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Ieri, 15 marzo a Roma, sotto la Farnesina il silenzio è stato interrotto.  Un silenzio colpevole che ammanta il genocidio in corso a Gaza, quello che il governo italiano si sta sforzando di preservare ad ogni costo, ma che Amnesty International ha deciso di spezzare.  Con altre associazioni, come Greenpeace, è stato inscenato sotto la sede un presidio rumoroso e significativo, in cui un drappo rosso stato steso ai piedi di una culla, a rappresentare il sangue dei bambini palestinesi che continua ad essere versato dopo tre mesi dal cessate il fuoco. Quello di oggi è stato l’ennesimo tentativo di attirare l’attenzione delle nostre più alte istituzioni su un eccidio le cui vittime cadono sotto le bombe, ma che viene perpetrato anche attraverso la privazione di cibo, acqua e cure. A Gaza un popolo si sta spegnendo giorno dopo giorno e l’indifferenza, ancor peggio la complicità degli stati come il nostro è intollerabile.  Queste le parole di Riccardo Noury di Amnesty: “Un appello a intervenire per fermare il genocidio in corso nella Striscia di Gaza, un giorno, chissà, una sentenza stabilità che l’Italia è stata complice del genocidio israeliano in corso. Politicamente il governo ne risponderà al Parlamento, però da un punto di vista morale la conclusione di Amnesty International è che questa complicità è nei fatti, anzi, nella mancanza di fatti. In primo luogo riconoscere e farlo con dichiarazioni chiare e ufficiali che a Gaza è in corso un genocidio. Contemporaneamente, non dopo, perché è una cosa altrettanto importante, giacché i genocidi si compiono anche e soprattutto mandando armi, fermando immediatamente ogni trasferimento di armi verso Israele e convincendo altri partner dell’Unione Europea a fare lo stesso”. Redazione Roma
“Il prezzo che paghiamo”: documentario sulle vittime della crisi climatica
Quali sono le conseguenze su tutte e tutti noi dell’inazione climatica dei governi e dell’avidità delle compagnie fossili che, pur conoscendo da decenni la pericolosità delle loro attività per il clima del pianeta, continuano a ignorare le indicazioni della comunità scientifica? È la domanda che si pone “Il prezzo che paghiamo”, documentario prodotto da Greenpeace Italia e Recommon e realizzato da FADA Collective, che verrà presentato in diverse città italiane a partire dal 23 maggio. Guarda il trailer Attraverso interviste a Milena Gabanelli (autrice e giornalista del Corriere della Sera), Stella Levantesi (giornalista freelance e autrice del saggio “I bugiardi del clima”) e Davide Faranda (Direttore di ricerca in climatologia del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica francese – CNRS), “Il prezzo che paghiamo” racconta quanto sia pervasivo il potere delle grandi aziende fossili nella nostra società – dai media all’università – attraverso le testimonianze di chi già oggi in Italia è costretto a subire gli impatti della crisi climatica e ambientale. In Emilia-Romagna, Maria Gordini, un’agricoltrice, ha perso la casa e la propria azienda a causa delle gravi alluvioni che hanno colpito la Regione nel 2023 e 2024. In Basilicata, Camilla Nigro, Isabella Abate e Giorgio Santoriello vivono le pesanti conseguenze delle attività estrattiva di gas e petrolio, portata avanti nei loro territori dalla più importante multinazionale italiana, ENI. Nei territori in cui abitano, segnati da decenni di trivellazioni, si trova il più grande giacimento a terra di petrolio dell’Europa occidentale. Il racconto delle vicende personali di Maria, Camilla, Isabella e Giorgio, alternato alle testimonianze, alle analisi di ricercatori, giornalisti e attivisti e ai documenti storici e scientifici mette in luce le connessioni tra l’estrazione del petrolio e le devastanti ricadute sociali, ambientali ed economiche, dalla contaminazione delle terre e delle acque, fino alle alluvioni e ai fenomeni climatici estremi. Realizzato da Sara Manisera, con musiche di Gianni Maroccolo (Litfiba, CCCP, Marlene Kuntz) e Ala Bianca Group Edizioni Musicali, il documentario sarà presentato in anteprima a Roma il 23 maggio nell’ambito del Festival delle Terre organizzato dal Centro Internazionale Crocevia. “Il prezzo che paghiamo” inizierà poi il suo viaggio in diverse città italiane,  con proiezioni 27 maggio a Le Serre di Bologna, il 28 maggio nella fabbrica Ex-Gkn di Campi Bisenzio (Firenze) e il 29 maggio a Roma a Spin Time. Per informazioni e richieste di proiezione: info@ilprezzochepaghiamo.it Re: Common
Oltre gli allevamenti intensivi, per una riconversione agro-ecologica della zootecnia
