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«Ripristinare la libertà di movimento è l’unica risposta politica alle migrazioni»
Dalla cronaca ai palcoscenici, Del Grande sfida pregiudizi e silenzi politici, proponendo una riflessione sulla libertà di movimento, il razzismo strutturale e le trasformazioni della società europea. In questa intervista, ci guida attraverso storie di viaggiatori respinti, sogni di un’Europa più aperta e l’arte come strumento di cambiamento e riflessione. Il secolo è mobile – La storia delle migrazioni in Europa vista dal futuro, monologo multimediale di Gabriele Del Grande. Un viaggio tra immagini, parole e archivi storici che racconta un secolo di migrazioni e propone una visione futura. Prodotto da Zalab in collaborazione con Cinema Zero IN QUESTO PERIODO SEI IN TOURNÉE IN NUMEROSI TEATRI ITALIANI CON IL MONOLOGO MULTIMEDIALE “IL SECOLO È MOBILE – LA STORIA DELLE MIGRAZIONI IN EUROPA VISTA DAL FUTURO”. COME STA ANDANDO QUESTA ESPERIENZA? COME STA RISPONDENDO IL PUBBLICO? Ottanta date in poco più di un anno. Teatri, cinema, piazze, scuole. Quasi ovunque sold-out. Finalmente un passaggio televisivo. Non male per uno spettacolo che parla del ripristino della libera circolazione fra le due sponde del Mediterraneo. Sono molto contento. Il pubblico porta a casa una storia, tante emozioni e una proposta visionaria. Che poi è il punto forte dello spettacolo: restituire una visione del futuro. Unica pecca? Il silenzio assordante della politica. IN CHE MODO IL RAZZISMO, INTESO COME FENOMENO STRUTTURALE RADICATO NELLE SOCIETÀ EUROPEE, CONTINUA A MANIFESTARSI OGGI E QUALI TRASFORMAZIONI HANNO CARATTERIZZATO LE SUE FORME DI ESPRESSIONE NEGLI ULTIMI DECENNI? Cinque secoli di colonialismo non evaporano dall’oggi al domani. I fantasmi del razzismo scientifico, mai elaborati, hanno determinato le politiche migratorie europee degli ultimi decenni. Sin dal 1990 la strategia del trattato di Schengen – aprire ad Est per chiudere a Sud – punta dichiaratamente a scoraggiare l’immigrazione afroasiatica per sostituirla con quella bianca e cristiana dell’Europa orientale, ritenuta più facilmente assimilabile. L’apartheid in frontiera è l’ultima forma di segregazione razziale ancora in vigore nel mondo occidentale. O davvero pensiamo ancora che sui barconi diretti a Lampedusa viaggi l’avanguardia dei disperati in fuga dal Terzo Mondo? Smettiamo di chiamarli profughi, migranti o rifugiati. Chiamiamoli viaggiatori senza visto. Perché su quei barconi viaggiano le persone respinte dalle nostre ambasciate. E perché nel ventunesimo secolo la mobilità non è più un’esclusiva della disperazione. NEGLI ULTIMI ANNI SI PARLA SPESSO DI CAMBIAMENTI CLIMATICI. SECONDO TE LE PROBLEMATICHE AMBIENTALI E I CAMBIAMENTI CLIMATICI STANNO INFLUENZANDO I MOVIMENTI MIGRATORI E, SE SÌ, IN CHE MODO? Dietro l’allarme migranti climatici si cela spesso la stessa grande paura dell’invasione. Lo ripeto: in frontiera non arrivano i disperati in fuga ma i viaggiatori respinti dalle ambasciate. Il punto è politico. Il tema non sono i drammi da cui si scappa ma l’impossibilità di viaggiare in aereo per tre quarti dell’umanità: ovvero le classi popolari di Africa, Asia e Caraibi. Possibile che ai ventenni di qua dal mare tocchi in destino l’Erasmus e ai ventenni di là una tomba sul fondo del mare? Dopodiché certo che cambiamenti climatici e crisi ambientali provocano graduali spostamenti di popolazioni, ma il grosso sono movimenti interni ai paesi, dalle campagne