Tag - cessate il fuoco

Gaza, gli aiuti disumani
Immaginate con me, per favore, che tipo di aiuti umanitari possano essere quei camion carichi di un po’ di cibo, se il segnale per il loro ingresso è costituito da proiettili e colpi di arma da fuoco. Per chi non lo sapesse, prima che i camion entrino a Gaza, l’esercito israeliano lancia un vasto attacco contro coloro che attendono questi aiuti, sostenendo di volerli disperdere e allontanare dal confine per permettere ai camion di passare. Forse questa affermazione è persino vera, perché gli affamati si trovano a pochi metri dalle unità dell’esercito per la disperazione e la fame. Ma che tipo di “umanità” è mai questa, se il modo per disperdere le persone è ucciderle e sparare su di loro con proiettili e bombardamenti indiscriminati? Il fatto più tragico è che uno dei “segnali” che conferma l’arrivo dei camion è il numero dei morti e dei feriti. Ogni volta che vengono estratti dei corpi da lì, la popolazione capisce che i camion stanno per entrare, perché l’esercito ha “ripulito” l’area dagli affamati che si avvicinano alla zona di uscita dei mezzi. Un’altra tragedia è che l’arrivo di questi camion, dopo aver lasciato dietro di sé molte vittime, provoca caos, violenza e disordini che spesso causano nuove vittime, imponendo la “legge della giungla”: qui il più forte riesce a spingere via il più debole dal camion, ferendolo o addirittura uccidendolo, e così “merita” il cibo grazie alla sua forza e alla capacità di sopraffare gli altri. Dov’è l’umanità in tutto ciò? La terza tragedia, la più grave, è che la maggior parte delle famiglie senza uomini o giovani non riesce a ottenere alcun cibo. Molti anziani e madri che hanno perso i loro mariti non hanno alcuna possibilità di procurarsi del cibo tra spinte e scalate ai camion. Che tipo di “umanità” è mai quella che impedisce a orfani, vedove e anziani — le categorie che più hanno bisogno di aiuti umanitari — di ricevere del cibo? Per quanto riguarda il cosiddetto lancio di aiuti dal cielo, promosso da alcuni Paesi arabi ed europei, è più un’“umiliazione dall’alto” che un aiuto aereo. Non so come possa un pilota aprire i portelloni del suo aereo per lanciare tonnellate di cibo su una città fatta per il 70% di tende, e cosa provi mentre vede bambini e affamati correre sotto l’aereo, implorando con i gesti perché vogliono mangiare, sapendo che, appena i container toccano terra, o distruggeranno una tenda o feriranno e uccideranno molte persone che lottano tra loro per quel cibo. Vi racconto la mia esperienza con i lanci aerei: l’anno scorso, durante la prima carestia, cadde un paracadute carico di aiuti nella mia zona. Mi trovavo vicino e appena la cassa toccò terra fui il primo ad afferrarne un lato. Prima ancora di aprirla, ricevetti un colpo alla testa e una coltellata alla schiena che mi fece indietreggiare. Cercai di riprendermi e vidi un gran numero di persone colpirsi con coltelli e bastoni per impossessarsi di quel cibo. Spero che la mia esperienza con i paracadute vi faccia capire la tragedia che stiamo affrontando. L’unica soluzione per fermare la carestia a Gaza e salvare la sua gente è un cessate il fuoco e consentire agli enti preposti alla sicurezza di proteggere gli aiuti e consegnarli ad organizzazioni internazionali come l’UNRWA e il World Food Programme, in modo che vengano distribuiti con dignità. Qualsiasi altro tipo di aiuto non è umanitario, ma soltanto una trappola mortale. #Alaa_Ahmed https://www.instagram.com/alaa_ahmed_829?igsh=MXh3cm91MWF2cHA1aQ==   Redazione Italia
