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Gaza, MSF: “I medici non possono fermare il genocidio, ma i leader mondiali sì”
“I medici non possono fermare il genocidio, ma i leader mondiali sì”, è la nuova campagna internazionale di Medici Senza Frontiere (MSF) rivolta a tutti i capi di governo dei Paesi in cui l’organizzazione è presente. In Italia, MSF chiede al governo Meloni di usare tutti gli strumenti politici, diplomatici ed economici soprattutto in vista dell’High level week dell’ottantesima sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu. “A Gaza non solo è in corso una catastrofe umanitaria, ma anche la distruzione sistematica di un popolo. Israele sta commettendo un genocidio a Gaza contro i palestinesi” dichiara Stefano Di Carlo, direttore generale di MSF in Italia. “Con la loro inazione, il loro silenzio o il loro sostegno diretto alle autorità israeliane, i governi di tutto il mondo, Italia compresa, sono complici di questo genocidio. Hanno l’obbligo morale e legale di reagire, utilizzando ogni strumento politico, diplomatico ed economico a loro disposizione per fermare queste atrocità”. MSF chiede agli Stati di usare urgentemente la loro influenza per: * Fermare il genocidio contro i palestinesi a Gaza * Fermare la pulizia etnica e lo sfollamento forzato * Garantire un cessate il fuoco immediato e duraturo * Revocare l’assedio e consentire la consegna immediata e senza ostacoli di aiuti umanitari indipendenti su larga scala * Fermare gli attacchi alle strutture mediche e agli operatori sanitari * Smantellare la Gaza Humanitarian Foundation * Consentire l’evacuazione medica di coloro che necessitano di cure urgenti * Fermare i trasferimenti di armi che uccidono e mutilano le persone I 1.118 operatori e operatrici umanitari di MSF che lavorano a Gaza non possono fermare questo genocidio, ma i leader mondiali possono farlo, se solo decidessero di agire. Stop al genocidio Più di 64.000 persone sono state uccise, tra cui 20.000 bambini, secondo gli ultimi dati del Ministero della Salute. Il bilancio è probabilmente molto più alto, considerando che molte altre persone potrebbero essere rimaste intrappolate sotto le macerie. Non c’è nessun luogo sicuro a Gaza. Anche se le strutture sanitarie dovrebbero essere protette, gli ospedali sono stati bombardati e le strutture mediche sono state saccheggiate, mettendo in pericolo la vita di personale e pazienti. Oggi nessun ospedale a Gaza è pienamente funzionante. Quelli che rimangono parzialmente operativi sono sovraffollati e gravemente carenti di forniture salvavita. Sono stati uccisi 12 operatori di MSF dall’inizio del conflitto e il chirurgo ortopedico di MSF, il dott. Mohammed Obeid, è detenuto da Israele da ottobre 2024. In totale a Gaza sono stati uccisi più di 1.500 operatori sanitari. Una perdita enorme per le loro famiglie e per il sistema sanitario di Gaza. Le autorità israeliane stanno soffocando Gaza attraverso un assedio totale che impedisce deliberatamente alla popolazione di accedere a carburante, cibo, acqua e forniture mediche. La carestia è già stata dichiarata nel governatorato di Gaza e le persone stanno morendo di fame. I pochi aiuti alimentari concessi dalle autorità israeliane sono stati crudelmente utilizzati come arma. La Gaza Humanitarian Foundation (GHF), gestita da Israele e finanziata dagli Stati Uniti, è responsabile della morte di 1.400 persone e del ferimento di altre 4.000. La mancanza di acqua potabile sta causando ulteriori sofferenze e malattie. Solo lo scorso mese, i team di MSF hanno curato 4.000 casi di diarrea, una condizione potenzialmente fatale per i bambini già indeboliti dalla malnutrizione. MSF viene regolarmente ostacolata dalle autorità israeliane nel portare attrezzature per la desalinizzazione e altre forniture che potrebbero aumentare l’accesso all’acqua potabile.     Medecins sans Frontieres
Israele e Palestina: né due Stati né uno solo. Una confederazione di comunità locali
