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La musica contro il silenzio. Manifestazione nazionale a Roma
Sabato 28 settembre 2025 alle 16 Piazza Santi Apostoli, Roma Nel mese di giugno abbiamo attraversato l’Italia da Nord a Sud, e siamo scesi in 26 piazze per esprimere il nostro dissenso contro il genocidio in atto a Gaza e in tutta la Palestina: un massacro contro l’umanità provocato dalla politica criminale di Netanyahu e di Israele, che parte da lontano e che continua inesorabile sotto gli occhi del mondo. Con musica e arte, abbiamo cercato di rompere il silenzio e l’inerzia complici delle istituzioni italiane ed europee, sostenendo la lotta dei Palestinesi per la propria sopravvivenza. A luglio, abbiamo lanciato un appello europeo, accolto da diversi Paesi: ne è nato un movimento culturale che affianca le tante realtà che da sempre lottano per i diritti del popolo palestinese, un movimento apartitico che attraversa l’Europa toccando Svizzera, Germania, Austria, Grecia, Svezia, Scozia… Anche in Italia siamo pronti per unirci ancora una volta, tutti insieme in un’unica piazza: il 28 settembre alle ore 16, ci troveremo in Piazza Santi Apostoli a Roma, per un momento di solidarietà e protesta condivisa. Invitiamo tutti a partecipare, musicisti e non: insieme possiamo portare avanti una mobilitazione culturale, di solidarietà, giustizia, sensibilità, umanità, partecipazione e impegno, in difesa del popolo palestinese e dei suoi diritti fondamentali. Per informazioni seguite il profilo Instagram o Facebook “La Musica contro il Silenzio” lamusicacontroilsilenzio@gmail.com – @lamusicacontroilsilenzio Redazione Italia
DESENZANO (BS): DOMENICA 21 SETTEMBRE, TENDA DI SOLIDARIETÀ PER LA PALESTINA
Torna la Tenda di solidarietà con la popolazione civile palestinese e con il personale sanitario detenuto illegalmente nelle carceri israeliane, questa volta sul Garda, questa domenica 21 settembre in piazza Malvezzi tra le ore 10 e le 18.  L’iniziativa è promossa dai Sanitari per Gaza di Brescia e da una serie di realtà del territorio: Collettivo Gardesano Autonomo, ANPI basso Garda, Tavolo Ambiente Garda, Arci Zambarda di Salò, Viandanze, Donne in cammino per la pace, Non Una di Meno Lago di Garda e Arci Dallò di Castiglione delle Stiviere (MN). Il programma della giornata prevede l’apertura della tenda alle ore 10, con l’intervento dei Sanitari per Gaza; dalle 11 alle 13 musiche a cura del Collettivo Casa del Bao, al quale seguiranno letture e interventi da parte delle realtà organizzatrici; ancora letture nel pomeriggio e l’intervento dei Giovani Palestinesi di Brescia. Previsto un flash mob alle ore 17, al quale seguiranno dei laboratori creativi. Durante tutta la giornata sarà possibile finanziare l’associazione Palmed Italia, che raccoglie fondi per sostenere la sanità in Palestina. Ci presenta l’iniziativa Yousef Abdelghani, medico cardiologo di Palmed Italia. Ascolta o scarica
“Gaza sta bruciando: scendi in piazza” Imponente mobilitazione a Napoli contro il genocidio in Palestina
In migliaia hanno sfilato da Piazza del Gesù a Piazza Municipio per chiedere la rottura dei rapporti con Israele, sanzioni ed embargo totale. Una mobilitazione pacifica e partecipata, in contemporanea con molte altre città italiane. In piazza ieri, 16 settembre, in simultanea a Roma, Milano, Napoli e in numerose altre città d’Italia, si sono svolte mobilitazioni a partire dalle ore 18. Migliaia di persone sono scese in strada per chiedere al governo di interrompere tutti i rapporti istituzionali, diplomatici ed economici con Israele e di attuare sanzioni ed embargo totale. «L’ONU ha riconosciuto che le azioni di Israele a Gaza costituiscono a tutti gli effetti genocidio. Da ieri è iniziata l’operazione di terra: i carri armati sono entrati a Gaza City per ridurre in