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Argentina. Un altro mercoledi di repressione contro i pensionati. Ma “le nonne e i nonni” non arretrano
L’unità perversa del ministro Bullrich con Jorge Macri, ha generato centinaia di poliziotti armati come se stessero andando in guerra, attaccando indiscriminatamente nonni e nonne che chiedono un aumento dei loro salari da miseria. E per inciso, hanno anche preso di mira la stampa. L’idea dell’apparato repressivo del governo fascista […] L'articolo Argentina. Un altro mercoledi di repressione contro i pensionati. Ma “le nonne e i nonni” non arretrano su Contropiano.
ANGOLA: FORTI PROTESTE ANTIGOVERNATIVE A SEGUITO DELL’AUMENTO DEL CARBURANTE, 5 MORTI
Angola. Sono salite a cinque il numero di persone morte a Luanda, capitale dell’Angola, a seguito dello sciopero nel settore dei trasporti per l’aumento del 33% del carburante e da cui sono seguite forti manifestazioni antigovernative. L’ondata di protesta ha portato migliaia di persone in strada a bloccare il traffico, scontri con la polizia, e saccheggi di negozi. Dopo una guerra civile decoloniale durata 40 anni, l’Angola è divenuto il secondo produttore di petrolio dell’Africa subsahariana, dopo la Nigeria. Ha visto una forte crescita nei primi anni del 2000 grazie – tra gli altri – ai suoi rapporti economici con la Cina, ma sconta ora le conseguenze di anni di recessione, con aumento di disoccupazione e povertà. La questione del prezzo del carburante è la goccia che ha fatto traboccare un sotteso ma crescente malessere della popolazione? Su Radio Onda d’Urto Cornelia Toelgyes vicedirettrice di www.africa-express.info. Ascolta o scarica.
Anche a Milano si alza il rumore contro il genocidio
Domenica 27 luglio, ore 22. L’appuntamento è partito da Tomaso Montanari e da quel gruppo di intellettuali che da tempo promuove iniziative per scuotere delle istituzioni sorde a qualsiasi appello, cieche di fronte al genocidio che si perpetra dall’altra parte del Mediterraneo. Molte le piazze che vengono “lanciate”: a Milano sembra inizialmente che tutto si svolgerà in piazza Prealpi, a nord della città. Invece nelle ultime ore si propongono piazza Duomo, zona Dergano, piazza 24 Maggio. Anche qualche condominio riesce ad organizzarsi e manderà le sue immagini, preziose. Qualcuno è perplesso per la possibile dispersione delle energie, altri sperano che distribuirsi in varie zone possa facilitare la partecipazione. Alla fine l’impressione è che la “scommessa” su più piazze abbia funzionato meglio. Vado in piazza 24 Maggio, zona sud: Darsena, Navigli. Arrivando si sente già il gran rumore e si vedono le bandiere. E’ iniziato tutto in anticipo, un segnale importante: forse le persone non vedevano l’ora di iniziare, in fondo siamo anche noi in una pentola a pressione. Far rumore, battere pentole, coperchi, suonare trombe, trombette, campane, permette di rompere non solo il silenzio agghiacciante al quale assistiamo appena usciamo dai “nostri circuiti”, ma rompe anche quello strato di angoscia, il senso di impotenza, la rabbia che ci attanaglia da 20 mesi. Così il rumore cresce e cresce, almeno 80 persone si raccolgono nella piazza, e quando escono da una borsa delle enormi lettere per comporre la scritta FREE GAZA qualcuno con un megafono propone di andare in giro per la zona, liberamente, a farsi sentire. Si parte subito, senza un itinerario, ci si muove dove si vede il terreno migliore per farsi sentire da più persone possibili. Con noi anche un paio di famiglie di Gaza, arrivate a Milano per curare i propri figli all’ospedale di Niguarda. Ci muoviamo in giro per la Darsena e in Navigli per oltre un’ora: rumore, slogan e parole al megafono per spiegare il motivo per cui siamo lì. Molti camerieri, avventori dei locali, passanti, danno segni di approvazione, ringraziano. Il gruppo continua, non perde né forza, né fiato fino alla fine. Siamo soddisfatti, anche se non era affatto scontato, tanto che c’è chi pensa di ripetere l’iniziativa, magari un venerdì o un sabato sera, quando la movida milanese in quella zona è assai maggiore. Queste sono iniziative che danno la soddisfazione di “aver fatto qualcosa”, ma d’altro canto vi è anche la consapevolezza che sono come gocce per un assetato. Però danno la forza, soprattutto a noi, di andare avanti, e si spera che facciano sentire la popolazione palestinese meno sola. Sentiamo sempre più lontane le nostre istituzioni, cieche e sorde di fronte agli appelli e alle immagini