Riconoscere la Palestina? E due Stati? Sono parole d’ordine che possono avere un peso nel promuovere il cessate il fuoco (la cosa più urgente), ma sono un alibi buono per non interrogarsi su come uscire dal genocidio in corso nella prospettiva di un futuro necessariamente in comune. Due Stati, come erano stati definiti a Oslo, sono ormai irrealizzabili e tutti lo sanno. Quello che resta della Palestina, cioè dei territori dove si trova gran parte dei palestinesi non “naturalizzati” israeliani, è, in una delle sue parti, una groviera, dove i buchi non sono più gli insediamenti e gli avamposti dei coloni israeliani (cresciuti ancora enormemente, ma non censiti, dopo il 7.10), bensì i residui villaggi e quartieri palestinesi non ancora occupati. E, nell’altra delle due parti, una terra lunare, spianata, dove si aggirano – o no, perché non hanno più dove andare – due milioni (gli altri son già morti) di fantasmi, condannati a morire, ora o negli anni a venire, di bombe ed esecuzioni sommarie, oppure di fame, sete, stenti, malattie e disperazione. Il formaggio, la sostanza di quella gruviera, invece, è ormai una rete di insediamenti illegali, circondati da muraglie, collegati da strade “esclusive” e disseminati di check-points in mano all’arbitrio di un esercito di occupazione, dove la muffa cresce poco a poco sull’orlo dei buchi fin a chiuderli del tutto. Pensare di sgomberare 6-700 mila coloni o più, fanatici e armati, protetti dall’esercito e dalla magistratura, per restituire ai palestinesi i territori rubati, è puro nonsenso. Quello Stato, la Palestina di Oslo, non avrebbe comunque avuto continuità territoriale, né spazio aereo e sbocco al mare comuni, un’economia autonoma e soprattutto la capacità di confrontarsi “ad armi pari” con le forze soverchianti dell’altro Stato, quello nato e consolidatosi sul suo territorio in 80 anni di feroci soprusi. Dunque, se allora (1993) quella soluzione era inaccettabile, oggi è diventata impossibile. Un unico Stato, allora, “dal fiume al mare”? Non come frutto della cacciata (o dello sterminio) degli ebrei dalla terra di Palestina, come invocano Hamas e i suoi sostenitori e meno che mai come conseguenza di cacciata, sterminio e sottomissione della popolazione palestinese da parte di Israele: obiettivo di fatto perseguito, e non da ora, da tutti i governanti israeliani. A volte – e sempre più spesso – proclamandolo apertamente; ma per lo più praticandolo senza ammetterlo. Certo è difficile, come è ovvio, la convivenza in un unico Stato di comunità nazionali che si sono combattute, massacrate, odiate e offese da generazioni. Ma, dicono, è un problema che deve essere affrontato e risolto negli anni, come è successo, bene o male – e anche molto male – in molti altri casi storici. Ma quale Stato? Come si chiamerà (questione di non poco conto per l’identità dei suoi futuri cittadini)? E chi ne controllerà l’esercito, gli arsenali, compreso quello nucleare, la Banca centrale, la valuta, l’economia e le sue imprese multinazionali? Uno Stato che non controlla questi e altri strumenti non è uno Stato. Difficile pensare che chi li controlla ora possa – non dico voglia – condividerli. Ma se non vengono condivisi, lo Stato unico non si può fare. Occorre allora ripiegare su una confederazione di comunità locali il più possibile autonome, per lo più mono-nazionali, ebraiche o palestinesi e alcune – poche per ora – miste. E tutte collegate tra loro, in base al principio di sussidiarietà, solo da funzioni indisponibili localmente, come logistica, comunicazione, risorse idriche, ecc. Una prospettiva che non può non includere l’applicazione graduale e concordata della risoluzione 194 dell’Onu che prevede il ritorno di tutti i palestinesi che sono stati cacciati dal 1948. Se non altro, per pareggiare i conti con Israele, che ha dato e dà la cittadinanza a tutti coloro che dimostrano o sostengono di esseri ebrei: il che renderà quel territorio uno dei paesi più