polvere una città che già è un ammasso di macerie. È cominciata la “soluzione finale”», denunciano gli organizzatori della manifestazione di Napoli: l’UDAP – Unione Democratica Arabo Palestinese, la Rete di tutte le Comunità Palestinesi e il Centro Culturale Handala Alì. «Si sta compiendo sotto gli occhi del mondo un’operazione atroce di conquista coloniale e di sterminio di un popolo. Non possono più bastare le generiche dichiarazioni di contrarietà all’offensiva di terra: è il momento di fare chiarezza nei confronti degli italiani. Da che parte sta il governo? Dalla parte del diritto internazionale e della Costituzione, oppure dalla parte del genocidio?» chiediamo con fermezza i referenti del Movimento Globale a Gaza Campania. «È il momento della mobilitazione totale». E Napoli ha risposto con una partecipazione imponente. «Napoli lo sa da che parte sta: Palestina libera!» è stato l’urlo potente che si è alzato da Piazza del Gesù, una voce corale di solidarietà, di protesta ma anche di speranza, pensando alla missione della Global Flotilla in queste ore. Comunità palestinesi, Centro Culturale Handala Alì, Global Flotilla di Terra Campania, sindacati, organizzazioni territoriali, ANPI, collettivi studenteschi, centri sociali, attivisti, militanti e migliaia di cittadini comuni hanno invaso la piazza. Una mobilitazione coordinata in vista della grande manifestazione del 4 ottobre a Roma e dello sciopero generale indetto dai sindacati di base USB e CALP per il 22 settembre, che interesserà anche il blocco del porto di Napoli, delle ferrovie, degli aeroporti e delle università, con presidi in tutte le città italiane. Sugli striscioni campeggiava la scritta: «Bloccheremo tutto». Il corteo, numeroso ma assolutamente pacifico, è partito da Piazza del Gesù sfilando lungo via Monteoliveto e via Medina fino a Piazza Municipio. Una folla immensa, come da tempo non si vedeva, ha riempito le strade con bandiere, cartelloni e slogan. Donne, uomini e bambini – tantissimi, tenuti per mano dalle loro madri – hanno camminato insieme in un clima di forte emozione. Alle 17.30 Piazza del Gesù era già gremita. Le bandiere della Palestina sventolavano insieme ad altri simboli. L’atmosfera si è caricata di rabbia, dolore ma anche di tanta speranza. «Gaza resiste, la Palestina esiste!» è stato lo slogan più gridato. Piazza del Gesù si è trasformata in un simbolo di resistenza. Sumud è la parola che accompagna la missione umanitaria, e sumud – resistenza e resilienza – è quella che il popolo palestinese continua a praticare. «La resistenza resiste! Gli interessi economici e geopolitici non possono valere più delle vite umane», ha gridato un ragazzo al megafono. Il coro collettivo ha accompagnato l’intero percorso, con slogan scanditi in italiano e in arabo. Lungo il tragitto altre persone si sono aggiunte, facendo crescere ulteriormente il corteo: quando la testa è arrivata in Piazza Municipio, la coda era ancora all’altezza della Questura. Gli studenti dei collettivi universitari hanno ricordato di aver chiesto al rettore della Federico II di sospendere ogni accordo accademico con le università israeliane: «Purtroppo non c’è stata alcuna risposta, e vogliamo dirlo qui con forza», ha dichiarato un’attivista. In Piazza Municipio i manifestanti si sono seduti a terra e hanno proseguito il presidio. La mobilitazione non si ferma: «Fermare le armi non è reato». A Napoli le iniziative continuano in preparazione dello sciopero generale di lunedì 22 settembre. – Oggi, 17 settembre: assemblea pubblica alle ore 18 al Parco Ventaglieri a Montesanto. – Giovedì 18 settembre: assemblea pubblica alle ore 17 al Centro Sociale “Carlo Giuliani” in via Rossarol. – Venerdì 19 settembre: manifestazione regionale indetta dalla CGIL alle ore 17.30 a Piazza del Gesù. – Lunedì 22 settembre: sciopero generale. Redazione Napoli
