persone in un anno. Una situazione che richiederebbe di prendere in seria considerazione quelle proposte tese ad abolire o a ridurre drasticamente l’utilizzo dei jet privati. Ma, al di là dell’uso smodato che dell’aereo viene fatto dai più abbienti, da qualche tempo il suo uso si sta sempre più diffondendo tra tutti i cittadini, soprattutto grazie a tariffe sempre più economiche, fino ad arrivare al paradosso che ormai l’aereo è meno costoso del treno. I voli aerei emettono in media 5 volte più CO₂ per passeggero per chilometro rispetto ai treni. Se confrontati con i sistemi ferroviari che utilizzano energia elettrica 100% rinnovabile, il loro impatto può essere oltre 80 volte superiore. Si dovrebbe, di conseguenza, rendere il treno l’opzione più economica, non quella più svantaggiosa. Nel mezzo dell’ennesima estate segnata da eventi climatici estremi come incendi, ondate di calore e alluvioni che stanno colpendo il nostro continente, un nuovo rapporto di Greenpeace Europa centro-orientale (CEE) denuncia, invece, il fallimento del sistema di trasporti europeo, in cui i voli aerei, nonostante il loro enorme impatto climatico, sono più economici dei viaggi in treno. E ciò accade grazie ai privilegi fiscali di cui godono le compagnie aeree: in più della metà delle tratte analizzate da Greenpeace costa meno viaggiare in aereo che in treno, addirittura fino a 26 volte meno. Il rapporto esamina 142 tratte in 31 Paesi europei, mostrando che i voli sono mediamente più economici dei treni sul 54% delle 109 tratte transfrontaliere analizzate. In Italia la situazione è anche peggiore: nelle 16 tratte internazionali che riguardano il nostro Paese, viaggiare in aereo è mediamente meno costoso che usare il treno nell’88% dei casi, ponendo l’Italia al quarto posto nella classifica dei Paesi europei in cui l’aereo è più economico del treno. A ciò si aggiunge spesso anche una grande differenza di prezzo: viaggiare da Lussemburgo a Milano costa quasi 12 volte di più in treno che in aereo, da Barcellona a Londra fino a 26 volte di più. “Anche se la crisi climatica peggiora, sottolinea Federico Spadini della campagna Clima e trasporti di Greenpeace Italia, il sistema dei trasporti europeo continua a favorire il mezzo di trasporto più inquinante, con prezzi dei voli assurdamente bassi rispetto a quelli dei treni, che sarebbero molto più sostenibili. Questa situazione non è dovuta a questioni di efficienza, ma all’inerzia politica europea che consente alle compagnie aeree di godere di privilegi fiscali ingiusti che sfavoriscono il trasporto ferroviario a spese del clima del pianeta”. Il costo ambientale di questo sistema truccato è enorme: eppure, le tariffe aeree artificialmente basse continuano a spingere i viaggiatori a scegliere l’aereo, con le compagnie aeree low cost che dominano il mercato grazie a prezzi sleali. Infatti, mentre le compagnie aeree non pagano né l’imposta sul cherosene né l’IVA sui voli internazionali, le ferrovie devono pagare le imposte sull’energia, l’IVA ed elevati pedaggi ferroviari. “Ogni tratta in cui l’aereo è più economico del treno, dichiara ancora Spadini,  è un fallimento politico: l’Europa deve rendere il treno l’opzione più economica, anziché quella più svantaggiosa perché meno finanziata. Per questo chiediamo all’Unione europea e ai governi nazionali di porre fine alle agevolazioni fiscali per il settore aereo, di investire sulla rete ferroviaria e di introdurre “biglietti climatici” a prezzi accessibili e facili da utilizzare. Le risorse economiche per cambiare il sistema dei trasporti si potrebbero ricavare da una tassazione adeguata del settore aereo, dei super-ricchi e delle aziende più inquinanti come quelle dei combustibili fossili. Servirebbe solo la volontà politica dei leader europei”. Qui il Rapporto (in inglese): https://greenpeace.at/uploads/2025/08/greenpeace-analysis-flight-vs-trains-2025.pdf.  Giovanni Caprio
Processo Miteni concluso: lettera aperta agli studenti
Pubblichiamo volentieri la lettera che la Prof. Albiero ci ha inviato sulla positiva conclusione del Processo Miteni di cui Pressenza ha più volte parlato.   SENTENZA STORICA  “Care ragazze e cari ragazzi, vi scrivo questa lettera tramite i vostri professori “Zero Pfas”.  Il 26 giugno 2025, come sicuramente sapete, il processo Miteni si è concluso. Lo avevamo seguito insieme fin dal 2021 ricordate?  Una sentenza storica, la vittoria dei cittadini contro le multinazionali. La condanna di undici ex manager dell’azienda per l’inquinamento da PFAS può essere vista come una vittoria di Davide contro Golia. Un importante risultato per la comunità e le vittime dell’inquinamento, dopo anni di lotta e denuncia. La sentenza, non solo, riconosce le responsabilità penali, ma apre anche la strada a futuri risarcimenti per i danni ambientali e sanitari causati.  