alle città. L’Europa non è nella testa di tutti. Basta con questa idea che là fuori c’è il Terzo mondo in fiamme, l’apocalisse dietro l’angolo e le masse di barbari pronte a partire. Tra vent’anni India e Cina saranno i paesi più ricchi del mondo. L’Indonesia siederà al G7. L’Unione africana sarà in pieno boom economico. Per non parlare della Turchia o dei paesi arabi trainati dagli investimenti delle petromonarchie del Golfo. Le cose sono più complesse delle paure della vecchia Europa. IN CHE MISURA PERSISTONO OGGI FORME DI SESSUALIZZAZIONE E RAZZISMO SESSUALE NEI CONFRONTI DELLE PERSONE NON BIANCHE E ATTRAVERSO QUALI MODALITÀ SI ESPRIMONO? È un tema di cui non mi sono mai occupato. Risparmio ai lettori commenti banali e me ne esco con una provocazione: paradossalmente talvolta anche l’esotizzazione dei corpi non bianchi può scatenare un incontro. Quante storie nascono così. Poi ci si ri-conosce e si ride dei propri pregiudizi. In fondo i rapporti aiutano più di tanti articoli o conferenze. Ahimè quanti attivisti ed esperti conosco che non hanno mai avuto un amico o un amante al di fuori dalla comfort zone della propria bianchezza. Mescolatevi ragazzi, Comincia tutto da lì. LA TUA PROPOSTA PER AFFRONTARE LE MIGRAZIONI VERSO L’EUROPA CONSISTE, IN BREVE, NEL RIPRISTINARE LA PIENA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE, ATTRAVERSO IL RILASCIO DI VISTI E PERMESSI CHE CONSENTANO DI SPOSTARSI LIBERAMENTE TRA I PAESI DI TUTTO IL MONDO. COME CREDI CHE QUESTO POSSA AVVENIRE? Ripristino della libertà di movimento (come era fino agli anni Novanta), immigrazione circolare, politiche di inserimento dei nuovi arrivati con i miliardi risparmiati smilitarizzando le frontiere. I concetti sono semplici. Prima però bisogna accettare il cambiamento. Anche perché è già accaduto. Basta affacciarsi in una scuola qualsiasi. L’Italia del futuro è quella delle classi miste delle nostre elementari. La politica non è pronta ad ammetterlo? Poco importa. > I cambiamenti non arrivano dall’alto. Sono il risultato di lotte che pian > piano si fanno egemoni. Tre milioni e mezzo di persone salite su quei barconi negli ultimi trent’anni formano un movimento di massa di disobbedienza civile. Una sorta di minoranza combattiva. Alla quale appartengono anche quanti fra noi non ne possono più di contare i morti innocenti dopo ogni naufragio. Insieme dobbiamo provare a contrapporre la visione della libera circolazione alla narrazione egemone dell’apartheid in frontiera che non soltanto non è più al passo coi tempi ma ha fatto 50mila morti nel Mediterraneo! Oggi sembrano discorsi visionari ma fra trent’anni avremo tutti un pezzetto di famiglia in Nigeria, India o Marocco e saremo finalmente pronti ad aprire. Accadrà inevitabilmente ma dobbiamo darci da fare per anticipare i tempi. Perché ogni anno perduto costa migliaia di vite in mare e indicibili sofferenze per i viaggiatori arrestati sull’altra sponda come nelle nostre città. PER QUANTO RIGUARDA INVECE LA REALIZZAZIONE DELLO SPETTACOLO TRATTO DAL TUO LIBRO, CHE COSA TI HA PORTATO A SCEGLIERE IL TEATRO COME MEZZO ATTRAVERSO IL QUALE PARLARE DI MIGRAZIONI? PENSI CHE SIA UN AMBIENTE ADATTO ED EFFICACE PER NARRARE QUESTO FENOMENO ALLA SOCIETÀ? C’è sempre meno gente che legge libri e allora un libro devi imparare a raccontarlo, a usare nuovi linguaggi, in questo caso le immagini, gli archivi, lo storytelling. L’obiettivo è sempre lo stesso: dare al pubblico uno strumento in più per capire il presente e immaginare