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Bari e la ricostruzione di Gaza
Nessuno parla più del Day After. A Gaza, l’unica cosa chiara è che il cessate il fuoco sarà temporaneo. Che duri 60 o 90 giorni, Netanyahu ha già detto che quello che è stato ottenuto finora, con Hamas ma anche con Hezbollah, con l’Iran, con tutti, è stato ottenuto con la forza: e che continuerà così. Fino al nuovo Medio Oriente. Ma per i palestinesi, in realtà, il Day After è già iniziato. Insieme all’Italia. Il 16 luglio, a Bari c’è stato il primo meeting della Gaza Phoenix, la Gaza Fenice: un team di esperti coordinato da Yara Salem, economista della World Bank originaria di Nablus, che su richiesta di Yahya al-Sarraj, il sindaco di Gaza, ha redatto un piano per la ricostruzione che a dicembre 2024 è stato discusso e approvato all’unanimità da tutti e 25 i comuni della Striscia. Più che di un piano, si tratta di una framework, l’equivalente di un nostro piano strategico: da sviluppare, cioè, più in dettaglio. Settore a settore. E quindi, il team è diventato ora una Expert Community con oltre cento specialisti di tutto il mondo – europei, americani, arabi. E quelli del Politecnico di Bari, guidati dai suoi due maggiori urbanisti, Dino Borri e Angela Barbanente, sono tra i più attivi: ma in contatto costante con Gaza. Perché la Gaza Phoenix è un piano per Gaza: ma soprattutto, di Gaza. Dei vari piani proposti, 11 in tutto, è l’unico con i palestinesi protagonisti. Negli altri, i palestinesi sono solo: “the population”. O peggio: “the recipients”. Sono solo lo sfondo di una ricostruzione pensata altrove. Soprattutto, la Gaza Phoenix è l’unico piano in cui Gaza non è semplicemente uno spazio. La Gaza Phoenix mira a ricostruire Gaza, sì, ma intesa come comunità: ripristinando non solo la vita, ma il suo stile di vita, la sua identità, con una ricostruzione sociale e culturale, oltre che materiale. Perché alla fine, una città non è i suoi edifici: è quello che ci sta dentro. A essere protagonisti, dunque, non sono solo i tecnici di Gaza, gli ingegneri, gli architetti, gli agronomi: ma i cittadini. Consultati passo passo il più possibile. E non a caso, l’obiezione, spesso, è che sia tutto troppo perfetto, per un contesto così. Per una sfida titanica come quella di Gaza: che già prima del 7 Ottobre, non aveva più acqua potabile. Solo acqua salata, acqua di mare. E che adesso, 60mila morti dopo, ha una tonnellata di macerie a metro quadro. Secondo l’ONU, il 70% delle strutture è irrecuperabile. Con le attuali restrizioni, e cioè con le ispezioni alla frontiera sul cemento, e su tutto quello che ha un potenziale uso militare, per la ricostruzione saranno necessari 80 anni. Senza, tra 15 sarebbero pronte le case – senza contare le scuole, gli ospedali, le strade. Quanti, intanto, andranno via? Perché il rischio è questo. E a prescindere da Netanyahu. Esisterà ancora una Gaza da ricostruire? In realtà, la Gaza Phoenix è forse il più pragmatico dei piani. Perché si basa su interventi graduali, per certi versi anche minimi, ma immediati. Si basa sull’idea che in guerra c’è un Day After, sì, un prima e un dopo, ma anche un durante, in cui la vita non è normale, ma non è sospesa: e si va avanti, con quello che si ha – materiali di recupero, materiali di scarto, rottami. Un durante in cui i palestinesi non sono semplicemente vittime, non sono solo morti, feriti, orfani: sono quelli che da soli, in questo momento, si stanno occupando di tutto. E soprattutto, si basa sul riciclo. Il riciclo delle macerie. Dei vari piani proposti, la Gaza Phoenix è l’unico che consente ai palestinesi di restare dove sono. Gli altri, non sono opera di urbanisti: ma di immobiliaristi. Per cui la ricostruzione di Gaza è un business da 50 miliardi di dollari. La Gaza Phoenix ridisegna Gaza, che si era estesa di casa in