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La risposta del Viminale sugli agenti infiltrati in Potere al Popolo non regge
Cinque agenti infiltrati nei collettivi e nelle assemblee del partito per mesi senza copertura giudiziaria. Mentre il governo minimizza, cresce la denuncia: sorveglianza politica e violazione delle libertà costituzionali. Dopo oltre un mese di assoluto silenzio, il Viminale ha accennato una risposta all’interpellanza urgente presentata dal Movimento 5 Stelle; il Sottosegretario all’Interno Emanuele Prisco ha negato che vi sia stata qualsiasi infiltrazione in partiti o movimenti politici. «I cinque giovani poliziotti che hanno attraversato le assemblee di Potere al Popolo», ha riportato, «erano semplicemente studenti regolarmente iscritti all’università, operanti con le loro vere generalità» e si limitavano a «partecipare a manifestazioni pubbliche di collettivi con connotazioni estremistiche che avevano mostrato crescente aggressività». Una puntualizzazione che tuttavia, lungi dal chiudere il caso, apre molte altre crepe e conferma la situazione gravissima nata a partire dall’inchiesta di Fanpage.it. Grazie ai documenti raccolti dal giornalista Antonio Musella, è venuto alla luce che i cinque agenti del 223° corso hanno agito per almeno otto mesi – da ottobre 2024 a maggio 2025 – fra Napoli, Milano, Bologna e Roma, inserendosi nei movimenti studenteschi Cambiare Rotta e CAU e, attraverso questi, nella vita interna di Potere al Popolo: chat organizzative, riunioni e perfino all’assemblea nazionale del partito. «Il governo ha ammesso l’operazione, ma sta minimizzando», spiega Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo. «Hanno spiato un partito che si presenta alle elezioni: vogliamo sapere chi l’ha ordinata e perché. Cinque poliziotti, tutti trasferiti all’antiterrorismo nello stesso periodo, sono finiti solo nei due collettivi legati a noi. Nel Paese esistono centinaia di realtà studentesche: possibile che l’allerta ordine pubblico riguardasse soltanto le nostre?». La linea del Viminale Nel suo intervento in aula, Prisco ha dipinto un quadro di crescente conflittualità: «12 mila manifestazioni nel 2024, con turbative dell’ordine pubblico nel 2 % dei casi. In questo contesto sono maturati livelli crescenti di tensione», da cui la decisione «ordinaria, prevista dalla legge 121/1981» di potenziare l’attività informativa della Direzione centrale della Polizia di prevenzione. «Nessuna operazione sotto copertura, nessuna identità falsa. Ogni agente, anche libero dal servizio, ha l’obbligo di segnalare reati alle autorità. Si è trattato solo dell’adempimento dei propri compiti istituzionali, nel pieno rispetto della legge». La risposta di Potere al Popolo Per i soggetti coinvolti la ricostruzione non regge. «Ci eravamo quasi abituati alla favola dei poliziotti innamorati delle militanti; adesso ci dicono che erano studenti modello mossi da preoccupazioni di sicurezza nazionale», ironizza Granato. «Peccato che abbiano partecipato, abbiamo anche le prove, a momenti privati del partito, chat organizzative, riunioni e perfino all’assemblea nazionale, non a semplici iniziative pubbliche». Anche Matteo Giardiello, membro dell’esecutivo nazionale di Potere al Popolo, commenta duramente: «Ci dobbiamo aspettare che più aumenta il dissenso e più il governo porterà avanti pratiche antidemocratiche per fermarlo? Ci dobbiamo aspettare di essere sempre di più spiati solo e soltanto perché proviamo a opporci a quello che sta avvenendo? Vogliamo dire chiaramente che, se il dissenso è reato, noi siamo colpevoli». «Sorvegliare il dissenso non è compito dei servizi» Potere al Popolo ha lanciato un appello pubblico, firmato da oltre 2.000 persone nelle prime 24 ore, che denuncia l’operazione come una grave lesione delle libertà costituzionali: «L’assenza di una cornice giudiziaria e la natura prolungata e sistematica di queste attività disegna un profilo allarmante: non si tratterebbe di operazioni a scopo investigativo, ma di sorveglianza politica preventiva», si