che ci scorrono davanti. Alla fine cerchiamo di contattare chi si trovava in Duomo e nelle altre piazze: ovunque l’iniziativa è riuscita e la mattina seguente arrivano video da città, paesi, da lontani luoghi di villeggiatura. Andiamo avanti. Procede pure quotidianamente l’azione di un gruppo di cittadini e cittadine milanesi che da 43 giorni, ininterrottamente, si ritrova in piazza Duomo dalle 18.30 alle 19.30: una lunga fila di persone, distanziate e in silenzio, che espone versi poetici per la Palestina e bandiere di quel popolo. Un popolo che resiste e per la cui sopravvivenza dobbiamo continuare a chiedere, sempre più numerosi. E’ quello che sta accadendo in Duomo: al primo gruppetto sparuto altri si sono uniti, e a quell’unica fila altre si sono aggiunte, le persone si fermano, si fanno fotografare con i cartelli in mano, sorridono, approvano, applaudono. Utile? Inutile? Mi ricordo di questa vecchia storiella africana… Un grande incendio divampa nella foresta e tutti gli animali scappano terrorizzati, cercando rifugio vicino al fiume. Un minuscolo colibrì, nonostante le sue dimensioni, vola verso il fuoco con gocce d’acqua nel becco, ripetendo: “Sto facendo la mia parte”. Il leone inizialmente deride il colibrì. Si chiede come possa lui, così piccolo, riuscire a spegnere un incendio così vasto, e anche gli altri animali lo prendono in giro. Tuttavia, la determinazione del colibrì contagia altri animali, tra cui un elefantino e un giovane pellicano, che iniziano ad aiutarlo a spegnere il fuoco. Vedendo questo sforzo collettivo, anche gli animali adulti, compreso il leone, si vergognano e si uniscono allo sforzo, riuscendo infine a domare l’incendio.   Rumore in piazza Duomo – Foto di Marina De Lorenzo e Idanna Matteotti   Andrea De Lotto
LEVANTE: APPROFONDIMENTO SULLA SITUAZIONE POLITICA IN BANGLADESH A UN ANNO DALLA RIVOLTA DEL LUGLIO 2024. INTERVISTA A ROMANE CAUQUI
Levante: la puntata di luglio 2025 dell’approfondimento mensile di Radio Onda d’Urto sull’Asia orientale, in onda all’interno di “C’è Crisi”, trasmissione dedicata agli scenari internazionali in onda ogni giovedì dalle ore 20 alle ore 21. In collegamento Dario Di Conzo, collaboratore di Radio Onda d’Urto, co-curatore di “Levante”, assegnista di ricerca alla Scuola Normale Superiore e docente a contratto all’Università Orientale di Napoli, e Romane Cauqui, dottoranda in Scienze politiche e sociali alla Scuola Normale Superiore, dove si occupa di condizioni di lavoro nel settore dell’abbigliamento nelle catene di produzione globali in Bangladesh e in Turchia. Romane Cauqui si è collegata con noi direttamente da Dacca. Con Romane Cauqui abbiamo parlato della storia recente e dell’attualità del Bangladesh, dove la ricercatrice si trova in questo momento proprio per condurre il proprio studio. In un primo momento le abbiamo chiesto una panoramica sulla realtà di questo paese del quale si sente parlare poco sui media alle nostre latitudini. L’estate scorsa, nel luglio 2024, il Paese è stato attraversato da un’ondata di proteste e mobilitazioni di massa contro il governo. Le manifestazioni, guidate dagli studenti, sono scoppiate in un primo momento per protestare prima contro un sistema di quote nei concorsi pubblici. Una repressione violenta da parte delle autorità ha però contribuito a trasformare la mobilitazione in un movimento nazionale contro l’autoritarismo. Il 5 agosto 2024, la prima ministra Sheikh Hasina, al potere da oltre 15 anni, ha lasciato il Paese. Questi eventi hanno aperto un nuovo capitolo nella vita politica del Bangladesh, che a distanza di un anno si sta ancora definendo. Da un anno, al potere c’è un governo provvisorio guidato da Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace e figura di spicco dell’opposizione ad Hasina. Il governo di transizione è incaricato di portare a termine alcune riforme strutturali e di creare delle commissioni tematiche (sul lavoro, sulle questioni di genere, sulla riforma strutturale). Il lavoro dell’esecutivo risulta però molto lento e sta ricevendo critiche da tutte le forze politiche. In generale, si registra una forte frammentazione politica e, mentre si preparano le celebrazioni del primo anniversario della rivolta dell’estate 2024, tensioni e violenze tra gruppi e fazioni politiche diverse sono in aumento. La puntata di luglio 2025 di “Levante” su Radio Onda d’Urto con Dario Di Conzo e Romane Cauqui, dedicata alla situazione politica in Bangladesh. Ascolta o scarica.
