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traccia tavolo CURA DEL MOVIMENTO – assemblea nazionale genova 2025
LIBERIAMO NODI, TESSIAMO TRAME. Dopo 9 anni di attività Non Una di Meno vive ancora una fase di grande vitalità.   L’8 marzo 2025 e le ultime piazze contro i femminicidi sono state molto potenti e partecipate in tutti i territori, lo scambio e l’allargamento della partecipazione sono una realtà costruita con cura ed entusiasmo in molti luoghi attraversati dalla nostra lotta. In questi 9 anni non abbiamo mai dedicato uno spazio esplicitamente pensato per prenderci cura di quanto abbiamo creato, delle relazioni da cui nasce l’impegno di lotta e trasformazione. L’assemblea nazionale che si svolgerà a Genova sarà il contesto di questa novità, un tavolo dedicato alla cura del movimento, che consideriamo un atto politico di amore.  La lunga storia di Nudm, la sua visibilità e la fase storica sociale che attraversa sono elementi di un momento in cui vediamo aumentare l’attenzione sul nostro lavoro, le aspettative, le tensioni, le critiche alla rete: tutto questo ci porta a sentire forte l’esigenza di una riflessione in assemblea per rinsaldare i legami, districare i nodi e continuare a tessere trame di trasformazione dell’esistente in modo sempre più partecipato e per liberarci dal peso della performatività che a volte percepiamo come logorante e inibente. Vorremmo costruire lo spazio di questa discussione nel seguente modo: *  Sabato pomeriggio un momento di confronto in modalità “tavolo”, in contemporanea con gli altri tavoli: in questa parte – aperta ai nodi e alle persone che hanno attraversato e animato in questi anni le assemblee dei nodi – vorremmo darci delle indicazioni di postura relative all’ascolto e al rispetto, che abbiamo immaginato come un patto che faciliti il confronto; vorremmo poi porci delle domande a cui cercheremo di rispondere in modo preliminare e provvisorio; * Domenica mattina la discussione proseguirà nella prima parte della plenaria, in cui restituiremo il metodo della discussione svolto e le risposte che ci siamo date, allargando il confronto a tutte le persone presenti in assemblea, cercando di mantenere una postura di ascolto e rispetto. Il tavolo cura del movimento vuole occuparsi dei rapporti all’interno dei nodi, di quelli tra i nodi e di quelli tra la rete Nudm e l’esterno, ovvero le altre realtà con cui possiamo condividere parti più o meno grandi della lotta. Ci siamo quindi post3 alcune domande che ci aiutino ad affrontare l’argomento in modalità tavolo di lavoro, e che possono essere approfondite nei 3 piani di discussione proposti:  Cosa ci fa sentire vulnerabili come movimento e come singol3 attivist3? Come reagiamo di fronte alle critiche più o meno costruttive?  E’ importante l’ascolto collettivo delle nostre emozioni e quanto spazio gli dedichiamo all’interno delle nostre assemblee? Se si sviluppa una situazione di conflitto, come la affrontiamo? In quali dinamiche e pratiche ci riconosciamo o non ci ritroviamo più? Come ci sentiamo nei confronti della dimensione nazionale della rete? Quali sono le risorse e le criticità che riconosciamo nella relazione tra i nodi e la cornice nazionale? Quali risorse e criticità riconosciamo nei rapporti tra i nodi? Quanto peso diamo alla relazione e comunicazione via social e come questa influisce al nostro interno e su ciascunə?  