affollati del mondo. Ma le risorse tecnologiche e umane per farvi fronte certamente non mancano. Sicurezza interna (“ordine pubblico”) e internazionale (eserciti e strumenti bellici) andranno sottratte per un lungo periodo a entrambe le nazionalità e affidate a un organismo super partes costituito da vari Paesi su mandato dell’Onu. Pura fantasia? Certo. Senonché non esistono altre alternative alla perpetuazione e all’incancrenimento – se quello attuale ancora non bastasse – di quello che sta succedendo. Questo è un modello di riorganizzazione della convivenza a livello mondiale, soprattutto in un’epoca in cui la lotta politica scivola, come negli Stati Uniti, ma non solo, verso la contrapposizione delle opposte fazioni che non disdegna armi e guerra civile e in cui sovranismo e militarismo trascinano il mondo verso la deflagrazione.   Anna Polo
Fermiamo la barbarie, flash mob al Ponte di ferro a Sesto Calende
Sabato 6 settembre alle 18 il Punt da Féer, il ponte di ferro sul Sempione che collega Sesto Calende con Castelletto Ticino, in Piemonte, diventerà il punto di ritrovo per chi vuole esprimere solidarietà alla popolazione di Gaza. L’appuntamento, sostenuto dalla CGIL, aderisce alla campagna internazionale Global Sumud Flotilla, che riunisce associazioni, sindacati e movimenti pacifisti di tutto il mondo. Il flash mob sarà un momento simbolico: l’immagine del ponte, sospeso tra due sponde, diventa il luogo scelto per unire idealmente due terre. Con cartelli, bandiere e presìdi silenziosi, i partecipanti intendono portare l’attenzione sull’urgenza di un cessate il fuoco e sull’invio di aiuti umanitari per una crisi che continua a colpire civili, famiglie e bambini. Redazione Varese
Inizio anno scolastico in Israele: per i bambini, fermate la guerra
Testo letto in classe  da 200 insegnanti in Israele per l’inizio dell’anno scolastico. PER I BAMBINI – FERMATE LA GUERRA! Noi, insegnanti provenienti da tutto Israele, vogliamo aprire l’anno scolastico con un grande grido: non si può continuare così! In questo giorno, il giorno di apertura dell’anno scolastico, un giorno emozionante e speciale dedicato a nuovi inizi e alla speranza, dobbiamo gridare: un bambino è un bambino. E troppi bambini e bambine sono già stati uccisi, rapiti, feriti, orfani, affamati, sradicati dalle loro case e colpiti in questa guerra. L’educazione è il centro della nostra vita e del nostro mondo. Operiamo con fiducia verso i bambini e i ragazzi: crediamo nelle loro forze, nelle loro capacità, nei loro sogni e nei loro diritti. Il nostro impegno come educatori ed educatrici è educare e agire affinché i bambini, ovunque si trovino, possano crescere e vivere in un mondo che permetta a tutto ciò di esistere e fiorire, un mondo di vita e prosperità – e non di morte e sofferenza. E quindi, in quanto persone che hanno dedicato la loro vita al futuro dei bambini, chiediamo: non togliete loro questo futuro! Fermate le uccisioni, la distruzione e la fame a Gaza! Fermate il terribile ciclo di dolore e lutto in Israele e a Gaza! Ritirate i soldati da Gaza! Restituite i genitori ai loro figli! Liberate gli ostaggi – sono in immediato pericolo di vita! Salvate la vita dei bambini di entrambi i popoli! Per i bambini e le bambine, per il futuro di tutti noi – fermate la guerra adesso! https://www.facebook.com/share/v/178kA7EufW/ Redazione Italia
Israele: in decine di migliaia di nuovo in piazza ieri, per invocare il cessate il fuoco e il ritorno degli ostaggi