Politiche guerrafondaie, dissenso e pressione pacifica
Mentre Turchia, USA e le forze cosiddette occidentali proseguono nelle loro strategie neocoloniali volte a mantenere e se possibile allargare la loro influenza in Oriente anche all’Iran, i loro popoli tentano di esprimere il dissenso alle politiche guerrafondaie delle élite che li governano, alle prese con una crisi economica di sistema senza precedenti. La triade che rappresenta la punta più antagonista di questo malcontento dal basso, Carovana Sumoud, Freedom Flottilla e Global March to Gaza, si è data appuntamento a Bruxelles per una serie di iniziative di pressione politica pacifica, ma pur sempre nel quadro di un’ espressione del dissenso che ogni giorno che passa presenta sempre nuovi paletti. In Italia, con il colpo di mano del governo neo-fascista, si sono “inventate” nuove fattispecie di reato, mentre il movimento BDS e altri pro-Pal entrano nella black list di un numero crescente di Paesi. Redazione Italia
Global March to Gaza, dall’Egitto a Bruxelles con i palestinesi
Dopo l’Egitto la Global March to Gaza ha deciso di partecipare alla settimana di iniziative per la Palestina e contro il genocidio a Gaza che si stanno tenendo a Bruxelles nei luoghi simboli del potere dell’Unione Europea: la Borsa il Parlamento e le commissioni. Ieri è stata una giornata densa di flash mob e manifestazioni in diverse zone della città, in particolare quella serale davanti alla Borsa, dove è stata srotolata un’enorme bandiera palestinese e dove i militanti, soprattutto molti palestinesi e comunque cittadini stranieri hanno intonato canti e slogan e come “Tous le monde deteste les sionistes” o “Siamo tutte antifasciste”, e “So so so solidarité avec le peuple palestinien”. Dopo l’esperienza in Egitto chi è tornato e chi non ha potuto partire ha pensato di far rivivere il movimento straordinario della Global March to Gaza, che ci ha permesso di metterci in contatto in Italia con tutte le regioni. Quindi questi giorni a Bruxelles sono un’occasione per manifestare per la Palestina, ma anche un momento per incontrarsi fra i vari pezzi della Global March e ripensare una forma diversa di organizzazione, orizzontale e non verticistica, che abbia cura degli altri e delle loro ansie, che sia più chiara e meno opaca possibile nella comunicazione umana. Ieri è stata anche una giornata di arresti, perché gli attivisti di Stop Arming Israel hanno bloccato una fabbrica che produce sistemi per droni chiamata Syensqo e un sito di produzione militare a Tournée, sempre in Belgio; in centinaia, vestiti con le tute da lavoro bianche usate nelle centrali nucleari, hanno circondato la fabbrica, mentre alcuni entravano nei capannoni e con la vernice scrivevano su tutti i muri Save Gaza, Stop Genocide  e Viva Palestina. Ieri abbiamo fatto un presidio alla sede della polizia per chiedere la liberazione dei 500 attivisti arrestati e oggi mi sto recando a l’Eglise de Beguinage per incontrare gli attivisti e le attiviste che da un mese stanno facendo lo sciopero della fame. Foto di Manfredo Pavoni Gay Redazione Italia
EOS addio: non più a Verona l’odiosa fiera delle armi
La manifestazione, che tante polemiche aveva suscitato negli ultimi anni nella città scaligera, si trasferisce a Parma, anche grazie alle proteste di tante associazioni locali. Sulle pagine di Heraldo avevamo raccontato della fiera delle armi, una manifestazione che si è svolta a Verona per quattro anni, grazie a un contratto stipulato con la precedente amministrazione. Questo accordo consentiva a EOS (European Outdoor Show) di offrire agli espositori la possibilità di presentare i loro prodotti nei padiglioni della ZAI, coinvolgendo produttori e venditori di armi. Una fiera che, dietro una facciata che cerca di mettere in risalto armi definite “sportive” per nautica e caccia (come se uccidere animali potesse essere considerato uno sport), espone in realtà pistole, fucili, mitragliatrici e altre armi da guerra. Con espositori che vendono armi a Israele, quindi strumenti creati e commercializzati per uccidere. Tutto esposto apertamente, accessibile agli adulti e, purtroppo, a