La Global Sumud Flotilla salpa dall’Italia, dalla Tunisia e dalla Grecia per riunirsi in acque internazionali
La Global Sumud Flotilla (GSF) ha iniziato la tappa finale del suo viaggio storico per contribuire a rompere l’assedio illegale di Israele su Gaza. Ieri, 18 barche sono salpate da Catania, Italia. Decine di altre partiranno oggi e domani dalla Tunisia e dalla Grecia e l’intera flotta si riunirà presto in acque internazionali per proseguire insieme verso Gaza. Nelle ultime settimane, la flottiglia ha affrontato numerose sfide, tra cui due attacchi con droni contro imbarcazioni attraccate in Tunisia, difficoltà logistiche e carenze di carburante, che hanno ritardato la nostra partenza verso Gaza. Inoltre, alla luce delle terrificanti minacce del ministro israeliano Ben-Gvir contro i passeggeri della flottiglia, abbiamo intrapreso ulteriori e approfondite pianificazioni di sicurezza per rafforzare la nostra protezione. Invece di permettere che questi ostacoli ci facessero deragliare, GSF ha preso misure decisive per rafforzare la nostra operazione: abbiamo trasferito alcune navi in altri porti per le ultime preparazioni, condotto severi test in mare e adattato i nostri protocolli di sicurezza. A seguito di questi cambiamenti, e in previsione di condizioni sempre più ostili, siamo stati costretti a prendere la difficile decisione di ridurre la capacità di partecipanti su diverse imbarcazioni dirette a Gaza. I volontari hanno affrontato molte sfide, difficoltà e incertezze — in parte a causa di attacchi deliberati contro la nostra missione e in parte per la portata enorme di questa iniziativa popolare e degli inevitabili errori di calcolo lungo il percorso. Il comitato direttivo di GSF continua a esprimere immensa gratitudine a coloro che sono intervenuti e hanno dimostrato con la loro presenza il loro impegno per questa causa imprescindibile. Stiamo lavorando a stretto contatto con tutti i partecipanti in profonda solidarietà durante questi cambiamenti, mentre restiamo fermamente impegnati a portare avanti la missione nei nostri Paesi di origine, guidando mobilitazioni coordinate e rafforzando ulteriormente il movimento globale di solidarietà per la Palestina. Le modifiche strategiche ai nostri piani ci permetteranno di tutelare meglio i partecipanti nella misura massima possibile, preservare l’impatto della missione e dimostrare la resilienza di questo movimento globale per la Palestina. Quando le nostre flotte si uniranno nel Mediterraneo, invieremo un messaggio chiaro: il blocco e il genocidio a Gaza devono finire. Rimaniamo fermi e determinati a sfidare l’assedio illegale di Israele e a fare tutto il possibile per porre fine al genocidio a Gaza.   Redazione Italia
Universalità del Reddito di Base, solidarietà economica e cambiamento culturale
Nel contesto della celebrazione del 24° Congresso della Rete Mondiale per il Reddito di Base (in inglese Basic Income Earth Network BIEN), che si sta svolgendo in Brasile, la Rete Umanista per il Reddito di Base Universale e Incondizionato ha organizzato il 28 agosto un convegno dal titolo “Universalità del Reddito di Base, solidarietà economica e cambiamento culturale”. Il dibattito è stato coordinato da Cris Weber e ha visto la partecipazione di Eduardo Alves, presidente di Viva Rio, Juana Pérez Montero, redattrice ed editrice di Pressenza, e Sérgio Mesquita, funzionario pubblico in pensione, collaboratore dell’Istituto di Scienza, Tecnologia e Innovazione di Maricá (Brasile) e collaboratore di Pressenza. Condividiamo qui la relazione di Juana Pérez Montero: Dal nostro punto di vista umanista e sulla base dell’esperienza accumulata, l’attuazione di un Reddito di Base implica un cambiamento di valori e credenze, ovvero una nuova cultura che metta al centro la vita