casa, alla rinfusa, come una 15-minute city – una città in cui si ha tutto a non più di 15 minuti di distanza. Riorganizzando la Striscia in tre fasce. Una sul mare, una centrale ad alta densità edilizia, e una interna per l’agricoltura. Più una fascia trasversale a fare da cerniera non solo fisica, ma sociale: un’area verde. Ma tutto questo, cominciando subito. Cominciando da dei “survival nodes”, da degli snodi di sopravvivenza che forniscano i servizi essenziali. Ed è qui che si è inserito il Politecnico di Bari. Mentre il libanese Atif Kubursi, professore Emerito di Economia alla McMaster University di Toronto, noto per un rapporto ONU che negli anni ’80, anticipava la Primavera Araba, sta delineando i possibili scenari di lungo periodo, Michele Mossa e Massimo La Scala, professore di Idraulica il primo, e di Elettricità il secondo, si sono concentrati sull’emergenza: su acqua e energia. Progettando dei sistemi mobili a alimentazione solare per trattare le acque reflue, e per ricavare acqua potabile dall’acqua di mare. In sinergia con l’Acquedotto Pugliese, che ha già operato a Gaza. E ora, vorrebbe tornarci. E soprattutto, in sinergia con la Regione Puglia. In cui la Gaza Phoenix ha trovato la più inattesa degli alleati. Per la Gaza Phoenix, Bari si è rivelata l’ambiente ideale per varie ragioni. Per la mobilitazione del Politecnico, e dell’Istituto Agronomico Mediterraneo, che con Gaza, e la West Bank, coopera da sempre, e per la Chiesa, che è la chiesa di don Tonino Bello: ma anche per il clima sociale e culturale che si è creato negli ultimi anni – con l’elezione di Michele Emiliano a sindaco, nel 2004, e poi, nel 2005, di Nichi Vendola a presidente della Regione. Molti dei ventenni di allora sono ora nelle istituzioni. E in più, Michele Emiliano, che è a fine mandato, non ha problemi di consenso: e considera Gaza un imperativo morale. La sera del 16 luglio, il suo staff era già in riunione per il prossimo meeting di ottobre. Per arrivare a ottobre presentando non solo progetti, ma risultati. E Ramallah, intanto, non sta a guardare. Il 2 luglio l’economista Raja Khalidi ha organizzato un convegno per un’analisi comparata dei piani proposti: da cui la Gaza Phoenix emerge come l’opzione preferita dalla società civile. Perché in realtà, come ogni iniziativa tecnica, la Gaza Phoenix è anche molto politica. Non ha nessuno dietro. Né Hamas, né Fatah. Né la Turchia, o il Qatar o gli Emirati o gli Stati Uniti. Ma ha esperti che contano, e tanto, in ognuno di questi paesi. E un know-how senza rivali. Quell’indipendenza che apparentemente, è la sua vulnerabilità, è il suo asso. In collegamento da Gaza, il sindaco Yahya al-Sarraj ha chiuso dicendo: A ottobre, sarò qui. Di questi tempi, è già un traguardo. Francesca Borri
Marco Cavallo scende in piazza: un viaggio contro i CPR, lager del presente
Marco Cavallo è una grande scultura azzurra, alta circa quattro metri, realizzata nel 1973 dai pazienti e dagli operatori del manicomio di San Giovanni a Trieste, durante l’esperienza di Franco Basaglia. Nella sua pancia, i ricoverati inserirono biglietti con i loro desideri. Il 21 gennaio 1973 Marco Cavallo fu portato fuori dal manicomio in un corteo che abbatté muri fisici e simbolici. Quel momento divenne il simbolo della lotta contro l’internamento psichiatrico e per la libertà, contribuendo alla riforma che chiuse i manicomi in Italia. Oggi Marco Cavallo torna a camminare per abbattere un’altra forma di esclusione: i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). Il progetto, lanciato a febbraio, dal Forum Salute Mentale e inserito nella campagna nazionale #180 Bene Comune, ha già raccolto decine di adesioni da associazioni, gruppi, operatori, comitati, attivisti e reti locali e nazionali 1. Un fronte plurale che chiede con forza la chiusura dei CPR e la fine della detenzione