Gli impatti degli allevamenti intensivi, soprattutto nelle zone in cui queste attività sono più concentrate, come la Pianura Padana, sono ormai ampiamente documentati: riguardano principalmente le emissioni di ammoniaca (NH3) e il conseguente inquinamento da polveri fini (PM 2,5), responsabili ogni anno di migliaia di morti premature in Italia. Le grandi quantità di azoto prodotto rappresentano inoltre un problema per l’inquinamento del suolo e dei corpi idrici, soprattutto nelle regioni ad alta densità zootecnica. L’enorme numero di animali allevati in modo intensivo nel nostro Paese (più di 700 milioni all’anno) richiede un grande uso di risorse, spesso sottratte al consumo diretto umano (due terzi dei cereali commercializzati nell’Unione Europea diventano mangime e circa il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale). L’Italia è seconda solo alla Polonia in Europa per morti premature da esposizione a PM 2,5, con quasi 50 mila decessi prematuri nel 2021. Non solo, ma il nostro Paese è anche in procedura d’infrazione per il mancato rispetto della Direttiva europea sui nitrati. Greenpeace, ISDE, Lipu, WWF e Terra! hanno lanciato nello scorso febbraio un Manifesto pubblico “OLTRE GLI ALLEVAMENTI INTENSIVI. Per una riconversione agro-ecologica della zootecnia” alla base di una Proposta di Legge presentata da un gruppo di parlamentari della XIX Legislatura appartenenti a diversi partiti politici (AC 1760) per una riconversione del settore zootecnico che metta al centro, tanto delle politiche quanto dei meccanismi di sostegno, le aziende agricole di piccole dimensioni che adottano metodi agroecologici, e non più il sistema dei grandi allevamenti intensivi, così come avviene attualmente (a titolo di esempio, l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce nelle casse di un 20% di grandi aziende agricole). L’obiettivo è quello di creare le condizioni per un sistema produttivo che sia ripensato sulla piccola scala, con margini di guadagno più equi per i produttori e con politiche di sostegno ai prezzi che permettano a tutta la popolazione di accedere a cibi sani e di qualità, che rispondano ai valori positivi del “Made in Italy”. Inoltre, le associazioni Greenpeace, Lipu, Medici per l’ambiente-ISDE, Terra! e WWF Italia, hanno anche predisposto una mozione utile ad avvicinare i territori al processo di conversione agro-ecologica del settore zootecnico. La mozione è volta, da un lato, a promuovere un dibattito scientifico pubblico e dall’altro a favorire la discussione generale dell’iniziativa legislativa. Una mozione che una volta approvata dai Consigli Comunali impegna il Sindaco e la Giunta a: promuovere forme di sensibilizzazione della collettività e delle categorie economiche sui benefici derivanti da una transizione ecologica del sistema zootecnico; collaborare all’organizzazione di eventuali iniziative pubbliche promosse dalle associazioni proponenti la proposta di legge nel territorio comunale; farsi parte attiva presso il Parlamento, il Governo nazionale e regionale, affinché si giunga all’approvazione della proposta di legge; incentivare sul territorio le aziende agricole locali che adottano metodi di allevamento sostenibili e rispettosi del benessere animale; attivarsi affinché, per quanto di competenza dell’ente comunale, nella programmazione e pianificazione comunale si tenga conto dei principi che ispirano la proposta di legge depositata alla Camera dei deputati il 6 marzo 2024. Già tre Comuni, Spoltore, in provincia di Pescara, San Vito al Tagliamento, in provincia di Pordenone, e Castenedolo, in provincia di Brescia hanno approvato la mozione promossa da Greenpeace, ISDE, Lipu, Terra! e WWF per una transizione in chiave agro-ecologica del sistema degli allevamenti intensivi. “L’approvazione della mozione in tre Comuni di tre diverse regioni è un primo, significativo segnale di cambiamento che parte dai territori. È da qui che può prendere slancio una spinta concreta verso una legislazione nazionale capace di tutelare salute, biodiversità e la sostenibilità socio-economica del comparto agricolo, dichiarano le cinque associazioni promotrici. L’attuale modello zootecnico italiano – sempre più concentrato in grandi realtà intensive e industriali – sta penalizzando le piccole e medie aziende, mettendone a rischio la sopravvivenza. Con la nostra proposta di legge vogliamo offrire un’alternativa credibile: un percorso di transizione che permetta al settore di resistere nel tempo, tutelando ambiente, salute pubblica e giustizia sociale”. Pierluigi Bianchini, sindaco di Castenedolo, che ha già approvato la mozione, ha sottolineato la necessità di “un cambio di rotta nel modo di fare zootecnia, sostenendo la riconversione degli allevamenti intensivi in modelli più sostenibili e rispettosi di salute, ambiente e animali. Non possiamo rimanere indifferenti davanti a un tema che riguarda tutti”. Auspicando “che tanti altri Comuni scelgano di unirsi a questo percorso, per costruire insieme un sistema agricolo più giusto, allo stesso tempo vogliamo esprimere il nostro sostegno alle piccole realtà agricole locali, che ogni giorno lavorano con cura e rispetto per la terra, rappresentando un’alternativa concreta e preziosa”. Qui per approfondire e scaricare la mozione: https://www.associazioneterra.it/news/allevamenti-intensivi-i-primi-comuni-che-approvano-la-nostra-mozione-per-fermarli.   Giovanni Caprio