legge nel testo. Il documento ricorda che la libertà di associazione e partecipazione politica non è «un privilegio», ma un diritto inalienabile sancito dalla Costituzione. Il silenzio delle autorità, si denuncia, «è inaccettabile e pericoloso». Nell’appello si legge inoltre: «In una democrazia, il dissenso politico non è materia per i servizi di sicurezza. Nessuna forza dell’ordine dovrebbe infiltrarsi in un partito senza un preciso fondamento giuridico». Il timore, condiviso anche da altri intellettuali e sigle, è che l’approvazione del nuovo decreto sicurezza imponga agli atenei di consegnare dati su studenti e gruppi ritenuti “pericolosi” per la sicurezza nazionale, trasformando le università da luoghi di libertà intellettuale in snodi di controllo. Fra i primi firmatari figurano Carlo Rovelli, Zerocalcare, Mimmo Lucano, Andrea Segre, Fabrizio Barca, Luigi De Magistris, Vauro, Vera Gheno, Elena Granaglia, e decine di accademici, giuristi, attivisti, sindacalisti e parlamentari. Il movimento chiede che Meloni e Piantedosi riferiscano in Parlamento, chiariscano «chi ha autorizzato l’operazione» e pongano limiti chiari all’uso degli apparati di sicurezza contro chi esercita legittimamente il dissenso. Dalle aule ai telefoni: il filo che porta a Graphite Il caso degli agenti‑studenti si intreccia, anche temporalmente, con un’altra vicenda rimasta senza risposta: l’uso dello spyware Graphite (Paragon Solutions) sui telefoni del direttore di Fanpage Francesco Cancellato, di Ciro Pellegrino e di Roberto D’Agostino. Meta e Apple hanno certificato gli attacchi, ma nessuna autorità italiana ha chiarito chi li abbia commissionati. Degli episodi che, letti parallelamente, restituiscono l’immagine di una sorveglianza particolare dello Stato verso redazioni, attivisti e collettivi. Il Ministro Piantedosi si era detto “pronto a riferire” in aula già a fine giugno. Da allora nulla è cambiato, se non la versione ufficiale: da “agenti innamorati” a “studenti zelanti”. Nel frattempo, cinque poliziotti restano iscritti a corsi universitari, i collettivi continuano a protestare sotto i rettorati e un partito politico attende di sapere perché è finito, di fatto, in un dossier di pubblica sicurezza. Rimane ancora senza risposta la domanda: “Chi ha ordinato tutto questo e per quale motivo?”   Emiliano Palpacelli
La Corte di Cassazione boccia il Decreto Sicurezza: viola la legalità con aggravanti ingiustificate
La Cassazione boccia il Decreto Sicurezza: manca urgenza, norme eterogenee, viola legalità e proporzionalità. Rischio carcere per marginalità e dissenso. E’ un duro colpo per il governo e la maggioranza: la Legge 9 giugno 2025, n. 80, che ha convertito il controverso Decreto Legge 11 aprile 2025, n. 48, il cosiddetto Decreto Sicurezza, è a rischio di incostituzionalità in più punti. La Corte di Cassazione, nella sua relazione 33/2025 sulle novità normative (documento non vincolante ma di altissima autorevolezza giuridica), ha espresso una bocciatura senza appello, raccogliendo e facendo proprie le criticità evidenziate da tutta la comunità giuridica: dall’accademia alla magistratura, fino all’avvocatura. Il risultato, secondo la Suprema Corte, sarà un aumento dei processi e del numero di persone in carcere. Le critiche della Cassazione si concentrano su due aspetti principali: il metodo di adozione del provvedimento e i suoi contenuti. La relazione sottolinea la mancanza dei requisiti di necessità e urgenza che, per Costituzione, sono imprescindibili per l’adozione di un decreto legge. Il provvedimento ha infatti inglobato un disegno di legge che era già da mesi all’esame del Parlamento e aveva già ottenuto l’approvazione della Camera. L’uso del decreto d’urgenza, motivato con l’esigenza di “evitare ulteriori dilazioni al Senato”, si scontra con la giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale, la quale ha più volte ribadito che il ricorso al decreto-legge non può fondarsi su una “apodittica enunciazione dell’esistenza delle ragioni di necessità e di urgenza” . Il decreto inoltre