numerosi bambini che anche nell’ultima edizione hanno affollato gli stand. La fiera a Verona ha suscitato forti reazioni da parte di numerose associazioni, che su diversi fronti hanno espresso critiche decise nei confronti dell’evento, impegnandosi in alcuni casi a limitare i danni di una manifestazione permeata di violenza. In tale contesto è stato elaborato un codice etico con l’obiettivo di stabilire regole precise, soprattutto a tutela dei minori, consentendo loro l’ingresso solo se accompagnati da un adulto e vietando il contatto diretto con le armi. Questa seconda regola, com’era prevedibile, non è mai stata rispettata nelle varie edizioni in cui il codice etico era in vigore. Infatti, sia nell’edizione del 2024 che in quella di quest’anno, sono state diffuse numerose e allarmanti immagini di bambine e bambini che impugnavano pistole e fucili veri, come se fossero giocattoli e non strumenti di morte. La Rete delle Associazioni contro la fiera Educazione Siberiana, aveva titolato un secondo gruppo di associazioni veronesi unite nella Rete contro la fiera delle armi, richiamando il libro di Lilin, in cui l’educazione non mira a una crescita morale, ma a una vita dominata dalla violenza. Si riferiscono così a quei genitori che non solo portano i figli a una fiera di armi, ma permettono loro di maneggiarle, simulando spari e azioni di guerra, trattandolo come un vero e proprio gioco in stile educazione siberiana. Questa rete di associazioni nelle ultime due edizioni ha organizzato due eventi che hanno coinvolto centinaia di persone provenienti da diverse città del Nord Italia, le quali hanno sfilato lungo il perimetro della fiera. Una rete che ha ideato e realizzato il flash mob all’interno dei padiglioni, davanti allo stand dell’azienda Baretta. Durante questa azione, attiviste e attivisti della rete indossavano maschere raffiguranti Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano e responsabile del genocidio in corso in Palestina, perpetrato anche attraverso le armi esposte in fiera. Il flash mob ha attirato molta attenzione sia all’interno della Fiera sia a livello mediatico, soprattutto perché in quei momenti sono state scattate foto che ritraevano numerosi minorenni con armi in mano. Queste immagini hanno fatto il giro dei media nazionali e sono arrivate fino al Parlamento, dove è stata richiesta l’apertura di un’inchiesta parlamentare per discutere del fatto che bambini abbiano potuto accedere a questo tipo di fiera, arrivando perfino a impugnare armi. Manifestazioni, flash mob, immagini di minorenni armati diffuse sui media nazionali e una richiesta di inchiesta parlamentare hanno generato attorno alla fiera delle armi un clima di forte tensione e disagio, come ammettono gli stessi organizzatori: I vari prodotti presenti alla fiera desiderano condividere l’evento con gli appassionati italiani e internazionali in un’atmosfera più serena, un clima che purtroppo è venuto meno nelle ultime due edizioni tenutesi a Verona. È proprio questo clima che si è creato a Verona, intorno alla Fiera delle Armi, che ha spinto EOS a prendere la decisione di trasferire la fiera da Verona a Parma. Una piccola vittoria per la rete di associazioni unite contro la Fiera delle armi, ma una vittoria parziale, perché, come sottolineano le associazioni, l’obiettivo reale è garantire che fiere dedicate alle armi non si tengano in nessuna parte del mondo. Il sogno è che ogni guerra cessi e che nel mondo non esistano più conflitti che portano solo morte e distruzione. Oggi sembra un’utopia, ma i sogni si realizzano attraverso la lotta e l’impegno, anche nelle azioni più piccole. Forse, impedire che una fiera di questo tipo si svolga nella propria città, allontanando la cultura delle armi dai bambini e dai giovani, può rappresentare il primo passo per abbandonare quell’educazione siberiana che glorifica armi e violenza. Heraldo
Primavera americana? Seconda parte