Come costruiamo intrecci con altre realtà a partire da posizioni diverse? Come ci sentiamo di fronte alla richiesta di prendere posizioni su diversi argomenti, di posizionarci in tempi stretti sulla contingenza politica? Come ci relazioniamo ai soggetti che avanzano aspettative verso le rete? Come comunicare che la rete è uno spazio aperto, in cui posizioni e pratiche si costruiscono insieme? Quanto riusciamo ad essere accoglienti e permeabili alle realtà politiche presenti sui nostri territori? Nell’evolversi del movimento e con l’aumento della sua complessità, alcune vecchie pratiche, per esempio quelle comunicative, potrebbero non essere sufficienti a rispondere a nuove e crescenti domande; ci proponiamo, quindi di metterle in discussione e iniziare un confronto sulla costruzione di nuove pratiche condivise che ci facciano sentire accolt3 e liber3 di esprimerci all’interno del movimento stesso. Nuove metodologie che ci aiutino a tenere insieme le diversità, integrarle, e al presentarsi di situazioni conflittuali, ci diano gli strumenti per rispondere e in maniera collettiva, con lo scopo di non creare divisioni ma rinsaldare le relazioni. Non vogliamo in questo tavolo focalizzarci su una ri-organizzazione della rete, ma nominare le questioni importanti, a volte problematiche a volte stimolanti, e costruire strumenti per gestire i conflitti con l’obiettivo di portare avanti il movimento e favorire la partecipazione. Vediamo il tavolo cura del movimento come una bussola per immaginarci dove andare nella prosecuzione della lotta, promuovendo una partecipazione sempre più ampia. Per affrontare questi argomenti proponiamo un metodo basato sull’ascolto attivo, sull’accoglienza e l’autocritica, evitando la provocazione e prevaricazione dell’altrə; un approccio che lasci spazio per riflettere, senza l’esigenza né la pressione di dover risolvere una domanda  nel tempo dedicato al tavolo, ma con la voglia di lasciare aperta la discussione. Pensiamo infatti che il tavolo cura del movimento, in quanto novità, sia solo l’inizio, il primo momento di confronto che non esaurirà i temi di discussione e non pretende di risolverli tutti.   
traccia tavolo VIOLENZA DI GENERE – assemblea nazionale genova 2025
Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin e di troppe altre*, siamo ancora qui a ripetere le stesse parole, a scendere in strada arrabbiate*, a trovare con noi a manifestare migliaia di giovani che anche autonomamente occupano le scuole, scioperano perché la violenza attraversa i loro spazi, le scuole, le famiglie e ora hanno le parole per protestare: femminismo/transfemminismo, patriarcato, maschilità tossica. Se pensavamo che qualcosa cambiasse, è cambiata in peggio sul piano legislativo e della politica istituzionale: la legge sul femminicidio altro non è che un dispositivo inutile per aggravare le pene e il sistema di repressione; di nuovo abbiamo sentito discorsi razzisti sulla “sensibilità diversa sulle donne” riferita ad alcune etnie (certo non quella italica) e sulla lettura manipolata dei dati riferiti alle violenze sessuali volta a criminalizzare i migranti; dopo la reazione pubblica di sgomento a seguito di femminicidi perpetrati da giovanissimi è intervenuta la garante per l’infanzia, a colpevolizzare le donne e a svalutare il ruolo dell’educazione sessuo affettiva nelle scuole; una insegnante è stata sospesa per avere messo foto su onlyfans ed è subito partito il codice etico per disciplinare i comportamenti di chi lavora nella scuola e nel pubblico impiego. Questo piano di ragionamenti punitivi, repressivi e di controllo, che da decenni accompagna il dibattito politico sui media e nei palazzi, non solo serve a evitare di affrontare il tema della violenza di genere alla sua radice sistemica e culturale, ma ha anche preparato il clima per introdurre tramite decreto legge una serie di misure repressive che hanno lo scopo di criminalizzare il dissenso, la protesta, lo sciopero, i picchetti e le azioni non violente della contestazione e del boicottaggio. Come reagiamo alla strumentalizzazione in chiave razzista, securitaria e repressiva della violenza patriarcale? Come ci opponiamo al tentativo di portare avanti politiche razziste e nazionalista in nostro nome e sui nostri corpi? Decidere per sé, per il proprio corpo è considerato un fattore di rischio. E ancora si continua a colpevolizzare le* supersititi e le vittime e il femminismo e le donne che hanno ridotto gli spazi di potere maschile, minato le sicurezze degli uomini, creato le condizioni della crisi della virilità e del conseguente disagio psicologico che poi dà sfogo alla violenza.  