Dietro questa sentenza c’è un messaggio forte: quando i cittadini si uniscono, anche le multinazionali possono essere chiamate a rispondere delle loro responsabilità. È stato un lungo percorso, fatto di indagini, mobilitazioni, testimonianze, che ci insegna almeno quattro cose: La partecipazione conta. Chi si informa, si attiva, protesta, può davvero influenzare le scelte politiche e giudiziarie. La giustizia è un diritto di tutti. Non è solo un fatto legale: è uno strumento per difendere la dignità, la salute e l’ambiente. L’ambiente è un bene comune. E difenderlo è un atto di cittadinanza, non un’opzione. La memoria è importante. Senza chi ha denunciato e raccontato, oggi non ci sarebbe stata alcuna sentenza.  A voi dico: informatevi, partecipate, pretendete trasparenza e rispetto. La cittadinanza non si esprime solo col voto, ma anche con l’azione, con l’ascolto, con la responsabilità quotidiana. Il caso Miteni dimostra che non siamo impotenti. Possiamo cambiare il corso delle cose. E, come cittadini, questo è il nostro compito.  A noi e a voi, cari ragazzi, spetta ancor più il ruolo, ora, a processo concluso, di cittadini attivi, il continuare cioè a premere sugli Enti pubblici preposti e sulla Politica per misure decisive relative al bando dei pfas e di quelle sostanze chimiche dannose per la vita e per l’Ambiente, alla bonifica dei territori per gli inquinatori, al monitoraggio alimenti, alla vera prevenzione nei confronti della popolazione. La mobilitazione deve continuare … Perché il futuro non si subisce: si costruisce.  Insieme, il prossimo anno, nell’ itinerario educativo: ‘ONE HEALTH. Quando la chimica è contro la vita. Cittadinanza attiva per bandire Pfas e Microplastiche’  A presto, spero.  Intanto buone vacanze!”  Vi allego le vostre pratiche di cittadinanza attiva a s 2024 2025  https://donataalbiero.blogspot.com/2025/06/pfas-studenti-pratiche-di-cittadinanza.html   Donata dr. Albiero (coordinatrice dell’itinerario educativo)    Redazione Italia
Milano dall’elettronica alle aragoste
Adesso che ho cominciato a dire la mia come faccio a tirarmi indietro? L’altro giorno il “Corriere” ha intervistato mons. Delpini. Tra le tante cose sacrosante che ha detto, una mi è piaciuta particolarmente. Tanti dicono che Milano avrà la forza di risollevarsi dopo questa batosta. “Se queste persone ci sono, si facciano avanti!” dice Delpini. Ma all’orizzonte non si vede anima viva, non si fa avanti nessuno. Qui l’aria che tira è: “ha da passà ‘a nuttata!” I giornali poi sull’intervista di Delpini hanno chiesto il parere di Elena Buscemi, Presidente del Consiglio Comunale. Quando si occupava di città metropolitana ha dato una mano a noi di ACTA, perché potessimo avere più spazio nella tutela delle Partite Iva. La ricordo quindi con gratitudine. Oggi si trova in un’altra posizione e immagino che la poltrona che occupa non sia il massimo della comodità. Ovviamente non fa una difesa d’ufficio della Giunta, però dice una cosa che mi lascia perplesso: la bella Milano che tanti rimpiangono contrapponendola a quella di oggi, che tanti non sopportano, in realtà non è mai esistita, è il prodotto della fantasia di chi oggi critica la politica urbanistica. Boh, sarà. Posso anche essere d’accordo: nella sequenza Mediobanca-Ligresti-Berlusconi- Catella-Sala-Tancredi c’è effettivamente una certa continuità, anzi mettiamoci dentro anche la “Milano da bere”, e abbiamo una storia che dura da quarant’anni (1985-2025). Elena ne ha 43 e capisco che non ha visto altro nella vita, quindi ha ragione a dire che “l’altra Milano” sta solo nella testa di anime belle. Io ho il doppio degli anni di Elena Buscemi e ricordo che la Milano che ho vissuto dal 1957 in poi, cioè dai vent’anni in su, aveva tante cose diverse da quella di oggi – ci mancherebbe – però una, grande come una casa, salta agli occhi di chiunque conservi un po’ di senno. Cos’è? La differenza di qualità dei ricchi. La dignità dei padroni di ieri e la cafonaggine dei padroni di oggi. Non è una battuta, è storia d’Italia. Un certo Enrico Mattei certo che stava a Roma ma Metanopoli l’ha messa qui e quando ha fondato un quotidiano la redazione era qui. Ed è morto poco lontano da qui, perché dava fastidio ai potenti del petrolio. E un certo Adriano Olivetti è vero che la sua azienda aveva il centro a Ivrea, ma quando ha avuto la lungimiranza di capire che un giorno il mondo sarebbe stato dominato dall’informatica, i suoi laboratori di ricerca li ha messi da queste parti, a Borgolombardo, a Pregnana Milanese. Da quei laboratori è uscito