amministrativa. «Come poteva il Forum della Salute Mentale, che tanto si è battuto per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari e che accompagnò il Cavallo azzurro nelle manifestazioni, restare indifferente davanti allo scandalo dei CPR?» scrive Francesca de Carolis, una delle voci editoriali del Forum. «Strutture che, per molti aspetti, ricordano gli OPG, ma che sono ancora più crudeli. Qui sono rinchiuse persone il cui “reato” è stato varcare un confine, spinte da guerre, difficoltà economiche e dal desiderio legittimo di una vita migliore. Migranti colpevoli di “desiderio di vivere”». Nel suo articolo de Carolis racconta come Marco Cavallo si muova verso i CPR per denunciarne l’orrore. Oggi in Italia ci sono dieci CPR, nati con la legge Turco-Napolitano del 1998 e trasformati nel tempo, con la recente legge Minniti-Orlando che ha prolungato la detenzione fino a 180 giorni. Il viaggio ufficiale di Marco Cavallo partirà il 6 settembre con una manifestazione a Gradisca d’Isonzo. Nei mesi successivi farà tappa a Milano, Roma, Gradisca e altre città. Ogni fermata di questo percorso di denuncia, sarà un’occasione per portare alla luce la realtà dei CPR, raccontare storie dimenticate e denunciare la disumanizzazione di chi vi è rinchiuso. Ogni tappa prevede assemblee pubbliche, performance, letture e momenti di riflessione collettiva. Il Forum Salute Mentale ha lanciato anche una campagna di raccolta fondi per coprire le spese del viaggio (trasporti, accoglienza, materiali, supporto tecnico), coinvolgendo concretamente la società civile. Marco Cavallo non è solo una scultura: è un corpo collettivo in cammino, una memoria che non vuole tacere, un sogno di libertà senza confini. Unitevi al viaggio. 1. Qui le adesioni ↩︎
Bari, fuoco e repressione nel CPR: la protesta che nessuno vuole vedere
In Puglia sono attualmente attivi due Centri di Permanenza per il Rimpatrio: uno a Bari-Palese, l’altro a Restinco, frazione di Brindisi 1. Entrambe le strutture si trovano in aree periferiche, militarizzate e difficilmente accessibili da osservatori esterni. Quello di Bari 2 è attivo come CPR dal 2017; ad oggi, vi sono state trattenute circa 750 persone. Ed è proprio in questo centro che, nella notte tra il 22 e il 23 luglio, è esplosa una nuova protesta. Le persone recluse hanno appiccato incendi all’interno dei moduli detentivi, incendiando materassi e suppellettili. Alcuni si sono rifugiati sui tetti per sfuggire al fumo, lanciando slogan come “libertà” e “tutti liberi”. Le rivolte sono l’esito di condizioni di detenzione estreme: caldo insopportabile, scarsa igiene, cibo avariato, deterioramento della salute fisica e mentale. Gli attivisti della rete Mai più lager – No ai CPR documentano un clima di disperazione, con episodi di autolesionismo e tentativi di fuga, in un contesto in cui l’unico orizzonte possibile resta la detenzione stessa. Secondo quanto riferito dai collettivi locali – che denunciano le «condizioni disumane» del centro e si sono recati subito sul posto documentando con foto e video gli incendi – una delle persone trattenute ha riportato fratture agli arti durante un tentativo di fuga, restando intrappolata per ore senza ricevere soccorsi. La Prefettura ha dichiarato che l’assistenza medica è avvenuta tempestivamente, ma la discrepanza tra le dichiarazioni ufficiali e le testimonianze raccolte all’interno alimenta il sospetto che il sistema operi in una condizione di opacità. L’intervento delle forze dell’ordine per sedare le proteste è stato descritto come violento da attivisti e testimoni diretti, con punizioni collettive e isolamento forzato. PROTESTA DI INIZIO LUGLIO E PROCESSO LAMPO Anche all’inizio di luglio erano state denunciate proteste da parte dei detenuti. La segnalazione era stata lanciata dalla comunità Intifada Studentesca, che ha