Come costruiamo narrazioni che riconoscano la natura strutturale della violenza patriarcale? Come costruiamo pratiche collettive per rispondere alla violenza? Cosa ci insegnano le mobilitazioni partecipate e spontanee in risposta agli ultimi femminicidi? Abbiamo detto che una caratteristica del governo Meloni è la rivalsa, la voglia di fare tabula rasa della cultura cosiddetta di sinistra, a partire dall’azzeramento delle conquiste del movimento LGBTQIA+ e del movimento delle donne*. In questo quadro si collocano gli attacchi al diritto di aborto e i milioni di euro dati a pioggia a Provita e famiglia, gli attacchi a* giovani gender non conforming e alle famiglie arcobaleno, spazi e finanziamenti dati a realtà neocattoliche e/o espressamente legate alla destra per ricoprire ruoli un tempo considerati estranei a quei soggetti, in particolare consultori, centri antiviolenza, formazione sull’educazione affettiva e sessuale. Non basta chiedere l’apertura di sportelli di ascolto a scuola, se poi vengono appaltati ad associazioni ed esperti alla Vannacci o alla Amadori.  Gli sportelli rientrano tra le nostre istanze?  Quante volte abbiamo scaricato sui cav funzioni e responsabilità anche al di fuori dei loro limiti di intervento? A scuola si chiedo lo/la psicologa, che spazio c’è per la peer education? A che ordine di idee appartengono queste diverse soluzioni? Oltre alle domande precedenti, proponiamo alla discussione due temi: uno ‘potenzialmente emergenziale’ sui cui occorre valutare pericolosità e possibili risposte; l’altro che interessa i nostri spazi e gli approcci con cui proviamo ad arginare le dinamiche patriarcali violente. 1. L’associazione Padri Separati sta raccogliendo le firme per una proposta di legge che è peggiorativa del DDL Pillon che siamo riuscite a non far passare. Vengono riproposti alcuni aspetti già presenti nel DDL Pillon ma a questi si aggiungono gli articoli 9/11 che rappresentano la fine dei percorsi di uscita dalla violenza familiare per le donne con figlie*. Oltre al danno la beffa: i Padri Separati nel sostenere il diritto paterno di essere pari all’altro genitore sottolineano la co-responsabilità parentale quale “essenziale contributo al fine di liberarsi dagli stereotipi di genere che riguardano i ruoli socialmente assegnati alla donna e all’uomo che riverberano la ripartizione di compiti in seno alla famiglia, ancorati a logiche patriarcali” (sic). I primi articoli riguardano: Ø Il piano genitoriale. Ø La possibilità di assegnare la casa, ma solo alle* figlie* stesse*, determinandovi così l’alternanza dei genitori nei periodi di accudimento delle* figlie* secondo il piano genitoriale. Ø Il limite del mantenimento ai 19 anni a meno di frequenza proficua di studi universitari o simili, ma non oltre i 26 anni. Ø I limiti entro cui ha validità una Consulenza tecnica d’ufficio (CTU) L’Articolo 9 e l’Articolo 10 fronteggiano le cosiddette false accuse, definite “pratica diffusissima e comunemente usata per pressioni sull’altra componente genitoriale, per vantaggi prettamente economici e di godimento di beni”. Gli articoli recitano: Art 9. Il giudice dichiara la decadenza dalla responsabilità genitoriale del genitore che abbia allegato in giudizio fatti costituenti abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere ovvero altri reati ai danni dell’altro genitore o del figlio che, anche all’esito di una sommaria istruttoria, siano risultati insussistenti. Art 11. 