il primo personal computer della storia. E la Direzione Pubblicità coi grafici che hanno stupito tutto il mondo, Pintori, Bonfanti, e copywriter che rispondevano ai nomi di Franco Fortini e Giovanni Giudici, stava in via Clerici o in via Baracchini, non stava a Torino o a Chivasso. E la Direzione Commerciale Elettronica stava a due passi dal Pirellone. E i Sottsass, i Bellini, i Maldonado, grandi designer, stavano da queste parti, e non risulta che avessero traffici col Comune per vincere dei bandi. E Leopoldo Pirelli che quando diventa Presidente di Confindustria cerca di dare una svolta e di convincere gli industriali che le maestranze non sono solo delle braccia ma hanno anche un cervello, è uno che non ha paura di essere controcorrente. Mettete a paragone questa gente con i vari Armani, che si fanno cucire le borsette da disperati a 4 euro l’ora, coi Farinetti, i Briatore, i Benetton, i Della Valle … Insomma, sarò anche un vecchio brontolone, ma nessuno mi toglie dalla testa che il confronto tra i padroni di ieri e quelli di oggi è davvero impietoso. E questo ha delle conseguenze sull’aria che tira in una città, soprattutto se è sempre stata una città in mano ai padroni. Quelli di ieri stavano dentro le alte tecnologie, quelli di oggi che sanno fare? Scarpe, magliette, pizzerie. Prendiamo della gente come i Benetton. Ai tempi dei distretti erano bravi nella logistica, facendo magliette conquistano i mercati. Poi si sono stufati , troppa fatica pensare agli operai, meglio farsi dare dallo Stato le utilities, aeroporti, autostrade, quella roba costruita coi soldi dei contribuenti, che ti fa lavorare di meno e guadagnare un fracco di soldi: tu stai in poltrona e incassi i pedaggi. È il momento buono, tanto al governo c’è un certo Prodi, amico dei privati, l’uomo che ha smantellato l’IRI (di cui era Presidente). Certo, sulle autostrade bisogna fare un po’ di manutenzione, ma attenti a non spendere troppo eh… Così crolla il ponte Morandi, 43 morti. I Benetton vanno in galera? Ma manco per sogno. Però lo Stato li “punisce” e toglie loro la concessione. Il tutto dovrebbe avvenire senza indennizzi, il minimo, per il danno che hanno provocato. Macché, lo Stato si ricompra l’autostrada. La ricompra coi soldi nostri, ovviamente. Due miliardi e 400 milioni. Tanto al governo chi c’è? Una faccia nuova, un certo Conte, il cui partito sta oggi a Strasburgo all’estrema sinistra…e a Milano chiede le dimissioni di Sala. Ma allora stava con Salvini ed era culo e camicia con Trump I. Che bei padroni! Pensate a Farinetti. Cosa fa lui per te? Ti sceglie i formaggi migliori, ti risparmia una bella fatica. E li sceglie anche per la middle class di Manhattan. E Briatore? Beh, qui rimando a Crozza. Questa è tutta gente che apprezza il “modello Milano”, che la trova come Londra, come New York. Chiudo con un consiglio turistico. Volete godervi “il modello Milano” nella sua pura essenza? Andate a cena alla “Langosteria”, in una traversa di Coni Zugna. Dicono i tassisti che si spende anche 900 euro a cena, mangi l’aragosta. Ma non è questo il bello, davanti all’ingresso, sempre, anche fuori dall’orario dei pasti, c’è un negro vestito elegante. Una volta, all’inizio, aveva anche il cilindro. Ed è lui che apre la porta, non si deve neanche far fatica, e una volta dentro si respira l’aria che dovevano respirare i padroni delle piantagioni, sì i sudisti, che avrete visto tante volte nei film, quelli convinti che i negri devono essere schiavi, quelli che ce l’avevano con Abramo Lincoln. Geniale il proprietario. Sempre pieno, tanto che ha dovuto aprire un locale gemello a due passi, in via Savona. Crozza dovrebbe imitare lui, altro che quel suonato di Briatore! ARTICOLI CORRELATI MILANO NON È UN MODELLO: MACAO AVEVA GIÀ DETTO TUTTO!  MANIFESTAZIONE CONTRO LA SALVA MILANO E PER LA CITTÀ PUBBLICA – 31 MARZO  MILANO, I VERDI IN DIFFICOLTÀ RESUSCITANO LA LORO “RIVALE” CIVICA AMBIENTALISTA  CRESCE LA RESISTENZA CONTRO LA SALVA-MILANO SALVA MILANO, APPELLO DEI COMITATI A DEPUTATI E SENATORI Redazione Italia
La piazza ribelle sotto il Vesuvio in fiamme