Link alla prima parte dell’articolo. Le pagine che seguono riportano in traduzione italiana la seconda parte di uno studio dei ricercatori del CCC – Erica Chenoweth, Jeremy Pressman, Soha Hammam e Christopher Wiley Shay – sulle proteste svoltesi da marzo a maggio 2025 e pubblicato il 12 giugno 2025 con il titolo: American Spring? How Nonviolent Protest in the US is Accelerating nel sito Waging Nonviolence. Sullo stesso sito a marzo era apparsa anche la prima parte dello studio, Resistance is Alive and Well in the United States (19 marzo 2025) e un lungo articolo di Rivera Sun, Resistance to Trump is Everywhere. Inside the First 50 Days of Mass Protest (13 marzo 2025). Voci di pace continuerà a seguire, attraverso resoconti delle elaborazioni del CCC, le proteste negli Stati Uniti. Contrariamente a quanto comunemente si crede, le dimensioni e la portata delle proteste anti-Trump di quest’anno hanno superato quelle del 2017 e sono state straordinariamente pacifiche. Per le strade, agli ingressi autostradali, agli incroci e nei parchi, milioni di statunitensi continuano a manifestare contro l’amministrazione Trump e le sue politiche. I riflettori dei media sono attualmente puntati sulle proteste in corso contro le incursioni dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement) a Los Angeles e sulla risposta militarizzata dell’amministrazione Trump. Nella nostra ricerca presso il Crowd Counting Consortium non abbiamo ancora un quadro completo del numero e della gamma delle proteste che si sono verificate a giugno. Tuttavia, sappiamo che le proteste contro le incursioni dell’ICE si sono andate intensificando in tutto il Paese da mesi, insieme alle proteste contro quelle che sono state intese come abusi di potere da parte dell’amministrazione Trump. E sappiamo che le tattiche del movimento sono state straordinariamente pacifiche. Infatti, come abbiamo analizzato a marzo, le proteste negli Stati Uniti sono state molto intense da quando Trump è entrato in carica per la seconda volta. La nostra ricerca, tuttora in corso, rivela che nelle prime due settimane della seconda amministrazione Trump le azioni di protesta hanno superato quelle del 2017. Alla fine di marzo 2025 il numero di proteste era tre volte superiore a quello del 2017. Da allora esse sono aumentate con un forte incremento delle azioni su vasta scala e in numerosi centri nei mesi di aprile e maggio. Due picchi notevoli si sono verificati in occasione delle proteste nazionali Hands Offs del 5 aprile e No Kings del 19 aprile. Ad oggi, abbiamo contato 1.145 proteste svoltesi il 5 aprile in tutti i 50 Stati e nel Distretto di Columbia. È significativo che queste azioni si siano verificate in tutto il Paese, anche nelle zone rurali e in quelle che fanno capo al Partito Repubblicano. Per quanto riguarda il 19 aprile abbiamo contato 928 proteste in tutti i 50 Stati e a Washington e per il 1° e il 3 maggio abbiamo registrato oltre 1.000 proteste. Si tratta di risultati significativi. Se guardiamo alla prima amministrazione Trump, nell’aprile 2017 la protesta più importante in più luoghi è stata la Marcia per la scienza del 22 aprile che si è svolta in 390 località comprese le principali città. Nel 2017 abbiamo contato 80 proteste del Primo Maggio a livello nazionale, rispetto alle oltre 1.000 di quest’anno. Nel complesso, i dati del 2017 impallidiscono rispetto alle dimensioni e alla portata della mobilitazione del 2025 – un fatto che spesso passa inosservato nel discorso pubblico sulla risposta alle azioni di Trump. In maggioranza questi dati si riferiscono ai due giorni di proteste organizzate a livello nazionale. Nell’86% degli eventi anti-Trump svoltisi il 5 aprile per i quali sono disponibili le informazioni, abbiamo calcolato che vi abbiano partecipato da 919.000 a 1,5 milioni di persone. Sebbene la nostra stima sia inferiore alla cifra di 5 milioni offerta da alcune fonti, il 5 aprile ha chiaramente coinvolto il maggior numero di partecipanti a livello nazionale a cui abbiamo assistito durante la seconda amministrazione Trump; si tratta del numero più elevato in un singolo giorno dalla rivolta nazionale seguita all’uccisione di Ahmaud Arbery, George Floyd e Breonna Taylor nel 2020. Sulla base delle informazioni relative al 64% degli eventi anti-Trump del 19 aprile abbiamo valutato i