riferito di «tantissime persone salite sui tetti in segno di rivolta» durante il primo fine settimana del mese, per chiedere di parlare con la direttrice della struttura. Un episodio specifico, avvenuto nei primi giorni di luglio, ha visto tre persone recluse – tutti incensurate – protagoniste di una protesta interna più contenuta, che è però sfociata in arresti in flagranza. Nel processo per direttissima, davanti al giudice Mario Matromatteo, hanno spiegato di aver agito dopo settimane di condizioni igienico-sanitarie degradanti e totale mancanza di ascolto da parte delle autorità. Dopo tentativi pacifici, come lo sciopero della fame, hanno deciso di protestare in modo più eclatante. «Portateci in carcere, ma non di nuovo in quell’inferno», è una delle frasi che hanno detto. 3 Assistiti dalle avvocate Loredana Liso e Uliana Gazidede, i tre hanno patteggiato sei mesi di reclusione con pena sospesa (dequalificati da “organizzatori” a semplici partecipanti), mentre il giudice ha disposto il trasferimento degli atti e del verbale dell’udienza alla Procura, affinché siano verificate le condizioni del centro e accertate eventuali responsabilità legate alla sua cattiva gestione. ATTI DI AUTOLESIONISMO Il 1° maggio 2025 un giovane trattenuto all’interno del centro, dopo una settimana di sciopero della fame, è stato portato all’ospedale San Paolo di Bari in seguito all’ingestione di shampoo. Accanto alla denuncia dell’evento, sono emerse testimonianze su atti di autolesionismo compiuti da un secondo “ospite” del centro e sul tentato suicidio di un terzo. L’assemblea No CPR Puglia ha inoltre segnalato l’abuso di psicofarmaci, l’uso sistematico di isolamento dei detenuti, l’erogazione di pasti deteriorati e una scarsa assistenza medica. STRETTA DEL GOVERNO SULLE VISITE ISPETTIVE NEI CPR Non sarà semplice, ora, poter appurare i fatti e verificare le condizioni dei detenuti: il diritto di ispezione sulle strutture è stato progressivamente compromesso. Una circolare del Ministero dell’Interno, datata 18 aprile 2025, ha introdotto nuove restrizioni formali all’accesso di parlamentari, consiglieri regionali ed eurodeputati nei CPR. Le visite “ispettive” sono state ridimensionate – nella pratica, ostacolate – imponendo che gli accompagnatori siano “soggetti funzionalmente incardinati”, una condizione non prevista dalla normativa primaria, che di fatto limita l’accesso indipendente a queste strutture di detenzione amministrativa. Approfondimenti/Circolari del Ministero dell'Interno/CPR, Hotspot, CPA CPR: VIETATO ENTRARE Il Ministero dell’Interno limita e depotenzia le visite ispettive ai Centri di Permanenza per i Rimpatri Avv. Arturo Raffaele Covella 18 Luglio 2025 Intanto in provincia di Gorizia, al CPR di Gradisca d’Isonzo, attivisti della rete No CPR e trattenuti denunciano da settimane la diffusione di un’epidemia di scabbia tra i reclusi, in un contesto di sovraffollamento, scarsa igiene e cibo di bassa qualità. Le tensioni, legate anche alla diffusione della malattia, hanno generato proteste ripetute. Non c’è più tempo da perdere. I CPR vanno chiusi. 1. Alla fine del 2024, la capienza effettiva della struttura era tornata a 48 posti. Fonte Action Aid. ↩︎ 2. La scheda di questo CPR su Action Aid ↩︎ 3. Bari, protesta dei migranti nel Cpr di Palese: atti ai Pm sulle condizioni del centro, La Gazzetta del Mezzogiorno (10 luglio 2025) ↩︎
Solidarietà istituzionale con Gaza in Italia e Spagna