Dietro i palazzi si alza una nube di fumo dal Vesuvio che brucia. Diversi Canadair sorvolano piazza Vargas, a Boscoreale, dove ieri si è tenuta un’assemblea cittadina nata dal tam tam di messaggi Whatsapp. Ci sono diverse associazioni presenti, un centinaio di cittadine e cittadini preoccupati per il devastante incendio che sta distruggendo flora e fauna del Vesuvio. Lo spirito spontaneo e battagliero di partecipazione popolare spinge a concordare un presidio di protesta per domani 11 agosto alle 18.30 in Via Vecchia Campitelli a Terzigno, nei pressi del campo sportivo. Durante l’assemblea molti hanno parlato di connivenze, malaffare, corruzione. Un incendio divampato su un fronte di due chilometri non può essere casuale. L’Ente Parco del Vesuvio doveva prevenire e vigilare. Senza un controllo trasparente vengono spesi milioni di euro dei contribuenti, ma l’attacco criminale al territorio è sistematico e costante. La rabbia dei cittadini si deve trasformare in lotta nonviolenta, questo è l’auspicio prevalente in piazza. Ricordo Goffredo Fofi, grande intellettuale da poco scomparso, che scriveva: contro la disillusione bisogna studiare, fare rete, resistere e rompere i coglioni. Quando le persone riescono a organizzarsi possono ottenere risultati inattesi e ciò che sembrava impossibile diventa realtà. Noi siamo il vulcano, la terra, la vita, l’acqua e il fuoco. Non è per caso che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’Italia per la violazione del diritto alla vita nella vicenda della Terra dei Fuochi, riconoscendo che lo Stato non ha agito con la necessaria urgenza per proteggere i cittadini dall’inquinamento causato dai rifiuti. La sentenza, emessa il 30 gennaio 2025, ha imposto all’Italia l’adozione di misure concrete per la bonifica e la protezione della popolazione, con un termine di due anni per l’attuazione. La CEDU ha riconosciuto che l’Italia ha violato l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela il diritto alla vita, a causa della sua incapacità di agire efficacemente contro l’inquinamento nella Terra dei Fuochi. La Corte ha ordinato all’Italia di implementare una strategia globale per affrontare il problema, che includa misure generali, un meccanismo di monitoraggio indipendente e una piattaforma pubblica di informazione. La prudenza e la rassegnazione non portano a nulla. Ci vuole una sana e dirompente conflittualità, come ha detto il rappresentante di Libera contro le mafie. Un grido di dolore si è alzato ieri dalla piazza; vedremo domani quanti risponderanno all’appello.   Rayman
Ilva. L’unica strada è una vera riconversione.
Intervista a Massimo Ruggieri, Presidente di “Giustizia per Taranto”. Sorge una città nel sud dell’Italia che è stata la culla della Magna Grecia abbracciata da due mari: chi la visita ne rimane folgorato per la bellezza e la storia millenaria, visto che è stata fondata nel 706 avanti Cristo. Eppure da due decenni è banalmente la città dell’Ilva! È solo una delle offese che vengono inopinatamente fatte a Taranto: non è più la sede di uno dei musei archeologici più importanti d’Italia e d’Europa e non quella del Castello aragonese (fortezza medievale tra le più ammirate), ma il territorio che ospita il siderurgico più grande e più inquinante d’Europa. Quella fabbrica, sebbene stia lentamente collassando per conto suo, è ancora in grado di distribuire diossine e morti, benzene e malattie, polveri sottili e dolore. Una città stremata ha raccolto tutte le sue energie residue per gridare a chi doveva apporre una firma alla continuazione della produzione con modalità obsolete e altamente insalubri, ‘Chiudete quel mostro!’, ‘Bloccate il catorcio!’Abbiamo raggiunto telefonicamente Massimo Ruggieri che di Giustizia per Taranto è il presidente. Presidente Ruggieri, a Taranto state vivendo giorni particolarmente delicati per la questione legata all’ex-Ilva. Ne vuole parlare? Sì, è in dirittura di arrivo il procedimento per autorizzare l’ex-Ilva per dodici anni con il ripristino di tre altiforni a carbone. Sostanzialmente si sta riportando la fabbrica al periodo dei Riva con tutte le conseguenze che quella nefasta gestione comportò. Un’evidente forzatura del Governo per favorire la produzione ad ogni costo. Si intende, poi, edulcorare questa nuova Autorizzazione Integrata Ambientale con un accordo di programma interistituzionale che prevede un percorso di ‘decarbonizzazione’ estremamente vago, la cui valenza sarebbe tutta da verificare e i cui costi (non meno di due miliardi di euro) sono scaricati su chi acquisirà la fabbrica. A tale proposito vale la pena ricordare che la gara pubblica aperta dal Mimit solo qualche mese fa, non ha trovato alcun compratore disponibile a investire più di 500 milioni di euro su una fabbrica che è ormai ridotta ai minimi termini. Fuori dalla Puglia, passa il messaggio che volete chiudere la fabbrica sebbene siano stati fatti degli interventi per ammodernarla. Come considera questa narrazione? È una narrazione figlia della propaganda del Governo. Si vuol far credere che i problemi di Taranto siano stati superati mentre drammi, sperperi e contraddizioni sono ancora sul tavolo. La cosa è certificata a partire dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea che presto stabilirà sanzioni per l’Italia, rea