è eterogeneo. Si occupa, infatti, di una pluralità di materie vastissime e disparate che non sono tra loro connesse e omogenee: terrorismo, mafia, beni confiscati, sicurezza urbana, tutela delle forze dell’ordine, vittime dell’usura, ordinamento penitenziario, strutture per migranti e coltivazione della canapa. Questa eterogeneità è considerata un ulteriore vizio di legittimità costituzionale per i decreti legge. La relazione della Cassazione individua “profili problematici” anche nei contenuti di alcune norme: * aggravanti “di luogo”: vengono citate le aggravanti introdotte per i reati compiuti “dentro e fuori le stazioni ferroviarie e della metro”. La Cassazione sottolinea come non sia chiaro per tutte le condotte punibili il nesso con il principio di offensività(secondo cui un reato deve ledere o mettere in pericolo un bene giuridico). Inoltre, il riferimento alle “immediate adiacenze” delle stazioni può generare incertezze interpretative e disparità di trattamento, come già evidenziato dal CSM (Consiglio Superiore della Magistratura); * aggravanti “di luogo e di contesto” per il dissenso: dubbi vengono espressi anche sulle aggravanti che rischiano di colpire “l’area della manifestazione del dissenso”, come quelle applicabili nei cortei. Questo potrebbe portare a una criminalizzazione eccessiva di condotte legate alla protestae alla libera espressione; * carceri e Cpr: preoccupazioni analoghe riguardano le norme sui penitenziari e i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr), dove si rischia di criminalizzare la disobbedienza e la resistenza passiva, aggravando ulteriormente situazioni già critiche; * “diritto penale d’autore” e detenute madri: la relazione riporta le preoccupazioni della dottrina sul cosiddetto “diritto penale d’autore” applicato alle ipotesi di carcere per le detenute madri. Questo concetto, che “guarda non a ciò che l’uomo fa, bensì a quel che l’uomo è” (ad esempio, il riferimento alle borseggiatrici Rom), rischia di colpire le persone non per la condotta illecita specifica, ma per il loro status sociale o l’appartenenza a determinate categorie, violando i principi di uguaglianza e non discriminazione; * materiale propedeutico al terrorismo: sulla detenzione di materiale propedeutico al terrorismo, la norma rischia di anticipare eccessivamente la soglia di punibilità, criminalizzando condotte preparatorie che potrebbero essere ancora troppo distanti dalla realizzazione di un effettivo reato; * non punibilità degli agenti segreti: la Cassazione chiede un’“approfondita riflessione” sulla controversa norma che estende la non punibilità degli agenti segreti alla direzione di organizzazioni terroristiche. Questa disposizione permette agli 007 di “creare gruppi eversivi da zero” a fini preventivi, sollevando forti preoccupazioni sulla mancanza di controllo democratico e sul rischio di devianze.   Articolo 21
Militarizzazione della società come risposta alla tenuta di un sistema autoritario e refrattario al dissenso
È trascorso oltre un anno da quando leggevamo alcune interviste, pubblicate da quotidiani nazionali come Il Messaggero e Il Foglio, al ministro Giuseppe Valditara sulla sicurezza nelle scuole, un tema gradito alle destre sociali e politiche per le quali la risposta resta sempre quella di intensificare la presenza sistematica delle forze dell’ordine. Siamo andati a rileggere l’articolo che poi riporta la sintesi del pensiero del Ministro, e del Governo di cui fa parte, per il quale la risposta al disagio sociale è sempre di natura securitaria: Valditara sulla sicurezza: “Ipotesi polizia nelle scuole più a rischio” | Il Foglio Alle logiche repressive e securitarie vanno aggiunge anche ulteriori considerazioni e per questo si rende necessaria una premessa partendo dalla recensione di un libro, edito da Derive Approdi, scritta da Vincenzo Scalia, docente dell’ateneo di Firenze: «Lo Stato ha utilizzato la ricetta nazionalista per ricompattare le differenze di classe in senso identitario. Si tratta però di un processo che si forma in parallelo