1. Chiunque, abusando dell’affidamento di un minorenne, indebitamente limita, impedisce o nega al genitore non affidatario il suo diritto di frequentarlo, istruirlo ed educarlo è punito con la reclusione fino ad un anno. La pena è della reclusione da 2 a 4 anni nel caso in cui l’autore interrompa senza giustificato motivo per un periodo superiore ai tre mesi la continuità della relazione del genitore non affidatario col figlio minore. In caso di gravi e ripetute violazioni delle disposizioni di cui ai commi precedenti, il giudice può applicare la pena accessoria della decadenza dalla responsabilità genitoriale. Si tratta di mera rivalsa e gravissima minaccia che limiterà la libertà delle donne di denunciare le violenze: un freno alla fuga e un ostacolo enorme per le attività dei CAV. Focus: attacco alla libertà delle donne; attacco all’attuabilità delle azioni dei CAV; impunità per la violenza maschile. Output: serve un’azione di massa e in anticipo, prima che sia in discussione in parlamento, come fu per il DDL Pillon. Criticità: quali tempi scegliere per sollevare questa lotta. Paura di arrivare tardi e paura di iniziare presto. 2. La nostra critica al carcere, alle politiche punitive e repressive è critica radicale. Come si applica per la violenza di genere? Iniziano a emergere metodologie ed esperienze di giustizia trasformativa, applicata in particolare nelle comunità che abitiamo. Ne abbiamo esperienza o conoscenza? Come si pone questa metodologia rispetto agli sportelli che spesso vengono richiesti in particolare nelle scuole e università? È un argomento che può fare da argine alle politiche mainstream che individuano nell’aumento delle pene le sole soluzioni per la violenza di genere e maschile? Focus: andare oltre le soluzioni di allontanamento dei responsabili delle violenze nei nostri spazi, avere uno sguardo che supera il binarismo vittima/colpevole. Output: avere nuovi approcci per la cura, per la gestione dei conflitti e per la presa di coscienza in caso di violenza di genere. Criticità: ci sono resistenze anche nella rete DiRe, da approfondire. Richiede tempi e risorse che poche realtà hanno.
traccia tavolo guerra e disarmo -assemblea nazionale genova 2025
Ci troviamo ormai in un contesto di guerra globale, in cui la la logica binaria della guerra si sostituisce allo spazio della politica e invade ogni ambito della società e delle nostre vite.  La politica di guerra è riarmo, spese militari, indebitamento, fine dello stato sociale, inflazione. Come è stato ed è per la crisi del debito pubblico, anche la guerra giustifica tutto, ogni sacrificio, e i bisogni/desideri sono secondari rispetto alla necessità di combattere la guerra. La guerra, qui dove la si prepara, è una voragine che cattura risorse immense che potrebbero essere usate per l’antiviolenza femminista, la scuola, la sanità pubblica, i consultori, un reddito di base che ci renda autonom3, salari adeguati, politiche abitative che garantiscano una casa per tutt3, interventi strutturali per la messa in sicurezza dei territori.  L’ideologia della Nazione in tempo di guerra articola la ristrutturazione economica e la deriva autoritaria come piani strettamente connessi: rinsalda il razzismo istituzionale, riafferma la funzione riproduttiva e subalterna delle donne e si cancellano le soggettività trans. Sui posti di lavoro e nei luoghi di istruzione e formazione il disciplinamento si fa più pesante e diventa strumento di ricatto e intimidazione.  La guerra è anche un paradigma con cui interpretare le dinamiche sociali: le nostre città sono investite e plasmate dalla retorica securitaria, dalla necessità di difendersi da ogni forma di devianza da una pretesa norma. I territori si militarizzano, gestiti da forze politiche che rifiutano di riconoscere che l’unica sicurezza possibile è solo collettiva e dipende dal soddisfacimento dei bisogni per tutt3, dalla qualità di vita, da spazi fisici accessibili e utilizzabili da tutt3, dalla convivenza tra divers3.  