di non tutelare i cittadini di Taranto dall’inquinamento. Inoltre a ottobre si aprirà un nuovo processo ai danni di Acciaierie d’Italia (attuale gestore della fabbrica) in quanto continua a inquinare. Tuttavia, occorre sgomberare il campo dall’assunto nel quale si racchiude spesso la narrazione sull’ex-Ilva e cioè che si è vittime del dualismo fra salute e lavoro. Non è così ormai da anni, poiché alla mancata tutela della salute e dell’ambiente nel territorio, si affianca anche una gravissima crisi economica e occupazionale. L’Italia spende centinaia di milioni di euro all’anno per la cassa integrazione di migliaia di lavoratori di Acciaierie d’Italia e a questo si aggiungono le enormi perdite economiche che quella fabbrica comporta ogni giorno, dal momento che produce sotto i livelli che le procurerebbero profitti. Motivo per il quale si ha urgente bisogno di spingere la produzione a livelli insostenibili per la nostra comunità, ma in grado di tornare a generare profitto (sempre ammettendo che ci siano spazi nell’attuale mercato dell’acciaio, cosa mai considerata dalla politica). In più è noto da tempo che, qualunque gestore acquisirà gli impianti, dovrà dar luogo a importanti esuberi e, se davvero si intenderà sostituire gli attuali altiforni con forni elettrici, si arriverà a quasi due terzi di possibili licenziamenti. Vuole parlare dei sindacati che a Genova hanno avuto un ruolo decisivo nella chiusura della pericolosa ‘area a caldo’ del capoluogo ligure? Purtroppo, il ruolo dei sindacati in questa vicenda è di assoluta retroguardia. La violenza con cui il Governo ricatta i tarantini agitando lo spettro dei licenziamenti in caso di chiusura, anche solo parziale, della fabbrica, funziona per prima proprio su di loro. Ciò li porta da anni a salvaguardare la produzione e quasi a temere prospettive di riduzione o di decarbonizzazione della fabbrica, in considerazione dei posti di lavoro in meno che comporterebbero. Oltre a qualche sporadico appello alla sicurezza sul lavoro e all’ambiente, a volte pare di poter sovrapporre le loro posizioni a quelle di Confindustria. D’altra parte, a Taranto non dimentichiamo che, per qualche anno fecero scendere in strada i lavoratori della fabbrica accanto all’azienda per protestare contro la magistratura che aveva appena fermato gli impianti dell’area a caldo poiché insicuri per i lavoratori e inquinanti. A Genova una ventina di anni fa le lotte si fecero, al contrario, per pretendere la chiusura degli impianti più inquinanti e si fu capaci di ottenere questo successo con la forza rivendicativa di un’unione di intenti con il quartiere e la città. Quegli impianti furono trasferiti a Taranto raddoppiando la capacità inquinante dell’Ilva nella nostra città, ma qui, evidentemente, i loro effetti non sono stati giudicati dai sindacati ugualmente dannosi. E che ruolo ha avuto la politica nazionale rispetto alla tutela della salute e della vita dei tarantini? Nessuno, poiché non ha affatto tutelato i tarantini. La politica nazionale si è sempre apertamente e poderosamente schierata dalla parte della produzione e della finanza che ne ha garantito la prosecuzione. La prova più evidente è l’iper legiferazione che ha riguardato l’ex-Ilva, per la quale siamo arrivati a contare oltre venti provvedimenti ad hoc per innalzare limiti agli inquinanti, assicurare fondi, aggirare i provvedimenti della magistratura e rendere legali le straordinarie ingiustizie generate dalla fabbrica. Da milanesi sappiamo bene che l’attenzione dei tarantini è rivolta al tribunale della nostra città che potrebbe mettere la parola ‘fine’ ai tormenti e al dolore di un’intera comunità. Può spiegare bene su cosa deve decidere? Il Tribunale di Milano è stato interpellato attraverso un’inibitoria rivolta contro Acciaierie d’Italia da un’associazione chiamata Genitori Tarantini ed altri cittadini che, difesi dagli avvocati Rizzo Striano e Amenduini, hanno chiesto se fosse normale che la fabbrica produca in assenza autorizzativa e procurando danni sanitari ai tarantini. La richiesta esplicita è stata di sospendere gli impianti dell’area a caldo, ovvero quella più inquinante. Questo è il motivo per cui il Ministro Urso ha avuto particolare fretta per far approvare la nuova Autorizzazione Integrata Ambientale per l’ex-Ilva. Tuttavia, resta ancora da verificare se la fabbrica non produca danni a salute e ambiente. In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana – hanno puntualizzato i giudici della Corte di Giustizia Europea che hanno fornito parere al Tribunale di Milano -, l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso. Lottate da anni contro poteri fortissimi ché demoliscono tutte le conquiste fatte per le strade e nelle aule di giustizia (anche europee). Se le cose andassero per il verso della giustizia sociale e ambientale, Taranto diventerebbe un esempio virtuoso a cui guardare da ogni parte d’Italia e non solo! È esattamente così e ne siamo convinti e consapevoli. L’esempio a cui spesso guardiamo per ragioni di sovrapponibilità, è quello della Ruhr, in Germania. Lì, a fronte di una crisi economica, ambientale e sanitaria, si dette luogo negli anni ’90 al più straordinario esempio di riqualificazione di un territorio.     Laura Tussi