partecipanti in un numero compreso tra 277.324 e 322.384. Questi due eventi da soli hanno coinvolto da 1,2 a 1,8 milioni di persone. E questo numero sarebbe più elevato se si tenesse conto delle centinaia di altre proteste che si sono svolte durante il mese di aprile. Le proteste si diffondono Oltre alle dimensioni e alla portata delle azioni di protesta, il mese di aprile ha visto un notevole livello di diffusione a livello geografico. Tutti i 50 Stati e D.C. hanno visto proteste in questo mese. Ciò suggerisce che la mobilitazione anti-Trump è davvero di portata nazionale. Spesso ci viene chiesto quante persone abbiano partecipato alle proteste. A causa delle dimensioni e della portata delle azioni di protesta, non siamo stati in grado di calcolare con esattezza il numero complessivo dei partecipanti a tutti gli eventi. Tuttavia, anche se i dati su molti eventi sono incompleti e i numeri di partecipanti disponibili per il mese di maggio sono meno affidabili, stimiamo che milioni di persone abbiano partecipato alle proteste di aprile. L’indagine di Dana Fisher sulle proteste del 5 aprile nell’area di Washington suggerisce che Resistance 2.0 coinvolga persone di età più elevata rispetto al movimento del 2017; tuttavia, non sappiamo quanto questo risultato sia rappresentativo a livello nazionale, nei diversi giorni o nelle diverse azioni. Testimonianze di carattere aneddotico suggeriscono che alcuni attivisti abbiano scelto di manifestare nei loro luoghi di residenza invece di recarsi in una grande città vicina per gli eventi. Un partecipante ha ipotizzato che ciò avvenga per attrarre coloro che vivono nelle vicinanze e sono nuovi-e alla protesta: “Ci sono persone che non vanno in città per eventi come questo. Si stanno impegnando nell’attivismo e nelle proteste locali. Dobbiamo incontrarli dove si trovano”. Un altro ha sottolineato che potrebbe anche fare un’impressione diversa sui passanti rispetto a una protesta in altri luoghi: “Questo è il motivo per cui le proteste non dovrebbero essere incentrate su D.C. o NY. Quando ci sono 300 persone davanti al liceo locale, e ci passi sabato per andare da Walmart, è più difficile sostenere che non sia mai successo. O che non l’hai visto”. Temi chiave Nei primi mesi del 2025, Elon Musk e Tesla sono stati tra i principali bersagli dei-delle manifestanti. Oltre 1.500 proteste in aprile e maggio li hanno presi di mira. Queste proteste anti-Tesla potrebbero essere collegate al calo significativo del prezzo delle azioni dell’azienda e al ritiro di Musk da DOGE (Department of Government Efficiency). Nel CCC continuiamo a registrare un numero considerevole di proteste motivate da questioni di carattere internazionale, tra cui non solo Israele-Palestina, ma anche Russia-Ucraina, dato che l’amministrazione Trump ha espresso un minore sostegno alla posizione ucraina sulla guerra. Approssimativamente una protesta su cinque ad aprile è stata legata a questioni di carattere internazionale, se si escludono quelle motivate dall’immigrazione e dal cambiamento climatico (un piccolo numero di contro-protestanti ha anche manifestato per difendere il presidente). Ma l’immigrazione – e le risposte aggressive delle forze dell’ordine alle proteste legate all’immigrazione – sono stati i temi chiave della mobilitazione nei mesi di aprile e maggio. Un episodio degno di nota a maggio è stato l’arresto di Ras Baraka, sindaco di Newark, New Jersey, alla Delaney Hall, una struttura di detenzione dell’ICE. Il video dell’arresto del 9 maggio è stato ampiamente condiviso e ha mostrato l’ICE e altri agenti delle forze dell’ordine mentre si facevano largo tra la folla di manifestanti pacifici per arrestare Baraka al di fuori dalla struttura. Sembra che Baraka sia stato autorizzato a entrare nella Delaney Hall insieme a una delegazione di legislatori federali (del New Jersey) e poi gli sia stato chiesto di uscire perché non era un membro del Congresso. Aveva già lasciato la struttura quando le forze dell’ordine si sono mosse per trattenerlo. Oltre all’arresto del sindaco Baraka, un membro della delegazione del Congresso, la rappresentante