La guerra ha bisogno di armi: da produrre e da utilizzare, da vendere e da comprare. Sia la produzione che l’utilizzo di armi impatta sull’ambiente e gli esseri viventi che lo abitano in modo persistente, millenario, con tanti saluti alla già propagandata transizione ecologica…Le cosidette zone di sacrificio si estenderanno e si moltiplicheranno soprattutto a danno di aree del mondo già colpite dal’estrattivismo capitalista. Quale può essere il ruolo di un movimento transfemminista nell’analisi della guerra e nelle pratiche per opporsi? Come possiamo opporci alla privatizzazione dei territori, alle misure securitarie e repressive e creare convergenze su questa lotta? Come rendiamo chiaro il nesso tra guerra, economia di guerra e crisi ambientale? Come possiamo ostacolare la produzione e l’esportazione di armi e di servizi per il sistema militare?  Ogni giorno assistiamo all’orrore della guerra: empatizziamo con chi è assoggettatə a questa violenza senza senso, ci sentiamo dalla parte di chi resiste per sopravvivere ma siamo assalit3 dal senso di impotenza. Da 18 mesi, assistiamo al genocidio in corso a Gaza, ripreso in diretta e normalizzato nei mezzi di comunicazione, producendo un’assuefazione senza precedenti ad immagini allucinanti e la disumanizzazzione dell3 palestinesi. La guerra è sempre più vicina. I mass media in modo martellante parlano di fronte di guerra, necessità di difesa, conversione dell’industria meccanica e tecnologica in industria bellica, possibilità di essere invas3 e tutta questa narrazione attecchisce, facendo leva su paure comuni non esplicitate. Alle paure corrispondono le derive identitarie, nazionaliste, xenofobe. Sono paure che vanno interrogate e comprese perché è su di queste che le destre costruiscono la figura del nemico, sia esso il gender, la persona trans, lə migrantə, la donna. Il femminismo ci permette di considerare gli aspetti emotivi come politici e da questo vorremmo partire per districare la matassa che sentiamo dentro e che influenza la prospettiva sul presente e l’azione politica. A volte infatti proponiamo delle analisi sull’esistente che risentono del senso di impotenza e di colpa, della rabbia e della paura.  Vogliamo e possiamo riconoscere il ruolo delle emozioni nel processo di formazione dell’analisi e nelle relazioni, anche interne alla rete e al movimento? Vogliamo esplicitare cosa sentiamo e come questo impone a tutt3 una difesa?  Come facciamo a vivere nell’orrore della guerra senza smettere di pensare, senza asseragliarci nelle dicotomie? Come possiamo allo stesso tempo posizionarci e resistere? Come usiamo il linguaggio per riferirci ai conflitti? Come costruiamo alleanze tra gruppi e soggetti diversi contro la guerra agendo anche su una trasformazione del linguaggio? Come mettiamo in discussione la logica amico-nemico nelle relazioni tra e dentro i gruppi?  Come possiamo produrre una narrazione dei conflitti, dei rapporti di forza e delle poste in gioco diversa da quella bellicista e/o da quella “geopolitica”, data come unico orizzonte di senso, che sia capace di parlare all’emotività delle persone creando altri orizzonti possibili? La retorica della difesa europea, così come il tema della guerra tra Ucraina e Russia si stagliano su uno scenario politico ed economico assolutamente nuovo e inatteso: la crisi dell’Europa. L’Europa che si sentiva al centro del mondo e poteva nominare gli altri paesi a partire dalla propria centralità, che era centro della produzione e del mercato capitalista, oggi si sente esclusa dal futuro, e pensa di resistere facendo ricorso alla forza. In questo scenario non ci sono buoni e cattivi, non c’è spazio per schieramenti facili: rifiutiamo la logica “il nemico del mio nemico è mio amico”. Tuttavia, sentiamo il bisogno di individuare delle controparti: il complesso industriale bellico, le classi dominanti che dalla guerra e dal suo sistema traggono profitto, i governi reazionari che la normalizzano. Cosa pensiamo della corsa al riarmo che coinvolge Stati ed Europa? Come comunichiamo il nostro posizionamento? Come costruiamo un’analisi efficace ma complessa per posizionarci e creare alleanze transnazionali contro la guerra e il colonialismo? Quali pratiche possiamo mettere in campo per rappresentare l’opposizione alla guerra e ostacolare i suoi meccanismi?