Il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, con un atto senza precedenti in Italia, ha interrotto unilateralmente ogni rapporto, affare e collaborazione commerciale in atto con Netanyahu e il governo israeliano. La Puglia è la prima regione a compiere questo passo con una mozione del Consiglio Regionale; lo stesso ha fatto poco dopo il Comune di Bari, dichiarando ufficialmente “non gradita” la partecipazione di Tel Aviv alla prossima edizione della Fiera del Levante. Le motivazioni sono chiare e senza giri di parole: “A causa del genocidio di inermi palestinesi in atto da parte del governo Netanyahu, invito tutti i dirigenti e dipendenti della Regione, delle sue agenzie e delle società partecipate a interrompere ogni rapporto di qualunque natura con i rappresentanti istituzionali del suddetto governo e con tutti quei soggetti a esso riconducibili che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare iniziative per far cessare il massacro dei palestinesi nella Striscia di Gaza“. Anche la città di Barcellona in Spagna ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele e cancellato l’accordo di gemellaggio con Tel Aviv, “finché non sarà rispettato il diritto internazionale e non saranno garantiti i diritti fondamentali del popolo palestinese.” Tra le altre misure incluse nella risoluzione, alcune delle quali esulano dalla giurisdizione del Comune, è stato chiesto al Consiglio di amministrazione dell’Expo di Barcellona di non ospitare padiglioni del governo israeliano, o “aziende di armi o qualsiasi altro settore che tragga profitto dal genocidio, dall’occupazione, dall’apartheid e dal colonialismo contro il popolo palestinese”.   ANBAMED
Makovec.it: Esercito e spazio pubblico, il caso Bari
PUBBLICATO SUL BLOG MAKOVEC. FILOSOFIA URBANA IL 4 MAGGIO 2025 Ospitiamo con piacere sul nostro sito l’interessante contributo critico scritto da pubblicato sul blog Makovec.it il 4 maggio 2025 in cui viene ribadito quanto l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denuncia da due anni a questa parte, vale a dire un pericolosissimo processo di occupazione degli spazi del sapere e della formazione da parte delle Forze Armate e di strutture di controllo. «Un Villaggio che, a prima vista, sembra un vero e proprio parco giochi al suono di: “Tecnologia, Valori e Addestramento”. Un evento che ha creato non poche critiche e molte giuste condanne soprattutto all’interno dei movimenti che, instancabilmente, si impegnano a favore della pace e che credono che essa non possa essere esportata a suon di carri armati (cfr. https://osservatorionomilscuola.com/)…continua a leggere su www.makovec.it.
Bari, intere scolaresche al Villaggio Esercito per propaganda di guerra
E mentre la città di Bari si prepara per il presidio contro il riarmo e la propaganda bellicista, previsto alle ore 18 a Piazza del Ferrarese, ecco che giungono le prime segnalazioni con foto esposte fieramente e senza vergogna sulla pagina Facebook dell’Istituto Comprensivo “Umberto I – San Nicola” di Bari (clicca qui per la pagina). Come è accaduto a Roma, a Firenze, a Gioia del Colle e in tutte le città in cui si mette in scena questa muscolosa prova di forza, con annessa retorica sulla difesa, sull’aiuto delle forze armate in caso di emergenza, sulle “missioni di pace” dell’esercito in giro per il mondo, anche in questo caso sono le maestre, senza alcuna vergogna, a Bari a condurre gli alunni e le alunne al Villaggio Esercito a contatto con carri armati, elicotteri da guerra, droni e cani artificiali da guerra. E ancora una volta, come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ci interroghiamo sul valore pedagogico e didattico di queste visite; ci chiediamo come sia possibile farsi incantare da attrazioni come il veicolo blindato Centauro2, il VTMM Ordo, l’elicottero AH129 Mangusta, un simulatore di volo e numerosi assetti EOD (Explosive Ordinance Disposal). Assistiamo ancora una vola imbelli e disarmati a questo assedio nelle nostre città, addirittura di quattro giorni a Bari, in cui si cerca di convincere i bambini e le bambine che le forze armate portino la pace, mentre, invece, bisognerebbe raccontare ai/alle più giovani di tutte le volte che l’esercito è intervenuto, senza l’egida