PALESTINA: PER ISRAELE E USA I NEGOZIATI SU GAZA SONO “FALLITI”. RITIRATE LE DELEGAZIONI A DOHA
A Gaza un quarto dei bambini e delle donne è malnutrito. A dirlo è Medici Senza Frontiere che gestisce una clinica a Gaza City, per il momento sfuggita alla devastazione scatenata dall’esercito israeliano. Il numero delle persone colpite dalla fame è quadruplicato da maggio, continua Msf, e ogni giorno ci sono 25 nuovi pazienti ammessi. La fame colpisce la popolazione palestinese, ma anche lo staff sanitario inizia a soffrire la carenza di cibo. “Non è solo fame”, denuncia Msf, “ma una fame deliberata, provocata dalle autorità israeliane”. “Non ho mai visto niente del genere, ogni giorno è sempre peggio”, ha detto al Corriere della Sera Stefano Piziali, direttore della ong Cesvi, anch’essa attiva a Gaza. Nella Striscia uccide la fame e continuano a uccidere i colpi dell’esercito israeliano. Sale ancora il bilancio dei giornalisti uccisi dagli attacchi di Israele, sono 232 dopo l’uccisione del fotoreporter Adam Abu Harbid. Lo fa sapere Al Jazeera. L’agenzia palestinese Wafa riferisce invece di nuovi attachi aerei contro i rifugi di sfollati a Gaza City e Khan Younis, con due vittime e decine di feriti. Un palestinese di 14 anni è invece morto questa mattina (venerdì 25 luglio 2025) a causa delle ferite riportate all’inizio della settimana, durante un raid israeliano sul campo profughi di Al-Ain. Di fronte a questo scenario sono ufficialmente “fallite” le trattative di Doha, Qatar, per il cessate il fuoco. Stati Uniti e Israele hanno abbandonato il tavolo scaricando la responsabilità del fallimento sulle spalle di Hamas e delle altre fazioni palestinesi. Per Washington e Tel Aviv le condizioni poste dal movimento islamico palestinese sono “inaccettabili”, in particolare la richiesta di liberazione di duecento palestinesi condannati all’ergastolo dallo stato israeliano e la garanzia che, una volta entrato in vigore il cessate il fuoco, l’esercito israeliano non riprenda con gli attacchi militari via aria e via terra contro la Striscia. Sul fronte internazionale, tengono banco le dichiarazioni di Macron sul riconoscimento dello Stato di Palestina da parte della Francia alle Nazioni Unite all’assemblea di settembre. “Un premio al terrore” lo ha definito il premier israeliano Nethanyau; “decisione sconsiderata” secondo il segretario di Stato americano Rubio. Londra potrebbe però seguire Parigi. Oggi è previsto un incontro tra i governi francese, inglese e tedesco. È ancora presto per capire se quello di Macron sia un bluff finalizzato a fare pressione su Israele affinché smetta di bombardare la Striscia di Gaza, oppure se l’intenzione politica sia effettivamente quella di giungere a un riconoscimento della Palestina da parte della Francia. Su Radio Onda d’Urto abbiamo fatto il punto sulla cronaca con Michele Giorgio, corrispondente de Il Manifesto da Gerusalemme e direttore di Pagine Esteri. Ascolta o scarica.  
Tregua di 60 giorni o cessate il fuoco
Dopo 21 mesi di aggressione genocidaria incessante a Gaza, e più di 60.000 mila morti, 135.000 feriti, e la distruzione del 85% della striscia, tutto questo sotto gli occhi del mondo. Abbiamo assistito alla impotenza/ complicità di tanti governi che hanno bloccato ogni tentativo di fermare questo genocidio del popolo […] L'articolo Tregua di 60 giorni o cessate il fuoco su Contropiano.