traccia tavolo EDUCAZIONE e formazione – assemblea nazionale genova 2025
MODALITÀ Per favorire uno scambio più orizzontale si propone che la discussione del tavolo alterni  momenti di discussione plenaria (inizio e fine dei lavori) a momenti di confronto in gruppi più piccoli, utilizzando una metodologia cooperativa. Alla fine della discussione in gruppi si prevede 1 ora di restituzione in plenaria.  TEMI Approcci educativi reazionari, maschilisti, transfobici e classisti, questo è lo scenario che si apre davanti a docentə e studentə: a partire dall’osservazione dell’andamento politico degli ultimi tempi, delle decisioni dei ministri Valditara e  Bernini, delle ripercussioni giuridiche subite da ormai numeros3 docent3 di tutti gli ordini e i gradi in diverse parti d’Italia. Saldamente in linea con le nostre proposte per una scuola transfemminista, abbiamo pensato di concentrare le nostre riflessioni su alcuni punti nevralgici, utilizzando i criteri di importanza rispetto ai nostri temi e di contingenza rispetto al presente. Con l’intenzione di mantenere vigile l’attenzione su ciò che riteniamo importante ma anche su ciò che accade intorno a noi, abbiamo pensato di concentrarci su aspetti – seppur molto diversi tra loro – che riteniamo ora cruciali e non sacrificabili: educazione transfemminista all’affettività e alla sessualità, le nuove indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del 1° ciclo, intimidazione e repressione sempre maggiori subite da studentə e docentə, militarizzazione e demilitarizzazione dei nostri istituti e delle Università, adeguamento stipendiale, poiché il salario delle docenti – già tra i più bassi d’Europa e pesantemente aggredito dall’inflazione negli ultimi anni – sia tale proprio perchè si considera l’insegnamento  come il ‘naturale prolungamento del ruolo materno. Proponiamo di concentrarci sui cambiamenti in atto nella scuola  e nelle università mantenendo però una prospettiva di superamento dell’esistente, che tenga al centro i nostri bisogni, desideri e immaginari per un futuro diverso. Nel dettaglio, alcune domande stimolo per ogni argomento sui cui ci piacerebbe riflettere utilizzando la modalità partecipata sopra indicata:  EDUCAZIONE SESSUO-AFFETTIVA Le indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del I ciclo definiscono nero su bianco la violenza di genere come una “triste patologia” negandone la natura strutturale che deriva  da meccanismi e consuetudini alla base della nostra società. Questa è l’ultima delle tante affermazioni del governo sul tema della violenza di genere. In passato possiamo citare le linee guida per l’educazione civica ed altre proposte che tentano di declinare l’educazione sessuo-affettiva a scuola in chiave moralistica e patriarcale, come una mera questione di parità fra i generi (solo due, maschile e femminile).  Non basta parlare di sentimenti e di gentilezza. Per intervenire sul problema è doveroso ragionare sui ruoli di genere, sull’autorità patriarcale sulla quale si fonda la società in cui viviamo. E’ necessario lavorare sulla violenza in tutte le sue forme, sul consenso, sul possesso, sulle idee preconcette e ben inserite nel senso comune che stanno alla base di relazioni affettive violente,  sulla gestione ed espressione delle emozioni, sulla libertà di autodeterminarsi, di scegliere per sé stessə e sul proprio corpo. A ciò si aggiunge la ben nota crociata anti gender, in particolar modo con la proposta di legge della Lega contro uso del linguaggio neutro e contro carriere alias.  In questo contesto è urgente discutere di educazione sessuo affettiva transfemminista e di educazione anti patriarcale. Cosa significa per noi? Come pensare l’educazione sessuo-affettiva transfemminista in ottica di continuità dalla scuola dell’infanzia alla secondaria? Su quali temi ci concentriamo e/o sarebbe necessario farlo? Quali esigenze emergono dal corpo studente?  