e la liberazione delle persone. Ciò comporta la promozione di relazioni solidali che, riferite al tema che ci occupa oggi, si tradurranno nella difesa dell’esistenza materiale garantita per tutta l’Umanità, dato il mondo globalizzato in cui viviamo. Ma perché diciamo che implica un cambiamento di cultura? Perché, dopo anni passati a difendere e lavorare su questa proposta, abbiamo constatato che le argomentazioni e le resistenze che si presentano alla sua attuazione hanno le loro radici nelle basi della nostra cultura occidentale. Vediamo alcuni, solo alcuni, degli argomenti e dei fatti che abbiamo sentito e visto. * Che non ci sono abbastanza soldi per attuarla… (argomento utilizzato dai potenti e che abbiamo fatto nostro)… senza mettere in discussione il loro arricchimento. * Che è necessario guadagnarsi il diritto ad avere un’esistenza materiale garantita, qualcosa che nei libri sacri viene spiegato come “Guadagnerai il pane col sudore della tua fronte…” un mandato dal quale sembrano essere stati liberati coloro che ereditano, coloro che accumulano a spese della vita degli altri, ecc. in uno straordinario esercizio di “meritocrazia”. * Associare la dignità delle persone al lavoro, quando l’essere umano è dignitoso per il solo fatto di essere nato tale… * Il senso di colpa e la stigmatizzazione che molte persone provano quando ricevono aiuti, sentendosi inferiori e manifestandolo quando iniziano a sentire parlare di reddito di base. Questo lo abbiamo verificato in numerose occasioni, lavorando con settori della popolazione molto bisognosi, che – all’inizio – lo vivono come un ulteriore aiuto caritatevole. Consigliamo, a proposito, il libro “Contra la caridad. A favor de la renta básica” (Contro la carità. A favore del reddito di base), di Daniel Raventós e Julie Wark. * Un’altra resistenza di alcuni settori politici all’attivazione di un reddito di base (Brasile, Catalogna…) è che questi politici al servizio del potere economico preferiscono esercitare la carità per mantenerci dipendenti, tutto il contrario della difesa dei diritti della popolazione e della creazione di condizioni per liberarci dalla violenza, dal dolore e dalla sofferenza, in definitiva. Potremmo continuare con argomenti contrari, ma in sintesi rispondono tutti alla cultura in cui viviamo e al sistema che la sostiene – anche se sta crollando – e che ha funzionato perché tutta la popolazione o la grande maggioranza ha adottato la stessa narrazione, che si basa su un mito. Questo mito – come tanti altri miti – ha avuto origine religiosa e, come ben sappiamo, parla di un dio esterno, che sta in alto, lontano dai comuni mortali, che ti giudica e ti punisce se non rispondi a ciò che ti impone e che ti ha espulso dal paradiso per aver voluto imitarlo, ma che, se fai ciò che dice, ti farà guadagnare l’eternità per essere una brava persona. Sulla base di questo mito, si è sviluppata tutta l’organizzazione sociale che conosciamo, in cui pochi “eletti” situati in alto nella piramide sociale, hanno deciso sulla maggioranza sociale, sottomettendola e oggettivandola, negandole la sua intenzionalità, la sua umanità. E cosa ne è rimasto oggi, quando quel dio è caduto per molti, la società si è desacralizzata e ciò che è rimasto è un sistema in cui il dio denaro è al di sopra di tutto? Si traduce in un “dio” rappresentato da un gruppo di miliardari, fondamentalmente legati al campo delle nuove tecnologie, dell’intelligenza artificiale, dell’armamento, dell’industria farmaceutica, dell’alimentazione. Un gruppo senza scrupoli che decide e mette fine alle democrazie, genera guerre, impoverisce le popolazioni e lascia morire di fame milioni di persone, e che sta facendo regredire i diritti fondamentali a tutta velocità, un gruppo che sta portando al disastro l’intera umanità. Ci troviamo di