PALESTINA: A VUOTO IL PRIMO ROUND NEGOZIALE IN QATAR. ISRAELE PROSEGUE GENOCIDIO E OCCUPAZIONE. NETANYAHU VOLA DA TRUMP
Continua il genocidio dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Nelle prime ore del mattino di lunedì 7 luglio 2025 altri quattordici palestinesi sono rimasti uccisi nei bombardamenti israeliani che hanno colpito diverse aree. Intanto arrivano nuove testimonianze sull’entità e serialità dei crimini israeliani. Un riservista dell’esercito intervistato da Sky News ha dichiarato che alla sua unità veniva ordinato di sparare a chiunque, civile o meno, indipendentemente dal fatto che rappresentasse o meno una minaccia dal punto di vista militare. Coperto dall’anonimato, il soldato della 252esima Divisione dell’esercito di Tel Aviv, ha detto: “le truppe uccidono i civili in modo arbitrario”. Intanto proseguono gli assalti, le uccisioni, le demolizioni, i saccheggi dei coloni e dei militari israeliani nella Cisgiordania occupata. Ieri sera, domenica 6 luglio 2025, ci sono state altre due vittime palestinesi anche in West Bank, uccise dai militari occupanti nel villaggio di Salem, vicino Nablus. Israele, infine, è tornato anche a bombardare lo Yemen. L’esercito di Tel Aviv ha attaccato i porti di Hodeida, Ras Isa e Salif e la centrale elettrica di Ras Kanatib, lungo in Mar Rosso, giustificando il suo operato con il lancio di tre missili balistici diretti contro Israele. Il tutto mentre si è concluso con l’ennesimo nulla di fatto il primo round di colloqui indiretti tra Israele e Hamas, che prima dei negoziati ha tenuto consultazioni con le altre forze della resistenza palestinese. Sul tavolo della discussione ci sono una tregua di sessanta giorni e un nuovo scambio di prigiornieri. I colloqui si svolgono a Doha, capitale dal Qatar, stato mediatore insieme all’Egitto, e dovrebbero comunque proseguire. Secondo fonti citate dai media, la delegazione israeliana non dispone di un mandato sufficientemente ampio per siglare un accordo.  Netanyahu aveva definito ieri “inaccettabili” le modifiche chieste da Hamas alla proposta. Oggi, il premier israeliano è a Washington dall’alleato Trump. I due discuteranno di Gaza, Cisgiordania, ma anche di Siria, Libano e dei loro piani egemonici sull’intera regione mediorientale. Nelle prime ore del mattino Sami Abu Omar, cooperante del centro socio-culturale Vik di Gaza city, ha inviato alla redazione di Radio Onda d’Urto, della quale è storico collaboratore e corrispondente, un aggiornamento dal sud della Striscia. Ascolta o scarica. Su Radio Onda d’Urto è intervenuta, per un punto della situazione, anche la giornalista Eliana Riva, caporedattrice di Pagine Esteri. Ascolta o scarica.
Gaza. Accordo 60 giorni: tregua o cessate il fuoco?
Come era previsto Hamas ha accettato la proposta di cessate il fuoco a Gaza. Diverse fonti hanno rivelato gli aspetti più importanti dell’accordo, che include un programma per il rilascio di dieci prigionieri israeliani viventi in cambio del rilascio di 1.000 prigionieri palestinesi tra cui più di 100 ergastolani. La […] L'articolo Gaza. Accordo 60 giorni: tregua o cessate il fuoco? su Contropiano.
Gaza. Verso un cessate il fuoco?
Alcuni esponenti di Hamas hanno espresso la volontà di fermare le armi, che Israele ha chiesto come condizione per un cessate il fuoco permanente nella Striscia di Gaza, ha riferito l’agenzia saudita Asharq News, citando funzionari di Hamas che hanno familiarità con la questione. Hamas sta cercando chiare garanzie che […] L'articolo Gaza. Verso un cessate il fuoco? su Contropiano.
Dall’Italia una concreta proposta di pace per l’Ucraina
Parte dall’Italia il primo tentativo di diplomazia “dal basso”. Di fronte all’inerzia dei governi alcuni cittadini e intellettuali volenterosi, guidati dal filosofo padovano Damiano Migliorini, hanno lanciato un’iniziativa che sta diventando virale nei social, tramite whatsapp ed email. Si tratta di una proposta diplomatica concreta di accordo di pace che segue un principio chiave della nonviolenza: di fronte allo stallo militare, vista l’inutile strage di militari e civili, per giungere a una pace si devono cercare dei compromessi che non siano umilianti per le parti in causa nel conflitto. Su chi ricada la responsabilità di una terribile invasione è chiaro a tutti, ma dopo anni di conflitto, le soluzioni massimaliste non sono possibili, da entrambe le parti. I politici propongono slogan, ma non idee: l’iniziativa si propone di far giungere alle orecchie dei “grandi” queste proposte concrete per intavolare un reale percorso negoziale. La proposta di pace