Non si contano le manifestazioni che hanno costellato di nuovo ieri l’intera mappa di Israele, per un replay che anche senza definirsi ‘sciopero generale’, ha registrato la partecipazione di decine di migliaia di manifestanti, oltre all’adesione di tantissime attività commerciali, università, associazioni di cittadini e persino aziende, che hanno permesso ai loro impiegati di assentarsi almeno qualche ora, per poter aggiungere anche la loro voce al cacofonia delle grida e degli slogan. Come già per il grande sciopero generale di domenica 17 agosto, anche questa no-stop di protesta era stata convocata dal Forum delle Famiglie degli Ostaggi ed è iniziata alle 6.29 ora locale (corrispondenti alle 5.29 nostre) per ricordare il momento esatto in cui è cominciato l’attacco di Hamas, il 7 ottobre di due anni fa. Con vari momenti di intensità, le mobilitazioni sono proseguite poi per tutta la giornata, con blocchi stradali sulle principali arterie di transito, incendi di pneumatici, prolungati sit-in di fronte alla residenze di Netanyahu e di altri membri della Knesset, per poi culminare con un partecipatissimo corteo che dalla stazione di Tel Aviv si è poi riversato nella Piazza degli Ostaggi, dilagando a fiumana su tutte le aree vicine, compresa quella che sta proprio di fronte al quartier generale dell’IDF. E’ stata ancora una volta una grande manifestazione di unità e determinazione, che ha visto insieme tante sigle diverse, tutte ovviamente solidali con il Forum delle Famiglie degli Ostaggi nella richiesta di ripresa, anzi conclusione dei più volte congelati negoziati, come unica possibile speranza di poter rivedere in libertà quella ventina di ostaggi ancora in vita. Ma tra gli slogan e i cartelli e gli striscioni che affollavano la piazza oltre ai volti degli ostaggi, non sono mancati gli appelli di Stop The War, Fine dell’Occupazione, Fine del Genocidio, No alla Fame come Arma di Guerra, Pace Ora: una mobilitazione più che mai compatta nel ribadire la più corale contrarietà all’imminente piano di occupazione e inevitabile evacuazione di Gaza City, e la più che mai urgente richiesta di una soluzione politica al conflitto. Pressenza IPA
Qatar: nessuna risposta israeliana alla proposta di cessate il fuoco per Gaza
Doha – MEMO.Il Qatar ha dichiarato martedì che Israele non ha ancora risposto a una recente proposta di cessate il fuoco per Gaza, secondo quanto riportato da Anadolu. “Siamo in contatto con tutte le parti per raggiungere un accordo di cessate il fuoco, ma non c’è ancora una risposta ufficiale da parte di Israele: né accettazione, né rifiuto, né la presentazione di una proposta alternativa”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli esteri, Majed al-Ansari, in un commento trasmesso dalla televisione Al Jazeera. La scorsa settimana, il gruppo palestinese Hamas ha accettato una proposta di cessate il fuoco avanzata dai mediatori egiziani e qatarioti. Israele, tuttavia, non ha ancora risposto ufficialmente al piano. Ansari ha affermato che i mediatori di Gaza sono in contatto quotidiano per raggiungere un accordo di cessate il fuoco. “Sottolineiamo la necessità di sollecitare Israele a rispondere e impegnarsi seriamente”, ha affermato. “Siamo in attesa di una risposta ufficiale da parte di Israele alla proposta”. Pur ribadendo l’impegno a proseguire gli sforzi di mediazione, il Qatar ha invitato la comunità internazionale a fare pressione su Israele affinché raggiunga un accordo di cessate il fuoco per Gaza. “Non importa all’Egitto o al Qatar dove si terranno i negoziati”, ha affermato, dopo che i media israeliani hanno suggerito di spostare la sede dei negoziati in un altro Paese. “Ciò che Hamas ha accettato è identico a ciò che Israele aveva già concordato. La palla ora è nel campo di Israele, e sembra che Israele non voglia raggiungere un accordo o addirittura rispondere alla proposta”. Ansari ha avvertito che la crescente escalation israeliana sul campo “non porterà a risultati positivi”. Israele ha ucciso quasi 63.000 palestinesi a Gaza dall’ottobre 2023. La campagna militare ha devastato l’enclave, che sta affrontando la carestia. Lo scorso novembre, la Corte penale internazionale ha emesso mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra e crimini contro l’umanità a Gaza. Israele deve anche affrontare un caso di genocidio presso la Corte internazionale di giustizia per la sua guerra contro l’enclave. Traduzione per InfoPal di F.L.