LaMonica McIver, è stata successivamente accusata dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di aver aggredito due degli agenti federali che avevano trattenuto Baraka. Questo ha scatenato ulteriori proteste fuori dalla Delaney Hall, compreso il ricorso alla disobbedienza civile da parte di uomini e donne appartenenti a un gruppo interreligioso che ha portato a due arresti. I-le manifestanti hanno anche sfogato la loro frustrazione direttamente su Alina Habba, procuratrice ad interim del New Jersey, che ha mosso le accuse contro la deputata McIver. Il 20 maggio decine di persone hanno manifestato davanti al suo ufficio di Newark. Un movimento nonviolento In generale, nei mesi di aprile e maggio il movimento di protesta anti-Trump si è basato su proteste e dimostrazioni piuttosto che sulla non cooperazione di massa, sull’occupazione di spazi o su scioperi generali, anche se ci sono state eccezioni e alcuni appelli pubblici per dare vita a tali azioni. Su 4.770 proteste anti-Trump in aprile e maggio solo in tre casi gli agenti di polizia hanno riportato ferite e solo in due sono stati feriti i partecipanti o si sono verificati danni alle proprietà. Abbiamo registrato arresti di manifestanti in 20 manifestazioni, pari allo 0,42% del totale. La stessa distribuzione si è verificata nelle proteste legate alle politiche sull’immigrazione che hanno costituito una parte consistente degli eventi. Complessivamente, in oltre il 99,5% delle proteste di aprile e maggio, non abbiamo registrato feriti, arresti o danni alla proprietà – un dato senza precedenti per un movimento di queste dimensioni e di una tale diffusione geografica. Contrariamente alle affermazioni iperboliche delle autorità che parlano di un movimento disordinato che cerca di seminare il caos, almeno fino ad aprile e maggio, i manifestanti associati al movimento anti-Trump sono stati straordinariamente nonviolenti nelle loro tattiche. Erica Chenoweth è una politologa della Harvard Kennedy School e co-direttrice del Crowd Counting Consortium. Chenoweth è autrice di Civil Resistance: What Everyone Needs to Know e co-autrice di Why Civil Resistance Works: The Strategic Logic of Nonviolent Conflict. Soha Hammam è responsabile del progetto di ricerca presso il Crowd Counting Consortium del Nonviolent Action Lab, dove svolge ricerche sulla mobilitazione politica e sulle risposte delle forze dell’ordine negli Stati Uniti. Jeremy Pressman è professore di scienze politiche all’Università del Connecticut e co-direttore del Crowd Counting Consortium. Il suo libro più recente è La spada non basta: Arabi, israeliani e i limiti della forza militare. Christopher Wiley Shay, PhD, è ricercatore associato presso l’Ash Center for Democratic Governance and Innovation della Harvard Kennedy School. La sua ricerca si concentra sulle insurrezioni, sulle campagne di resistenza non violenta e sul loro impatto a lungo termine sulla democratizzazione e sullo Stato di diritto. iDi Erica Chenoweth si veda: Come risolvere i conflitti. Senza armi e senza odio con la resistenza civile, Sonda, Milano 2023.   Comune-info
Primavera americana? Prima parte
L’arresto di Brad Lander, candidato democratico a sindaco di New York, dopo quello di Ras Baraka, sindaco di Newark, non sono la punta dell’iceberg delle violente proteste in corso negli Stati Uniti: mostrano invece la svolta autoritaria e la militarizzazione di ciò che resta della democrazia negli Usa. Scrivono i ricercatori del Crowd Counting Consortium, un progetto della Harvard Kennedy School e dell’Università del Connecticut, dedicato all’analisi delle azioni dei movimenti: “In oltre il 99,5% delle proteste di aprile e maggio, non abbiamo registrato feriti, arresti o danni alla proprietà, un dato senza precedenti per un movimento di queste dimensioni e di una tale diffusione geografica. Contrariamente alle affermazioni iperboliche delle autorità che parlano di un movimento disordinato che cerca di seminare il caos, i manifestanti associati al movimento anti-Trump sono stati straordinariamente non violenti nelle loro tattiche…”. Le attuali proteste contro Trump, precedute