con un’altra dinamica, vale a dire, quella della nascita dello Stato-Nazione come entità politica antagonista, progressiva rispetto alla società e alla politica premoderne, caratterizzate da discrezione, abusi, privilegi e arbitrio. Un’occhiatina a Foucault e Balibar, da questo punto di vista, non sarebbe stato male dargliela. L’universalità astratta della cittadinanza si costituisce all’inizio come ipotesi sovversiva, progressiva, proprio per cancellare le segmentazioni cetuali tra i cui interstizi prosperava l’arroganza baronale. È stato in seguito all’affermarsi del capitalismo, e alla repressione sanguinosa delle ipotesi alternative dei Moro, dei Munzer, dei Winstanley, dei Buonarroti e delle donne di Salem, dei cangaceiros, dei Nat Turner, che libertà e uguaglianza si sono identificate con l’homo oeconomicus». Alla ricerca del maranza perduto. Recensione a Houria Bouteldja, “Maranza di tutto il mondo, unitevi! Per un’alleanza dei barbari delle periferie”, DeriveApprodi, 2025 – Nuova serie dei delitti e delle pene Le osservazioni del prof. Scalia ci porterebbero lontano, tuttavia è necessario citarle perché accompagnano un argomento particolarmente dibattuto sulla stampa, sulle emittenti radio e televisive private e di Stato, ore e ore di trasmissione dedicate ai fenomeni giovanili e metropolitani appositamente confezionati per la narrazione securitaria delle città ostaggio di bande formate prevalentemente da giovani immigrati pronti a delinquere, inclini alla violenza gratuita, allo spaccio, pronti a sovvertire l’ordine costituito rappresentando manovalanza ieri per l’estremismo politico oggi per il terrorismo islamico. Cambiano i soggetti ma in fondo l’interesse per le classi sociali meno abbienti, per le devianze sociali è sempre indirizzato a giustificare percorsi repressivi, in questo ripetuto schema narrativo non c’è traccia alcuna di una critica al progressivo indebolimento del welfare, alla scomparsa degli operatori di strada, dei centri di ascolto, dei punti asl chiusi in questi anni. Al fine di giustificare la presenza, ormai capillare, delle forze dell’ordine serve alzare l’asticella della paura e della preoccupazione sociale, l’ordine pubblico viene sentito in perenne pericolo e sotto minaccia e di conseguenza cresce l’insicurezza percepita dai cittadini. Se andassimo per le strade a chiedere ai cittadini quali informazioni hanno del decreto sicurezza le risposte potrebbero essere sconcertanti, lo sappiamo per esperienza diretta avendone parlato nei luoghi di lavoro e nelle scuole imbattendoci in una disinformazione costruita ad arte. L’inizio di ogni ragionamento dovrebbe partire da ben altri presupposti ossia chiederci la ragione per la quale i reati nella fascia di età inferiore ai 18 anni sono raddoppiati come il numero dei minorenni detenuti negli istituti penali tanto da indurre il Governo a costruire nuove strutture. Urge quindi domandarci la ragione di questi fenomeni ed operare conseguentemente in una ottica non securitaria e repressiva. Se la risposta ai reati o alle devianze sociali, alle proteste di piazze o al dissenso, è quella di costruire nuovi articoli del codice penale e relative aggravanti si intraprende una strada senza ritorno e arriveremo a considerare la scuola come il terreno dove misurare l’efficacia della risposta securitaria. E con questa premessa torniamo alle dichiarazioni di Valditara di cui parlavamo all’inizio: «Nell’ultimo anno scolastico abbiamo registrato un aumento significativo di violenze contro professori e presidi” dice il ministro dell’Istruzione. Il suo obiettivo è riportare dietro ai banchi “il rispetto delle regole”». Forse il Ministro non legge i giornali perché dovrebbe riflettere sulla insicurezza vissuta nelle scuole che cadono a pezzi, una edilizia vecchia e fatiscente senza manutenzione o pensare ad altri fatti di cronaca, ad esempio l’intervento del Governo presso l’Inail per assicurare studenti e studentesse impegnati negli stages scuola -lavoro, crescono considerevolmente i feriti o i morti nel corso di queste attività.  