il futuro. SECONDO TE, IN CHE MODO PUÒ L’ARTE AIUTARE A RAPPRESENTARE LE MIGRAZIONI E PIÙ IN GENERALE LE DISUGUAGLIANZE? CREDI CHE POSSA DAVVERO FAR APRIRE GLI OCCHI ALLE PERSONE, PROPONENDO UN PUNTO DI VISTA DIVERSO? L’arte non soltanto ha il potere di raccontare il reale ma anche quello di immaginare mondi che ancora non esistono e di farceli desiderare. Il problema è che spesso gli artisti, così come i giornalisti, si limitano a riprodurre cliché. Specie su questi temi che richiedono un lungo lavoro di decolonizzazione del proprio immaginario. Fortunatamente però ormai si sta affacciando sulla scena una nuova generazione di artisti e giornalisti figli delle migrazioni, con una sensibilità tutta nuova e molte lingue in testa. Il rimescolamento delle carte è in atto. Serviranno una o due generazioni. Ma alla fine accadrà inevitabilmente anche qua ciò che sta accadendo in Francia, Gran Bretagna o Germania. Benvenuti nella nuova Europa.
3 ottobre: dodici anni fa, la tragedia di Lampedusa
Dodici anni fa, la tragedia di Lampedusa: 368 giovani vite spezzate a poche centinaia di metri dalla spiaggia, quando la libertà e un futuro migliore sembravano ormai a un passo. Il dodicesimo anniversario di questa tragedia arriva proprio nel clima e nelle prassi che erigono l’ennesima barriera di morte in faccia a migliaia di altri rifugiati e migranti come i ragazzi spazzati via in quell’alba grigia del 3 ottobre 2013. Non sappiamo se esponenti di questo governo e di questa maggioranza o, più in generale, altri protagonisti della politica degli ultimi anni intendano promuovere o anche solo partecipare a cerimonie ed eventi in memoria di quanto è accaduto. Ma se è vero, come è vero, che il modo migliore di onorare i morti è salvare i vivi e rispettarne la libertà e la dignità, allora non avrà senso condividere i momenti di raccoglimento e di riflessione che la data del 3 ottobre richiama con chi da anni costruisce muri e distrugge ponti, ignorando il grido d’aiuto che sale da tutto il Sud del mondo. Se anche loro vogliono “ricordare Lampedusa”, che lo facciano da soli. Che restino soli. Perché in questi 10 anni hanno rovesciato, distrutto o snaturato quel grande afflato di solidarietà e umana pietà suscitato dalla strage nelle coscienze di milioni di persone in tutto il mondo. Che cosa resta, infatti, dello “spirito” e degli impegni di allora? Nulla. Si è regrediti a un cinismo e a una indifferenza anche peggiori del clima antecedente quel terribile 3 ottobre. E, addirittura, nonostante le indagini fatte da parte della magistratura, non si è ancora riusciti a capire come sia stato possibile che 368 persone abbiano trovato la morte ad appena 800 metri da Lampedusa e a meno di due chilometri da un porto zeppo di unità militari veloci e attrezzate, in grado di arrivare sul posto in pochi minuti. La vastità della tragedia ha richiamato l’attenzione, con la forza enorme di 368 vite perdute, su due punti in particolare: la catastrofe umanitaria di milioni di rifugiati in cerca di salvezza attraverso il Mediterraneo; il dramma dell’Eritrea, perché tutti quei morti erano eritrei. Al primo “punto” si rispose con Mare Nostrum, il mandato alla Marina italiana di pattugliare il Mediterraneo sino ai margini delle acque territoriali libiche, per prestare aiuto alle barche di migranti in difficoltà e prevenire, evitare altre stragi come quella di Lampedusa. Quell’operazione è stata un vanto per la nostra Marina, con migliaia di vite salvate. A cinque anni di distanza