dall’ottobre del 2023 alla primavera del 2024 dalle manifestazioni pro-Palestina, hanno superato quelle del 2017, e hanno interessato tutti gli Stati tanto nelle grandi città che nei piccoli centri. Mentre a Los Angeles e in altri 2.000 centri in 50 stati le proteste No Kings coinvolgono milioni di cittadini e cittadine statunitensi e la repressione si abbatte con inaudita violenza su di loro, fino al punto di considerare legale l’atto di travolgerli-le con la propria auto nel caso di tentativi di accerchiamento, vale la pena soffermarsi sui caratteri delle dimostrazioni che da mesi attraversano gli Stati Uniti per coglierne continuità e mutamenti. Le proteste sono state monitorate con precisione dal Crowd Counting Consortium (CCC), un progetto congiunto della Harvard Kennedy School e dell’Università del Connecticut che raccoglie i dati tratti dai media tradizionali e dai social media relativi alle azioni di protesta collettive negli Stati Uniti: marce, scioperi, manifestazioni, rivolte. Nato nel 2017 per iniziativa di Jeremy Pressman e di Erica Chenoweth – esperta dei movimenti di resistenza civile nonviolentai – con lo scopo di registrare il numero delle partecipanti alla Women’s March di Washington (e alle Sister Marches di tutto il mondo) nel gennaio di quell’anno, il progetto si è esteso a tutte le forme di protesta. I dati raccolti – disponibili online e liberamente scaricabili – registrano il numero e la composizione dei-delle partecipanti, le motivazioni, la durata, le modalità delle proteste, la presenza e il comportamento della polizia. Essi rivelano che le proteste hanno avuto un carattere nonviolento e diffuso, hanno interessato tutti gli stati e si sono svolte tanto nelle grandi città che nei piccoli centri, inclusi quelli rurali. Esse sono state precedute dall’ottobre del 2023 alla primavera del 2024 dalle manifestazioni pro-Palestina. Secondo le rilevazioni del CCC, tra il 7 ottobre 2023 e il 7 giugno 2024 si sono svolte 12.400 azioni in sostegno alla Palestina che hanno coinvolto un milione e mezzo di persone; si è trattato della più vasta ondata di protesta negli Stati Uniti su un tema di carattere internazionale. Dalle richieste presentate da studenti e studentesse in aprile e maggio, quando furono circa 138 i campi istituiti negli spazi delle Università, è emerso che in alcuni casi la questione Israele-Palestina era intesa nel quadro più ampio del ruolo degli Stati Uniti nel militarismo globale. Alcuni caratteri di quelle azioni di protesta, la nonviolenza e la diffusione, si possono riconoscere anche nelle proteste anti-Trump in atto negli ultimi mesi contro la “militarizzazione della democrazia”. Comune-info
“Vi uccideremo”: sceriffo della Florida minaccia i manifestanti in vista delle proteste anti-Trump in tutta la nazione
Proteste in difesa delle comunità di immigrati contro le incursioni dell’ICE si sono svolte in città di tutti gli Stati Uniti, tra cui New York, Seattle, Chicago, Austin, Las Vegas, Madison e Washington. “Stanno portando qui le truppe. Stanno facendo intervenire l’ICE. La gente ha paura, ma sono loro che dovrebbero avere paura, perché noi, come comunità, possiamo fare la differenza” ha dichiarato J.C. Casteneta, uno degli organizzatori delle proteste a San Antonio.. Il governatore del Texas Greg Abbott ha dichiarato di aver schierato più di 5.000 soldati della Guardia Nazionale nel suo Stato. Lo sceriffo della contea di Brevard in Florida ha avvertito i manifestanti che i suoi agenti li avrebbero “uccisi”, in vista delle proteste previste a livello nazionale per questo fine settimana. “Se lanciate un mattone, una bomba incendiaria o puntate una pistola contro uno dei nostri agenti, comunicheremo alla vostra famiglia dove raccogliere i vostri resti, perché vi uccideremo” ha minacciato lo sceriffo Wayne Ivey. Sabato sono previste più di 1.800 manifestazioni in tutti gli Stati Uniti con lo slogan “No Kings Day” (per trasmettere il messaggio che gli Usa “non hanno un re”), in coincidenza con una parata militare finanziata con 45 milioni di dollari dei contribuenti e con il 79° compleanno di Trump.   Democracy Now!