La chiusura delle scuole fuori dagli orari canonici è accettata di buon grado per ragioni di bilancio magari perché mancano i soldi per pagare dei supplenti e degli straordinari, palestre, aule, laboratori non devono essere usufruibili al pomeriggio o alla sera, la scuola pubblica, per iniziativa ministeriale, smarrisce le sue molteplici funzioni educative. Ma invece di pensare alle scuole come ambito di incontro, e anche di scontro, tra più etnie e classi sociali si pensa a istituti comprensivi assediati dalla malavita, un immaginario collettivo che ci riporta alle pellicole statunitensi sul finire degli anni Settanta quando iniziava in quel paese un drastico ridimensionamento del welfare a favore delle guerre stellari, dei processi di privatizzazione dell’allora presidente conservatore R. Reagan. Davanti alla aggressione di studenti o docenti, Valditara non ha dubbi: «Nelle aree particolarmente a rischio si può immaginare una presenza delle forze dell’ordine a protezione di alcune scuole». La prima riflessione dovrebbe partire dal ruolo dell’insegnante caduto da tempo in disgrazia, svilito a colpi di controriforme che ne hanno seppellito ruolo e funzione sotto una montagna di adempimenti burocratici a mero discapito del rapporto frontale con le classi. E le classi pollaio, la scuola azienda erano oggetto di critiche da parte sindacale come la valutazione attraverso il sistema degli invalsi, a distanza di anni quel patrimonio critico si è assai affievolito. E attenzione: la delegittimazione della scuola pubblica va di pari passo con quella della sanità pubblica alla quale mancano risorse, personale e strumenti per competere con il privato, una scelta (fallimentare) costruita ad arte per delegittimare la sanità e l’istruzione pubblica e con esse tutto il personale della PA mortificandone conoscenze, umanità e professionalità. Quando Valditara parla di maggiore coinvolgimento delle forze dell’ordine negli istituti fino all’adozione di metal detector intende ben altro ossia lanciare un messaggio chiaro: la scuola è assediata dalla criminalità, la situazione sociale è fuori controllo, è bene ripristinare delle regole e chi meglio delle forze dell’ordine potrà farlo? E da qui la presenza di uomini e donne in divisa in molteplici vesti, in primis di educatori ed insegnanti fino al ripristino del voto in condotta che riporta indietro la scuola a quando si praticava la pedagogia, si fa per dire, della cieca obbedienza. Per drammatizzare il messaggio e la situazione vengono sapientemente scelti alcuni episodi e narrati a mezzo stampa per giustificare la strisciante opera di militarizzazione delle scuole, degli ospedali e della società. Il ruolo dei sindacati diventa dirimente, ad esempio le continue richieste di prevenire, a ragione, aggressione al personale della Pubblica Amministrazione, offre ai Governanti di turno soluzioni immediate e securitarie. Le aggressioni ai docenti e agli operatori sanitari avvengono non solo in contesti degradati nei quali la presenza dello Stato si limita all’azione repressiva delle forze dell’ordine ma in situazioni nelle quali un paziente può restare sulla barella del pronto soccorso ore e ore in attesa di cure solo per mancanza di personale, per locali non idonei.  E sul modello del pacchetto sicurezza si pensa di aumentare le sanzioni e le pene per chi aggredisce il corpo docente per “riportare nelle scuole il principio del rispetto delle regole” prima ancora di avere valorizzato il ruolo sociale ed educativo della docenza rilanciando la scuola pubblica come strumento di emancipazione anche sociale. In un paese nel quale l’ascensore sociale è fermo da lustri e le risposte al disagio sociale sono quasi solo di natura securitaria c’è da attendersi questo e altro, ad esempio se la via del Riarmo diventa dirimente per il futuro del paese urge abituarsi alle divise e alla normalità della guerra, a un futuro nel quale anche il disagio e le rivendicazioni sociali e politiche rappresenteranno una sorta di lusso intollerabile e insostenibile. E