è infatti molto concreta e si articola in 8 punti: 1. Cessate il fuoco nell’attuale linea del fronte, restituzione dei caduti, dei prigionieri e dei bambini; 2. I territori attualmente occupati (Crimea, parte di Kherson, parte di Zaporizhzhia, parte del Donetsk, Luhansk) dovranno essere demilitarizzati. Diventano temporaneamente autonomi, gestiti democraticamente sotto la sorveglianza di un contingente formato da militari degli attuali paesi BRICS (Russia esclusa), con mandato ONU. Questi territori, dopo adeguate bonifiche e ricostruzioni, saranno chiamati, tra 25-30 anni a un referendum libero e democratico, sorvegliato e gestito dall’ONU, per decidere se: (a) continuare ad essere autonomi; (b) tornare all’Ucraina in forma confederata. Per la Crimea è possibile eventualmente ipotizzare uno scenario istituzionale come quello Nord-Irlandese. 3. Raggiunto il cessate il fuoco e sospesa la legge marziale, libere elezioni in Ucraina, rigidamente sorvegliate da ispettori internazionali. 4. Gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia da parte di un ente terzo, che si impegna a fornire energia sia ai nuovi territori autonomi, sia all’Ucraina. 5. Adesione “territoriale” dell’Ucraina all’Unione Europea, con clausola di salvataggio (intervento delle nazioni europee) in caso di invasione esterna, tramite stipula di trattati integrati con i 27. Questi trattati si configurano come “garanzie di sicurezza” rispetto all’inviolabilità futura del territorio ucraino. Per l’adesione economica e giuridica all’UE, si adotteranno in seguito le procedure standard (ma velocizzate) previste per l’ingresso dei Paesi nell’UE. 6. Non adesione dell’Ucraina alla Nato (in cambio del punto 5.) ma possibilità di sviluppare il proprio esercito in collaborazione con i partner Occidentali. 7. Dichiarazione di neutralità (armata) dell’Ucraina sul modello finlandese (pre-adesione Nato). Inserimento in Costituzione di un articolo simile all’Art. 11 della Costituzione italiana. 8. Riconoscimento del russo come seconda lingua ufficiale in Ucraina; sul modello di altre nazioni europee bilingue. Questa proposta, si trova scritto nel sito che la promuove (https://peaceagreementukraine.wordpress.com/), non è di qualcuno in particolare. È firmata idealmente da tutte le persone che la stanno condividendo con ogni mezzo disponibile sui social, email, whatsapp. Tutto gratuitamente, nessuno vuole guadagnarci nulla. L’unico obiettivo è una pace giusta per le future generazioni. Ciascuno può contribuire visitando il sito e facendo conoscere l’iniziativa. P.A.F.U. Redazione Italia
MEDIO ORIENTE: TRUMP PROMETTE “PACE” A DESTRA E A MANCA, DALLE TRATTATIVE CON L’IRAN AL “CESSATE IL FUOCO A BREVE” A GAZA. IL COMMENTO DI MICHELE GIORGIO
Sabato 28 giugno 2025 migliaia di persone hanno partecipato, a Teheran, ai funerali di Stato di 60 vittime – tra ufficiali dell’esercito e ricercatori – delle centinaia uccise da Israele in 12 giorni di bombardamenti terminati, in teoria, con il cessate il fuoco annunciato nei giorni scorsi. L’allerta resta massima in Iran nonostante le dichiarazioni di Trump, secondo cui gli Stati Uniti d’America sarebbero pronti a riprendere le trattative sul nucleare con Teheran. In questi giorni il presidente Usa – che una settimana fa ordinava i bombardamenti sui siti nucleari iraniani – promette “pace” a destra e a manca. Dopo aver parlato di pace in arrivo in Iran, ha dichiarato: “Raggiungeremo un cessate il fuoco a Gaza entro la prossima settimana, l’intesa è vicina”. Una posizione, quest’ultima, che sembra confermata dal portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, secondo cui i propri mediatori starebbero “collaborando con Israele e Hamas per sfruttare lo slancio del cessate il fuoco con l’Iran e lavorare per una tregua anche nella Striscia di Gaza”. Quel che è certo, tuttavia, è che nella Striscia di Gaza intanto prosegue il genocidio per mano dell’esercito israeliano. Solo dalla tarda serata di venerdì 27 giugno ci sarebbero già state almeno 34 vittime degli attacchi israeliani. Tra le vittime, rientrano le 12 persone uccise allo Stadio Palestine di Gaza City che ospita gli sfollati, e quelle dei bombardamenti che hanno centrato il campo profughi di al-Mawasi, a Khan Yunis, e la zona di as-Saftawi, nel nord di Gaza, dove l’attacco aereo israeliano avrebbe colpito una scuola in cui molti sfollati avevano cercato rifugio. L’analisi ai microfoni di Radio Onda d’Urto di Michele Giorgio, corrispondente de Il Manifesto da Gerusalemme, direttore di Pagine Esteri e nostro collaboratore. Ascolta o scarica.