dell’ONU, ma in seno all’alleanza più guerrafondaia mai esistita, cioè la NATO, per destabilizzare e rovesciare regimi, seminando morte ovunque. Del resto, in un momento storico che vede il riarmo dell’Europa per compiacere l’alleato americano contro la presunta minaccia costituita dalla Russia e dallo jihadismo islamico; in un contesto che legittima la violenza perpetrata dal nostro alleato Israele contro la popolazione civile palestinese, falcidiata da quello che si palesa sotto gli occhi di tutti e tutte come un genocidio; in uno scenario che prevede per questi ragazzi e queste ragazze il ritorno della leva obbligatoria per ingaggiare nuovi conflitti (come abbiamo spiegato qui), portare i bambini e la bambine a giocare e divertirsi con gli strumenti di guerra e di morte rasenta non solo la beffa, ma l’idiozia di adulti e di insegnanti che diventano complici dell’erosione del futuro dei giovani, abbandonandoli ad un destino di distruzione totale. Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università restiamo basiti e spaventate davanti alle foto di maestre che sorridono mentre si sta scrivendo la pagina più brutta della loro scuola. Chiediamo, pertanto, ai genitori di opporsi a queste iniziative, essi ne hanno facoltà e per questo l’Osservatorio ha messo a disposizione una serie di mozioni all’interno del Vademecum contro la militarizzazione. Del resto, non ha detto il ministro Giuseppe Valditara che occorre il consenso dei genitori per determinate iniziative scolastiche? Ebbene, cominciamo proprio con l’opporci come docenti, come genitori e come studenti e studentesse a tutte le iniziative di propaganda bellica e a tutte le retoriche occidentaliste che cercano di costruire il nemico per le guerre che ingaggeremo domani. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Bari, 3 maggio, presidio contro il riarmo e la propaganda bellicista
SABATO 3 MAGGIO | ORE 18.00 PIAZZA DEL FERRARESE, BARI A BARI DALL’1 AL 4 MAGGIO L’ESERCITO ITALIANO CELEBRA IL 164° ANNIVERSARIO L’ALLESTIMENTO DI UN “VILLAGGIO MILITARE” NEL CUORE DELLA CITTÀ È UN’OPERAZIONE DI PROPAGANDA INACCETTABILE È inaccettabile che, nel cuore di Bari, l’Esercito Italiano scelga di celebrare il proprio 164° anniversario trasformando il centro della città in un vero e proprio parco giochi militare, rivolto principalmente ai più giovani (clicca qui per l’articolo dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università). L’allestimento di un “villaggio” con attrazioni pensate per i bambini — dai percorsi a ostacoli alla esposizione di carri armati, mezzi blindati ed elicotteri — rappresenta una evidente azione di propaganda. Un’operazione che non si limita a promuovere consenso attorno alle Forze Armate, ma che, in modo più insidioso, mira a introdurre fin dall’infanzia una mentalità militarista. Negli ultimi anni abbiamo già assistito al moltiplicarsi di campagne di reclutamento mascherate da attività formative, condotte nelle scuole di ogni ordine e grado, persino nella scuola primaria. Visite di militari in uniforme, laboratori, concorsi a tema: attività che dietro una facciata apparentemente educativa puntano a normalizzare la presenza dell’apparato militare nelle aule scolastiche. L’installazione del “villaggio militare” nel pieno centro cittadino rappresenta un’ingerenza diretta nella vita quotidiana delle famiglie baresi. Non si tratta di un semplice evento celebrativo, ma di un’iniziativa di propaganda volta a legittimare e radicare la dimensione militare negli spazi civili, convertendo piazze e strade in scenari di esercitazione. Denunciamo con fermezza questa forma di occupazione simbolica dello spazio pubblico che contribuisce a normalizzare e a rendere familiare e innocua l’idea della guerra, minando i valori di pace e dialogo che dovrebbero essere alla base della formazione dei più giovani. Per questo invitiamo le cittadine e i cittadini a demilitarizzare la città, partecipando al presidio contro il riarmo e la propaganda bellicista che si terrà  SABATO 3 MAGGIO, ALLE ORE 18.00, IN PIAZZA DEL FERRARESE A BARI. Il Comitato per la Pace di Terra di Bari