Cerro de Pasco, tra estrattivismo e negligenza: la voce dei giovani contro l’ingiustizia ambientale
Un’enorme voragine lunga circa due chilometri e profonda quasi mille metri viene quotidianamente scavata per estrarre rame, piombo e zinco. Si tratta di El Tajo, una gigantesca miniera a cielo aperto situata a Cerro de Pasco, oltre i 4.500 metri di altitudine. Nonostante secoli di sfruttamento delle sue risorse da parte di multinazionali e gli ingenti profitti generati, questa città resta tra le più povere del Perù. Attualmente, più di 70.000 persone vivono a Cerro de Pasco in condizioni di profondo disagio sociale ed economico, intrappolate in una realtà segnata da gravi conseguenze ambientali. La miniera ha contaminato l’area in modo critico, mettendo a rischio la salute della popolazione. I servizi sanitari sono quasi assenti, il sistema educativo è al limite del collasso e gli aiuti statali scarseggiano. Secondo i dati, l’intera comunità presenta tracce di metalli pesanti nel sangue e necessita urgentemente di cure mediche per evitare danni irreversibili. Nonostante le indagini condotte da organizzazioni come Source International e gli studi realizzati dai ricercatori della Columbia University, poi pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’inquinamento ambientale a Cerro de Pasco continua a rappresentare una minaccia concreta. La responsabilità principale ricade sulla compagnia mineraria, mentre lo Stato peruviano resta assente, incapace di garantire ai cittadini i diritti fondamentali. Diritti come quello di vivere in un ambiente salubre, avere accesso ad acqua potabile in quantità adeguata, un’alimentazione sicura e priva di sostanze tossiche e godere di buona salute. I metalli pesanti contenuti nelle enormi discariche minerarie attorno alla città si diffondono attraverso l’aria e l’acqua, penetrando nel corpo umano. I dati più allarmanti riguardano i bambini e i ragazzi, che risultano i più colpiti da questa esposizione costante. I bambini tra i 5 e i 14 anni, la fascia d’età più vulnerabile a questo tipo di esposizione, hanno sviluppato deficit cognitivi e fisici, oltre a disturbi mentali. Gli adulti, in particolare i genitori, a causa dell’elevata presenza di metalli pesanti nel loro organismo, hanno manifestato comportamenti violenti all’interno del nucleo familiare, soprattutto nei confronti dei figli. In questa città fantasma, vittima delle devastanti conseguenze di anni di estrattivismo e negligenza da parte delle istituzioni peruviane, sono le piccole realtà di resistenza locali che cercano, seppur a fatica, di accendere uno spiraglio di speranza per il cambiamento. Una di queste è l’associazione Red Interquorum Cusco, gestita da ragazzi di licei e università di Cerro de Pasco, uniti dalla lotta per i diritti umani e dalla denuncia delle condizioni ambientali in cui si ritrovano a vivere. Sono loro i vincitori del premio per i diritti umani dell’organizzazione Operation Daywork, basata a Bolzano. Questa realtà permette proprio ai giovani di battersi in prima persona per fare rete con altri gruppi di ragazzi in giro per il mondo, scegliendo ogni anno un progetto da sostenere a livello finanziario. Quest’anno il lavoro è stato svolto con i giovani di Red Interquorum, con l’obiettivo ultimo di ampliare le loro voci e sostenerli nel loro importante lavoro di sensibilizzazione per i diritti umani. Da qui nasce il progetto A.G.I.R.E., promosso dalla ong Future Rights, organizzazione basata in Italia e che fa della partecipazione giovanile il suo focus principale. Tramite la collaborazione tra queste organizzazioni e grazie alla preziosa partecipazione dei ragazzi di Red Interquorum, si sta costruendo un piano di azione condiviso, volto a portare il grave caso di Cerro de Pasco all’attenzione di tutti. A.G.I.R.E. ha come obiettivo quello di promuovere la partecipazione giovanile, la giustizia ambientale e la solidarietà globale, costruendo legami concreti tra giovani italiani e attivisti di Cerro de Pasco (Perù). L’idea è quella di dare ai ragazzi di Red Interquorum sempre più piattaforme internazionali da cui diffondere le proprie storie, ma anche di sostenerli nel denunciare il loro caso a livello legale, con l’obiettivo di produrre effetti concreti nel prossimo futuro. In un contesto in cui lo sfruttamento delle risorse continua a prevalere sui diritti delle persone, l’esperienza dei giovani di Cerro de Pasco dimostra che la resistenza è ancora possibile, anche nei luoghi più marginalizzati del mondo. Attraverso il lavoro di realtà come Operation Daywork e Future Rights, le nuove generazioni non solo alzano la voce contro l’ingiustizia ambientale e sociale, ma costruiscono ponti di solidarietà internazionale capaci di generare consapevolezza e, soprattutto, azione concreta.   Alice Lucchini