ISRAELE – IRAN: LA TREGUA È FRAGILE. ACCUSE INCROCIATE DI VIOLAZIONE. ANALISI E COMMENTI SU RADIO ONDA D’URTO
Dopo gli attacchi iraniani alle basi dell’esercito Usa in Qatar e Iraq nella serata di lunedì 23 giugno 2025 in risposta ai bombardamenti statunitensi del fine settimana, il presidente degli Stati Uniti Trump ha annunciato un cessate il fuoco tra Israele e Iran dopo dodici giorni di bombardamenti israeliani e attacchi missilistici iraniani. Tel Aviv e Teheran hanno confermato. Oggi gli eserciti israeliano e iraniano si sono accusati a vicenda di aver violato la fragile tregua, che al momento sembra però tenere. In partenza per il vertice della Nato a L’Aja, nei Paesi Bassi, Trump ha ammesso che entrambe le parti hanno violato il cessate il fuoco e ha sostenuto di aver “richiamato” l’alleato Netanyahu. Il presidente Usa ha anche dichiarato di non volere un cambio di regime in Iran perché “sarebbe il caos”. Il presidente iraniano Pezeshkian, invece, ha aperto alle trattative e si è detto pronto a tornare al tavolo dei negoziati. In Iran, intanto, secondo Humans Rights Activists News Agency (Hrana), i 12 giorni di bombardamenti israeliani avrebbero ucciso 974 persone e ne avrebbero ferite circa 3500, per la maggior parte civili. L’ong denuncia allo stesso tempo come sul fronte interno le autorità iraniane abbiano effettuato 705 arresti nell’ambito della stretta contro persone sospettate di spionaggio e oppositori politici. Il governo iraniano ha confermato per ora la morte di 610 persone e il ferimento di 4700. Nella notte tra lunedì 23 e martedì 24 giugno, prima dell’entrata in vigore della tregua, missili iraniani avevano colpito la città israeliana di Ber Sheeva, uccidendo 5 persone e distruggendo diversi edifici. Nel pomeriggio di martedì 24 giugno 2025, sulle frequenze di Radio Onda d’Urto abbiamo ospitato: * Il giornalista e nostro collaboratore Murat Cinar, con il quale abbiamo fatto il punto sulla cronaca e sugli obiettivi dello stato di Israele e degli Stati Uniti d’America nella guerra contro l’Iran; analizzato il ruolo e la posizione del governo turco rispetto alla guerra in territorio iraniano; ricordato la posizione rispetto alla guerra di alcune organizzazioni politiche dell’opposizione iraniana, in particolare del PJAK (Partito per la vita libera del Kurdistan) curdo-iraniano. Ascolta o scarica. * Davide Grasso, ricercatore in Sociologia politica presso il dipartimento di Culture, politica e società dell’Università di Torino e nostro collaboratore. Con lui abbiamo parlato delle guerre e delle aggressioni israeliane nella regione, dalla Palestina al Libano, dalla Siria all’Iran; delle sistematiche violazioni del diritto internazionale da parte degli stati-nazione, delle potenze egemoni regionali e internazionali; delle prese di posizione delle persone e dei movimenti politici organizzati dell’opposizione iraniana, in particolare delle organizzazioni attive nel Rojhilat, il Kurdistan iraniano, tra le quali le formazioni di sinistra come PJAK o Komala, schierate contro il regime di Teheran e contro la guerra di aggressione israeliana, a differenza dei partiti curdi di destra e conservatori che hanno espresso posizioni filo-iraniane. Ascolta o scarica.
