
traccia tavolo guerra e disarmo -assemblea nazionale genova 2025
Non Una Di Meno - Sunday, April 6, 2025
Ci troviamo ormai in un contesto di guerra globale, in cui la la logica binaria della guerra si sostituisce allo spazio della politica e invade ogni ambito della società e delle nostre vite.
La politica di guerra è riarmo, spese militari, indebitamento, fine dello stato sociale, inflazione. Come è stato ed è per la crisi del debito pubblico, anche la guerra giustifica tutto, ogni sacrificio, e i bisogni/desideri sono secondari rispetto alla necessità di combattere la guerra. La guerra, qui dove la si prepara, è una voragine che cattura risorse immense che potrebbero essere usate per l’antiviolenza femminista, la scuola, la sanità pubblica, i consultori, un reddito di base che ci renda autonom3, salari adeguati, politiche abitative che garantiscano una casa per tutt3, interventi strutturali per la messa in sicurezza dei territori.
L’ideologia della Nazione in tempo di guerra articola la ristrutturazione economica e la deriva autoritaria come piani strettamente connessi: rinsalda il razzismo istituzionale, riafferma la funzione riproduttiva e subalterna delle donne e si cancellano le soggettività trans. Sui posti di lavoro e nei luoghi di istruzione e formazione il disciplinamento si fa più pesante e diventa strumento di ricatto e intimidazione.
La guerra è anche un paradigma con cui interpretare le dinamiche sociali: le nostre città sono investite e plasmate dalla retorica securitaria, dalla necessità di difendersi da ogni forma di devianza da una pretesa norma. I territori si militarizzano, gestiti da forze politiche che rifiutano di riconoscere che l’unica sicurezza possibile è solo collettiva e dipende dal soddisfacimento dei bisogni per tutt3, dalla qualità di vita, da spazi fisici accessibili e utilizzabili da tutt3, dalla convivenza tra divers3.
La guerra ha bisogno di armi: da produrre e da utilizzare, da vendere e da comprare. Sia la produzione che l’utilizzo di armi impatta sull’ambiente e gli esseri viventi che lo abitano in modo persistente, millenario, con tanti saluti alla già propagandata transizione ecologica…Le cosidette zone di sacrificio si estenderanno e si moltiplicheranno soprattutto a danno di aree del mondo già colpite dal’estrattivismo capitalista.
Quale può essere il ruolo di un movimento transfemminista nell’analisi della guerra e nelle pratiche per opporsi?
Come possiamo opporci alla privatizzazione dei territori, alle misure securitarie e repressive e creare convergenze su questa lotta?
Come rendiamo chiaro il nesso tra guerra, economia di guerra e crisi ambientale?
Come possiamo ostacolare la produzione e l’esportazione di armi e di servizi per il sistema militare?
Ogni giorno assistiamo all’orrore della guerra: empatizziamo con chi è assoggettatə a questa violenza senza senso, ci sentiamo dalla parte di chi resiste per sopravvivere ma siamo assalit3 dal senso di impotenza. Da 18 mesi, assistiamo al genocidio in corso a Gaza, ripreso in diretta e normalizzato nei mezzi di comunicazione, producendo un’assuefazione senza precedenti ad immagini allucinanti e la disumanizzazzione dell3 palestinesi.
La guerra è sempre più vicina. I mass media in modo martellante parlano di fronte di guerra, necessità di difesa, conversione dell’industria meccanica e tecnologica in industria bellica, possibilità di essere invas3 e tutta questa narrazione attecchisce, facendo leva su paure comuni non esplicitate. Alle paure corrispondono le derive identitarie, nazionaliste, xenofobe. Sono paure che vanno interrogate e comprese perché è su di queste che le destre costruiscono la figura del nemico, sia esso il gender, la persona trans, lə migrantə, la donna.
Il femminismo ci permette di considerare gli aspetti emotivi come politici e da questo vorremmo partire per districare la matassa che sentiamo dentro e che influenza la prospettiva sul presente e l’azione politica. A volte infatti proponiamo delle analisi sull’esistente che risentono del senso di impotenza e di colpa, della rabbia e della paura.
Vogliamo e possiamo riconoscere il ruolo delle emozioni nel processo di formazione dell’analisi e nelle relazioni, anche interne alla rete e al movimento? Vogliamo esplicitare cosa sentiamo e come questo impone a tutt3 una difesa?
Come facciamo a vivere nell’orrore della guerra senza smettere di pensare, senza asseragliarci nelle dicotomie? Come possiamo allo stesso tempo posizionarci e resistere?
Come usiamo il linguaggio per riferirci ai conflitti? Come costruiamo alleanze tra gruppi e soggetti diversi contro la guerra agendo anche su una trasformazione del linguaggio?
Come mettiamo in discussione la logica amico-nemico nelle relazioni tra e dentro i gruppi?
Come possiamo produrre una narrazione dei conflitti, dei rapporti di forza e delle poste in gioco diversa da quella bellicista e/o da quella “geopolitica”, data come unico orizzonte di senso, che sia capace di parlare all’emotività delle persone creando altri orizzonti possibili?
La retorica della difesa europea, così come il tema della guerra tra Ucraina e Russia si stagliano su uno scenario politico ed economico assolutamente nuovo e inatteso: la crisi dell’Europa. L’Europa che si sentiva al centro del mondo e poteva nominare gli altri paesi a partire dalla propria centralità, che era centro della produzione e del mercato capitalista, oggi si sente esclusa dal futuro, e pensa di resistere facendo ricorso alla forza.
In questo scenario non ci sono buoni e cattivi, non c’è spazio per schieramenti facili: rifiutiamo la logica “il nemico del mio nemico è mio amico”. Tuttavia, sentiamo il bisogno di individuare delle controparti: il complesso industriale bellico, le classi dominanti che dalla guerra e dal suo sistema traggono profitto, i governi reazionari che la normalizzano.
Cosa pensiamo della corsa al riarmo che coinvolge Stati ed Europa? Come comunichiamo il nostro posizionamento?
Come costruiamo un’analisi efficace ma complessa per posizionarci e creare alleanze transnazionali contro la guerra e il colonialismo?
Quali pratiche possiamo mettere in campo per rappresentare l’opposizione alla guerra e ostacolare i suoi meccanismi?