fronte a un problema perché i progressi tecnologici hanno cambiato la realtà esterna, eliminando sempre più posti di lavoro. Non è più sostenibile quel modello che ha permesso alla maggioranza sociale di assumere come proprio il racconto del potere, in un esempio di sindrome di Stoccolma collettiva (fenomeno psicologico in cui la vittima di un abuso sviluppa sentimenti positivi, empatia o attaccamento verso il suo aggressore, N.d.R.). È ormai insostenibile. E cosa succederà se non avremo un lavoro, smetteremo di essere dignitosi? Dobbiamo accettare che moriremo o che moriranno di fame milioni di esseri umani per mancanza di lavoro? Assolutamente no. Il lato positivo di tutto ciò è che questa realtà esterna in continua evoluzione ci offre anche enormi possibilità. Perché non ci saranno posti di lavoro per tutti, ma ci sono risorse affinché tutta l’umanità possa vivere in condizioni dignitose, frutto, tra l’altro, del contributo di tutte le generazioni che ci hanno preceduto e del contributo che oggi offre l’umanità intera. Non so se vi rendete conto che oggi abbiamo la possibilità di liberarci dalla schiavitù del lavoro e di dedicarci a ciò che sentiamo ci fa crescere come persone e che, inoltre, potrebbe essere più utile alla comunità (la cura degli altri, il lavoro artistico, il lavoro solidale…). Attenzione, non siamo contrari al lavoro né al fatto che qualcuno voglia arricchirsi attraverso il lavoro, no. Quello che diciamo è che non ci saranno posti di lavoro per tutti. Quindi, il problema, come prospettava il pensatore umanista e universalista Silo, non è se ci sia o meno il lavoro, “che lavorino le macchine”, come diceva lui, il problema è la distribuzione della ricchezza. Ciò implica una nuova cultura, che si baserà su un nuovo mito, che si svelerà gradualmente e che noi costruiremo. Un nuovo paradigma che, dal nostro particolare punto di vista, sta già cominciando a manifestarsi in modi diversi. Non ci azzardiamo a svilupparlo qui, ma alcuni degli elementi o delle caratteristiche di questo nuovo paradigma, di questa nuova cultura, sono già presenti e li vediamo in diversi settori. Enunceremo alcuni elementi che percepiamo: * Mettere al centro la Vita, quindi mettere al centro la vita delle persone e la loro liberazione e, come non potrebbe essere altrimenti, la cura della casa comune, del pianeta. * Una nuova cultura che faccia proprio il principio morale più importante, comune a diverse culture nella storia, e che noi umanisti enunciamo come “Tratta gli altri come vorresti essere trattato e questo ti renderà libero”. * Ciò implica mettere al centro anche i rapporti di solidarietà in tutti i campi, a cominciare da quello economico e da tutto ciò che riguarda la salvaguardia dell’esistenza di ogni persona che abita questo pianeta. * A tal fine, è fondamentale attuare misure che lo rendano possibile, come un Reddito di Base, misure che garantiscano come diritto universale, il primo dei diritti, il diritto all’esistenza materiale garantita. Ma non possiamo limitarci a difendere il Reddito di Base solo per un Paese, solo per una regione. In un mondo globalizzato e, allo stesso tempo, in un momento di enorme destrutturazione, in cui gli individui sono rimasti isolati e abbandonati al loro destino, scoraggiati dalla mancanza di futuro, propugnare un Reddito di Base Universale per tutta l’umanità significa rompere con la visione nazionalista, che risponde alla realtà di un altro momento storico. Significa difendere i diritti umani per tutte e tutti, significa scommettere sulla giustizia sociale e sulla ridistribuzione della ricchezza per tutte le persone, e allo stesso tempo implicherebbe iniziare a riparare il debito economico, sociale e morale che il nord del pianeta ha con il sud, che ha spogliato e continua a spogliare. Questo approccio