A Gaza è carestia. Amnesty International: “Gli Stati blocchino l’occupazione israeliana di Gaza City”
L’annuncio ufficiale odierno dell’Iniziativa per la classificazione integrata delle fasi della sicurezza alimentare, che ha dichiarato la carestia a Gaza City, è per Amnesty International una devastante conferma delle preoccupazioni che le organizzazioni internazionali stavano sollevando da mesi. È anche un feroce capo d’accusa nei confronti degli Stati che non hanno fatto pressioni su Israele affinché ponesse fine al genocidio nella Striscia di Gaza occupata. “Questa carestia è la diretta conseguenza dell’intenzionale campagna israeliana di riduzione alla fame della popolazione della Striscia di Gaza”, ha dichiarato Erika Guevara Rosas, alta direttrice delle ricerche e delle campagne di Amnesty International. “Quello che è ancora più terribile è che questa carestia è interamente causata dall’uomo: una catastrofe deliberatamente organizzata e prevenibile. L’intenzionale impedimento all’accesso degli aiuti umanitari, la distruzione di strutture fondamentali per la vita umana e le uccisioni dirette di civili sono un’evidente manifestazione di come Israele stia infliggendo deliberatamente alla popolazione palestinese della Striscia di Gaza condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, parte integrante del genocidio in corso”, ha aggiunto Guevara Rosas. “La dichiarazione sulla carestia a Gaza City è arrivata proprio in coincidenza col via libera del gabinetto di sicurezza e del primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, al piano di una nuova operazione militare per ‘prendere il controllo’ della città, inasprendo dunque l’illegale occupazione israeliana. Un’offensiva del genere con una carestia in corso non solo causerebbe ulteriori massicce violazioni del diritto internazionale umanitario, ma aumenterebbe esponenzialmente la sofferenza delle persone che sono già alla fame e il numero delle morti da malnutrizione”, ha commentato Guevara-Rosas. “Ogni ora che passa senza una decisa azione internazionale significa la perdita di ulteriori vite palestinesi e il progressivo avvicinarsi del completo annichilimento di Gaza City. La storia non ci perdonerà mai di essere rimasti a guardare bambine e bambini morire di fame con gli aiuti a pochi chilometri di distanza e ancora bloccati da Israele”, ha sottolineato Guevara Rosas. “Anche solo per iniziare a invertire le devastanti conseguenze delle inumane politiche e azioni israeliane, il mondo deve agire immediatamente. Tutti gli Stati e altri attori devono pretendere con forza che Israele ponga fine a questo abominio, assicurando l’ingresso senza impedimenti degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la loro distribuzione al suo interno, il completo annullamento del blocco illegale israeliano, lo smantellamento del mortale sistema militarizzato di distribuzione degli aiuti e l’autorizzazione alle Nazioni Unite e ad altre fidate organizzazioni umanitarie a distribuire gli aiuti in condizioni di sicurezza e senza alcuna arbitraria limitazione. Gli Stati devono anche spingere affinché ci sia un cessate il fuoco duraturo e tornino rapidamente in libertà gli ostaggi trattenuti nella Striscia di Gaza, così come le persone palestinesi arbitrariamente detenute in Israele”, ha concluso Guevara Rosas.   Amnesty International
Gaza. Nuovi sforzi per un cessate il fuoco
Nuovi sforzi sarebbero in corso per arrivare ad un accordo globale di cessate il fuoco a Gaza e ad uno scambio di prigionieri tra Israele e Resistenza palestinese. Alcune fonti hanno confermato che il primo ministro e ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, si […] L'articolo Gaza. Nuovi sforzi per un cessate il fuoco su Contropiano.
Cosa succede nel Campo per la Pace nella terra dal Fiume al Mare?