Oltre il muro dell’odio e del silenzio. Il messaggio e l’attività del Comitato Monteverde per la pace
Cessiamo il fuoco ora La pace è possibile, dipende anche da noi Fermiamo l’annientamento del popolo palestinese! Campi profughi bombardati e bruciati, ospedali, scuole, edifici pubblici distrutti, personale sanitario, giornalisti, operatori della solidarietà torturati o uccisi, aiuti umanitari bloccati, fame, sete, freddo, malattie, negazione di cure, usate sistematicamente come armi di guerra. Israele continua a non rispettare gli accordi della tregua e ha ripreso bombardamenti sempre più violenti a Gaza, mentre in Cisgiordania la violenza dei coloni che distruggono case e beni e si appropriano di terre è sostenuta e impunita. Ormai gli scopi appaiono chiari: appropriazione di tutta la terra con espulsione del popolo palestinese da Gaza, occupazione a tempo indeterminato e apartheid in Cisgiordania, con la popolazione confinata in spazi sempre più ridotti. Tutto questo non è iniziato il 7 ottobre, ma parte dalla Nakba del 1948 (distruzione di 500 villaggi ed espulsione dei palestinesi). Noi di Monteverde per la Pace continuiamo a denunciare a gran voce la gravità della situazione, sosteniamo le voci di dissenso nei confronti della politica del governo israeliano, invitiamo tutti a prendere posizione per fare pressione sulle nostre istituzioni, perché impongano al governo israeliano il rispetto del diritto internazionale e sostengano il diritto del popolo palestinese all’esistenza e all’autodeterminazione.” Questo il testo di uno degli ultimi volantini prodotti e diffusi dal romano Comitato Monteverde per la Pace (CMP), una libera e ammirevolmente dinamica associazione di persone non disposte a rimanere rassegnate in silenzio e desiderose di tentare di contrastare il fenomeno della guerra e le dolorose vicende internazionali del mondo contemporaneo intrise di ingiustizia, irrazionalità e violenza. Con alcuni attivisti del Comitato è nata la conversazione che segue. Negli ultimi mesi, grazie ad alcune iniziative di una certa rilevanza, una realtà associativa come la vostra ha finito per godere di un’improvvisa e insperata attenzione, soprattutto all’interno del mondo progressista e del volontariato. Più merito vostro o demerito di tanti altri soggetti, molto più grandi di voi, sfortunatamente alquanto inattivi e silenziosi? Stiamo parlando di una piccola realtà associativa territoriale (Comitato Monteverde per la Pace – CMP) che si è costituita (intorno a ottobre 2023) come aggregazione di tante altre realtà sociali e politiche storiche del quartiere Monteverde allargato. Sono comunque tutte realtà non legate, anzi orgogliosamente indipendenti, dalle forze politico-partitiche. Cito, come esempio: “Comitato solidale e antirazzista Monteverde”, “Reti di Pace – Piazze per la sostenibilità e la Pace”, “Comitato Roma XII per la Costituzione” , Comitato Roma XII per i Beni Comuni”, “Circolo  Arci Canapè”, etc. Queste realtà si conoscono da anni, avendo collaborato su varie campagne (ad es. per il Referendum per l’Acqua Pubblica del 2011, per il Referendum sulla Riforma Costituzionale di Renzi del 2016, o per la costituzione di un circolo ANPI indipendente dai partiti nel 2019); gli attivisti in alcuni casi si conoscono dall’epoca delle scuole medie e superiori. Dato il pregresso storico, ormai gli attivisti militanti hanno tutti una età avanzata e sono rimasti piuttosto legati ai metodi tradizionali di diffusione delle campagne, dove si agisce mettendoci la faccia e il corpo con volantinaggi su strada, tavolini, presidi, etc. Per dire, il CMP non ha neanche una pagina Fb … Ci avvaliamo, però, di due chat Whatsapp: una più orientata agli aspetti operativi/organizzativi interni; l’altra a mettere in evidenza le iniziative, le informazioni, gli eventi esterni. Questa seconda funge anche da fonte di informazione alternativa al mainstream. Praticamente, l’adesione al comitato avviene con l’adesione a queste due chat. Ad oggi, il numero di adesioni a ciascuna chat è di circa 70 persone, anche se i partecipanti agli incontri in presenza (circa ogni 15 giorni) scendono circa a 20. Quali eventi e considerazioni sono alla base della nascita del vostro gruppo e quali le finalità che vi siete dati? La data di nascita del CMP