Esplosioni nella periferia di una città che soffoca di caldo e petrolio
Sulle esplosione alla pompa di benzina a Roma Est di venerdì 3 luglio si è scritto molto. Per fortuna hanno preso parola in modo chiaro e netto anche comitati, gruppi e collettivi che operano in un territorio con un tessuto sociale e culturale tra i più attivi della capitale. Il collettivo di Casale Garibaldi, poche ore dopo l’esplosione, scriveva: «Nei mesi scorsi con il comitato “Albero magico” insieme ai comitati genitori delle scuole, dei residenti e le realtà di zona, abbiamo sollevato pubblicamente la questione della pericolosità della presenza di una azienda di smaltimento metalli e di una pompa di benzina/GPL accanto a una scuola dell’infanzia e primaria. Se fosse successo un mese fa, in piena attività scolastica, poteva essere una strage, così come è una fortuna che il circolo sportivo con il suo centro estivo e la piscina “villa De Sanctis” fossero ancora chiuse al momento dell’esplosione». di Milos Skakal Una delle lamiere della pompa GPL, volata via a decine di metri dalla zona dell’esplosione Il collettivo di Borgata Gordiani invece scriveva: «Al caldo asfissiante si aggiungono il fuoco, il fumo e le esplosioni. È lo scenario apocalittico generato dall’incidente alla pompa GPL di via dei Gordiani di questa mattina, che segue di pochi giorni l’esplosione di un bus ATAC su via Prenestina. Non è compito nostro ricercare le responsabilità sui singoli casi, ma abbiamo sempre più chiara una cosa: viviamo in un quadrante insicuro. E non per la microcriminalità e lo spaccio, che sicuramente sono problemi che vanno affrontati (ma davvero, sul piano sociale e non solo con la polizia), ma per la loro conformazione. Densità abitativa altissima e tanti luoghi potenzialmente letali, come una pompa GPL a pochi metri da un centro estivo, dai palazzi e dai campi sportivi. Ricordate, poi, pochi anni fa gli incendi agli sfasci di via Palmiro Togliatti, che generarono giorni interi di nubi tossiche? O quello di pochi giorni fa a Centocelle, con l’obbligo per gli abitanti di tenere le finestre chiuse. Ecco. Non sono “casi isolati”, ma qualcosa di ciclico e strutturale. Chi vive nei quartieri popolari non è tutelato. Non lo siamo di fronte al cambiamento climatico, che soffoca le nostre vite e alimenta gli incendi, non lo siamo nella conformazione dei territori che diventano bombe a orologeria che ogni tanto, ma sempre più spesso, esplodono lanciando segnali e, soprattutto, causando feriti, case distrutte e paura, non lo siamo quando saliamo su mezzi pubblici antiquati, vecchi e insicuri». Da entrambi i post emergono le questioni chiave, cioè il carattere sistemico e strutturale del problema e le evidenti responsabilità, che rispetto alla strage mancata per un soffio verranno decretate dalla magistratura, ma rispetto all’abbandono delle periferie della metropoli risalgono a decine di anni fa e si sono accumulate colpevolmente giunta dopo giunta fino a quella attuale. Sulla base di queste consapevolezze, il Comitato Genitori della Scuola Simonetta Salacone ha convocato una assemblea per mercoledì 9 luglio, nel piazzale antistante la scuola di via Romolo Balzani. Nella convocazione scrivono che quanto accaduto è «la conseguenza diretta di una scelta precisa: quella di privilegiare la logica industriale a discapito del diritto alla salute e alla sicurezza, specialmente dei più piccoli. Non si tratta di un incidente, ma del risultato di decisioni che non hanno mai messo al primo posto il benessere delle persone e la qualità della vita del territorio. Di fronte alla scuola ferita, a un Quartiere duramente colpito, la nostra pazienza è finita. Come Comitato dei Genitori, non ci accontentiamo più di rassicurazioni. Pretendiamo un cambio di rotta immediato e garanzie reali, non più promesse: la messa in sicurezza e la bonifica della zona, lo spostamento definitivo delle attività industriali, il ripristino nel più breve tempo possibile della funzionalità della scuola». C’è un tema che è