“Perché sappiamo che ora è il momento di costruire un futuro migliore per tutt3 coloro che vivono qui. Un futuro di pace, uguaglianza, giustizia sociale e ambientale, un futuro che garantisca sicurezza e prosperità per tutt3.” – Standign Together, newsletter 10 Luglio 2025 “C’è una cosa che ognun@ di noi può fare: insistere sulla nostra umanità. Perchè non si tratta solo di salvare Gaza, sì, certo, è salvare le persone a Gaza, e siamo orgoglios3 di essere insieme, in solidarietà, in questo, Palestinesi ed Ebre3 con le persone di Gaza, ma sapete cosa? Si tratta anche di difendere la nostra umanità, si tratta di decidere che tipo di paese vogliamo diventare” – Alon-Lee Green, Standing Together https://www.instagram.com/reel/DM0oG-YNWfT/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA== Ieri 3 agosto 2025, a Tel Aviv, It’s Time Coalition, una coalizione composta da oltre 60 organizzazioni per la pace, sia ebraiche che arabe, ha allestito un accampamento in Piazza Dizengoff, a Tel Aviv, per protestare contro la guerra in corso a Gaza. Già per il 31 luglio aveva lanciato un appello: “Dov’eri? Come hai resistito? I nostri nipoti vorranno saperlo. Non possiamo continuare come se tutto fosse normale. Stiamo lanciando un’ondata di azioni d’emergenza a partire da domani, giovedì (31 Luglio). È il momento di interrompere la normalità. È il momento per tutti coloro che hanno resistito dal divano di alzarsi. È il momento di alzare una voce collettiva — contro una guerra criminale e contro l’abbandono di vite umane. Insieme, invochiamo la fine della sofferenza e l’inizio della guarigione” Dopo una serata intensa a Piazza Habima, Tel Aviv, il 31 luglio, dove migliaia di persone hanno riempito la piazza, It’s Time ha lanciato ufficialmente la sua mobilitazione d’emergenza. “Non continueremo come se nulla fosse. Non resteremo a casa mentre continuano le uccisioni, l’abbandono e la fame. A partire da domenica – un accampamento di protesta condiviso per tutte le organizzazioni e attivisti. Vieni a Piazza Dizengoff, a Tel Aviv, e fai parte della resistenza. Domenica è Tisha B’Av* (in ebraico: תשעה באב, che significa nove del mese di Av; è tradizionalmente associato alla distruzione di entrambi i Templi di Gerusalemme: Il Primo Tempio, distrutto dai babilonesi nel 586 a.C; il Secondo Tempio, distrutto dai romani nel 70 d.C. E’ un giorno di lutto e digiuno) e includerà un digiuno congiunto guidato da leader dei movimenti per la pace, attivist3 contro la guerra e altri partner. La protesta ha lo scopo di mettere in luce la crisi umanitaria a Gaza, chiedendo al contempo la liberazione immediata degli ostaggi israeliani e la fine della guerra. La serata del 3 agosto è stata anche la serata per Odeh e la comunità di Masafar Yatta. Centinaia di attivist3 hanno protestato a Tel Aviv e a Gerusalemme chiedendo giustizia per Odeh (Awdah) Mohammed Khalil Al-Hathalin, amato educatore palestinese, attivista per la pace, difensore dei diritti umani, fonte di ispirazione per il mondo attivista israeliano, palestinese e internazionale. Odeh è stato ucciso a colpi di arma da fuoco dal colono israeliano Yinon Levi il 28 luglio, mentre proteggeva la sua comunità . Da allora, il suo corpo non è ancora stato restituito al villaggio per una degna sepoltura. Divers3 palestines3 di Umm Alkhair e di Masafer Yatta sono stat3 arrestat3 e sono attualmente detenut3 nella prigione militare di Ofer. Nel frattempo, Yinon Levi è stato rilasciato agli arresti domiciliari. Centinaia di attivist3 israelian3 e palestinesi hanno espresso la loro solidarietà con le oltre 60 donne di Umm Alkhair che, da giovedì 31, sono in sciopero della fame per chiedere giustizia per Awdah. Invece di onorare la sua vita e permettere alla sua famiglia di seppellirlo con dignità, la polizia ha imposto condizioni disumane: Nessuna tenda del lutto nel suo quartiere. Nessun corteo funebre. Non più di 15 persone in lutto consentite. Combatants for Peace in solidarietà con la comunità ha lanciato un appello per la giustizia: “Il dolore non è un crimine. Il lutto è un diritto. La dignità non ha bisogno di permessi. Questa non è solo una questione locale, è un appello globale per la giustizia. Chiediamo: Restituite subito il corpo di Odeh Permettete alla sua famiglia di piangerlo liberamente e con dignità Lasciate che il suo popolo lo seppellisca nella sua terra, tra i suoi cari. Questo è un appello alla coscienza. Un appello all’umanità. Un appello per la libertà di