Bari, 1-4 maggio: quattro giorni con l’Esercito in città, propaganda bellica degradante
In occasione del suo 164esimo anniversario l’Esercito Italiano sta occupando Piazza della Libertà a Bari, con una installazione denominata Villaggio, un piccolo accampamento moderno, un paese dei balocchi letali. In un articolo che promuove l’iniziativa si legge «per ben 4 giorni la gente potrà conoscere da vicino il lavoro dei soldati e le tecnologie con cui operano».  Per fortuna il centro culturale Zona Franca,  e i collettivi studenteschi UDU Link Bari e Unione degli Studenti Bari hanno scritto a riguardo un semplice post su Facebook che qui riporto quasi integralmente: «Nelle stesse settimane in cui la Presidente della Commissione UE Von der Leyen ha definito come “filorusso” chiunque sia contro il riarmo europeo, ci sembra inaccettabile che venga promosso in pieno centro città un tale sfoggio di mezzi e attività militari. Ci sembra chiaro l’intento propagandistico di questa iniziativa, volto a normalizzare la militarizzazione della società, mentre vengono sempre più messe a tacere le voci contrarie al riarmo e favorevoli all’apertura di tavoli di pace nei vari contesti di guerra. L’Italia ripudia la guerra: le nostre città non devono essere militarizzate, è inaccettabile per noi la creazione di un “villaggio militare” in pieno centro, è impensabile che la città di Bari venga percorsa per tutta la giornata da mezzi e reparti militari. In una fase in cui le tensioni internazionali crescenti gettano nello sconforto milioni di persone, mentre sulle teste di altrettanti milioni piovono bombe, non possiamo accettare che nel nostro Paese si ceda alla propaganda bellicista, dimenticando la nostra cultura e i nostri valori di pace e di dialogo internazionale. Rifiutiamo questa manifestazione e chiediamo anche alle istituzioni locali, che a più riprese si sono schierate per la pace, di non prendervi parte. Non bisogna prestare il fianco a questa pericolosa retorica di guerra, che punta solo ad abituarci ad un dibattito sempre più schierato su posizioni belliciste». L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università si interroga su come sia possibile farsi incantare da attrazioni come il veicolo blindato Centauro2, il VTMM Ordo, l’elicottero AH129 Mangusta, un simulatore di volo e numerosi assetti EOD (Explosive Ordinance Disposal). A noi certo non incantano, anzi spaventano queste iniziative e chi le orchestra. Non esiste giustificazione per la distruzione che si sta seminando nei territori con i conflitti bellici, né per la corsa alle risorse prime e al dominio finanziario.  Le nostre città vengono assediate dallo stesso potere che prova a convincerci della necessità della guerra fuori dai nostri confini, che inventa ogni giorno un nemico diverso. Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università continueremo a fare il possibile per tenere vivo uno spirito critico che ripudi la guerra, e proveremo a salvare tutti gli spazi e le formule che fanno del nostro Paese una organizzazione sociale viva votata alla democrazia.  Si avvicina il 16 maggio, giorno che ci vedrà impegnat3 in presenza a Roma per il corso “Scuole e università di pace Fermiamo la follia della guerra“, aperto a tutta la cittadinanza e utile alla formazione docente. Vi invitiamo a iscrivervi e a partecipare, in presenza o collegandovi online con Zoom. Su YouTube potete ascoltare una parte del lavoro già svolto. Molto di più ce n’è da fare ancora. Maria Pastore, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università