non solo non ne resta nulla, ma sembra quasi che buona parte della politica la consideri uno spreco o addirittura un aiuto dato ai trafficanti. Sta di fatto che esattamente dopo dodici mesi, nel novembre 2014, Mare Nostrum è stato “cancellato”, moltiplicando – proprio come aveva previsto la Marina – i naufragi e le vittime, inclusa l’immane tragedia del 18 aprile 2015, con circa 800 vittime, il più alto bilancio di morte mai registrato nel Mediterraneo in un naufragio. E, al posto di quella operazione salvezza, sono state introdotte via via norme e restrizioni che neanche l’escalation delle vittime è valsa ad arrestare, fino ad arrivare ad esternalizzare sempre più a sud, in Africa e nel Medio Oriente, le frontiere della Fortezza Europa, attraverso tutta una serie di trattati internazionali, per bloccare i rifugiati in pieno Sahara, “lontano dai riflettori”, prima ancora che possano arrivare ad imbarcarsi sulla sponda sud del Mediterraneo. Questo hanno fatto e stanno facendo trattati come il Processo di Khartoum (fotocopia del precedente Processo di Rabat), gli accordi di Malta, il trattato con la Turchia, il patto di respingimento con il Sudan, il ricatto all’Afghanistan (costretto a “riprendersi” 80mila profughi), il memorandum firmato con la Libia nel febbraio 2017 e gli ultimi provvedimenti di questo Governo. Per non dire della criminalizzazione delle Ong, alle quali si deve circa il 40 per cento delle migliaia di vite salvate, ma che sono state costrette a sospendere la loro attività. Oggi assistiamo a navi soccorritrici costrette a navigare lunghe miglia in cerca di porti assegnati lontani dai luoghi di intervento. Il porto più vicino e sicuro previsto dal diritto internazionale marittimo è ormai lettera morta. Le stragi si susseguono negli ultimi 12 anni come nulla fosse, il cinismo ha soppiantato l’Umanitario. Con i rifugiati eritrei, il secondo “punto”, si è passati dalla solidarietà alla derisione o addirittura al disprezzo, tanto da definirli – nelle parole di autorevoli esponenti dell’attuale maggioranza di governo – “profughi vacanzieri” o “migranti per fare la bella vita”, pur di negare la realtà della dittatura di Asmara. È un processo iniziato subito, già all’indomani della tragedia, quando alla cerimonia funebre per le vittime ad Agrigento il Governo ha invitato l’ambasciatore eritreo a Roma, l’uomo che in Italia rappresenta ed è la voce proprio di quel regime che ha costretto quei 368 giovani a scappare dal paese. Sarebbe potuta sembrare una “gaffe”. Invece si è rivelata l’inizio di un percorso di progressivo riavvicinamento e rivalutazione di Isaias Afewerki, il dittatore che ha schiavizzato il suo popolo, facendolo uscire dall’isolamento internazionale, associandolo al Processo di Khartoum e ad altri accordi, inviandogli centinaia di milioni di euro di finanziamenti, eleggendolo, di fatto, gendarme anti-immigrazione per conto dell’Italia e dell’Europa. Fino al recente documentario La grande bugia – Eritrea andata e ritorno, mandato in onda dalla RAI. Sia per quanto riguarda i migranti in generale che per l’Eritrea, allora, a 12 anni di distanza dalla tragedia di quel 3 ottobre 2013, resta l’amaro sapore di un tradimento. * Traditi la memoria e il rispetto per le 368 giovani vittime e tutti i loro familiari e amici. Il caso del generale libico Al-Masri è lampante: un atto che ha calpestato la memoria e la dignità di tutti migranti e profughi. * Traditi le migliaia di giovani che con la loro stessa fuga denunciano la