Quali momenti e spazi sfruttare? Quali strumenti didattici per inquadrare la proposta? Quali strumenti per dare corpo a questi progetti, contro le intimidazioni e i tentativi portati avanti da questo governo fiancheggiatore delle lobbies anti-scelta? Di cosa ci sarebbe bisogno? Quali sono le esigenze di formazione del personale docentə? Quali alleanze possibili con realtà che si occupano di questi temi? Quali strumenti di tutela rispetto a progetti presentati da enti e associazioni vicine ai pro-vita che vogliono entrare nelle scuole? Come si declina l’educazione sessuo-affettiva transfemminista all’università? Quali sono le esperienze e le prospettive concrete? NUOVE INDICAZIONI NAZIONALI PER LA SCUOLA DELL’INFANZIA E DEL I CICLO La cifra di queste nuove indicazioni nazionali viene offerta già nella premessa, laddove la violenza di genere viene inquadrata e raccontata come una patologia e non come un fenomeno strutturale. Questa premessa, pericolosa e anacronistica, porta con sè una forte contestazione a uno dei cardini della prospettiva transfemminista di nudm: come dare risalto e rispedire al mittente questa pericolosa contestazione? Quali punti di forza agire per scardinarla?     Proseguendo all’introduzione del testo, le n.i.n. pongono al centro  l’individuo come essere dotato di talenti da mettere a frutto, predominante rispetto alla comunità. Tale concezione ha le sue radici nella tradizione occidentale,  dal diritto romano alla tradizione cristiana.  In questo senso le  nuove indicazioni nazionali considerano la proposta culturale occidentale come “neutra” e vanno in senso contrario agli studi socio-antropologici e politici decoloniali.  Tale visione della persona si basa su un riferimento culturale eurocentrico ed obsoleto essendo rivolta ad una scuola abitata da pluralità culturali, religiose, linguistiche e identitarie. Questa impostazione risulta escludente e limitata. Quale spazio trovano le identità non “occidentali”, non conformi, non-binarie- neurodivergenti? Le indicazioni nazionali propongono una concezione dell’Identità che si costruisce sulla differenza dall’altro….perché non sulla somiglianza? La costruzione dell’ identità a scuola si basa sull’appartenenza ad una storia cronologica e storico-culturale comune. Dato il contesto multiculturale della nostra scuola e della società, perché non scegliere come basi di costruzione dell’identità l’uguaglianza e i diritti? La visione dell’insegnante come “Magister”, singolo individuo carismatico, non coincide con la realtà della scuola, formata da insegnanti che lavorano insieme, collaborano, si confrontano. E poi perché Maestro,quando la maggior parte delle persone che lavorano nella scuola sono donne? Quale descrizione dell’insegnante riteniamo adeguata e in assonanza con la scuola contemporanea? Perché, come suggeriscono le indicazioni nazionali, immaginare una relazione ristretta scuola-famiglia invece di allargare lo sguardo alla comunità educante? Il valore della libertà viene posto al centro della formazione scolastica ma la libertà è intesa in senso individuale. Quale libertà possiamo praticare nella comunità?  Le indicazioni nazionali citano più volte il senso del limite come elemento chiave da acquisire a scuola. Non si parla dei bisogni degli studentə ma solo della necessità di guida e contenimento secondo il principio di autorità.  Quali modelli di relazione possiamo contrapporre a questa narrazione? REPRESSIONE DOCENTƏ E STUDENTƏ Rispetto alle intimidazioni agite attraverso l’apertura di numerosi procedimenti disciplinari a carico dellə docenti  qual è il quadro normativo di riferimento? Quali sono gli strumenti che abbiamo per tutelarci? Come ci fa sentire questa situazione? Come poter reagire?  Il voto in condotta e le misure integrate nei regolamenti d’istituto si rivelano come strumenti di repressione dell’attivismo studentesco. E’ emersa in maniera preponderante la mobilitazione dellə studentə mediə e universitariə contro autoritarismo e molestie. Quali sono state le esperienze positive?  