è intorno a ottobre 2023, come reazione spontanea alla questione palestinese riesplosa dopo i fatti del 7 ottobre, presi a pretesto da Israele come inizio della storia della “guerra” Hamas-Israele, quando invece, grazie alla conoscenza storica di noi attivisti, sappiamo bene che la questione palestinese risale alla catastrofe del 1948 con la Nakba, l’espulsione di centinaia di migliaia di nativi palestinesi dalle loro terre e case. Le finalità che ci siamo dati sono le seguenti: * L’immediata cessazione del genocidio del popolo palestinese * La cessazione definitiva di ogni aggressione per la realizzazione di una pace giusta * La liberazione dei prigionieri palestinesi e degli ostaggi israeliani * Un’azione diplomatica per il cessate il fuoco in Ucraina * La messa al bando delle armi nucleari * La progressiva cessazione delle spese militari * La conversione dell’industria bellica. * La trasparenza sull’import-export delle armi: No allo smantellamento della legge 185/90. * L’immediata cessazione del sostegno politico, militare ed economico e dell’invio di armi a tutti gli Stati belligeranti * Il rispetto della legalità internazionale Che tipo di consenso state riscontrando all’interno del quartiere? Avete ricevuto concrete manifestazioni di simpatia e solidarietà, o anche di ostilità? Abbiamo ricevuto un consenso crescente, mano a mano che si andava evidenziando il vero obiettivo del governo israeliano di farla finita una volta per tutte con i palestinesi di Gaza e di Cisgiordania. Siamo passati attraverso varie fasi. All’inizio, dovevamo contrastare l’accusa dell’antisemitismo: superata quella, perché era superabile in quanto falsa, abbiamo dovuto affrontare la resistenza all’affermazione “Stop al genocidio”. Ci furono resistenze anche interne al nostro gruppo da parte di chi ancora non voleva credere ai propri occhi. La svolta ci fu con l’incontro del 14 febbraio 2025 con Riccardo Noury (portavoce della sezione italiana di Amnesty International), che chiarì definitivamente la questione: quelle di Israele sono azioni chiaramente genocidiarie. Abbiamo ricevuto su strada anche improperi e minacce a livello fisico, di ebrei-sionisti-fascisti e abbiamo avuto a che fare con vari eventi di identificazione della polizia, che poi ci ha chiesto di essere sempre informata dei nostri volantinaggi, anche a nostra protezione. Siete riusciti a entrare in contatto anche con realtà giovanili del quartiere e ad attirare qualche giovane desideroso di impegnarsi al vostro fianco? Sì, ma la nostra età e i nostri metodi non sono quelli usati dai giovani, i quali ragionano bene tra di loro e si organizzano nel modo più adatto al loro sentire socio-politico.  Al di là dei giudizi positivi fin qui ricevuti e al di là dell’attenzione che (fortunatamente) si è concentrata sulle vostre attività, quanto pensate che sia realmente possibile riuscire a fermare le immense macchine da guerra che si sono messe in movimento e che potrebbero trascinarci presto verso la catastrofe? Forse qualcosa di analogo potrebbe/dovrebbe nascere in ogni rione, in ogni contrada, in ogni condominio, in ogni luogo di lavoro, in ogni parrocchia, ecc? Se qualcun@ di coloro che ha aderito a questo piccolo movimento dal basso pensasse davvero di fermare le immense macchine da guerra … sarebbe un grande illus@ e soffrirebbe doppiamente, sia per la constatazione che il disastro sta continuando imperterrito, sia per la frustrazione derivante dall’apparente inutilità delle proprie iniziative. Ci siamo detti che le azioni che mettiamo in campo hanno due valenze: una individuale di poter affermare, mettendoci faccia e corpo (e non solo intellettualmente): “Non in mio nome!” L’altra è l’azione collettiva di sensibilizzazione verso la popolazione che incontriamo, con l’invito a partecipare attivamente. Infatti, nel retro dei volantini c’è sempre il “Cosa possiamo fare noi” . Certamente se un movimento dal basso come questo, in queste forme o in altre più consone ai promotori nascesse in ogni municipio o luogo associativo, sarebbe l’ideale. Un esempio rilevante nell’XI municipio è il “Collettivo Palestina Roma Trullo” che ha già organizzato incontri ed eventi di spessore, ma forse ne esistono in ogni Municipio. Contatti: monteverdeperlapace@gmail.com     Redazione Roma