la repressione del cosiddetto nemico interno, una repressione preventiva per chiudere il cerchio della narrazione securitaria tra voto in condotta, soluzioni repressive e militarizzazione del corpo sociale utilizzando innumerevoli messaggi social che vedono la presenza, ormai asfissiante, delle forze dell’ordine in veste di educatori su qualsiasi materia, modelli di educazione civica per militarizzare l’immaginario collettivo. E questa strisciante opera di omologazione diventa determinante nell’attuale contesto storico con il riarmo europeo, l’aumento della spesa militare a discapito di quella sociale, alla idea che un continente di guerra e in guerra debba essere in grado di affrontare un fronte doppio, quello interno (contro le devianze sociali) ed esterno.  Siamo davanti a un modello sociale senza ritorno rispetto al quale non bastano risposte parziali che poi sono incapaci di cogliere l’ampiezza del problema. Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
31 maggio
IL GOVERNO HA POSTO LA FIDUCIA ALLA CAMERA SUL DECRETO LEGGE SICUREZZA AL TERMINE DELLA DISCUSSIONE SUL PROVVEDIMENTO. PROTESTE IN STRADA LUNEDÌ POMERIGGIO. LA POLIZIA HA IMPEDITO CHE LA PROTESTA SI AVVICINASSE AI PALAZZI ISTITUZIONALI. MENTRE CERCAVA DI MEDIARE CON LE FORZE DELL’ORDINE, È RIMASTO FERITO LUCA BLASI, ASSESSORE AL III MUNICIPIO DI ROMA CON DELEGA IN MATERIA DI POLITICHE CULTURALI E DIRITTO ALL’ABITARE E PORTAVOCE DELLA RETE NAZIONALE “NO DL SICUREZZA”. “C’È SOLO UNA RISPOSTA DA DARE ORA: IL 31 MAGGIO 2025 DOBBIAMO ESSERE MAREA, INVADERE ROMA CON CONTENUTI, CORPI, COLORI, MUSICA, PAROLE, AZIONI – SCRIVE LUCA DALL’OSPEDALE – DOBBIAMO COSTRUIRE LA PIÙ GRANDE MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO QUESTO GOVERNO…” -------------------------------------------------------------------------------- Sono ancora in ospedale (ore 21 di lunedì 26, ndr). Sto aspettando gli esami di controllo. Brutta botta, un occhio mal messo che vede a fatica, lividi qua e là. Dovrei essere dimesso in serata, vedremo la prognosi. Abbiamo la testa più dura di quanto credono. C’è poco da dire perché il video parla chiaro: come deciso dalla Rete No DDL Sicurezza stavo svolgendo un ruolo di mediazione, ero a volto scoperto e senza protezioni, tutto era finito quando circa due/tre agenti avanzano e mi colpiscono ripetutamente per farmi male. Il nostro movimento è un movimento pacifico ma radicale: abbiamo portato in piazza centinaia di migliaia di persone lungo 8 mesi di mobilitazione e assemblee ma nessuno del Governo ha ascoltato la voce delle piazze. L’hanno ascoltata la voce dei 100.000 manifestanti del 14 dicembre a Roma? L’hanno ascoltata la voce delle centinaia di fiaccolate che abbiamo fatto in tutte le città italiane? L’hanno ascoltata la voce dei giuristi, avvocati e magistrati, che hanno scioperato contro questo decreto? No. Anzi hanno accelerato, hanno provocato, hanno calpestato ogni minima norma democratica pur di portare avanti il loro progetto antidemocratico. Voglio innanzitutto ringraziare tuttə per la vicinanza e l’affetto. Voglio ringraziare tutta la Rete perché non molla un centimetro e ancora aggrega, rilancia, organizza, discute, lavora. Oggi dietro quegli scudi, che sono strumenti di difesa, c’è il paese non arreso, coraggioso, vivo. In tutti i paesi del mondo, anche quelli in cui lo scontro sociale è più duro, si può manifestare sotto i palazzi del potere. In Italia no. C’è solo una risposta da dare ora. Il 31 maggio 2025 dobbiamo essere marea, invadere Roma con contenuti, corpi, colori, musica, parole, azioni. Dobbiamo costruire la più grande manifestazione nazionale contro questo governo. Dobbiamo dimostrare che rappresentiamo quella parte grande di popolo italiano che non cederà un centimetro di democrazia alla peggior destra. La democrazia non si piega. Noi neppure. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI ALESSANDRA ALGOSTINO: > Un paese che si identifica con ordine e polizia -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo 31 maggio proviene da Comune-info.