piangere. Invitiamo ogni difensore dei diritti umani, ogni giornalista, ogni artista, ogni madre, ogni persona che ancora crede nella giustizia: Pronunciate il suo nome. Condividete questo messaggio. Siate al nostro fianco. Insieme, difendiamo la linea della dignità. Per favore, condividete il più possibile: la vostra voce è parte di questa resistenza. Combatants for Peace piange la sua perdita e invia forza alla sua famiglia, alla sua comunità e a tutti coloro che lo conoscevano. Era un faro di speranza e un leader della resistenza nonviolenta contro le ingiustizie orribili e continue dell’occupazione. Che un giorno possiamo vedere realizzata la sua visione: una casa sicura e libera per la sua famiglia, per il suo villaggio e per tutte le persone di questa terra.” Qui la testimonianza commossa, commovente, di Mai Shahin: https://www.instagram.com/reel/DM24r1Iodmv/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA== Ilaria Olimpico
Gaza, gli aiuti disumani
Immaginate con me, per favore, che tipo di aiuti umanitari possano essere quei camion carichi di un po’ di cibo, se il segnale per il loro ingresso è costituito da proiettili e colpi di arma da fuoco. Per chi non lo sapesse, prima che i camion entrino a Gaza, l’esercito israeliano lancia un vasto attacco contro coloro che attendono questi aiuti, sostenendo di volerli disperdere e allontanare dal confine per permettere ai camion di passare. Forse questa affermazione è persino vera, perché gli affamati si trovano a pochi metri dalle unità dell’esercito per la disperazione e la fame. Ma che tipo di “umanità” è mai questa, se il modo per disperdere le persone è ucciderle e sparare su di loro con proiettili e bombardamenti indiscriminati? Il fatto più tragico è che uno dei “segnali” che conferma l’arrivo dei camion è il numero dei morti e dei feriti. Ogni volta che vengono estratti dei corpi da lì, la popolazione capisce che i camion stanno per entrare, perché l’esercito ha “ripulito” l’area dagli affamati che si avvicinano alla zona di uscita dei mezzi. Un’altra tragedia è che l’arrivo di questi camion, dopo aver lasciato dietro di sé molte vittime, provoca caos, violenza e disordini che spesso causano nuove vittime, imponendo la “legge della giungla”: qui il più forte riesce a spingere via il più debole dal camion, ferendolo o addirittura uccidendolo, e così “merita” il cibo grazie alla sua forza e alla capacità di sopraffare gli altri. Dov’è l’umanità in tutto ciò? La terza tragedia, la più grave, è che la maggior parte delle famiglie senza uomini o giovani non riesce a ottenere alcun cibo. Molti anziani e madri che hanno perso i loro mariti non hanno alcuna possibilità di procurarsi del cibo tra spinte e scalate ai camion. Che tipo di “umanità” è mai quella che impedisce a orfani, vedove e anziani — le categorie che più hanno bisogno di aiuti umanitari — di ricevere del cibo? Per quanto riguarda il cosiddetto lancio di aiuti dal cielo, promosso da alcuni Paesi arabi ed europei, è più un’“umiliazione dall’alto” che un aiuto aereo. Non so come possa un pilota aprire i portelloni del suo aereo per lanciare tonnellate di cibo su una città fatta per il 70% di tende, e cosa provi mentre vede bambini e affamati correre sotto l’aereo, implorando con i gesti perché vogliono mangiare, sapendo che, appena i container toccano terra, o distruggeranno una tenda o feriranno e uccideranno molte persone che lottano tra loro per quel cibo. Vi racconto la mia esperienza con i lanci aerei: l’anno scorso, durante la prima carestia, cadde un paracadute carico di aiuti nella mia zona. Mi trovavo vicino e appena la cassa toccò terra fui il primo ad afferrarne un lato. Prima ancora di aprirla, ricevetti un colpo alla testa e una coltellata alla schiena che mi fece indietreggiare. Cercai di riprendermi e vidi un gran numero di persone colpirsi con coltelli e bastoni per impossessarsi di quel cibo. Spero che la mia esperienza con i paracadute vi faccia capire la tragedia che stiamo affrontando. L’unica soluzione per fermare la carestia a Gaza e salvare la sua gente è un cessate il fuoco e consentire agli enti preposti alla sicurezza di proteggere gli aiuti e consegnarli ad organizzazioni internazionali come l’UNRWA e il World Food Programme, in modo che vengano distribuiti con dignità. Qualsiasi altro tipo di aiuto non è umanitario, ma soltanto una trappola mortale. #Alaa_Ahmed https://www.instagram.com/alaa_ahmed_829?igsh=MXh3cm91MWF2cHA1aQ==   Redazione Italia