universalista presuppone la disponibilità a mettere in discussione i confini, che servono solo a separare e dividere i poveri. Abbiamo bisogno di immagini e progetti che ci sottraggano dal difendere solo ciò che ci stanno portando via, che ci liberino dalla grigia realtà e dalla paura paralizzante che attanaglia milioni di esseri umani. Abbiamo bisogno di immagini grandi, che disegnino il futuro a cui aspira la maggior parte delle persone. Un futuro senza violenza, a partire dall’eliminazione della violenza economica, e a seguire tutte le altre. Immaginiamo per un momento quanto sarebbe facile finanziare un Reddito di Base utilizzando solo una parte dei budget militari – oggi in forte crescita – che vengono impiegati per uccidere e intimidire l’intero pianeta. Immaginiamo quanto dolore e sofferenza verrebbero eliminati in un colpo solo con un Reddito di Base: povertà, schiavitù, lavoro minorile, matrimoni infantili, dipendenze legate al genere e molto altro ancora. Osiamo immaginare le condizioni in cui vogliamo vivere, il futuro brillante che meritiamo, e lavoriamo insieme per raggiungerlo. Grazie mille. Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid Juana Pérez Montero
Presidio per la Global Sumud Flotilla a Cesano Maderno
E’ necessario sostenere in ogni modo possibile la Global Sumud Flotilla. Per questo è nata l’iniziativa che si è svolta domenica 7 settembre a Cesano Maderno (provincia di Monza e Brianza) davanti allo spiazzo della Bottega Consenso, sostenuta da parecchie associazioni locali. Il presidio ha coinvolto almeno un centinaio di persone, che hanno testimoniato con la loro presenza il bisogno e la volontà di esserci per creare attenzione intorno alla Global Sumud Flotilla, da molti vissuta come unico mezzo concreto e tangibile contro la mancanza di umanità e l’immobilismo delle istituzioni. L’incontro con Rosario Uccella mi ha colpito per la profonda e apparente semplicità con la quale riferiva della sua esperienza con la Global March to Gaza al valico di Rafah.  “Ho dovuto partire per me stesso in primis perché il bisogno di agire era divenuto essenziale e forte. Non è stata una decisione semplice da prendere…” E’ un sentimento che condivido appieno. Il bisogno di resistere alla deriva di orrore che abbiamo sotto gli occhi ci spinge a testimoniare con i nostri mezzi la necessità di esserci e di contrastare con gesti simbolici e  personali quanto sta accadendo, perché, come diceva Teresa Sarti Strada: “Se ognuno di noi facesse il suo pezzettino, ci troveremmo a vivere in un mondo migliore senza neanche accorgercene.” Redazione Italia
A Siracusa e Catania grande solidarietà degli attivisti. Diario di bordo dalla Global Sumud Flotilla
Ieri, 11 settembre, c’è stata una sorta di prova generale di navigazione molto più coreografica e impattante dal punto di vista emotivo rispetto alle uscite di allenamento dei giorni scorsi, prima della grande traversata: diverse barche hanno lasciato il porto di Augusta per andare a salutare poco più a sud, a Siracusa, la folla di attivisti e solidali con la flottiglia, che sta raccogliendo ogni giorno che passa sempre più adesioni, oltre al sostegno economico e organizzativo. Varie associazioni di Catania per esempio si adoperano per dare supporto sia sul piano tecnico e logistico per l’acquisto in città di materiali e pezzi di ricambio per le barche, sia per il vitto, che rimane sempre un elemento fondamentale durante giornate di lavoro duro, sotto il sole, o al caldo soffocante e umido tipico degli interni delle barche. Le barche a vela hanno sfilato, una a una, di fronte le “sorelle” ormeggiate in porto, salutate da gioiosi canti e suoni di trombe che hanno echeggiato accompagnando le bandiere della Palestina issate in alto sulle sartie.  