Nella scuola dell’autonomia il ruolo dirigenziale o dello staff è predominante. Come contrastare quindi anche a scuola questi rapporti di forza e di potere? Quali strumenti abbiamo, se li abbiamo? Come possiamo agire in quanto docentə e studentə insieme? Come viene vissuta la repressione nel mondo studentesco e universitario? Quali sono le alleanze possibili? Quali gli obiettivi da perseguire insieme? (DE)MILITARIZZAZIONE Sempre più frequenti sono gli ingressi delle forze dell’ordine nei nostri a volte in maniera dirompente ma spesso sottile e strisciante, sotto forma di orientamento nell’ambito dei PCTO, oppure di formazione rispetto a temi specifici come cyberbullismo e cybersecurity, quando non addirittura per parlare di violenza di genere. Ci sembra quindi urgente ragionare su cosa sta succedendo nelle nostre scuole e università, quali forme sta prendendo e come poter agire all’interno di questo contesto per invertire la rotta? Riflettiamo sull’uso di un linguaggio bellico come unica metafora rispetto ai conflitti e alle stratificazioni della società che ci circonda. Possiamo demilitarizzare il linguaggio? Come e in quali occasioni? Quali pratiche quotidiane possiamo portare a scuola in quanto docentə e studentiə contro la guerra e il riarmo? Ci sono esempi di attività concrete? Come si muovono i collettivi studenteschi nelle scuole e nelle università? Quali alleanze possibili e su quali obiettivi concreti? Esistono reti che lavorano per la demilitarizzazione della scuola. Come collaborare? RESTITUZIONE IN PLENARIA Parole chiave/ obiettivi comuni/ buone pratiche. ALTRI SPUNTI * Individuare gli spazi didatticamente grigi dove è possibile inserire interventi didattici mirati rispetto ai temi trattati (educazione sessuoaffettiva, demilitarizzazione della scuola e dei linguaggi, maggiore spazio alla modalità decoloniale nella proposta dei contenuti soprattutto umanistici), costruire una mappatura delle realtà che monitorano alcuni di questi aspetti, le ricerche in merito, etc… * analisi e proposta di riforma del regolamento sull’uso social media per dipendenti pubblici – creazione di una controproposta da diffondere sui social?  * Creare una cartella condivisa in un drive dove poter rendere disponibili materiali/percorsi elaborati da singoli nodi * Promuovere, eventualmente assieme ad altrə soggettə, mobilitazioni e campagne a partire da ciò che  si sta attivando sulle indicazioni nazionali, evidenziando la centralità della critica alla violenza ‘come triste patologia’ e lo sfruttamento del lavoro docente (adeguamento dei salari) * Scrivere un testo di analisi approfondito (una specie di prosecuzione/aggioramento del piano) che serva da piattaforma per il lancio delle mobilitazioni su scuola e formazione
GENOVA 12-13 APRILE 25: ASSEMBLEA NAZIONALE NON UNA DI MENO
Il movimento transfemminista si dà nuovamente appuntamento in presenza per intessere le trame che hanno abitato le piazze dell’8 marzo appena trascorso. Una due giorni in presenza, la prima a Genova, che ci vedrà unit3 nella vicinanza che diventa sorellanza. PROGRAMMA Sabato 12 aprile 9-10 Accoglienza 10-13.30 Assemblea plenaria 13.30-14.30 Pausa pranzo 14.30-18 Tavoli di lavoro (di seguito le tracce) Domenica 13 aprile 10.30-primo pomeriggio Assemblea plenaria Tutti gli spazi dedicati all’assemblea e ai tavoli sono accessibili. Non sarà presente unə interprete LIS ma verranno generati sottotitoli sia in sala che per i collegamenti da remoto. Palazzo Ducale è facilmente raggiungibile con la metro (fermata De Ferrari) dalle principali stazioni ferroviarie (Genova Brignole e Genova principe). Tutte le stazioni metro sono accessibili e dotate di ascensori. Il percorso per raggiungere la sede dell’assemblea è pianeggiante, senza barriere architettoniche, la pavimentazione é prevalentemente in pietra, in buono stato. Nelle vicinanze della sala plenaria verrà allestito uno spazio di decompressione, cioè una sala silenziosa e senza stimoli visivi, per chiunque ne sentisse la necessità. Che tu voglia seguire in presenza (da Genova o da altrove) o che tu possa collegarti solo online ti chiediamo un prezioso aiuto sull’organizzazione dei lavori: COMPILA IL FORM al link https://forms.gle/9jJzXf2phJ3Nqtx98 e partecipa da subito alla costruzione di questo favoloso spazio comune  LIBERIAMO NODI, TESSIAMO TRAME   TRACCE TAVOLI DI LAVORO Nel pomeriggio di sabato 12/04, dalle 14.30 alle 18 ci divideremo in tavoli di lavoro, di seguito i dettagli delle tracce dei singoli tavoli: * Tavolo Scuola e formazione (QUI LA TRACCIA) * Tavolo Guerra e disarmo (QUI LA TRACCIA) * Tavolo Violenza di genere (QUI LA TRACCIA) * Tavolo Cura del movimento (QUI LA TRACCIA)