feroce, terribile realtà del regime di Asmara, che resta una dittatura anche dopo la firma della pace con l’Etiopia per la lunghissima guerra di confine iniziata nel 1998. Il recente documentario mandato in onda da RAI3 La grande bugia – Eritrea andata e ritorno è un tentativo di denigrare e sminuire il dramma dei profughi eritrei, riabilitare il regime al potere ed è utile anche alle politiche anti-accoglienza e di chiusura in atto in Italia e in Europa. Ci addolora che RAI3 si sia prestata a questo pessimo atto che veicola un messaggio profondamente distorto e fuorviante sulla realtà eritrea e sulla fuga dei giovani dal paese. * Tradito il grido di dolore che sale dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Italia e l’Europa, da parte di un intero popolo di migranti e profughi costretti ad abbandonare la propria terra: una fuga per la vita che nasce spesso da situazioni create dalla politica e dagli interessi economici e geostrategici proprio di quegli Stati del Nord del mondo che ora alzano barriere. Tradito, questo grido di dolore, nel momento stesso in cui si finge di non vedere una realtà evidente: “…lasci la casa solo / quando la casa non ti lascia più stare / Nessuno lascia la casa a meno che la casa non ti cacci / fuoco sotto i piedi / sangue caldo in pancia / qualcosa che non avresti mai pensato di fare / finché la falce non ti ha segnato il collo di minacce…” (da Home, monologo di Giuseppe Cederna). Ecco: ovunque si voglia ricordare in questi giorni la tragedia di Lampedusa, sull’isola stessa o da qualsiasi altra parte, non avrà alcun senso farlo se non si vorrà trasformare questa triste ricorrenza in un punto di partenza per cambiare radicalmente la politica condotta in questi 12 anni nei confronti di migranti e rifugiati. Gli “ultimi della terra”. Ricordatevi sempre che il diritto dei più deboli non è un diritto debole!
“Trasmigrazioni” scolastiche e classi-ghetto: ripartire dalla giustizia sociale di quartiere
Ultimi compiti, verifiche e interrogazioni: tra irrefrenabili cadute e incredibili salvataggi la scuola sta per finire. Il suono della campanella della prima ora non smuove più il brulicare stanco nei corridoi e allo stesso tempo non riesce a contenere il … Leggi tutto L'articolo “Trasmigrazioni” scolastiche e classi-ghetto: ripartire dalla giustizia sociale di quartiere sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Riprendersi la vita. Etnografia dell’Hotel Quattrostelle occupato tra bisogno e socialità
di Osvaldo Costantini Ombre Corte, 2023 Il testo offre uno sguardo antropologico su una occupazione abitativa romana, l’Hotel Quattrostelle, con una attenzione alle biografie e ai dilemmi delle persone, principalmente migranti, che entrano nei percorsi del Movimento per il Diritto all’Abitare di Roma. Il testo si dispiega a partire da una riflessione sulle traiettorie biografiche dell’autore, tra estrazione sociale e attivismo politico. Il tema dell’occupazione è inoltre prisma di rifrazione di diverse questioni: uno sguardo privilegiato è dedicato alla modalità di autorganizzazione reale che si costruisce all’interno dell’occupazione e sembra dipanarsi in una particolare dialettica tra decisioni assembleari, devianze e formazioni di continui contropoteri. Emergono in questo modo diversi temi relativi alle classi subalterne ed alla loro produzione culturale intorno a lavoro, tempo libero, violenza, obblighi familiari, integrazione, abitare, diritti, religione, diversità culturale (scheda editoriale).