C’erano poi sulle fiancate delle barche anche diversi striscioni delle varie associazioni e movimenti di tutto il mondo, solidali col popolo palestinese. Molto atipica è stata la presenza degli attivisti malesi e soprattutto delle giovani donne, coperte di tutto punto, con i loro vestiti tradizionali che i velisti non sono generalmente abituati a vedere indossati a bordo. Le barche sono stracariche non solo per alcuni pacchi di circa 20 kg l’uno con gli aiuti  alimentari destinati soprattutto ai bambini di Gaza, ma anche per le numerose taniche di gasolio sulle fiancate, utili a portarle a destinazione. L’entusiasmo è altissimo e cova sempre sotto la cenere, pronto a infiammarsi nel momento in cui la barca accanto molla gli ormeggi e prende il largo, mostrando orgogliosamente la bandiera palestinese e le varie scritte e disegni sulle murate,  che ricordano come il popolo palestinese sogni dal ’48 una terra che ritorni libera dal fiume al mare. Stefano Bertoldi
Global Sumud Flotilla, un impegno in un mare di umanità
Un pomeriggio di agosto, quando le avventure estive sembravano ormai alle spalle, è piombato sullo schermo del mio telefono un post con tante barche e bandiere colorate. La flotilla salpava ancora! Ha avuto senso prendere la patente nautica, mi dico, potevo unirmi! Ma ero uno dei tanti, uno a caso, ti pare che posso unirmi e sfidare la violenza internazionale? Possibile arrivare a contatto con una guerra apparentemente così lontana? Di lì a pochi giorni ho scoperto che potevo eccome! Bastano due click e si assaggia la guerra di un oltremare lontano.  Questa rete di persone unite da una visione non è un’organizzazione elitaria, né una task force iper-esclusiva, assomiglia più a una banda navale che suona i colori della resistenza civile nonviolenta. Le grandi competenze e l’esperienza vengono condivise all’unisono, in un concerto galleggiante. La ricompensa: umanità! Dopo qualche breve scambio virtuale con perfetti sconosciuti mi sono trovato su un treno con una marea di dubbi, un porto romano da raggiungere e il gioco di fare per la prima volta il comandante di una barca. Ci siamo trovati io, Jules e, appunto, la barca sotto il sole di agosto. Il compito: portarla in Sicilia. Una quantità di cose potevano andare male e sono andate peggio del previsto. L’ultima notte ci siamo trovati senza motore, senza luci, senza batteria e con le onde al traverso. Una leggera brezza da 20 nodi suggeriva pacatamente di ridurre le vele sbatacchiando qua e là la randa come un fazzoletto usato. Siamo riusciti a prendere due mani di terzaroli, cioè ridurre l’altezza della vela della metà. A quel punto ho potuto fare un bel tuffo in cabina alla ricerca del guasto mentre Jules, a gambe ben larghe e timone nelle mani, dava prova di sé sulle montagne russe del mare. Mi sono trovato aggrovigliato tra i meandri del motore, il diesel ormai aveva preso domicilio nelle nostre narici e si era autoproclamato nostro personalissimo balsamo per capelli mano a mano che i nodi meccanici venivano al pettine. Maurizio, il nostro santo patrono, veniva invocato al telefono ormai con cadenza oraria per darci manforte con soluzioni meccaniche. Al terzo giorno di fila a risponderci alle 4 di notte senza fare mezza piega mi sono veramente stupito che non riattaccasse. Insomma: il carburante non ne voleva sapere di passare dal serbatoio al motore, Otaria aveva una congestione. Sei ore dopo, un tubo di gomma e una fascetta ci hanno fatto passare lo stretto di Messina in tutta tranquillità, come se non fosse successo nulla. Col mare fin troppo piatto siamo arrivati tra le braccia dei nostri compagni in Sicilia. Incredibile, eravamo a terra. La mattina al porto c’era fermento, come un formicaio disturbato in pieno giorno che brulica da ogni pertugio. Una riunione logistica e subito lo sferragliare di attrezzi ha ben presto cosparso l’aria