ulteriormente sotteso alle questioni che emergono dai post e che si discuteranno nella assemblea di mercoledì. L’esplosione è avvenuta durante due settimane di caldo insopportabile, in cui Roma si è trasformata in un forno permanente nel quale non si riusciva a trovare riparo, giorno e notte. L’emergenza climatica causata dai combustibili fossili e la pompa di benzina ovviamente hanno un nesso, perché viviamo in una società ancora oggi drogata di petrolio e suoi derivati, viviamo in città pensate per farci consumare petrolio, viviamo in una capitale a misura di auto e pensata esclusivamente per le auto. > La transizione ecologica, tuttavia, non sarà di certo avere colonnine per > ricaricare le auto elettriche anziché le pompe di benzina a Villa De Santis, > come qualche pensatore liberal ha detto in questi giorni. Trasformazione ecologica sarà stravolgere completamente l’idea di città che si è stratificata negli anni, per avere meno cemento, molte meno auto private, zero consumo di suolo, mezzi pubblici funzionanti e frequenti, piste ciclabili degne di questo nome, parchi tutelati e protetti in quanto rifugi climatici anziché asfaltati per costruire stadi e centri commerciali, come vuole fare la giunta Gualtieri a Pietralata. Siamo ben lontano da quel risultato. Da Centocelle oggi si raggiunge il centro con la metro C ogni 13-17 minuti quando ti va bene, le piste ciclabili sono ancora molto poche e strette come quella sulla Prenestina, i parchi pochissimi, nonostante sia tra i quadranti più densamente abitati. La condizione ecosistemica di Roma Est poi è analoga a quella di altre zone periferiche, colpite dagli “incendi stagionali” come in questi giorni Magliana. Come più volte abbiamo scritto, anche gli incendi sono il combinato composto di emergenza climatica e assenza di cura del territorio cittadino periferico da parte delle amministrazioni. Se non si mette radicalmente in discussione il paradigma secondo cui le città vengono anzitutto messe a valore – a vantaggio del capitale che investe – la rotta non cambierà e avremo zone periferiche abbandonate, con mezzi pubblici fatiscenti, cemento, sfasciacarrozze a fuoco ogni estate e auto che soffocano ogni arteria stradale. Nel frattempo giunte di ogni colore continueranno a bearsi per aver costruito stadi, centri commerciali e porti crocieristici, come quello che si vuole fare a Fiumicino, mentre il centro storico è consegnato nelle mani dell’imprenditoria turistica arraffona e di Airbnb. Per fortuna da assemblee come quelle di mercoledì si può ripartire, per denunciare queste politiche ecocide e per invertire la rotta, perché il famoso “diritto alla città” non sia un miraggio lontano ma possa essere un orizzonte, necessariamente di lotta e per tutt3. La foto di copertina è di Valentina Manco SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Esplosioni nella periferia di una città che soffoca di caldo e petrolio proviene da DINAMOpress.
[2025-07-09] Non è stato un caso - Assemblea Pubblica davanti alla Scuola Balzani @ Scuola Balzani
NON È STATO UN CASO - ASSEMBLEA PUBBLICA DAVANTI ALLA SCUOLA BALZANI Scuola Balzani - Via Romolo Balzani, 55, 00177 Roma RM, Italia (mercoledì, 9 luglio 18:00) Per troppo tempo, come Comitato dei Genitori della Balzani, abbiamo denunciato i rischi di un sito produttivo come quello della MCR Metalli e dell’impianto GPL a ridosso della scuola. Non siamo stati ascoltati. Le nostre preoccupazioni sono state ignorate, le nostre richieste si sono perse nei meandri di una burocrazia indifferente. L’incendio di venerdì 4 luglio è la prova drammatica che avevamo ragione. Un bilancio pesantissimo che per puro caso non si è trasformato in una strage. È la conseguenza diretta di una scelta precisa: quella di privilegiare la logica industriale a discapito del diritto alla salute e alla sicurezza, specialmente dei più piccoli. Non si tratta di un incidente, ma del risultato di decisioni che non hanno mai messo al primo posto il benessere delle persone e la qualità della vita del territorio. Di fronte alla scuola ferita, a un Quartiere duramente colpito, la nostra pazienza è finita. Come Comitato dei Genitori, non ci accontentiamo più di rassicurazioni. Pretendiamo un cambio di rotta immediato e garanzie reali, non più promesse: la messa in sicurezza e la bonifica della zona, lo spostamento definitivo delle attività industriali, il ripristino nel più breve tempo possibile della funzionalità della scuola. Annunciamo un’assemblea il 9 luglio davanti alla scuola, in via Romolo Balzani 55 alle ore 18 per rilanciare, insieme agli abitanti del quartiere e alle reti sociali, il tema di una visione diversa del territorio e degli spazi pubblici.