Ultima Generazione: Firenze, a processo per l’azione al Ministero dell’Economia
Il decreto sicurezza colpirà ogni cittadino nel suo diritto al dissenso. Ieri, lunedì 19 maggio presso il tribunale di Firenze si è tenuta l’udienza predibattimentale per il processo a cinque persone di Ultima Generazione per l’azione avvenuta il 22 gennaio 2023 davanti al Ministero dell’Economia e delle Finanze. I reati contestati sono: *       art. 110 cp; art. 18 TULPS *       artt. 110, 639 cp L’udienza è stata rinviata al 16 giugno 2025. Adesso processano noi, i prossimi potreste essere voi Il processo che ci vede imputati oggi è lo specchio del DL Sicurezza, inizialmente presentato come disegno di legge: un testo che rappresenta il peggiore populismo penale, pieno di norme incostituzionali e esplicitamente pensato per reprimere il dissenso. Non riuscendo a farlo passare in Parlamento con il dovuto confronto democratico, il governo ha deciso di trasformarlo in un decreto legge – un vero e proprio colpo di mano. Il ministro Piantedosi ha dichiarato che «i tempi si sarebbero prolungati troppo». In altre parole, si è scelto di aggirare il dibattito democratico perché troppo lento rispetto alla fretta di colpire chi protesta. Con il nuovo decreto, gli operai che si siederanno su una strada per difendere il proprio posto di lavoro da qualche multinazionale che per fare profitto delocalizzerà all’estero potrebbero essere condannati a sei anni di carcere. Anche gli studenti che occuperanno lo spazio all’esterno dell’università per chiedere un reale diritto allo studio, per primo alloggi ad affitti accessibili, andranno incontro alla stessa pena. Chiunque, abitante, attivista, esponente politico, protesterà in un cantiere per la realizzazione di una grande infrastruttura inutile, costosa e impattante, come ad esempio il Ponte sullo Stretto, potrebbe essere condannato fino a vent’anni di carcere. La vera emergenza è quella di un governo autoritario e poliziesco Come ha ricordato più volte la Corte Costituzionale, il decreto legge è uno strumento eccezionale, da usare solo in caso di reale necessità e urgenza. È un principio chiaro: se non c’è un’emergenza, il decreto non è legittimo. E allora ci chiediamo: qual è l’urgenza? Quale minaccia imminente giustifica l’imposizione, senza confronto democratico, di misure così repressive? La realtà è che l’unica urgenza del governo è zittire il dissenso. Questo decreto è l’ennesimo atto di asservimento e annichilimento del Parlamento, ridotto sempre più a semplice spettatore. È un uso distorto e pericoloso della legge, che svuota la democrazia mentre finge di rispettarla. Non serve immaginare un ritorno al passato: l’autoritarismo oggi passa anche per strade “legali”, usando strumenti apparentemente legittimi per limitare spazi di libertà e confronto. Noi continueremo nella resistenza civile. I nostri canali Aggiornamenti in tempo reale saranno disponibili sui nostri social e nel sito web: * Sito web:https://ultima-generazione.com * Facebook@ultimagenerazione.A22 * Instagram@ultima.generazione * Twitter@UltimaGenerazi1 * Telegram@ultimagenerazione Ultima Generazione è una coalizione di cittadini ed è membro del network A22. Ultima Generazione
Decreto sicurezza: “gravissimi profili di incostituzionalità”. L’appello promosso dai giuristi supera le 5.000 firme
Il Decreto Sicurezza “presenta una serie di gravissimi profili di incostituzionalità“. In primo luogo, la decretazione d’urgenza, “senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza” costituisce una “violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti” delle prerogative del Parlamento. Nel merito, poi, è un decreto che punta a reprimere il dissenso e comprime alcuni diritti fondamentali, tassello fondamentale in qualunque democrazia. Non usa mezzi termini l’appello pubblico promosso da 237 i giuristi italiani, tra cui tre presidenti emeriti della Corte Costituzionale. Le firme sono raccolte sul sito di Articolo21. -------------------------------------------------------------------------------- Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo dell’appello: È compito dei giuspubblicisti nei periodi normali della vita del paese interpretare ed insegnare la nostra Costituzione. È anche compito dei singoli giuspubblicisti assumere delle posizioni individuali all’esterno dell’Università. Ci sono momenti però nei quali accadono forzature istituzionali di particolare gravità, di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso assumere insieme delle pubbliche posizioni. È questo il caso che si è verificato nei giorni scorsi quando il disegno di legge sulla sicurezza, che stava concludendo il suo iter dopo lunghi mesi di acceso dibattito parlamentare dati i discutibilissimi contenuti, è stato trasformato dal Governo in un ennesimo decreto-legge, senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza, come la Costituzione impone. Tale decreto – ultimo anello di un’ormai lunga catena di attacchi volti a comprimere i diritti e accentrare il potere – presenta una serie di gravissimi profili di incostituzionalità, il primo dei quali consiste nel vero e proprio vulnus causato alla funzione legislativa delle Camere. È accaduto spesso in passato ed anche in tempi recenti che la dottrina si trovasse a denunciare l’uso abnorme dello strumento della decretazione d’urgenza. Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, Presidenti delle Camere hanno più volte preso posizione in difesa del Parlamento e delle sue prerogative gravemente calpestate nell’esercizio della potestà legislativa, rimanendo inascoltati. In quest’occasione la violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti, dato che l’iter legislativo, ai sensi dell’art. 72 della Costituzione era ormai prossimo alla conclusione, quando è intervenuto il plateale colpo di mano con cui il Governo si è appropriato del testo e di un compito, che, secondo l’art. 77 Costituzione può svolgere solo in casi straordinari di necessità e di urgenza, al solo scopo, sembra, di umiliare il Parlamento e i cittadini da esso rappresentati. Quanto al merito, si tratta di un disegno estremamente pericoloso di repressione di quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società democratica. Ed è motivo di ulteriore preoccupazione il fatto che questo disegno si realizzi attraverso un irragionevole aumento qualitativo e quantitativo delle sanzioni penali che – in quanto tali – sconsiglierebbero il ricorso alla decretazione d’urgenza, dal momento che il principio di colpevolezza richiede che chi compie un atto debba poter sapere in anticipo se esso è punibile come reato mentre, al contrario, l’immediata entrata in vigore di un decreto-legge ne impedisce la preventiva conoscibilità. Numerosi sono i principi costituzionali che appaiono compromessi. Solo a scopo esemplificativo vogliamo ricordarne alcuni: il principio di uguaglianza non consente in alcun modo di equiparare i centri di trattenimento per stranieri extracomunitari al carcere o la resistenza passiva a condotte attive di rivolta; in contrasto con l’art. 13 Cost. e la tutela della libertà personale è il c.d. daspo urbano disposto dal questore che equipara condannati e denunciati; non meno preoccupante è la previsione con cui si autorizza la polizia a portare armi, anche diverse da quelle di ordinanza e fuori dal servizio. Una serie di disposizioni del decreto-legge aggravano gli elementi di repressione penale degli illeciti addebitati alla responsabilità di singoli o di gruppi solo per il fatto che l’illecito avvenga “in occasione” di pubbliche manifestazioni, disposizione che per la sua vaghezza contrasta con il principio di tipicità delle condotte penalmente rilevanti, violando per giunta la specifica protezione costituzionale accordata alla libertà di riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico (art. 17 Cost.) mentre altre disposizioni violano palesemente il principio di determinatezza e di tassatività tutelato dall’art. 25 Cost.: si punisce con la reclusione chi occupa o detiene senza titolo “un immobile destinato a domicilio altrui o sue pertinenze”; si rischiano pene fino a sette anni per l’occupazione di luoghi che presentano un’estensione del tutto imprecisata e rimessa a valutazioni e preferenze del tutto soggettive dell’interprete. Torsione securitaria, ordine pubblico, limitazione del dissenso, accento posto prevalentemente sull’autorità e sulla repressione piuttosto che sulla libertà e sui diritti rappresentano le costanti di questi interventi Insegniamo che la missione di chi governa dovrebbe essere quella di cercare un equilibrio nel rapporto tra individuo e autorità. Invece, il filo che lega il metodo e il merito di questo nuovo intervento normativo rende esplicito un disegno complessivo, che tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a governare con la paura invece di governare la paura. Confidiamo che tutti gli organi di garanzia costituzionale mantengano alta l’attenzione e censurino questo allontanamento dallo spirito della nostra Costituzione, che fonda la convivenza della comunità nazionale su democrazia, pluralismo, diritti di libertà ed uguaglianza di fronte alla legge, affinché nessuno debba temere lo Stato e tutti possano riconoscerne, con fiducia, il ruolo di garante della legalità e dei diritti.