di concitazione: Cacciavite! Randa! Issa di qua, tira di là, gente sull’albero: occhio! Fate largo! Fuori i cuscini, dentro le chiavi inglesi! Fuori il superfluo, dentro gli attrezzi! Dov’è il flessibile? Il ventre delle barche rimestato dall’interno si riempie vorticosamente di lavoratori instancabili. I compiti si intrecciano, i sudori si mischiano, i pertugi delle barche violati dalla foga di risolvere i problemi meccanici più scomodi. Tutte queste formichine così energiche da dove prendono la grinta sotto il sole di mezzogiorno? Dove risiede la loro determinazione a confrontarsi col formichiere a stella bianca e azzurra che tutto può? Le formiche sanno che dall’altra parte del Mediterraneo il formichiere impazzito sta scagliando violentemente la sua proboscide su dei corpi come i loro! Come fanno a non salpare? Si muovono perché la loro azione è la difesa dei loro stessi corpi! Si sentono in pericolo e agiscono assieme! Cala il sole e il lavoro si placa. L’aria è calda e la brezza piacevole. Voci dicono che sono stati raccolti 3 milioni di euro e 200 tonnellate di cibo. I portuali di Genova mi commuovono, le manifestazioni esplodono nelle strade, sembra che tutto il mondo ci sostenga e c’è anche chi è contrario: perché vengono raccolte somme così grosse per sprecarle in un sequestro? Quei soldi potevano essere destinati direttamente ai palestinesi! Le sinistre d’altronde fanno così: criticano e cercano la soluzione migliore. Penso che si possa distruggere col pensiero qualsiasi impresa incerta. Il mondo sarebbe già perfetto se non ci fossero imprese incerte da compiere per provare a cambiarlo. Durante le nottate e i giorni di navigazione non ho mai smesso di stupirmi del supporto che c’era dietro alla nostra piccola impresa. Come mai così tante persone si privano del sonno, mettono in gioco i loro corpi, il loro tempo e i loro soldi per la causa palestinese? Molti non l’hanno nemmeno mai vista la Palestina! Ci dev’essere un trucco, qualche interesse…. Posso solo immaginare quanto tempo e quante energie stia comportando questa operazione. Se moltiplichiamo mentalmente questa nostra settimana per 60 barche e la volontà di centinaia di persone, mi rendo conto che c’è la voglia di cambiare le cose, che c’è empatia per qualcosa di più grande. Per me già una barca era una cosa grande, ma qui si fa il gioco di liberare uno Stato. Il gioco di decine di barche e centinaia di persone che sfidano uno Stato che può fare le sue regole senza regole e il contesto politico internazionale! Davanti a un popolo dilaniato, le persone si uniscono per esercitare l’umanità, la speranza e la solidarietà di fronte all’ormai conclamato genocidio in corso a Gaza! Redazione Italia
“Non si ferma il vento”. Roma sostiene la Global Sumud Flotilla
Migliaia di persone si sono riunite oggi alle 19 a Roma in piazzale Aldo Moro, davanti all’Università la Sapienza. Ha funzionato il tam tam partito subito dopo l’attacco di un drone israeliano che in Tunisia ha danneggiato una delle imbarcazioni in partenza per Gaza. “Blocchiamo tutto! Sciopero generale! Non si ferma il vento. Siamo Global Sumud Flotilla” dicono slogan e striscioni. Le richieste sono chiare: il governo, le istituzioni, le facoltà universitarie devono isolare politicamente ed economicamente Israele e difendere la Flotilla. Un presidio  di solidarietà e denuncia dominato dagli studenti delle scuole superiori e delle università, ma al tempo stesso una fetta di popolo di Roma unito finalmente al di là delle sigle politiche e sindacali: ecco l’”equipaggio di terra”, che non si lascia intimidire dalle minacce e dagli attacchi israeliani. Il presidio si trasforma in corteo diretto a piazza Vittorio e si annuncia una mobilitazione permanente nei prossimi giorni a sostegno della Global Sumud Flotilla. Mauro Carlo Zanella